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Friedrich Nietzsche

filosofia



Nietzsche

Friedrich Nietzsche nacque a Rocken presso Lutzen nel 1844. Inizialmente ammirò molto Schopenhauer e fu amico e sostenitore del musicista Wagner. Più tardi si allontanò dai due: dal primo perché si rifugiò nell'ascetismo, dal secondo perché si avvicinò al cristianesimo. Intanto la salute cagionevole lo costrinse ad abbandonare la conquistata cattedra all'Università di Basilea. Dieci anni dopo, a Torino, ebbe il suo primo eccesso di pazzia, pazzia dalla quale non riemerse più: morì nel 1900. Durante il periodo di pazzia, sua sorella raccolse gli scritti di Friedrich, li manipolò e ne formò un'opera unica: la Volontà di potenza, che mostrò al mondo un inesistente Nietzsche nazista.

Per molto tempo gli scritti di Nietzsche vennero visti come prodotto della malattia o la malattia come risultato del pensiero del filosofo. Oggi, invece, molti vedono nella malattia una possibilità che il filoso 111g62b fo ha avuto per vedere il mondo "dal di fuori", non lasciandosi ingannare dalle illusioni dei "sani". In ogni caso, tutti oggi non giudicano più la filosofia di Nietzsche in base alla sua malattia.

Nietzsche cercò di togliere ogni mito, ogni illusione, ogni cosa che poggia sulle credenze (non solo religiose), che l'uomo ha creato per sopportare il caos della vita ma che gli hanno impedito di vedere la realtà così com'è. Nietzsche stesso era perfettamente cosciente dell'importanza del suo sguardo alla vera realtà (Ecce homo) e al coraggio che ci vuole per farlo (Umano troppo umano). Egli dunque critica e rifiuta l'uomo del passato e delinea un nuovo modello di umanità. Il suo filosofare, però, è aforistico e anti - sistematico, per cui ancora oggi non esiste una interpretazione finale e completa di tutto il pensiero di Nietzsche.



Nella vita non c'è niente di razionale, di buono, di sereno; la vita è caos totale. Schopenhauer l'aveva capito ma si è poi nascosto nell'ascetismo. Per Nietzsche di fronte alla vita ci sono due vie: quella della rinuncia (come fece Schopenhauer; atteggiamento tipico della morale cristiana e della spiritualità comune) e quella della gioiosa accettazione: l'uomo ha una testa terrestre, è inutile cercare l'aldilà (Nietzsche, analizzando il passato, dice che a capire la vita erano stati i greci (lottavano per i bisogni, erano contenti della loro vita.). Spirito dionisiaco (che esprime l'esaltazione creatrice della musica), e spirito apollineo (Apollo dio della bellezza, il cui spirito si esprime nelle forme limpide ed armoniche dell'arte plastica e dell'epopea; nato per sopportare il caos della vita: tant'è vero che allora nacque il mito degli dei dell'Olimpo) erano separati ed opposti. A poco a poco i due spiriti si armonizzarono (e nacque la tragedia greca, rappresentazione del caos dionisiaco attraverso immagini apollinee). All'arrivo di Socrate, che parlò di razionalità, di analisi introspettiva, di contenimento, Apollo vinse Dioniso e i greci persero la spontaneità (si hanno le tragedie di Euripide, che rappresentava le peripezie quotidiane dell'omuncolo).

Nietzsche voleva essere un discepolo di Dioniso (dio che canta, ride e danza). I valori tradizionali (pietà, privazione, umiltà.) vanno quindi negati perché mortificano l'energia vitale e ad essi bisogna sostituire valori che dicano sì alla vita (forza, guerra, potenza.). Egli, comunque, non vede (come D'Annunzio) la vita come una grande orgia: infatti egli critica il pessimismo, perché segno di decadenza, ma anche l'ottimismo, perché segno di superficialità, proponendo un accoglimento della vita nell'insieme dei contrari che la caratterizzano.

