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IL CRISTIANESIMO TRA ORIENTE E OCCIDENTE

religione



IL CRISTIANESIMO TRA ORIENTE E OCCIDENTE

Bisanzio è esistita per circa mille anni: dalla sua fondazione nei secoli V-VI d.C. alla violenta distruzione per opera dei turchi ottomani il 29 maggio 1453. Anche la tradizione cristiana della Russia ha festeggiato nell'88 il suo millennio. Ben diverse però sono state le tradizioni, le forme di spiritualità e le esperienze religiose. Quando i vescovi greci consigliarono al principe Vladimir di introdurre, nella neobattezzata Russia, il modello romano-bizantino delle sanzioni penali, specie per quanto riguardava la pena capitale, il principe non nascose la sua disapprovazione. In effetti, secondo le leggi barbariche delle tribù protorusse (e di altre nazioni allo stesso livello di sviluppo), i crimini dovevano essere puniti o con sanzioni pecuniarie, oppure col "guidrigildo"(1). In tal modo, armi e cavalli -di cui allora si aveva gran bisogno, a causa delle interminabili guerre- risultavano più facilmente reperibili.

L'umanità di Vladimir non la si riscontra neppure in Clodoveo, il re che battezzò i franchi cinquecento anni prima. Nessuno ha mai pensato di canonizzare Clodoveo o altri re del mondo barbarico che avevano accettato il cristianesimo. Vladimir invece venne considerato un santo. Le cronache del tempo lo descrivono come un sovrano giusto, generoso, gioviale. I suoi due figli minori, Boris e Gleb, furono canonizzati nel 1015 per aver compiuto un gesto senza precedenti nella storia del cristianesimo. Alla morte di Vladimir, il fratello maggiore di Boris, Sviatopolk, aveva intenzione di espropriare quest'ultimo di tutti i suoi domini. Boris rifiutò di condurre i suoi uomini contro il fratello, non ritenendo giusto coinvolgerli in una rivalità intrafamiliare. E così, sia lui sia l'altro fratello, Gleb, che condivideva la sua decisione, furono uccisi da Sviatopolk, anche se poi la reazione popolare lo portò a morire in esilio. Boris e Gleb, per la chiesa russa, diventeranno l'immagine ideale dei "sofferenti innocenti", a imitazione del Cristo.



Praticamente nello stesso periodo in cui accadevano questi fatti, Bisanzio, quale massimo centro culturale e commerciale dell'intero mondo cristiano, in perfetta continuità con la tradizione culturale ellenistica, era al vertice del suo splendore. Viceversa, l'ellenismo in occidente, a partire dal VI sec., iniziò a subire un'eclissi che durerà fino a Scoto Eriugena nel IX sec., fino alla traduzione delle opere del Damasceno nel XII sec., fino alle scuole di Chartres, di Laon e di Parigi, sempre nel XII sec., fino alla mistica tedesca del XIV sec. e al Rinascimento italiano. In occidente sarà il pensiero agostiniano (mai ben conosciuto in oriente) a permeare profondamente di sé la cultura, il diritto, la religione. Sino a quando in quest'area dell'Europa non sorgeranno dei centri in grado di competere con Bisanzio, sarà solo nelle sale degli amanuensi benedettini che si cercherà, con molta fatica, di preservare il sapere degli antichi. Benché dunque l'impero d'oriente fosse stato ridotto dalle conquiste arabe dei secoli VII e VIII, il suo potere costituiva ancora il modello più significativo per ogni Stato feudale europeo.

Il successo dell'impero bizantino è dipeso -come vuole la migliore storiografia confessionale- da tre fondamentali fattori:
1) la convinzione di professare la verità (ovvero la fede cristiana ortodossa);
2) la capacità di amministrare gli affari e di gestire le relazioni diplomatiche in un modo altamente civilizzato (quanto in ciò abbia influito la cultura filosofica dell'antichità classica è facile intuirlo);
3) la certezza di rappresentare la successione legale della Roma cristiano-imperiale di Costantino il Grande.

Il primo di questi fattori surclassava i rivali orientali. I poteri asiatici del mondo arabo e cinese erano paragonabili, per livello di urbanizzazione e organizzazione statale, a quello del Bosforo, ma non potevano aspirare a diventare dei modelli da imitare, in quanto non erano cristiani. Anche i rivali occidentali non godevano di molta credibilità. E' vero che la rottura finale fra le chiese orientale e occidentale divenne un fatto di vita ecclesiastica nel 1054 e di coscienza popolare con il XIII sec., soprattutto dopo il sacco di Costantinopoli che i cavalieri della quarta crociata fecero nel 1204; ma i sospetti sulla "ortodossia" della cristianità occidentale erano già stati avanzati nel IX sec., con lo scisma del patriarca Fozio.

Il secondo fattore eliminava completamente i rivali occidentali. L'impero di Carlo Magno, in effetti, non fu che un tentativo mal riuscito di riprodurre il modello romano-bizantino. Il terzo fattore veniva usato per escludere dalla competizione un qualunque altro candidato.

L'interpretazione cristiana della storia ha creato uno speciale legame fra Roma e la cristianità. Agli scrittori bizantini piaceva sottolineare che la nascita di Cristo coincise con il regno dell'imperatore Augusto. Il nome del procuratore Ponzio Pilato si decise d'introdurlo nel Credo, e certo non per fargli un piacere. L'ironia tragica del tema della "passione di Cristo" sta nel fatto ch'essa manifesta un atteggiamento molto serio e rispettoso nei confronti dell'autorità: in primo luogo dell'autorità mondiale della legge romana (cui l'apostolo Paolo, in seguito, si rifarà continuamente) e, in secondo luogo, della stessa autorità sacerdotale ebraica, che condannò il messia. Gli Atti degli apostoli documentano questo rispetto della legge ebraica e romana più che ampiamente. La partecipazione dei soldati e ufficiali romani all'esecuzione del Cristo non venne utilizzata dai cristiani come argomento contro la "missione" di Roma nella storia mondiale. Anche perché, duemila anni fa, dopo quella esecuzione e soprattutto dopo la distruzione di Gerusalemme, i cristiani non chiedevano altro che convivere pacificamente con le leggi e le istituzioni romane.

Quanto ai giudei, essi restavano per i cristiani il popolo scelto da dio per la storia sacra degli uomini. In Giovanni 11,51 Caifa viene addirittura paragonato a un profeta. Per i cristiani di allora, Roma era sotto il dominio del "principe di questo mondo", Satana, ma essa andava salvata e santificata. Pur perseguitati, i cristiani continuavano a credere che la Pax romana avrebbe ritardato la venuta dell'Anticristo. Quando l'imperatore Costantino iniziò a mutare strategia, passando dalle persecuzioni alle strumentalizzazioni, i cristiani erano persuasi di aver vinto una grande battaglia. 919i82j La perfetta sinergia dell'impero romano-bizantino e della chiesa cristiana determinerà la convinzione che tutto quanto non rientrava nei canoni morali e religiosi della teologia cristiana, del diritto romano e della filosofia greca, andava considerato come "barbaro".

