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IMPATTO SOCIALE DELLE GRANDI DITTATURE

interdisciplinare



Scuola- Città


IMPATTO SOCIALE DELLE GRANDI DITTATURE











Allieva   Classe A.S.






INDICE





v Crisi postbellica, propaganda e avvento del fascismo..........pag. 4

v Hitler al potere..........................pag. 7

v Lo Stalinismo e la "Grande Purga"........ .........pag. 9

v 1984 di George Orwell.......................pag. 11

v Erich Fromm e Fuga dalla libertà.................pag. 13

v La coscienza di Zeno e la psicoanalisi.................pag. 17

v Il neonazismo ed il revisionismo storico..............pag. 19

CRISI POSTBELLICA, PROPAGANDA e AVVENTO DEL FASCISMO


Per i ritardi della sua evoluzione politica e gli squilibri della sua economia,

l'Italia fu particolarmente esposta agli effetti della crisi che seguì la Grande Guerra. Tutti i settori della società erano in fermento: la classe operaia, infiammata dagli echi di quanto stava accadendo in Russia, chiedeva miglioramenti economici, reclamava maggior potere in fabbrica e manifestava tendenze rivoluzionarie; i contadini tornavano dal fronte con una maggior consapevolezza dei loro diritti, insofferenti dei vecchi squilibri sociali; i ceti medi tendevano a organizzarsi e a mobilitarsi più che in passato per difendere i loro interessi e i loro ideali patriottici. La classe dirigente liberale non si mostrò in grado di dominare i fenomeni di mobilitazione di massa e finì col perdere l'egemonia indiscussa di cui aveva goduto fino ad allora. Risultarono invece favorite quelle forze, socialiste e cattoliche, che si consideravano estranee alla tradizione dello stato liberale.

Il fascismo fu caratterizzato dal monopolio della rappresentanza da parte di un unico partito; da un'ideologia fondata sul culto del capo (il "duce"); dal disprezzo per i valori della civiltà liberale, che si concretizzò nella soppressione delle libertà politiche e civili (di pensiero, di stampa, di associazione ecc.); dall'ideale della collaborazione tra le classi, opposto alla teoria socialista e comunista della lotta di classe; dal dirigismo statale; da un apparato di propaganda che mirò a mobilitare le masse e a inquadrarle in organizzazioni di socializzazione politica funzionali al regime; dall'integrazione nel partito o nello stato dell'insieme dei rapporti economici, sociali e culturali.

Agli inizi, il fascismo fu un movimento privo di una vera e propria ideologia. La stessa parabola di Benito Mussolini, prima socialista, rivoluzionario, anticlericale, antimilitarista, poi interventista e da ultimo profondamente antisocialista, non ci dice molto dei fondamenti teorici e dottrinali del fascismo. In esso confluirono piuttosto confusamente elementi eterogenei presi a prestito da varie ideologie: vi si ritrova infatti un sentimento spiccatamente nazionalistico, repubblicano e rivoluzionario, la denuncia del capitalismo, l'esaltazione della comunità dei produttori come base dell'organizzazione sociale, un'estetica individualista e virile tinta di romanticismo, i miti della violenza e del coraggio propri della cultura irrazionalistica, la delusione per il mancato riconoscimento dell'Italia come potenza internazionale alla fine della prima guerra mondiale (il mito della "vittoria mutilata") ecc. Fondamentalmente anti-intellettuale, il fascismo utilizzò quanto tornava utile al suo progetto politico. Fu solo con il Manifesto degli intellettuali del fascismo (1925) di Giovanni Gentile che venne compiuta una prima sistematizzazione dell'ideologia e della dottrina fascista.