Tutto questo portò in polemica Nietzsche con la morale tradizionale e cristiana, che egli definì "morale del risentimento": nell'antichità inizialmente si imposero i "guerrieri" (i cui valori erano forza, salute, fierezza.), allora i sacerdoti (che perseguivano le virtù dello spirito), invidiosi, imposero una tavola dei valori antitetica a quella dei guerrieri, per riportarli nel branco (la "voce della coscienza" non è la "voce di dio nel petto dell'uomo", bensì è "la voce di alcuni uomini nell'uomo"). Simbolo di questa morale furono gli ebrei, che riuscirono a vendicarsi su Roma tramite il cristianesimo, che ha reso l'uomo auto - tormentato, dando vita ad una casta sacerdotale spesso sanguinaria che è esattamente ciò contro cui Gesù aveva combattuto.

La teoria dell'uomo come produttore di valori e significati ebbe come corollario il rifiuto da parte di Nietzsche della filosofia del suo tempo. Accusò il positivismo dicendo che la scienza è nata per gli stessi motivi della morale (dare ordine al caos) e che ogni fatto non è mai oggettivo, bensì può essere interpretato in diversi modi. Accusò, invece, lo storicismo [che studia la realtà nel suo divenire] di aver sottomesso l'uomo alla necessarietà della storia (ora l'uomo si vede impotente verso il presente ed ha perso la fiducia di poter plasmare il futuro). Egli comunque salvò tre punti di vista della storia: la storia monumentale (studiando la storia, l'uomo può notare che la grandezza è stata possibile nel passato, e quindi può essere possibile nel futuro), la storia archeologica (l'uomo si riconosce erede di una tradizione che lo giustifica), la storia critica (quella più amata da Nietzsche: l'uomo condanna il passato, che non è mai perfetto, è può quindi rinnovarsi).

L'apice della critica alla morale tradizionale e del cristianesimo è il tema della "morte di dio" (che si differisce dalla semplice critica perché coinvolge tutte le metafisiche e le religioni del passato). Per dio Nietzsche intendeva il simbolo di ogni prospettiva oltre mondana, che pone il senso dell'essere al di fuori dell'essere, contrapponendo questo mondo ad un altro mondo ritenuto perfetto; e anche la personificazione di tutte le credenze metafisiche e religiose, che lungo l'arco dei secoli hanno "rassicurato" l'uomo (ciò deriva dalla teoria, propria di Schopenhauer, secondo la quale il mondo è caos, ma l'uomo, per rassicurarsi, ha creduto ad un ordine superiore). Dunque, per Nietzsche, dio è "la nostra più lunga menzogna"; non impose nessuna contro - dimostrazione circa la non esistenza di dio con i metodi della filosofia tradizionale: come per Schopenhauer, la prova della sua inesistenza è la realtà stessa.



Uno dei passi più significativi de La gaia scienza è una sorta di mito platonico: Un uomo folle (= il filosofo) in un mercato cerca dio; molti lo deridono (= i filosofi dell'800, superficiali e insensibili: nell'800 anche l'ateismo era ottimista e non si rendeva conto delle conseguenze della morte di dio) e allora egli comincia ad urlare dicendo che tutti noi abbiamo ucciso dio, e si chiede come l'uomo ci sia riuscito (usa diverse iperboli per sottolineare la difficoltà di quest'azione), quindi ora la terra non è più soggiogato dalla catena del sole e non ha più stelle di riferimento (= la morte di dio ci toglie tutti i punti di riferimento: "c'è ancora alto e basso? C'è notte e luce?"; ciò porta smarrimento e vertigine: dove stiamo andando?) chi lo derideva ora lo guarda stupito e allora il folle dice di essere venuto troppo presto (= il filosofo è un profeta), e se ne va in chiesa, per cantare un Requiem aeternam Deo, e quando viene scacciato afferma che le chiese sono solo i sepolcri di dio (= simboli di un passato che non esiste più).

