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FRIEDRICH NIETZSCHE

filosofia



FRIEDRICH NIETZSCHE


A)    Vita ed opere: Friedrich Nietzsche visse la cultura degli anni Settanta e Ottanta dell'Ottocento, in cui trionfava il positivismo, la fiducia nella scienza e nel progresso tecnico, si diffondono il socialismo e il filantropismo. Nietzsche rappresenta in questo decennio la voce del dissenso: denuncia la massificazione della società e le sue manifestazioni. Critico verso il socialismo e il femminismo, non nutre inoltre fiducia nella scienza, sostenendo che l'"idolatria del fatto" positivistica è assurda perché i fatti sono stupidi. È l'uomo della crisi: "Si leggerà un giorno in mio nome al ricordo di una crisi. Io non sono un uomo, sono una dinamite e sono anche necessariamente l'uomo del destino" ("Ecce homo"). Nietzsche ha intenzione di smascherare le millenarie illusioni della società e, unitamente a Marx e Freud, fu definito "maestro del sospetto". Nacque nel 1844 a Rocken, in Sassonia, e morì a Lipsia nel 1900. Studiò filologia classica a Bonn e Lipsia dove, nel '65, avendo trovato casualmente una copia del capolavoro di Schopenhauer, la lesse rimanendone folgorato. Di lui condivide la diagnosi spietata della realtà (ma non il suo atteggiamento rinunciatario e ascetico) e l'esaltazione della musica. Giovanissimo, viene chiamato a ricoprire l'incarico di docenza di filologia a Basilea, diventando amico del compositore Wagner, che ammira ritenendo che attraverso la sua musica si avrà una palingenesi (= rinascita) della società. Nietzsche gli dedica la sua prima opera: "La nascita della tragedia", che tratta essenzialmente di filologia. Il rapporto tra i due si deteriorerà quando Wagner si convertirà al Cristianesimo componendo opere decadenti e di ossequio verso i potenti. Dopo pochi anni abbandonò la cattedra per questioni di salute (sintomi che vanno dalle emicranie ai problemi di stomaco) ed iniziò a viaggiare in cerca di climi più consoni al suo stato fisico. Scrive "Umano troppo umano", che segna il suo definitivo distacco da Schopenauer e la sua definitiva rottura con Wagner. Nel 1881 scrive "Aurora", nell'82 "La gaia scienza". In seguito avrà una profonda delusione amorosa: conobbe infatti una giovane intellettuale, Lou Salomè, che frequenta e nella quale crede di aver trovato l'amore, ma lei sposerà un comune amico, Paul Rée. Profondamente turbato, scrive "Così parlò Zarathustra", seguita da "Al di là del bene e del male", "La genealogia della morale", "Il crepuscolo degli idoli", "L'Anticristo", "Ecce homo" (una sorta di autobiografia). A Torino, nel 1889, ha un primo eccesso di follia e perde completamente la lucidità, venendo poi accompagnato da un amico in una clinica svizzera, e in seguito affidato alle cure della madre e della sorella, fino alla morte. I momenti di lucidità sono rarissimi e non va in porto il progetto di un'opera, "La volontà di potenza", che fu pubblicata postuma e in modo frammentario dalla sorella nel 1906. Ai rimaneggiamenti della sorella, seguace di un credo razzista, antisemita e pangermanista, si dovrebbe l'interpretazione di Nietzsche come teorico del nazismo. Nietzsche introduce un nuovo registro nello scritto filosofico. A parte "La nascita della tragedia" e le "Considerazioni inattuali", lo stile è lontano dalla tradizione del saggio filosofico. Prevalgono l'aforisma, il frammento, l'invettiva, il versetto ("Così parlò Zarathustra" è una sorta di anti-Vangelo, è una vera e propria poesia in prosa). La critica ha suddiviso le sue opere in tre periodi che corrispondono a un'evoluzione negli intenti di:



filologico-romantico (fino al '76) "La nascita della tragedia" e le "Considerazioni inattuali";illuministico-critico ('76 e '82): da "Umano troppo umano" a "La gaia scienza";

periodo chiamato da Nietzsche la "filosofia del mattino" perché si tratta di un risveglio dal sonno della morale e l'annuncio di un nuovo giorno (è la pars destruens, il periodo del martello in cui Nietzsche distrugge i vecchi valori);

filosofia della volontà di potenza ed eterno ritorno : da "Così parlò Zarathustra" a "Ecce homo", è la pars construens, il periodo in cui Nietzsche annuncia il suo nuovo messaggio.