Marcia su Roma, 28 ottobre 1922

 
Uno dei più conosciuti strumenti di propaganda del regime fascista fu la rivista  La Difesa della Razza, nucleo propulsivo del razzismo biologico, la forma più radicale dell'ideologia razziale fascista e la più prossima alle tesi naziste. Il periodico, che fin dalla copertina si presentava come rivista di "scienza, documentazione, polemica", si caratterizzava per l'uso di una grafica aggressiva e per l'impiego di titoli sensazionalistici, fotografie, vignette, fotomontaggi, spesso sottolineati da didascalie offensive e volgari nei confronti di gruppi considerati nemici o inferiori.

La rivista si occupava principalmente della diffusione dell'antisemitismo, del razzismo, ma trattava anche argomenti riguardanti l'eugenetica, le tematiche coloniali, i problemi derivanti dal "meticciato", la politica dell'asse Roma-Berlino. Era stata voluta da Mussolini e da un comitato nel quale avevano trovato posto cinque esponenti del Manifesto degli scienziati razzisti.

La Difesa della Razza iniziò le pubblicazioni nel 1938 e le chiuse nel 1943, alla vigilia della caduta del regime, per complessivi 118 numeri. Numerosi intellettuali scrissero sulle sue pagine. Gli articoli di argomento psicologico, poco frequenti, furono costituiti da interventi distruttivi verso la teoria di Freud, accusata di essere un prodotto del "deteriore spirito giudaico". La rivista continuò a godere di alta considerazione presso il regime infatti venne diffusa nelle scuole di ogni ordine e grado. Proprio a causa della sua diffusione, La Difesa della Razza diviene lo strumento per uno studio di una ricerca psico-sociale, infatti la chiarezza delle immagini dei gruppi, amici e nemici, consente di approfondire le modalità della propaganda fascista, risponde ai criteri di popolarità e disponibilità.

Un sabato fascista, parata di Balilla

 
Che tipo di messaggi fu veicolato da questo giornale? Quali sono le immagini dei gruppi sociali divulgate dal regime? Gli ariani sono descritti come un popolo guerriero, "giustamente crudele", la "razza" italiana è "multiforme e variegata"e ne viene esaltato proprio il suo carattere eterogeneo. Emerge anche l'immagine tradizional e che vuole gli italiani artisti, passionali, umani, pervasi di "spirito romano". Questo concetto esprime la volontà di costruire una distinzione tra la positività italiana e i popoli nordici.


Un'altra analisi è "sfruttati dagli ebrei"; essa condensa il tentativo di aumentare la minaccia rappresentata dal gruppo ebraico. La rappresentazione degli ebrei è quella di un gruppo insidioso, che tenta di infiltrarsi nei sistemi politici ed economici col fine di distruggerli. Gli ebrei sono finanziariamente potenti a causa di traffici e corruzioni; sono descritti come individui mediocri incapaci di combattere e di creare una civiltà propria. La razza ebraica è una razza frammentaria; sul piano morale, gli ebrei sono accusati di praticare il concubinato, l'incesto, l'adulterio riducendo ogni cosa alla sfera sessuale. Riguardo l'antisemitismo religioso, questo dipinge gli ebrei come responsabili della crocifissione di Cristo.



HITLER AL POTERE


Gioventù Hitleriana

 
L'ascesa del movimento nazionalsocialista trasse forte impulso dallo scontento diffuso fra i tedeschi alla fine della prima guerra mondiale. Ritenuta la principale responsabile del conflitto, la Germania dovette infatti accettare le pesantissime condizioni del trattato di Versailles, a causa delle quali entrò in un periodo di depressione economica, segnato da un'inarrestabile inflazione e da una vasta disoccupazione.