La morte di dio è traumatica, ma è l'atto di nascita del superuomo: solo chi ha il coraggio di rendersi conto di aver ucciso dio e quindi della a - razionalità del mondo è ormai maturo per varcare l'abisso che divide l'uomo dal super - uomo. L'ateismo di Nietzsche è radicale: non accetta nessun dio e nessun suo sostituto idolatrico.

Il venir meno delle certezze metafisiche coincide con il tramonto del platonismo, che per Nietzsche era la metafisica per eccellenza dell'Occidente: Platone fu il primo ad "inventarsi" un mondo perfetto in opposizione al nostro. Questo mondo è una "favola" che si è sviluppata storicamente in sei tappe: 1) Platone e filosofia greca (il mondo vero è attingibile dai saggi); 2) cristianesimo (il mondo vero, momentaneamente inattengibile, è promesso a saggi e virtuosi); 3) Kant (il mondo vero, ritenuto indimostrabile, è ridotto a postulato); 4) "Canto del gallo" del positivismo (il mondo vero viene decisamente prospettato come "inconoscibile"); 5) trionfo degli spiriti liberi su Platone (il mondo vero si rivela un'idea inutile e superflua); 6) tempo di Zarathustra (con l'eliminazione del mondo "vero" dell'aldilà, si ha pure l'eliminazione di quello "apparente" dell'aldiqua, ovvero la definitiva sconfitta del dualismo tra il nostro mondo negativo e un altro).

Legato alla morte di dio è il tema del nichilismo [da nihil: nulla], che Nietzsche a volte indica come sentimento di fuga che ognuno di noi ha per il mondo (nichilismo passivo, "segno di debolezza" e di "disgregazione" dello spirito) e altre volte come atteggiamento caratteristico dell'uomo moderno, che non avendo più valori da perseguire, cade nel vuoto dell'anima e non sa che fare (nichilismo attivo, segno della cresciuta potenza dello spirito, che ha la forza di distruggere le vecchie fedi). Per Nietzsche il nichilismo nasce dal fatto che l'uomo, in virtù delle metafisiche e delle religioni, inizialmente si è immaginato dei fini assoluti e delle realtà trascendenti, ma quando poi si è accorto che l'essere non è né "uno" (totalità razionale ordinata), né "vero" (non esiste una verità assoluta), né "buono" (la realtà non si conforma alle nostre aspettative etiche), è piombato nell'angoscia nichilistica. Ma l'equivoco del nichilismo moderna consiste nel dire che il mondo, non avendo quella serie di significati metafisici forti, non ha nessun senso, mentre in realtà rimangono quelli prodotti dalla volontà di potenza. Nietzsche, infatti, nonostante fosse un nichilista "radicale", spiegò anche come superare questo nichilismo, considerato ponte di passaggio tra uomo e superuomo: vivere senza certezze metafisiche non vuol dire distruggere ogni norma, bensì responsabilizzare l'uomo, come fonte di valori e di significati. Per superare il nichilismo, quindi, infine, bisogna accettare il rischio e la fatica di dare un senso al caos del mondo dopo la morte delle antiche fedi.