Il medioevo fu appunto la realizzazione di questa pretesa ideologica. Naturalmente non mancarono le differenze tra oriente e occidente. Circa un secolo dopo il crollo dell'impero romano (476), gli intellettuali euroccidentali presero a denominare, con malcelato disprezzo, l'area orientale col termine di "impero bizantino" (ancora oggi in occidente si tende a equiparare "bizantino" a cavillosità, pedanteria). Il motivo era forse dovuto al fatto che il trasferimento della capitale sul Bosforo non era stato visto di buon occhio.

In realtà, il titolo di "impero bizantino" era del tutto estraneo agli abitanti dell'area orientale, i quali, per sottolineare la netta separazione dalla pagana epoca precedente, avevano ribattezzato Bisanzio col termine di Costantinopoli o Nuova Roma. I "bizantini" non si autodefinirono mai con questo termine, né con quello di "greci": al massimo con quello di "elleni". Ma in occidente la parola "ellenico" stava per "pagano", contrapposto a "cristiano". Meno che mai i cristiani occidentali accettavano che i bizantini si considerassero dei "romani". Paradossalmente, l'impero bizantino veniva riconosciuto come legittimo erede del millenario impero romano più dai giovani popoli barbarici penetrati in Europa che non dai cattolici di Roma. Quando ad es. Vitige, re degli ostrogoti, s'impegnò contro Giustiniano I nel VI sec. per il controllo dell'Italia, egli ordinò che si coniassero le monete con l'effigie dell'imperatore.

Solo col tempo, spinti in questo anche dalle pretese del papato, i sovrani barbarici cercarono di attribuire a loro stessi la legittima successione. Ciò che, per la prima volta, avvenne nell'800, allorquando Carlo Magno re dei franchi venne incoronato "imperatore romano" dal vescovo di Roma, suscitando le ire di Costantinopoli, che per molto tempo considerò la scelta di questo titolo un arbitrio oltraggioso, per quanto ciò non abbia determinato delle conseguenze sul piano militare. L'area bizantina infatti non ha cercato quasi mai di far valere i suoi diritti al cospetto dell'area occidentale usando la forza delle armi. Ciò naturalmente non significa che nel proprio impero il basileus non usasse la spada contro tutti quei popoli (si pensi ad es. ai bulgari e ai serbi) che rivendicavano autonomia politica e amministrativa. D'altra parte sulla legittimità di questo uso nessun cattolico occidentale sarebbe mai stato, in via di principio, contrario. Dante, nel suo De Monarchia, non mette assolutamente in discussione l'idea che debba esistere un unico Stato centralizzato, a livello universale, e che questo Stato debba coincidere con quello romano (2). I problemi semmai sorgevano a livello pratico-politico, quando gli interessi di dominio delle due Rome venivano a scontrarsi in determinate zone geografiche (si pensi ad es. a quale misera fine ha fatto la cultura bizantina nell'Italia meridionale e nell'esarcato di Ravenna).

L'idea occidentale di poter creare uno Stato cristiano prescindendo dal riferimento all'impero bizantino, che si riteneva l'unico autorizzato a definirsi come tale, troverà un riflesso anche nelle epoche successive. Fino al secolo scorso (si pensi alla Santa Alleanza del 1815) gli Stati europei si sono reputati, di nome e/o di fatto, "cristiani". Nessuno in occidente si è mai posto il problema di come conciliare questa pluralità di Stati con l'idea teologica tradizionale secondo cui deve esistere un unico sacro impero, con un sovrano da tutti riconosciuto. Molti di questi Stati occidentali hanno persino combattuto tra di loro, a volte prendendo a pretesto proprio la religione cristiana (si pensi ad es. alle molte guerre di religione fra cattolici e protestanti). In teoria, qualunque monarchia cristiana poteva autoproclamarsi "impero". La regina Vittoria non accettò forse il titolo di imperatrice che il primo ministro Disraeli le propose? E Napoleone III non si autoproclamò imperatore di Francia (seguendo l'esempio di suo zio) e non diede forse al suo protetto Massimiliano il titolo di imperatore del Messico? E dopo la vittoria della Prussia sulla Francia nel 1871, il re Guglielmo I non si dichiarò forse imperatore di Germania?

Come dunque si può notare, l'esigenza di sacralizzare l'istituzione del potere è stata legata, in occidente, molto più che nell'area bizantina, a una questione di prestigio. Non era in gioco né il riferimento a una tradizione secolare, né la convinzione di affermare una verità ideale. Anzi, l'idea teocratica, a quel tempo, aveva già smesso di essere una realtà politica e la religione stava diventando un affare sempre più privato, individuale, soprattutto nell'area protestante. L'ideologia dell'alleanza fra trono e altare non era la stessa ideologia del sacro romano impero, così come si espresse a Bisanzio e, a un livello mimetico-imitativo, con i franchi e i sassoni.

Durante i primi due-tre secoli della nostra èra, il linguaggio dei cristiani europei era comune: le tradizioni, soprattutto negli aspetti sostanziali della teologia, piuttosto simili. I cattolici dell'orbe si sentivano come il popolo eletto dell'Antico testamento. Gli antagonismi etno-culturali venivano qualificati col termine di "eresia": il donatismo africano, il nestorianesimo est-siriaco e malabarico, il monofisismo armeno, copto-etiopico e ovest-siriaco. La dissidenza poteva tranquillamente non essere compresa nelle sue motivazioni di fondo, che erano le condizioni sociali disagiate degli strati più poveri, appunto perché si credeva e si voleva far credere nell'idea dell'universalismo cristiano, con il quale presto o tardi -si diceva- ogni ingiustizia sarebbe stata superata. E tuttavia, proprio il permanere di queste ingiustizie porterà al divorzio della pratica politica dai principi teorici: tanto all'est quanto all'ovest, tanto nella fede cristiana quanto nella confessione islamica. In Dante troviamo ancora la condanna del particolarismo locale e nazionale in nome dell'universalismo dottrinale (nel VI canto del Paradiso egli colloca in un posto onorifico l'imperatore Giustiniano); ma il suo è un caso isolato e assai anacronistico rispetto ai suoi tempi.

