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GENTILE - Giovanni Gentile (1875-1944)

pedagogia



GENTILE


Giovanni Gentile (1875-1944) rappresenta il punto di riferimento teorico fondamentale per la comprensione degli sviluppi neoidealistici della pedagogia italiana. Coerentemente con il proprio sistema filosofico di tipo idealistico, che definirà «attualismo», egli è con­vinto della necessità di compiere un riesame della pedagogia di fronte agli evidenti li­miti del positivismo. Per questo occorre rifarsi a Hegel, il quale, pur non avendo scritto direttamente di pedagogia, aveva individuato i concetti fondamentali su cui deve reg­gersi l'opera educativa.

Nell'educazione, insegna Hegel, sono presenti le dimensioni della libertà, dello sviluppo e dell'autocosc 646f57g ienza, che nessun tecnicismo metodologico potrà mai comprendere o guidare. Sulla scia del pensatore tedesco, ma anche oltre esso, Gentile delinea una prospettiva filosofica in cui il reale viene ridotto a puro «atto» del pensiero, ad «autocoscienza» del Soggetto universale, ovvero dello Spirito. Libertà, sviluppo, autocoscienza non sono dunque solo caratteristiche dell'educazione o dell'uomo, ma di tutto il reale, il quale, così come appariva nella Fenomenologia dello Spirito di Hegel, è nella sua interezza un processo educativo. L'unità di tutto il reale nel Soggetto fa sì che tutto ciò che è considerato oggetto, altro da sé, non sia, in realtà, che parte dell'attività del Soggetto stesso.

L'unità del reale nel puro atto del Soggetto permette di risolvere molti problemi che, mantenuti nei termini di una pedagogia di tipo empiristico, sarebbero insuperabili. Nella prospettiva idealistica, infatti, il maestro cessa di essere una figura esterna, la cui comunicazione educativa deve farsi acquisizione interna dell'alunno: un rapporto pedagogicamente profondo diviene immedesimazione del maestro nello scolaro e dello scolaro nel maestro. Si realizza così una sorta di «sintesi a priori» dell'attività educativa.



Allo stesso modo cessa di esistere il problema del rapporto tra autorità e libertà, poiché nell'obbedire al maestro lo scolaro obbedisce alla parte migliore di se stesso, a quell'Io ideale che l'insegnante incarna e che il discepolo cerca di diventare attraverso il rapporto educativo. Il cammino della conoscenza è anche cammino verso la legge, senza la quale la libertà non esiste. In nome del libero svolgimento della personalità, Rousseau aveva teorizzato l'educazione negativa, che però trasformava nell'occulta pro­grammazione di ogni esperienza di Emilio da parte del precettore. Secondo Gentile questo paradosso è risolvibile nel riconoscimento che l'educazione naturale dell'uomo è anche culturale: l'educazione negativa deve essere intesa come libertà da pressioni diseducative esterne, non dalla cultura.

Allo stesso modo Gentile liquida il problema dell'antitesi forma-contenuto. Poiché non vi può essere forma senza contenuto, e viceversa l'educa­zione formale, che punta allo sviluppo dell'intelligenza, non può essere disgiunta dall'educazione contenutistica, incentrata sulla memoria, l'istruzione dovrà essere allo stesso tempo intellettuale e morale, istruzione e educazione: chi sceglie di istruirsi sceglie la disciplina, la tensione della volontà verso un fine che non può che essere etico.

Gentile ritiene che l'educazione di ogni individuo corrisponda allo stesso processo storico con cui lo Spirito sottomette a sé il reale in un cammino di libertà: ecco perché tutte le antitesi e i problemi pedagogici vengono assorbiti all'interno di una risoluzione della pedagogia nella filosofia. Il positivismo tendeva a intrecciare etica (cioè filosofia), psicologia e pedagogia, vedendo quest'ultima come applicazione dei valori filosofici mediata dai dati psicologici. Gentile ritiene, per contro, che i fatti psichici altro non siano che atti del Soggetto, intesi come un "farsi", un divenire che non può essere ingabbiato in alcuna classificazione. Cancellata in questo modo la psi­cologia, la pedagogia può essere agevolmente ridotta a filosofia: «lo spirito, oggetto del­la filosofia, è appunto quella formazione dello spirito, che è oggetto della pedagogia».

È dunque un «pregiudizio pedagogico» quello che afferma la diversità del bambino rispetto all'uomo, un pregiudizio che crea una «pedotecnica» (tendenza negativa a tradurre la spiritualità dell'atto educativo in una serie di precetti minuziosi a carattere tecnico) la quale, in nome di questa diversità, si concretizza in una precettistica didattica, in un «pedagogismo» astratto (tendenza negativa a considerare la pedagogia come un sapere scientifico a sé stante, rescindendo così il suo naturale legame con la filosofia), fonte di ulteriori distinzioni e di complessità inutili e dannose.

Eliminata così la possibilità di una didattica come sapere separato, Gentile può attuarne il recupero all'interno della pedagogia filosofica, come momento interno di presa di coscienza dell'educazione concretamente realizzata. Gentile mantiene però l'unitarietà strutturale della didattica con la filosofia quando riconosce la falsità della pretesa di dividere le facoltà, per cui esisterebbero una didattica per la formazione della volontà, una per la formazione dell'intelligenza e così via, e i diversi ambiti disciplinari: la didattica non può che essere generale, nell'unità dello spirito e del sapere.

Se la didattica è teoria della scuola, l'insegnamento è teoria in atto, «didattica speciale», atto vivo di cui non si possono fissare le fasi o prescrivere il metodo: «il metodo è il maestro». Ciò significa che chi insegna non deve attenersi ad alcuna precettistica didattica, ma affrontare questo compito sulla scorta delle proprie risorse interiori.

L'influsso del pensiero pedagogico di Gentile fu enorme, anche se in parte favorito dal giudizio che il fascismo diede della sua opera e dal peso che ebbe la riforma scola­stica da lui realizzata nel 1923. A questo bisogna aggiungere l'influenza di Gentile sul più grande pedagogista italiano della prima metà del Novecento, Giuseppe Lombardo Radice, che portò i principi della pedagogia idealistica all'interno della pratica scola­stica elementare, seppure con un'interpretazione che andò oltre la teorizzazione gen­tiliana.




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