B) La nascita della tragedia: Opera spuria (filosofica e filologica), dedicata a Wagner, in cui Nietzsche rintraccia le origini della tragedia greca attraverso un articolato strumentario filologico. Egli prende le distanze dalla concezione del classicismo di Winkelmann, secondo cui la cultura e l'arte greca si esprimevano nell'equilibrio, nella compostezza, nell'armonia delle forme, interpretazione che Nietzsche ritiene riduttiva. Secondo Nietzsche, infatti, nella civiltà greca si espressero in forma sublime due spiriti (impulsi, principi): lo spirito apollineo e lo spirito dionisiaco. Apollo è il dio della luce, della bellezza, della ragione, dell'equilibrio, della contemplazione serena e distaccata della realtà, il dio olimpico per eccellenza; rappresenta la concezione classicistica di Winkelmann. Dioniso è il dio delle religioni misteriche, non dell'Olimpo, ma dei culti riservati agli iniziati, della trasgressione, dell'ebbrezza, della hybris (= tracotanza). Nel culto dionisiaco i sacerdoti, travestiti da capri, durante la cerimonia subivano una metamorfosi e diventavano satiri (esseri a metà tra il naturale e il divino) abbandonandosi alla sfrenatezza in una sorta di entusiasmo (= essere posseduti dal dio, avere il dio dentro di sé). Lo spirito dionisiaco rappresenta per certi aspetti l'opposto di quello apollineo:

SPIRITO APOLLINEO

SPIRITO DIONISIACO

"Spirito del sogno", perché nel sogno, secondo Nietzsche, il mondo viene plasmato dal soggetto

"Spirito di ebbrezza", perché nell'ebbrezza è il soggetto ad essere plasmato dalla natura

Forma

Vita

Stasi

Perenne fluire

Ragione

Irrazionalità

Luce

Oscurità

Lo spirito dionisiaco è uno spirito terribile, perché rappresenta l'esistenza nel suo aspetto più selvaggio, la creatività, la sensualità senza freni, ma anche il dolore più atroce, senza giustificazioni, l'essere per l'essere, l'essere incomprensibile, l'impulso vitale inconsapevole e irrazionale (in relazione a Schopenhauer). Lo spirito apollineo è fenomeno, velo di Maya, principio di individuazione, mentre lo spirito dionisiaco è il noumeno, la volontà di vivere. La civiltà greca pre-socratica conobbe più di ogni altra questo sentimento oscuro del fluire incessante dell'esistenza, lo testimonia la sua mitologia (la maledizione della stirpe degli Atridi che vuole Oreste matricida, la maledizione di Edipo, il supplizio di Prometeo). Lo spirito apollineo, quindi, si configura come una reazione di difesa all'atrocità dello spirito dionisiaco (come avrebbero potuto i greci sopportare questo impulso primitivo e oscuro senza razionalizzarlo attraverso lo spirito apollineo?). I greci sono riusciti mirabilmente a operare una sintesi dei due spiriti nella tragedia (in particolare quella attica del V secolo): infatti se le forme artistiche attraverso le quali si è espresso lo spirito apollineo sono epica e scultura e le forme attraverso le quali si è espresso lo spirito dionisiaco sono lirica e danza, la tragedia ha determinato un'unità tra i due spiriti. Conformemente all'etimologia, la tragedia secondo Nietzsche nasce dal coro dei seguaci di Dioniso (tragedia deriva da "tragos odè" = canto del capro). Il coro aveva la funzione di commuovere e coinvolgere lo spettatore nel rito dionisiaco. A un certo punto l'eroe si è separato, oggettivato dal coro, insieme alla sua vicenda, che sulla scena è rappresentata dall'attore che indossa una maschera, e rappresenta l'elemento apollineo, che subentra in un secondo momento come produzione del coro (l'attore è intermediario tra spettatore e coro). L'elemento dionisiaco (il coro) è ancora dominante, ma è trasfigurato e reso più comprensibile dall'elemento apollineo (attore). Tutti gli attori, secondo Nietzsche, sono rappresentazioni di Dioniso: l'apollineo è al servizio del dionisiaco. L'apogeo della tragedia è rappresentato dalle opere di Eschilo e di Sofocle, cui corrisponde la filosofia pr 232h74c e-socratica, soprattutto quella di Anassimandro ed Eraclito. Con Euripide inizia la decadenza, perché nella sua tragedia prevale l'elemento apollineo: egli pone il coro in una posizione secondaria, come intermezzo lirico. La vicenda rappresentata non è più la visione del coro, ma ha esistenza autonoma. Euripide preferisce la rappresentazione delle vicende quotidiane, esprimendo un messaggio razionalistico-moralistico: lo testimonia il prologo, in cui spiega la vicenda, e lo stesso epilogo, in cui interviene il deus-ex-machina (la divinità che portava la composizione pacificatoria della vicenda privandola del pathos tragico). Lo spettatore ideale di Euripide è Socrate, con cui inizia la decadenza della filosofia. Socrate, ponendo il supremo valore nella ragione e l'equazione di virtù e conoscenza, ha denigrato il corpo, cioè la vita (Dioniso), determinando la frattura fra mente, spirito e corpo, materia, vita. Così inizia la decadenza della civiltà occidentale: secondo Nietzsche è possibile che con il dramma di Wagner si assista a una rinascita, un ritorno di Dioniso.