Finanziata dagli ambienti militari, la formazione politica guidata da Adolf Hitler nacque nel 1920 in un paese prostrato dalla guerra e attraversato da violenti conflitti politici e sociali. Parte dei militanti furono organizzati in una specie di braccio armato, le SA ("sezioni d'assalto"), organizzato da Ernst Röhm; le SA avevano il compito di intimidire con la violenza gli avversari politici e i sindacalisti. Hitler formulò un programma d'azione antidemocratico, imperniato sul nazionalismo e sull'antisemitismo, e nel 1923 dotò il partito di un efficace strumento di propaganda, il quotidiano " Völkischer Beobachter" (L'osservatore nazionale), e di un simbolo ufficiale, una croce uncinata nera, inscritta in un cerchio bianco su campo rosso: la svastica. Nello stesso anno intensificò la propaganda e le azioni dimostrative contro il Partito comunista tedesco, tentando infine un colpo di stato per rovesciare il governo.

Il tentativo fallì e Hitler fu condannato a cinque anni di carcere. Durante la detenzione, che in realtà durò meno di un anno, scrisse la prima parte di Mein Kampf (La mia battaglia), l'opera in cui riassunse i capisaldi dell'ideologia nazista, tracciando il suo progetto di conquista dell'Europa. Le fonti intellettuali di Hitler erano alquanto eterogenee e il nazionalsocialismo si presentava così più come un conglomerato di idee dalle matrici più disparate che come un'ideologia organizzata e strutturata. In Mein Kampf  sono chiaramente delineati i tratti e gli obbiettivi del regime nazista: la dottrina del Lebensraum (lo "spazio vitale" che i tedeschi dovevano conquistare a est), l'antisemitismo radicale che teorizzava la distruzione della "razza" ebraica, il mito della superiorità "ariana", il Führerprinzip (il principio dell'uomo guida, del duce), l'antiparlamentarismo. Entro il 1940 furono vendute sei milioni di copie del libro, supremo strumento di propaganda del nazismo sia in patria che nei territori occupati all'inizio della seconda guerra mondiale. La teorizzazione offerta dal trattato ben si inseriva nel clima causato dalla disfatta della guerra: Hitler propose infatti un piano di ampliamento del territorio nazionale, giustificandolo con la necessità di allargare il Lebensraum per il popolo tedesco. Le altre nazioni dovevano sottomettersi alla razza ariana, in virtù della sua conclamata superiorità, destinata com'era a regnare sul mondo intero.

Monaco, 1937, Mussolini e Hitler

 
Nemici degli ariani erano in primo luogo gli ebrei, responsabili del disastro economico e della diffusione delle ideologie marxiste e liberali.

Una volta rilasciato, Hitler riorganizzò il partito, creò il corpo armato delle SS (Schutz-Staffeln, "squadre di difesa"), diretto da Heinrich Himmler, e l'ufficio di propaganda, che fu affidato a Joseph Goebbels. Nel 1929, l'anno della grande crisi seguita al crollo di Wall Street, buona parte dei grandi imprenditori tedeschi cominciarono a guardare con favore a Hitler e al suo programma e ingenti somme di denaro presero ad affluire nelle casse del partito nazista. Appoggiato anche dalle classi medie, dai piccoli proprietari e dai disoccupati colpiti dalla grande depressione economica, il partito nazista conquistò la maggioranza relativa nelle elezioni del 1932.

Un anno dopo Hitler ottenne il cancellierato e, sfruttando con abilità l'episodio dell'incendio del Reichstag, fece in modo che il presidente della Repubblica decretasse lo stato di emergenza, affidandogli poteri straordinari. Alle successive elezioni politiche il Partito nazionalsocialista ottenne una schiacciante vittoria; a Hitler furono quindi assicurati i pieni poteri, che egli usò per assorbire le competenze del Parlamento ed eliminare con la violenza l'opposizione.