"Il più abissale dei suoi pensieri", come Nietzsche stesso lo definì, è invece la teoria dell'Eterno Ritorno dell'Uguale: tale teoria dice che ognuno di noi è costretto a rivivere per sempre la sua stessa vita, sempre uguale, con le stesse emozioni. Questa teoria fa da spartiacque tra uomo e superuomo: l'uomo la prenderebbe come un orribile peso, il superuomo, invece, con gioia, come accettazione totale della vita. La migliore esposizione che Nietzsche fece di questa teoria è in Così parlò Zarathustra, ne "La visione e l'enigma": Zarathustra in un impervio sentiero di montagna (= difficoltà dell'innalzarsi del pensiero), insieme al nano che lo segue,  si trova di fronte ad una porta, su cui c'è scritto "attimo" (= presente), dinanzi al quale si uniscono due sentieri che nessuno ha mai percorso interamente, perché si perdono nell'eternità: la prima porta indietro (= passato), la seconda avanti (= futuro). Zarathustra chiede al nano se queste due vie sono destinate a contraddirsi in eterno e il nano dà una risposta frettolosa sulla circolarità del tempo ("ogni verità è ricurva"). Dopo aver invitato il compagno a non prendere le cose alla leggera, Zarathustra espone un abbozzo di teoria dell'eterno ritorno: a questo punto la scena si trasforma, come una visione, in un paesaggio lunare desolato. Lì c'è un pastore (= l'uomo), con un serpente nero che gli penzola alla bocca (= qualcosa di tremendamente ripugnante: la teoria dell'eterno ritorno); Zarathustra, per aiutarlo, cerca di strapparglielo, ma invano, allora gli consiglia di morderlo: non appena il pastore taglia con i denti la testa del serpente (= affronta coraggiosamente la teoria) si trasforma in un essere luminoso (= superuomo), che ride. Riprende così, dopo 2000 anni, la teoria presocratica della ciclicità del tempo ("la verità è ricurva"), che però era un semplice ritorno dei mondi (quelli nuovi potevano anche essere diversi dai vecchi). Ma che cos'è effettivamente la teoria dell'eterno ritorno? Forse è una certezza cosmologica (che in alcuni punti sembra che Nietzsche voglia spiegare scientificamente), forse un'ipotesi dell'essere che serva da imperativo categorico (vivere come se la vita si dovesse ripetere per sempre), forse l'enunciazione metaforica di un modo di essere dell'essere che l'uomo può incarnare solo se felice. E cosa vuol dire "decidere" l'eterno ritorno? Forse prendere atto di una struttura cosmica già data (come sostengono le letture tradizionali), forse istituire tramite scelta (come pensano alcuni critici moderni). Il dibattito è ancora aperto. Più chiara è invece la funzione di questa teoria: Nietzsche rifiutò la concezione lineare del tempo (secondo la quale ogni attimo non ha davvero in sé medesimo una pienezza autosufficiente di significato perché subordinato all'attimo che lo precede e a quello che lo segue), mentre credere nell'eterno ritorno vuol dire ritenere che il senso dell'essere non sta fuori dall'essere (in un oltre irraggiungibile) ma nell'essere stesso e disporsi a vivere ogni attimo della vita come coincidenza di essere e di senso, realizzando così la "felicità del circolo". L'uomo normale soffre della scissione tra senso ed esistenza, quindi solo un oltre - uomo può accettare questa teoria, che è dunque l'accettazione superomistica al massimo grado dell'essere.



Il superuomo non è quello poi ripreso dai nazisti; è un concetto filosofico che serve a Nietzsche per esprimere un nuovo essere con determinate caratteristiche che si riscontrano nelle sue diverse opere: il superuomo è colui che accetta la vita, rifiuta la morale tradizionale e opera una trasvalutazione dei valori, sopporta la morte di dio e ne capisce le conseguenze, supera il nichilismo, si colloca nella prospettiva dell'eterno ritorno e si pone come volontà di potenza. Ma, in concreto, chi è il superuomo? L'umanità liberata (dalle regole, come vorrebbe la sinistra)? Un'élite superiore (come vorrebbe la destra)? Può liberarsi tutta l'umanità? Non è chiaro, perciò egli è stato "usato" da socialisti, democratici, liberali e fascisti. Ma Nietzsche nelle sue opere, più che farsi politico, denuncia tutti gli ideali politici (statalismo, democrazia, militarismo, socialismo.), perciò il suo messaggio non va cercato sul piano politico ma su quello filosofico.

Stesso discorso vale per la volontà di potenza, che è il modo di essere proprio del superuomo, visto come libertà creatrice, che, ergendosi al di sopra del caos e della vita, impone ad essa i propri significati e le proprie interpretazioni (tutto è perché io lo voglio). In virtù di essa si può avere l'accettazione esistenziale dell'essere (amor fati). Ma anche qui: chi è il soggetto della volontà di potenza? Una possibile umanità libera o un'élite che esercita la volontà di potenza sul mondo ma anche sul prossimo?







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