Costantinopoli, almeno sino a quando i turchi non la trasformeranno in Istanbul, rimase una capitale eurasiatica. Se si vuole, esiste solo un luogo in cui l'Europa e l'Asia nel Mediterraneo sono in stretto contatto: l'area del Bosforo, il mar di Marmara e lo stretto dei Dardanelli. Sotto le mura di Troia il mito inaugurò la storia greca e grazie all'esilio di Enea i romani credettero di poter risalire alle loro origini. Poi furono gli europei che attraverso i romani delinearono la loro storia (inclusi i russi, che a partire dal XVI sec., con Ivan il Terribile, si credevano discendenti di Cesare Augusto). Per non parlare del fatto che in taluni racconti bizantini si fanno discendere gli ottomani dagli stessi troiani. Erodoto fu forse il primo a sostenere che la guerra troiana era stata un confronto fra Europa ed Asia. E come Xerxe, re dell'est, giunse in Europa, così Alessandro Magno, re dell'ovest, giunse in Asia.

Dal medioevo in poi un importante concetto trovò espressione lessicale nei linguaggi euroccidentali, anche se non ne trovò in quelli bizantini e della Russia premoderna. Nel latino medievale apparve la parola "christianitas" ("chrétienté" in francese, "christenheit" in tedesco, "cristendom" in inglese, e così via). In russo si usava soltanto il termine "mondo cristiano". Tuttavia, quando queste parole apparvero la situazione non era più quella di un tempo. Esse denotavano semplicemente la totalità delle nazioni cristiane in relazione a cui ognuna di esse, individualmente, non era che una parte in lotta con un'altra. La rivalità politica ed economica delle nazioni cristiane euroccidentali fu all'origine di sanguinose guerre di religione e coloniali. Le frontiere erano determinate dalla competizione e dal reciproco odio. A garanzia della loro più alta unità, la concezione medievale -estremamente formalista e retorica, in questo senso- poneva due figure che solo apparentemente sembravano al disopra delle parti: il papa e l'imperatore. Viceversa l'ortodossia non ha mai conosciuto profonde rotture e lacerazioni come la Riforma e la Controriforma.

Nel russo paleoslavo (o slavonico) è esistito un termine equivalente, sul piano funzionale non logico, a quelli citati sopra: il concetto di "Santa Russia", che non va interpretato secondo criteri etnici, geografici o nazionalistici. "Santa Russia" infatti è una categoria cosmica, che include sia l'Eden del Vecchio Testamento, sia la Palestina dei vangeli. Il suo scopo era quello di dare espressione terrena al concetto teologico della chiesa universale, collocandolo in una prospettiva insieme più prosaica e più epica. Non era una mania di grandezza, ma una manifestazione della spiritualità o dell'ideologia cristiana della Russia antica.

Spiritualità per certi aspetti assai diversa da quella cattolico-occidentale. Il credente russo, generalmente, riteneva blasfemo un contatto troppo intimo con il sacro e preferiva il senso della lontananza, dell'alterità fra uomo e dio. Nessun santo russo avrebbe mai collocato il Cristo in una mangiatoia, come fece Francesco d'Assisi. In alcune sue poesie, per fare un altro esempio, W. Blake espresse il desiderio di ricostruire Gerusalemme nella verde Inghilterra. Addirittura nel corso del medioevo cattolico si cercò di edificare molte chiese sulla base della disposizione dei sacri luoghi di Gerusalemme (vedi ad es. l'abbazia di Santo Stefano a Bologna). Viceversa, quando il patriarca Nikon propose di costruire una Nuova Gerusalemme nella Russia del XVII sec., subito gli si rimproverò di voler profanare la Città Santa. Gli si permise soltanto di ribattezzare il fiume Istra col nome di Giordano. Ma a nessun russo è mai venuto in mente di sostituire il Giordano con i fiumi della sua patria, allo scopo di attualizzare il messaggio di Cristo: al cattolico Francis Thompson sembrò invece del tutto naturale sostituire il lago di Gennesaret con il Tamigi.

Per i teologi russi non era decisiva, come per i cattolici, la sopravvivenza delle strutture ecclesiastiche quando contemporaneamente quelle statali o non esistevano o erano in via di dissoluzione. Come per i bizantini ortodossi, così per i russi chiesa e impero apparivano del tutto inseparabili: l'impero non era altro che il luogo della chiesa. Significativo, in questo senso, il monito rivolto nel 1390 dal patriarca Antonio IV di Costantinopoli al principe di Mosca Vassili I. Quest'ultimo aveva osato proclamare che i russi condividevano con i bizantini una medesima chiesa senza avere però un imperatore, in quanto non riuscivano a riconoscersi in quello bizantino. "E' impossibile per i cristiani avere una chiesa e non avere un impero", rispose il patriarca. Parole profetiche, poiché subito dopo il crollo di Bisanzio saranno proprio i discendenti di quel principe moscovita a porre le basi dell'impero russo-ortodosso. Il titolo di zar, adottato dal principe di Mosca alla fine del XV sec., costituì appunto una versione russificata del titolo di Cesare.

Nel 1461 i turchi occuparono Trebizond, l'ultimo frammento dell'impero romano. Nel 1478 Mosca si annetteva il territorio di Novgorod la Grande e nel 1480 si liberava finalmente del giogo tartaro-mongolo. L'idea di una "terza Roma" (di tipo slavo), in alternativa a Costantinopoli, la si può già rintracciare in una lettera scritta da Filofei di Pskov nel XVI sec.: "due Rome sono cadute, la terza resta e una quarta non ci sarà..."(in quanto si riteneva il numero tre simbolo di perfezione). Formula, questa, che trova un precedente nell'affermazione di un cronista bizantino, il quale, l'indomani del crollo dell'impero occidentale, scrisse: "la vecchia Roma è caduta ma la nuova Roma cresce e si sviluppa". Una versione bulgara del XIV sec. traduce questa frase alterando, significativamente, le parole "nuova Roma" con "città imperiale" (tsargrad). Il riferimento, peraltro ovvio, andava a Tyrnovo, la capitale dell'impero bulgaro. Là dove il cronista bizantino intendeva riferirsi al basileus di Costantinopoli, fu inserito il nome dello zar bulgaro Ioann Alessandro, che fino a quel momento non era stato sconfitto da nessuno. L'esigenza di affermare una legittima eredità spirituale è un motivo ricorrente nella storia sacra cristiana. Ve ne sono abbondanti tracce già nel rapporto neotestamentario fra cristiani ed ebrei. Persino nell'Eneide si ritiene Roma la legittima erede di Troia. Quando Costantino trasferì la capitale nel Bosforo, i primi intellettuali bizantini erano convinti ch'egli volesse fondare una "terza Troia".

Tuttavia i regni slavici meridionali, che pur rivendicavano il diritto ad essere gli unici veri depositari del potere ortodosso nell'area slavica, caddero in mano turca ancor prima che Bisanzio morisse. Viceversa, il principato di Mosca poneva la questione dell'unico vero Stato ortodosso a un livello più internazionale, nella ormai acquisita consapevolezza che la tradizione bizantina era al tramonto e che la forza dello Stato russo non poteva essere paragonata, in quel momento, a quella di nessun altro Stato cristiano, orientale e occidentale.