Soppressi gli avversari politici e i diritti costituzionali e civili, il regime affrontò la crisi occupazionale, pianificando una ristrutturazione industriale e agricola dell'intero paese, eludendo le restrizioni del trattato di Versailles, abolendo le cooperative e ponendo le organizzazioni sindacali sotto il controllo dello stato. Grazie al "nuovo ordine" la Germania hitleriana uscì dalla crisi: le sorti dell'alta finanza e della grande industria nazionale furono risollevate e gradualmente fu assorbita la disoccupazione; ma questo fu dovuto anche al lavoro creato per la preparazione di una possente macchina da guerra, mentre veniva inaugurata una politica estera estremamente aggressiva e brutale. Fu rimilitarizzata la Renania, si formò l'Asse Roma-Berlino (1936) e l'Austria venne annessa con uno spregiudicato colpo di mano (1938; vedi Anschluss). Infine, l'invasione della Polonia (1° settembre 1939) fu la scintilla che fece scoppiare la seconda guerra mondiale.

LO STALINISMO e LA "GRANDE PURGA"

Stalin, 4 dicembre 1941

 


Nato in una famiglia di umili condzioni economiche, Stalin si distinse sin da giovane per i suoi meriti scolastici e per la lettura di alcuni testi proibiti (come Il Capitale di Karl Marx), che lo portarono ad abbracciare le dottrine marxiste. Salito al potere dopo la morte di Lenin, (1924-1953), la sua storia personale si identificò per oltre trent'anni con quella dell'URSS. Con il suo peso politico e militare, fece dell'Unione Sovietica la seconda potenza mondiale. All'interno del partito, il principale oppositore di Stalin era Lev Trotzkij che propugnava la teoria della "rivoluzione permanente". Nel 1927, forte dell'appoggio di Zinov'ev e Kamenev, Stalin riuscì a isolare Trotzkij, ma poco dopo fece un brusco voltafaccia e si schierò contro i suoi ex alleati; Trotzkij, Zinov'ev e Kamenev costituirono la cosiddetta "ala di sinistra". Con un'abile propaganda, illustrando la propria interpretazione dei principi di Lenin, Stalin riuscì a far prevalere le sue posizioni e a sconfiggere i rivali. E forse il modo in cui vennero giudicati è proprio l'emblema dell'ondata repressiva ricordata come "Grande Purga" o "Grande Terrore"; l'epurazione di tutti gli oppositori avveniva per mano della polizia segreta mediante assassinii, arresti e deportazioni illegali. Molto spesso si procedeva con il processo, che si basava esclusivamente su false testimonianze e false prove e si estorcevano all'accusato delle confessioni mediante le torture o l'inganno, dopodiché il tutto si concludeva con la condanna a morte.



di George Orwell

If you want a picture of the future,

imagine a boot stamping

on a human face, forever.


Gli occhi sbarrati, fissi, persi nel vuoto mentre una mano lavora e l'altra prende appunti; un'interminabile sequenza di movimenti meccanici, saluti meccanici e sorrisi meccanici. Rispetto, infinito rispetto per ciò che non si conosce e paura, infinita paura diretta, giostrata dagli occhi che ti scrutano sempre.

Il Grande Fratello vi guarda!

Questo è 1984 di George Orwell -pseudonimo di Eric Arthur Blair. Sarebbe stupido e oltremodo penoso definire quest'opera semplicemente come un romanzo; si tratta invece di un lucido documento di veggenza nel quale la fantascienza non esiste - e guai a chi osa definire tutto questo fantascienza- dove le paure, le angosce e le certezze si mischiano bruciando ogni singola traccia di umanità. Nessun eroe, nessun attore principale, solo un timido impiegatuccio di nome Winston Smith, il cui impiego consiste nel falsificare la verità rendendo vero ciò che è meglio per il Partito, facendo sì che tutti dimentichino quello che è stato. Il Partito, il Partito controlla ogni cosa. Dalla storia al sesso. Non c'è memoria alcuna. Gli oppositori politici vengono processati secondo il metodo stalinista -autoaccusa pubblica, condanna a morte e successiva cancellazione dell'esistenza. Non c'è amore, se non per il Partito. La parola "grazie" ha senso solo se riferita al Partito. Questa è Oceania, uno dei tre continenti, insieme ad Eurasia ed Estasia, nei quali è diviso il globo terrestre. La società si suddivide in tre classi: il Partito Interno- grado maggiore, unico e solo; Partito Esterno, impiegati sudati e quasi ciechi; prolet, plebaglia comune. I tre stati sono in perenne guerra fra loro, alimentando così odio e aggressività nella popolazione, che si sfoga e si lascia andare in brutali manifestazioni d'ira collettiva nei Due Minuti dell'Odio. Winston vive tranquillamente, lavora, sorride ai vicini e finge di apprezzare la Lega Giovanile Antisesso, ma dentro quel corpo da quarantacinquenne, all'improvviso qualcosa si sveglia. Inizia a tenere un diario nel quale confluiscono tutti i suoi pensieri. Conosce una ragazza, Julia, con la quale intraprende una relazione. Il tempo passa ed entrambi vengono scoperti. Catturati e torturati, si tradiscono perché messi dinanzi alle proprie paure. Il Partito vince sempre e fondamentalmente, l'uomo non è mai esistito.