In effetti, dopo i successi di Ivan III e Ivan IV contro i tartari, dopo la sconfitta dei khanati di Kazan e di Astrakhan, Mosca era diventata un grande centro eurasiatico. Essa si sentiva parte della christianitas europea, ma la consapevolezza d'essere l'unica legittima erede di Costantinopoli la portava a estraniarsi dallo stile di vita e dalla religiosità del cattolicesimo latino. L'enorme estensione del suo territorio non faceva che favorire questo processo. E così, nel XIII sec. Alexander Nevsky rifiutò l'ambasciata inviata dal papa per convincerlo a muovere guerra contro i mongoli; nel XV sec. il principe Vassili II tolse ogni potere al metropolita di Mosca, Isidoro, che aveva parteggiato per l'unione cattolico-ortodossa al Concilio di Firenze del 1439; al tempo della sconfitta di Ivan il Terribile ad opera del re polacco Bathory, la missione del gesuita Antonio Possevino, mandato da Roma in qualità di paciere, fallì miseramente, poiché il papato voleva in cambio della mediazione una crociata antiturca dei russi e soprattutto la subordinazione degli ortodossi ai cattolici. Più tardi vi saranno le grandi rivalità geo-politiche fra Mosca e la Lituania, e Pietroburgo parteciperà alla spartizione della Polonia. I russi erano addirittura convinti che Costantinopoli fosse crollata proprio a causa dei suoi compromessi coi latini; quei compromessi ch'essa aveva cercato per difendersi dai turchi e che non solo non le servirono a nulla (perché i cattolici non mantennero mai le loro promesse), ma favorirono anche la penetrazione dei latini nel suo impero.

Durante il regno di Ivan IV, il territorio russo si espanse verso est notevolmente. Uno Stato euroccidentale non avrebbe certo potuto avere analoghe ambizioni, non foss'altro che per le forti resistenze dei paesi limitrofi, di diritto non meno "cristiani" e di fatto non meno evoluti, che avrebbe incontrato. Tuttavia, per la mentalità dei sovrani russi non si trattava semplicemente di annettersi dei territori molto lontani dall'Europa: il problema era anche quello di creare una sorta di configurazione geo-politica ed eurasiatica del cristianesimo che fosse molto compatta, a livello organizzativo (per il popolo russo) e a livello ideologico (per la fede ortodossa mondiale). Questa preoccupazione politico-religiosa era forse più sviluppata nell'impero russo che in quello bizantino, benché fu proprio questo a riconoscere in quello il suo miglior successore nella fede.

Cosa, questa della successione, che non va affatto considerata come inevitabile. In effetti, stando alle tradizioni culturali, l'occidente europeo era senz'altro molto più vicino a Bisanzio di quanto non lo fosse la Russia. Il sistema monarchico bizantino proveniva direttamente da quello romano, il quale, a sua volta, era frutto del governo personale di quei comandanti vittoriosi sul piano militare: governo inaugurato da Silla e Cesare. Non emergeva certo dall'arcaico ordinamento patriarcale. Il principio dinastico era già andato irrimediabilmente perduto. Neppure aveva molta consistenza l'idea del dovere personale di lealtà verso l'imperatore: sia a Roma che a Bisanzio i sovrani venivano facilmente deposti o uccisi, talvolta anche pubblicamente e con esultanza popolare. Per i bizantini "sacro" era l'impero non l'imperatore o, nel migliore dei casi, era la sua "carica", il suo "ufficio". Ecco perché gli impostori, che furono così caratteristici dell'autocrazia russa, medievale e moderna, non furono mai tipici della storia dell'autocrazia bizantina. Il successo di un leader (comandante militare o politico) non era percepito dai bizantini come il risultato di circostanze favorevoli, ma piuttosto come il riflesso di una qualità intrinseca alla sua persona, di un carisma di tipo "terreno". Cicerone aveva già discusso seriamente di questo argomento. Ad es. una figura come quella del principe russo Kurbsky, che riparò in Lituania, subito dopo aver visto che alcuni nobili di sua conoscenza erano stati giustiziati da Ivan il Terribile, sarebbe stata quasi impensabile a Bisanzio.

Qualunque fosse stata la spiritualità richiesta a livello di reputazione personale, il bizantino pensava che in politica dio stesse dalla parte del vincitore, a meno che, naturalmente, questi non fosse un eretico. Un bizantino non avrebbe mai tollerato che Alessandro I potesse tranquillamente morire sul trono mentre tutti conoscevano la sua complicità nell'omicidio di suo padre Paolo I. Né avrebbe potuto comprendere il motivo per cui Boris e Gleb furono annoverati tra i santi: dopo tutto essi non morirono per la loro fede, ma per cose piuttosto prosaiche. Viceversa, i cristiani russi, oggi come allora, li preferiscono ricordare con particolare orgoglio, convinti come sono che soltanto in una lunga e sofferente sopportazione delle avversità si esprime veramente la santità dell'uomo, a prescindere da qualunque vero atto di fede. Questo culto della sofferenza, percepita come valore universale dominante, era quanto mai estraneo al realismo, all'equilibrio e al senso dell'oggettività del mondo bizantino. Difficilmente insomma i bizantini avrebbero pensato che i russi potevano diventare i loro legittimi successori (nella fede ortodossa). Ma gli schemi degli uomini non sempre soddisfano le esigenze della storia.

(1) Era il prezzo che l'uccisore di un uomo libero doveva versare ai familiari della vittima per evitarne la vendetta: in genere era proporzionale alla condizione sociale della vittima.

(2) Non a caso il legato pontificio card. Bertrando del Poggetto, comandante in capo dell'esercito guelfo nella crociata contro i Visconti, fece bruciare dal boia, nel 1329, questo testo di Dante.

LA CRISTIANIZZAZIONE DELL'EUROPA CENTRALE,
DEI BALCANI E DELLA RUSSIA MEDIEVALE

La formazione degli Stati feudali marciò di pari passo con la necessità di modificare la sovrastruttura ideologica (compresa quindi la religione) sulla base dei nuovi rapporti sociali. Le mancanze di prospettive del paganesimo, già chiaramente evidenti nei paesi euroccidentali e nell'area bizantina, lo erano anche nei paesi centroeuropei e nei Balcani. Benché dei predicatori musulmani avessero cercato di fare dei seguaci in Bulgaria, non si poneva neppure il problema di una scelta fra cristianesimo e islam. Anzi, proprio il cristianesimo poteva permettere alla Bulgaria di assimilare l'esperienza sociale dei paesi vicini più evoluti e, in definitiva, di "rompere", in maniera radicale, con l'universo concettuale geneticamente legato al sistema pre-feudale in declino, del tutto incompatibile con i fondamenti d'uno Stato feudale unificato in fieri.

Inoltre l'introduzione della nuova religione permetteva di stabilire relazioni d'uguaglianza reciprocamente vantaggiose con le potenze cristiane. Da questo punto di vista il problema non era quello di scegliere uno dei due principali centri della cristianità: Roma e Costantinopoli. Peraltro, di vera possibilità di "scelta" si può parlare in riferimento sia alla nobiltà croata e serba che, soprattutto, agli ambienti governativi della Bulgaria e dei principati magiari, non certo in riferimento alla Carinzia, alla Boemia o alla Polonia, che adottarono il cristianesimo latino perché pressate dall'impero carolingio, prima, e dal sacro romano impero, dopo.

La nobiltà serbo-croata e i governanti della Bulgaria sapevano che la sottomissione della chiesa allo Stato era spesso un mezzo di espansione politica di quest'ultimo. Boris I, assiduo rivale di Bisanzio nei Balcani, comprendeva perfettamente che la chiesa ortodossa offriva maggiori garanzie di affidabilità politica rispetto alla chiesa romana, la quale, con il principio del "primato papale", non riconosceva allo Stato una vera e propria sovranità.

Forse solo nel caso dei sovrani russi si può parlare di possibilità di scelta "ideologica" fra le due religioni allora più importanti, la cristiana e l'islamica. Le esitazioni permasero sino alla fine del X sec. L'islam venne rifiutato non tanto perché i suoi usi e costumi parevano troppo estranei al principe Vladimir, quanto perché le posizioni politiche dei paesi musulmani (specie del califfato arabo) erano allora seriamente compromesse a livello internazionale. Non solo, ma si può aggiungere che quelle del cristianesimo erano a quel tempo già consolidate nella Russia kieviana.

Ciò naturalmente non significa che la scelta fra Roma e Costantinopoli fosse per la Russia cosa facile. Olga, la sovrana di questo Stato, pur già battezzata a Bisanzio, mandò nel 959 degli ambasciatori in Germania, chiedendo a Ottone I di inviarle un vescovo e dei preti. La decisione di accordare la preferenza a Bisanzio non dipese dal fallimento di questa missione, anche se essa senza dubbio vi contribuì, ma dal fatto che la Russia aveva già ottime relazioni culturali e commerciali con l'area bizantina e con gli Stati cristiani balcanici, oltre al fatto che i cristiani russi avevano ricevuto il battesimo dalla chiesa orientale (si veda l'opera missionaria di Cirillo e Metodio).

La decisione di adottare il cristianesimo rifletteva gli interessi della classe dominante (in primo luogo i boiardi). Lo dimostra il fatto che scoppiarono non poche rivolte popolari contro l'imposizione di questa nuova religione. In Boemia, ad es., reagirono immediatamente al battesimo del principe Borivoj. Rivolte analoghe scoppiarono in Carinzia e i principi magiari Gèza e suo figlio Stefano I combatterono il loro popolo, appoggiato da alcuni principi pagani, per imporre il cristianesimo.

I sovrani battezzati erano ricorsi all'aiuto di forze esterne (i boemi alla Grande Moravia, i carinzi e i magiari alla Baviera) perché ancora non avevano l'autorità sufficiente per pretendere l'assoluta obbedienza del popolo al potere centrale. L'adozione del cristianesimo veniva proprio a coincidere con il processo di formazione dello Stato feudale. In Bulgaria, addirittura, le insurrezioni anticristiane caratterizzarono non solo le masse popolari ma anche vasti settori della nobiltà, benché il livello di sviluppo di tale paese fosse maggiore degli altri già citati. Questa nobiltà temeva di perdere i suoi privilegi, il ruolo di comando che aveva nello Stato pre-feudale, frammentato in comunità più o meno isolate.

Viceversa, negli Stati feudali già formati, come la Polonia, la Russia antica e la Grande Moravia, la popolazione non oppose quasi alcuna resistenza. Qui semmai si verificarono, molti decenni dopo il battesimo della nazione, alcune sommosse popolari contro il clero cristiano, ritenuto corrotto e servo del potere costituito. Ecco perché, al momento dell'adozione del cristianesimo, i maggiori problemi, per questi paesi, furono di altro genere (ad es. il rischio di essere fagocitati dalla politica estera dei due centri cristiani dominanti a livello europeo). La difesa della sovranità politica, nazionale e territoriale si esprimeva nella necessità di avere una propria chiesa indipendente: ciò che, in effetti, sin dai secoli X e XI riuscirono ad ottenere gli Stati politicamente più forti, come Bulgaria, Polonia e Ungheria.

Per quanto riguarda la Russia antica, occorre dire che l'istituzione subitanea di una metropoli a Kiev permise a questo Stato di disporre di un'organizzazione ecclesiastica relativamente autonoma, in grado di ordinare propri vescovi. Soltanto il metropolita veniva ordinato dal patriarca di Costantinopoli e scelto fra candidati greci soggetti all'imperatore. Ma non per questo Bisanzio riusciva a influenzare in modo decisivo la politica della Rus'.

Tale situazione, che grosso modo rimarrà immutata fino al XIII sec., dipendeva da una serie di fattori. Anzitutto le nomine ai principali posti della gerarchia clericale russa avvenivano secondo la volontà del sovrano; in secondo luogo gli edifici del culto venivano costruiti su richiesta e a spese del potere laico; in terzo luogo la proprietà fondiaria della chiesa allora era appena in gestazione, e quindi la vita materiale del clero era sostanzialmente assicurata da una parte dei redditi del principe; in quarto luogo il potere laico fruiva di ampi diritti di controllo sui redditi del clero; in quinto luogo, la chiesa non riconosceva il diritto di asilo e per molte questioni giuridiche e civili sottostava ai tribunali laici.

Come noto, la dipendenza della chiesa ortodossa nei confronti dello Stato diventerà, in seguito, più forte di quella del clero latino, ma agli inizi questa differenza era meno marcata: sia nei paesi balcanici che nell'Europa centrale la neonata chiesa aveva un gran bisogno della tutela del potere laico. Proprio questo potere, nel mentre costringeva i neofiti a partecipare al culto e a rispettare norme e riti, permetteva alla chiesa di funzionare attivamente. Questo appunto accadeva sia in Russia che in tutti i paesi dell'Europa centrale. Non a caso i forti movimenti popolari dell 'XI sec. in Polonia e Ungheria contro le autorità politiche e il fardello fiscale, erano accompagnati dalle distruzioni delle chiese cristiane e da violenze anticlericali. In Ungheria ci fu addirittura un ritorno in massa al paganesimo, mentre in Bulgaria il movimento bogomila si volse non verso il paganesimo, ma verso una corrente eretica (dualista) dello stesso cristianesimo: la cosiddetta "dottrina pauliciana", che costituiva a Bisanzio la base ideologica degli oppressi contro Chiesa e Stato. D'altro canto, nella stessa Bulgaria, una buona parte della popolazione era rimasta fedele al rito funerario pagano.