Decidiamo cosa differisca, all'interno del nostro nucleo sociale dal -per semplicità- romanzo orwelliano. Viene da ridere o è solo un brivido di terrore? Accendi la televisione. Sei "libero" di vedere ciò che loro hanno scelto per te. Vestiti. Sei libero di acquistare i modelli che in fabbrica -stampa su stampa, confezione su confezione- hanno giudicato buoni per tutti noi. Orwell ci ha donato il Verbo, sessant'anni prima che potessimo accorgercene, e ci arrabbiamo, ci contorciamo per il disgusto, quando sentiamo accostare il Grande Fratello ad una trasmissione televisiva. Stupidi prolet.
ERICH FROMM e FUGA DALLA LIBERTÀ


Erich Fromm

 
Divisa e lacerata dalla radicalizzazione ideologica e politica, la cultura europea subì in modo diretto e drammatico le conseguenze dell'avvento dei regimi totalitari. Mentre lo stalinismo eliminò fisicamente molti intellettuali, il regime nazista costrinse all'esilio numerosi letterati, scienziati, filosofi che si rifugiarono in Gran Bretagna, Francia, Svizzera, ma soprattutto negli Stati Uniti. Tra i tanti nomi illustri non si può sicuramente fare a meno di ricordare Freud, Einstein, Bertolt Brecht e Thomas Mann.

Anche Erich Fromm, nato a Francoforte sul Meno nel 1900 e laureatosi in filosofia ad Heidelberg, lasciò la Germania nel '34, per opposizione al nazismo, per stabilirsi definitivamente negli Stati Uniti. Fromm faceva parte della Scuola di Francoforte, un gruppo di studiosi che si prefiggeva il compito di svolgere ricerche collettive ed interdisciplinari, tenendo presenti i metodi della sociologia, della ricerca storica, dell'economia politica e del marxismo.


In uno dei suoi saggi più importanti, Fuga dalla libertà, egli analizza i regimi totalitari del fascismo e del nazismo da un punto di vista prettamente psicologico.

La prima forma di libertà si è sviluppata con la consapevolezza dell'uomo di essere un'entità separata dalla natura circostante e dagli altri uomini, questo "distacco" è definito da Fromm come il fenomeno dell'individuazione. Ma l'atto che simboleggia l'inizio della libertà è il cogliere e assaporare il frutto edenico, disobbedendo al comando dell'autorità trascendente, proprio da questo processo scaturiscono la libertà e la ragione. L'analisi sostiene come tesi fondante che l'uomo, dopo secoli di emancipazione, stia perdendo la propria capacità di agire come individuo libero, quando per libertà intendiamo una libertà positiva che sia definita e posta in essere dall'interno, una libertà in sé rivolta verso di sé che non debba scaturire da eventi alieni alla persona, una libertà che sia un diritto inalienabile per ogni uomo e che non possa essere subordinato in nessun caso. E l'uomo è quasi totalmente inconsapevole di essere in uno stato di rinuncia della libertà. Ma perché ci si trova in una situazione del genere? Prima di tutto, nessun uomo ha potuto o potrà sopravvivere senza la presenza e l'ausilio di altre menti ed altri corpi e questa caratteristica è osservabile in tutta la sua evidenza nel bambino (questo è uno dei tanti riferimenti di Fromm al maestro Freud, anche se su altri temi se ne distaccherà), quindi l'uomo cerca di risolvere la solitudine mediante meccanismi che inevitabilmente lo discostano dalla libertà. Le vie di fuga dalla libertà presentate dal capitalismo sono principalmente tre: l'autoritarismo (e la sottomissione che ne deriva), la distruttività e il conformismo ossessivo.

Nella prima categoria vi è innanzitutto la tendenza a sottomettersi ad un capo, ad un'autorità gerarchicamente più importante. Ed è proprio qui che risiede un aspetto innovativo di Fromm: egli collega questi atteggiamenti ad alcune forme di perversione sessuale; intrinseci alla sottomissione e al dominio sarebbero infatti il masochismo ed il sadismo (e questo è un altro punto di collegamento con Freud, il primo a studiare sistematicamente tali manifestazioni della natura umana). L'impotenza (intesa nell'accezione generale) spinge l'individuo a volersi sottomettere  provandone piacere sessuale o, nella forma opposta, a recare dolore ad altri. Anche la brama di potere trae quindi origine dall'incapacità di realizzare i propri desideri partendo dalla libertà e dall'integrità dell'io. "Il carattere autoritario ama le condizioni che limitano la libertà umana, ama venir sottomesso al destino". Il destino può essere la legge naturale, la sorte dell'uomo, la volontà del Signore, il dovere; l'uomo non vi si può ribellare. "Il tratto comune a tutto il pensiero autoritario è la convinzione che la vita sia dominata da forze estranee all'uomo stesso, al suo interesse, ai suoi desideri. La sola felicità risiede nella sottomissione a queste forze".

La seconda possibilità di fuga dalla libertà è rappresentata dalla distruttività. L'impotenza rispetto al mondo esterno spinge l'uomo a distruggerlo e questo è ovviamente il più disperato tentativo di salvarsi dal venirne schiacciato. Gli impulsi distruttivi trovano sempre il modo di estrinsecarsi e quindi se fallisce il tentativo di esercitarli contro gli altri, questi impulsi distruttivi si volgeranno orientandosi inevitabilmente verso la propria persona. La distruttività varia in misura sostanziale tra i vari individui: nella classe media inferiore europea il peso del fenomeno era sicuramente maggiore di quanto si riscontri nella classe operaia e nelle classi superiori, da qui infatti germoglia il seme delle dittature nazi-fasciste Una delle cause più evidenti dell'istinto volto a distruggere è "il soffocamento della spontaneità [.] Una delle principali cause della distruttività è la vita non vissuta"..

Ma il più diffuso meccanismo di fuga è il conformismo da automi. Fromm prende in esame una bambina di cinque anni: con genitori che permettono poche critiche si estinguerà quell'intuitività e quella ricerca di giustizia e di verità della piccola poiché le sembrerà inutile e pericoloso esercitare tali capacità e sarà quindi pronta ad accettare idee estranee come proprie, vedendo che questo arreca felicità e stabilità familiare; il risultato finale di tale processo è la sostituzione dell'io autentico con uno psuedoio. Contro il panico derivato dalla perdita dell'io originario, l'individuo cercherà continuamente l'approvazione ed il riconoscimento da parte degli altri.