In Russia, all'inizio del XII sec., talune istituzioni clericali possedevano già vasti domini fondiari (donati dai principi) e disponevano di varie immunità fiscali e giudiziarie. Le decime venivano tratte dai tributi e dalle tasse giudiziarie e commerciali imposte dai principi. La chiesa stava cominciando ad acquisire proprie fonti di sussistenza, pur continuando a dipendere, specie sul piano gius-politico, dal potere laico. Qui addirittura le misure coercitive, legate all'introduzione del cristianesimo, vennero estese dal principe Vladimir anche all'élite sociale, ai figli della nobiltà, che dovevano studiare la letteratura cristiana.

Una differenza però c'era. Contrariamente ai sovrani di Boemia e di Ungheria, che incaricavano le autorità laiche a far rispettare le norme cristiane, i principi russi si affidavano volentieri alla stessa chiesa. che comminava penitenze d'ogni tipo. La Russia non ha conosciuto dei movimenti anticristiani così potenti come quelli polacchi e ungheresi dell'XI sec.: l'unico di un certo rilievo fu quello dei volkhvy, una sorta di sacerdoti pagani dediti alla magia. La loro rivolta venne repressa da un boiardo di Kiev. Gli studi hanno dimostrato che questa e altre rivolte pagane erano più vicine ai movimenti popolari dell'Europa centrale che non a quelli dei Balcani: a motivo del fatto che gli interessi dei laici e dell'élite ecclesiastica erano più strettamente intrecciati (i primi santi cristiani, patroni del paese e del popolo, appartenevano tutti alla dinastia principesca).

Nelle prime tappe della cristianizzazione, ovvero durante i primi decenni che seguirono il battesimo, l'attività della chiesa si estendeva soprattutto alle città e ai centri amministrativi dello Stato, quasi senza toccare le campagne, ove il rituale funerario, tanto per fare un es., restava rigorosamente pagano (ad eccezione della cremazione, abolita quasi subito dal cristianesimo). Le maggiori difficoltà che il clero doveva affrontare erano dovute all'atteggiamento della nobiltà locale, la quale, pur avendo accettato il battesimo, restava indifferente alla nuova religione e non mutava il proprio stile di vita. Questo comportava forti attriti, specie nei paesi soggetti all'influenza culturale e politica dell'occidente latino. In oriente i rapporti fra clero e nobiltà erano generalmente migliori, ma la dipendenza completa della chiesa dallo Stato non facilitava affatto i mutamenti nel costume di vita della nobiltà.

Nella seconda tappa il cristianesimo cominciò a espandersi anche verso la campagna. Apparvero i primi atti legislativi miranti a stabilire norme di vita cristiana per tutta la nazione. Si generalizzava la pratica di seppellire i morti presso la chiesa. Si formavano le prime organizzazioni parrocchiali. Si consolidavano l'autonomia e il prestigio sociale della chiesa, anche perché principi e feudatari continuavano a offrire vaste porzioni di territorio al clero, il quale praticamente era diventato una sorta di trait d'union fra la società locale e il mondo colto europeo. Rimarchevoli tracce pagane sopravvivevano nei secoli XI e XII presso tribù finnico-ugriche e alcune tribù slave orientali.

Probabilmente in Russia fu la politica flessibile del clero, che cercava di far convivere pacificamente pagani e cristiani, ad evitare quegli aspri conflitti fra chiesa e nobiltà scoppiati in taluni paesi centroeuropei nei secoli IX e X (ad es. nella Polonia dell'XI sec. le autorità facevano ancora rompere i denti a chi rifiutava i digiuni ecclesiastici). E' vero, anche in Russia, come già nella Grande Moravia e più tardi in Boemia, si usava il penitenziale di origine greca, ma non sempre veniva applicato. Dati archeologici hanno confermato che in questo paese diversi centri di culto pagano funzionavano ancora in alcune regioni rurali nei secoli XI e XII (taluni riti funebri scomparvero, nelle regioni più a nord, solo verso la fine del XIII sec.). Questo d'altra parte ha permesso che il cristianesimo in Russia si diffondesse in profondità, cioè in maniera non superficiale (cosa che ad es. non è avvenuta in Polonia, dove il cristianesimo non ha mai raggiunto livelli significativi di spiritualità).

Sarebbe tuttavia assurdo sostenere che la chiesa ortodossa fosse completamente assoggettata allo Stato. Essa in realtà ha sempre cercato di giocare un ruolo autonomo, perseguendo e a volte raggiungendo obiettivi non del tutto coincidenti con quelli della nobiltà laica. E questo mediante il solo insegnamento sui castighi dell'aldilà, oppure con i racconti agiografici e le descrizioni dei miracoli postumi, che incarnavano gli ideali da essa propagandati. I santi erano proclamati difensori dei poveri, dei malati, dei sofferenti (la liberazione miracolosa dei prigionieri dalle catene delle autorità è un motivo ricorrente). I racconti di Boris e Gleb sono solo un piccolo esempio. E' impossibile trovare una così vasta documentazione sull'attività ideologica delle chiese anche nei paesi centroeuropei dei secoli XI e XII.

La chiesa russa imponeva penitenze a quanti malmenavano orfani innocenti o rifiutavano loro un lavoro, condannava le forme estreme della vendita degli schiavi (come ad es. la tratta dei bambini) ed esigeva un esplicito pentimento da parte degli usurai. Inoltre tendeva a presentarsi come protettrice degli strati sociali più poveri, contro le forme più vergognose di oppressione e sfruttamento. Stigmatizzava altresì la ricchezza acquisita con la violenza, il furto, il brigantaggio, la corruzione, la frode: essa diceva che fino a quando non la si fosse restituita e distribuita ai poveri, il perdono dei peccati non poteva essere concesso.

L'attività della chiesa in Russia andava oltre il mero rapporto "prete-fedeli", in quanto ambiva a criticare le ingiustizie compiute dai principi: prassi, questa, senza precedenti nella regione centroeuropea. Il Trattato contro i bogomili del prete Cosmas criticava sì l'oppressione e l'arbitrio, ma avendo di mira i funzionari della chiesa (secolari e regolari), non certo il principe.

Tuttavia la chiesa russa non chiedeva di modificare sostanzialmente i rapporti feudali esistenti. Tanto è vero che predicava al popolo l'obbedienza come norma fondamentale della dottrina cristiana. E di fronte a quanti cercavano di contestare il sistema si comportava, né più e né meno, come il governo in carica. Essa voleva sì la pace sociale, ma a vantaggio soprattutto della classe dominante, cui apparteneva anche il clero medio-alto. Poteva rimproverare il principe sul piano morale, senza subire particolari ritorsioni, ma continuava a frenare sul piano politico le rivendicazioni popolari.