In seguito ad un processo del genere, è quasi sempre impossibile concludere il percorso che conduce alla felicità in quanto non si è sicuri dell'obbiettivo da perseguire. L'uomo moderno vuole quel che ci si aspetta che voglia. C'è comunque una via d'uscita: "uno stato di libertà positiva in cui l'individuo esiste come indipendente e tuttavia non è isolato ma unito al mondo, agli altri uomini e alla natura"; l'uomo vi può arrivare conoscendo e soprattutto essendo se stesso. "La libertà positiva consiste nell'attività spontanea della personalità totale". L'amore (se non si verifica la perdita dell'individualità) e il lavoro (se inteso come creazione) sono due realizzazioni della libertà positiva.

Da materialista Fromm precisa che tale libertà trova il proprio presupposto nell'aspetto economico, nella struttura, in accordo con Marx. Ma aggiunge che il capitalismo soffoca la possibilità di partecipare con la propria creatività, elemento essenziale per realizzare la libertà positiva. Non essendo un economista, Fromm rimane vago ma si scorge un confuso riferimento ad un modello che presenta caratteristiche comuni con quello socialista (anche se premette che il nome non ha importanza e si discosta dall'esempio russo) dove ci sia un controllo dell'individuo sui meccanismi economici complessi.

Oltre al carattere individuale descritto, Fromm sottolinea il carattere di necessità intrinseco al carattere sociale (caratteristiche comuni ai membri di un gruppo) ai fini della libertà positiva proprio perché lì risiede una fondamentale risorsa. La funzione soggettiva del carattere è di agire soddisfacendo sia i bisogni materiali che quelli di natura psicologica. Ma "Il carattere sociale interiorizza le necessità esterne e così imbriglia l'energia umana a vantaggio delle mete di un determinato sistema economico e sociale". Si ha la costruzione di un'autorità interna- la coscienza ("l'aguzzino che l'uomo mette dentro se stesso") e il dovere ("intensamente colorato di ostilità contro l'io")-che esercita un controllo ancora più capillare del primo. La libertà indica la propria presenza attraverso l'odio cosciente o meno da cui la soppressione è sempre accompagnata.

Proprio attraverso il carattere sociale, pur mantenendo limpido quello di natura individuale, si può aspirare alla libertà positiva, unica garante della possibilità di una democrazia autentica.

LA COSCIENZA DI ZENO E LA PSICOANALISI


proprio in questi tenenbrosi anni insieme, a paura, censura e soppressione, si diffusero anche nuovi studi che avrebbero poi influenzato tutto lo sviluppo culturale e di conseguenza sociale del '900. E ci si dovrebbe quasi stupire che menti che vengono ormai regolarmente studiate nei corsi di filosofia, psicologia, medicina ed anche fisica furono persone costrette a svolgere i propri studi quasi in silenzio, in segreto, costrette poi ad una vita da esuli. Che cosa possiamo dire di Einstein e delle sue teorie monumentali che sembrano quasi non essere state concepite da una mente umana?

Naturalmente non si ha la possibilità di rendere giusta memoria a tutti i geni, in questo breve excursus, ed è per questo che si farà qualche accenno esclusivamente agli studi di Freud, attraverso l'opera di un grande scrittore italiano, a suo tempo sottovalutato, Italo Svevo.

I metodi di Freud apparivano a quell'epoca medicina alternativa e man mano erano stati banditi da tutti i regimi totalitari perché Loro, i grandi capi, non potevano accettare quello che Freud andava affermando.

Per la fama letteraria di Italo Svevo- pseudonimo di Ettore Schmidt- furono di basilare importanza due incontri, quello con James Joyce e, ovviamente, quello con la psicoanalisi. Il primo ebbe luogo nel 1905 e si sarebbe rivelato molto proficuo per la fortuna letteraria di Svevo: oltre ad incoraggiarlo a scrivere, lo scrittore irlandese contribuì a lanciarlo divulgando la sua opera, facendo sì che in Italia critica e pubblico si accorgessero di un romanziere di importanza eccezionale. L'incontro con la psicoanalisi avvenne intorno al 1911, quando Svevo entrò in contatto con le teorie di Freud in occasione di una cura psicoanalitica del cognato presso il medico viennese: l'indagine psicoanalitica freudiana costituì lo sfondo del suo terzo romanzo, La coscienza di Zeno.