Diversamente dalla chiesa cattolica, la chiesa ortodossa era meno lontana dalle masse popolari, meno legata alla gerarchia ecclesiastica straniera (la chiesa latina, infatti, con l'idea del papato, pretendeva una totale sottomissione a Roma da parte di tutte le chiese cattoliche del mondo). A conferma di ciò, basta osservare il diverso modo di considerare le lingue nazionali. Nei paesi cristiani orientali gli uffici venivano celebrati nella lingua dei fedeli; in quelli cattolici invece era d'obbligo il latino.

Come noto, la scrittura slava venne creata verso la metà del IX sec. proprio per diffondere il cristianesimo. In certi paesi (ad es. la Carinzia) la scrittura slava era del tutto sconosciuta al momento della cristianizzazione. Nell'occidente latino la scrittura in lingua locale veniva ammessa solo per un numero assai ristretto di testi sacri. La scrittura in lingua magiara era praticamente inesistente. In Polonia si conosceva l'alfabeto slavo ma il suo uso era minimo. Nella Grande Moravia e più tardi in Boemia la sua importanza fu grande all'inizio, ma poi divenne oggetto di persecuzioni. Così pure in Croazia. Dopo lo scisma del 1054 la situazione invece di migliorare peggiorò: la chiesa latina cominciò a considerare la scrittura slava come un segno di appartenenza alla confessione ortodossa. Di tutti i paesi cristianizzati a partire dal IX sec. la Bulgaria (e parzialmente i principati serbi) fu la sola in cui questa scrittura si sviluppò liberamente. Naturalmente i contatti culturali erano più intensi fra quei paesi che utilizzavano una medesima scrittura.

L'ORTODOSSIA ORIENTALE NELLA RUSSIA MEDIEVALE

Ancora oggi esistono due punti di vista diametralmente opposti nella storiografia che studia l'influenza bizantina sulla cultura dell'antica Rus'. Alcuni storici considerano la civiltà del Levante come l'unica vera fonte della cultura russa antica e la creazione artistica di quest'ultima come un'espressione provinciale della raffinatezza di Costantinopoli. Altri invece difendono l'autonomia totale della cultura russa, escludendo un'influenza esterna dominante. Sia come sia, è solo di recente che si è cominciato ad apprezzare la civiltà di questa parte dell'oriente come una delle tappe fondamentali della cultura mondiale. Pare che sia stata definitivamente abbandonata dalla storiografia più progressista la teoria della "stagnazione" o dell'"immobilismo" della cultura bizantina, nonché quella del suo preteso ritardo rispetto alla civiltà classica. Così come si è rifiutata l'idea che tale cultura sia stata solo capace di trasmettere in Russia e in tutta l'area ortodossa un clericalismo canonizzato, ovvero un rigido conservatorismo ecclesiale.

All'origine di questi schematici giudizi vi sono naturalmente diversi fattori, non ultimo dei quali l'aprioristica e malcelata propensione degli storici occidentali, che si sono interessati alla più che millenaria lotta fra ortodossi e cattolici, ad assumere le difese di quest'ultimi. Mentre da parte degli studiosi marxisti sovietici il giudizio nei confronti della confessione ortodossa è stato fino a ieri, in genere, piuttosto severo, poiché nella critica del fenomeno religioso l'ex-Urss ha avuto di fronte, prevalentemente, l'esempio della chiesa ortodossa, per cui non si aveva molto interesse a fare i paralleli con altre confessioni. E' solo da poco che ci si è accorti come, rispetto alle correnti rivali: cattolica e protestante, quella ortodossa risulti essere nel complesso molto più tollerante e democratica e come quindi la sua influenza sulle coscienze dei cittadini appaia molto più consistente delle altre due.

Tuttavia, a parte le valutazioni positive che, contestualmente, si possono fare sulla realtà della chiesa ortodossa (bizantina o russa), resta il fatto, in sé molto oggettivo, che sul piano storico tale confessione, non meno delle altre, svolse un ruolo del tutto conforme agli interessi delle classi dominanti. Una breve rievocazione degli avvenimenti legati al "battesimo" della Russia lo confermerà.

Quando la Russia accettò di convertirsi (naturalmente qui si prescinde dalla tradizione leggendaria della chiesa che vede nell'apostolo Andrea il primo evangelizzatore delle terre slave), il processo di unificazione nazionale per buona parte era già stato realizzato. I principi Oleg, Igor, Svjatoslav e Vladimiro con le loro campagne militari avevano eliminato per sempre, nel sec. X, le antiche divisioni tribali, portando alla formazione del territorio dello stato russo antico. I legami economici e culturali esistenti dai tempi più remoti fra alcune tribù di slavi orientali - componente principale della nazionalità russa antica - formarono la base di una comunità di lingua, di economia e di cultura.

I rapporti degli slavi con Bisanzio furono sempre molto tesi, sin dai secoli VI e VII. Dopo la formazione della Rus' gli slavi intrapresero diverse spedizioni militari, sia per porre un argine all'espansione imperialistica di Bisanzio, sia per affermare sulla scena internazionale un nuovo Stato feudale: quello appunto della Rus'. Ma, nonostante le guerre, le relazioni commerciali fra i due Stati non vennero mai meno, anzi, grazie alle guerre si approfondirono (si pensi ad esempio al trattato di pace del 911 col quale la Rus' acquisì il diritto di commerciare con Bisanzio senza pagare dazi). Non dimentichiamo, in questo senso, che la possibilità che Kiev aveva di controllare la via fluviale "dai varjaghi [mercanti normanni] ai greci" per i rapporti commerciali con Bisanzio, risulterà un elemento abbastanza importante allorché si dovrà scegliere fra ortodossia e cattolicesimo.

Fu proprio in seguito a vicende militari, coronate da un matrimonio principesco, che la Rus' e Bisanzio riuscirono a stabilire solide relazioni di pace. Uno degli effetti più importanti dì queste relazioni fu appunto l'adozione da parte di Vladimiro del cristianesimo come religione di stato (verso il 988). Il paganesimo slavo, che rifletteva l'ideologia del sistema comunitario primitivo, non poteva più adempiere, con la comparsa delle classi e dello Stato feudale, la funzione principale della religione: quella di consacrare e consolidare l'ordine esistente.