La coscienza di Zeno, pubblicato nel 1923, si presenta come il diario immaginario di Zeno Cosini, un uomo maturo che, dopo vani tentativi per liberarsi del vizio del fumo, si rivolge come ultima risorsa a uno psicoanalista, il quale lo invita a mettere per iscritto gli episodi più importanti della sua vita. Il testo è preceduto da una prefazione dello psicoanalista - il sedicente Dottor S - che tenta di giustificare il fallimento del trattamento terapeutico di Zeno e sostiene l'inattendibilità del diario. Segue un preambolo nel quale Zeno, raccontando gli inizi della sua analisi, denuncia ironicamente i limiti della terapia psicoanalitica. Si succedono quindi grandi capitoli tematici dove il protagonista rievoca alcuni avvenimenti della sua vita: i vani tentativi di smettere di fumare culminati con il volontario ricovero in una casa di cura e la successiva fuga, la morte del padre, il maldestro corteggiamento delle sorelle Malfenti e il matrimonio con quella che gli piaceva meno, la relazione extraconiugale con una ragazza del popolo, il fallimento di un'iniziativa commerciale e il suicidio dell'amico-rivale Guido. Nell'ultimo capitolo, intitolato "Psico-analisi" e datato 1915-1916, Zeno rivela di avere interrotto l'analisi e di essere guarito grazie all'avvento della prima guerra mondiale.

Zeno Cosini, personaggio grigio, abulico e nevrotico, incarna la figura dell'"inetto" incapace di lottare e di partecipare alla vita professionale, sociale e affettiva. È il prototipo dell'anti-eroe, che tanto seguito avrà nella letteratura novecentesca e che esprime il disagio esistenziale dell'uomo contemporaneo e l'impossibilità di combattere per l'affermazione di sé. L'incontro di Svevo con la psicoanalisi svolse un ruolo fondamentale nella concezione e nella composizione della Coscienza di Zeno non solo perché la trama del romanzo è la storia di un'analisi, ma soprattutto perché senza la conoscenza della teoria freudiana lo scrittore triestino non avrebbe potuto introdurre nel suo libro quelle modificazioni della tecnica narrativa che hanno condotto al superamento del naturalismo e alla nascita del romanzo moderno.

IL NEONAZISMO e IL REVISIONISMO STORICO

È ormai molto diffusa una sorta di rivalutazione della politica e degli ideali hitleriani, identificata con il termine "neonazismo". Molti gruppi radicali tuttora continuano a portare avanti tesi razziste secondo le quali la razza ariani sarebbe al di sopra di tutte le altre e a tutto ciò si affianca anche la negazione storica dell'Olocausto, tutti i neonazisti asseriscono infatti che non c'è nessuna prova inconfutabile che ci si sia serviti realmente dei campi di concentramento per il genocidio degli ebrei.

Nell'Europa occidentale tutti i partiti di estrema destra rifiutano l'etichetta di neonazisti, ma tuttavia movimenti, gruppi o perlomeno nostalgici neonazisti sono diffusi, come dimostra il grande successo riscosso in Gran Bretagna da un libro di Richard Harwood dal titolo Did Six Million Really Die? (Sono davvero morti sei milioni?) che nega la Shoah. In Europa orientale il crollo dei regimi comunisti tra il 1989 e il 1991 ha alimentato la proliferazione di idee e atteggiamenti di estrema destra, ora liberi di esprimersi. Gli ultranazionalisti e i fautori della "pulizia etnica", balzati agli onori delle cronache durante i conflitti che hanno insanguinato la ex Iugoslavia negli anni Novanta, sono stati assimilati ai neonazisti da alcuni commentatori politici; altrettanto vale per alcune organizzazioni extraeuropee che si fondano su ideologie razziste e illiberali.







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