All'inizio del suo regno Vladimiro aveva tentato di riformare la religione pagana, ma senza successo: questa religione, che affondava le sue radici nel lontano passato dei popoli slavi, continuava a dividere lo Stato in tante regioni e comunità locali; inoltre conteneva in sé talune idee di uguaglianza e di democrazia che mal si addicevano ai nuovi rapporti di produzione basati sul servaggio. Era la classe dominante ad avere bisogno di una nuova religione. Dal popolo infatti la cristianizzazione non venne accettata molto benevolmente, se è vero, come è vero, che essa si protrasse fin verso il XVIII secolo. Questo significa che per molto tempo la vita spirituale dei russi fu basata su un'associazione di elementi pagani e cristiani.

La domanda che a questo punto spesso ci si pone è la seguente: perché il principe Vladimiro scelse la confessione greco-bizantina e non quella cattolico-romana? La pubblicistica religiosa, specie quella ortodossa, è solita rispondere avvalorando le cronache leggendarie di quei tempi, una delle quali narra che il principe inviò emissari in tutti i paesi limitrofi perché studiassero le pratiche islamiche, giudaiche e latine, ma nessuna di queste ottenne il suo consenso. Gli inviati invece andarono in estasi quando visitarono S. Sofia, a Costantinopoli, e videro lo splendore della liturgia bizantina. Questo peraltro spiegherebbe - stando alla suddetta storiografia - il motivo per cui una delle caratteristiche principali dei russi sia il culto della bellezza.

In effetti, osservando i dipinti dell'iconografo Rublev o le cattedrali del Cremlino viene da pensare che le leggende possono avere anche qualche fondamento di verità. Purtroppo però, come spesso succede quando si devono interpretare gli avvenimento storici, la verità è molto più complessa. Già faremmo un torto alla storiografia ortodossa se limitassimo le sue spiegazioni dell'avvenimento in questione alla riproposizione semplicistica delle cronache leggendarie. Essa in realtà si appella anche ad altre cause, senz'altro più attendibili di questa. La prima si riferisce all'opera missionaria e civilizzatrice dei due monaci di Salonicco, Cirillo e Metodio, che negli anni '60 del IX secolo elaborarono un alfabeto adattandolo alle esigenze degli slavi (si pensi che a quell'epoca il papato imponeva ovunque l'uso del latino nella celebrazione dei riti). La seconda causa stava nel fatto che Vladimiro desiderava una chiesa indipendente, sul piano dell'amministrazione del culto e dell'organizzazione interna, e questo con una chiesa che considerava il papa un capo universale non era certo possibile.

Queste due tesi, volendo, si potrebbero ulteriormente approfondire. Qual era, in quel periodo, la situazione politico-religiosa a livello europeo? A oriente la chiesa ortodossa esisteva nell'ambito di un forte Stato centralizzato, quello appunto bizantino; essa non aveva mire universalistiche e tendeva all'unità di chiesa e Stato. Viceversa, il papato della sede romana, non avendo in Italia o nella parte occidentale dell'Europa un potente Stato in grado di ridimensionare le sue pretese, si sentiva sempre più autorizzato a svolgere funzioni di "supplenza", cioè funzioni squisitamente politiche, economiche, culturali e anche militari, a livello nazionale e internazionale. L'unità formale della chiesa cristiana universale era riconosciuta da entrambi i centri religiosi: cattolico-romano e greco-bizantino; di fatto però prevaleva una furibonda lotta (occulta e palese) per la supremazia politico-territoriale. Una lotta che si esprimeva a tutti i livelli: dalle polemiche dogmatiche (si pensi p.es. al Filioque) alle divergenze rituali, per concludersi drammaticamente con le crociate. Roma in sostanza considerava l'occidente come una propria sfera d'influenza e tendeva a occupare anche la parte orientale, dove però si scontrava con l'accanita resistenza degli eserciti bizantini e della chiesa ortodossa.

I principi di Kiev seppero destreggiarsi abilmente fra i due contendenti, cercando di salvaguardare la propria autonomia. Il cristianesimo, sia nella forma latina che nella forma greca, aveva cominciato a espandersi nel paese molto tempo prima della conversione ufficiale. Gli slavi delle rive dell'Elba e quelli occidentali avevano praticamente già accettato il cattolicesimo romano: le lance dei cavalieri teutonici l'avevano imposto di forza, sotto il vessillo del Drang nach Osten ("premere verso est"). Fu proprio l'aggressività dell'occidente cattolico e l'energica attività politico-diplomatica della S. Sede per la cristianizzazione della Rus' a suscitare sospetti e malcontenti nel paese.

Anche la corte di Bisanzio, in verità, pensava di trasformare la Russia cristianizzata in uno Stato vassallo, ma dopo i primi tentativi essa rinunciò definitivamente alle sue velleità. Il giovane Stato russo sarebbe stato disposto a stringere una stabile alleanza con lo Stato del basileus (1), che per struttura sociale e regime politico più gli assomigliava, a condizione di non perdere assolutamente la propria indipendenza. E così sarà.

La cristianizzazione consolidò ideologicamente l'unità dello Stato. La chiesa ortodossa - come d'altra parte quella cattolica - costituiva per le classi al potere un'organizzazione politica ramificata che aveva il compito di consacrare il regime esistente. Insieme al cristianesimo si diffuse nella Rus' la scrittura e con essa la possibilità di appropriarsi della cultura, più avanzata, di Bisanzio, erede della civiltà classica. Si pose fine ai culti pagani di numerose tribù che prevedevano i sacrifici umani. Il principe Vladimiro, con molta accortezza, più che imporre a tutti i costi la nuova religione cercò di creare uno Stato feudale centralizzato. L'influenza bizantina sulle diverse sfere della vita materiale e culturale della Russia antica si manifestò con un'intensità assai diversa. Laddove, ad esempio, le tradizioni della creazione pagana erano solidamente ancorate alla cultura popolare, gli influssi furono assai limitati. E comunque tutto quanto venne creato a Bisanzio e trasferito in Russia, qui subì una profonda modificazione. Questo è oltremodo evidente nelle arti plastiche (specie nell'architettura).

Per quanto riguarda l'introduzione del cristianesimo si può tranquillamente affermare che esso fu sì un potente fattore ideologico di unificazione, ma non tanto da impedire nei secoli XI e XII la disgregazione dello Stato russo in molteplici Stati feudali autonomi volti a ridurre l'importanza di Kiev. Né esso riuscì a contenere le aperte ribellioni che nello stesso periodo cominciarono a scoppiare fra le classi oppresse e i signori feudali (si pensi alle grandi rivolte di Suzdal nel 1024, di Kiev nel 1068, di Beloozero e di Novgorod nel 1071). Il cristianesimo non fu neppure capace di tenere uniti due paesi entrambi "ortodossi": infatti nel 1448 un concilio di vescovi russi, rifiutando l'unione della chiesa bizantina col papato sancita al concilio di Firenze nel 1439, affermò la completa autocefalia della chiesa russa ed elesse un proprio vescovo.





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