C)    "Considerazioni inattuali": Tra il '73 e il '75, Nietzsche scrive questi quattro brevi testi. Dal titolo emerge la presa di coscienza di Nietzsche che la sua critica si rivolge a verità condivise dalla cultura a lui contemporanea. Ne "la gaia scienza" l'uomo folle che annuncia la morte di Dio risponde allo scherno degli altri uomini dicendo di essere arrivato troppo presto. La seconda considerazione ("Sull'utilità e il danno della storia per la vita") è contro lo storicismo (= idolatria del fatto storico) di cui è intrisa la cultura dell'800. "Noi viviamo in un mondo saturo di storia", afferma Nietzsche, "un eccesso di memoria". La memoria storica impedisce la vita ("fiat veritas, pereat vita" = sia la verità, perisca la vita). Occorre dunque fare un esercizio di oblio, di dimenticanza nei confronti della storia, che può diventare utile soltanto se è in funzione del presente: tutto ciò che non è funzionale al presente va fatto cadere nell'oblio (la storia va attualizzata). Ci sono tre tipi di storia che possono essere utili per la vita:

storia monumentale ricerca nel passato i modelli, gli eroi e le loro imprese, che possano orientarci nell'azione del presente (nel momento in cui bisogna affrontare una grave battaglia si fa ricorso ai grandi modelli del passato per rafforzarci nella convinzione che questa battaglia è possibile);

storia antiquaria (archeologica) risponde al bisogno di rinsaldare le proprie radici e la propria identità;

storia critica (preferita da Nietzsche) istituisce un tribunale che giudica il passato e lo elimina, quando questo passato impedisce di costruire l'avvenire: è una sorta di meta-storia, è una storia che distrugge la storia, è un giudizio che permette l'oblio.

Esistono secondo Nietzsche delle degenerazioni: la storia monumentale può degenerare in vuota retorica celebrativa (come se si rimanesse bloccati nella venerazione del passato), la storia antiquaria in furia collezionistica, in astratta erudizione (raccolta priva di elaborazione critica di tutto ciò che proviene dal passato: le cose hanno valore perché sono passate).

D)    La critica alla scienza: È espressa in diverse opere, ma soprattutto ne "La gaia scienza", dove Nietzsche afferma che la scienza nasce da un impulso vitale che si serve della conoscenza come strumento per la vita. La scienza non è la conoscenza oggettiva della natura, ma è un'interpretazione della stessa in vista degli scopi vitali umani. Da qui la critica al positivismo, che è un'idolatria del fatto. I fatti sono stupidi, necessitano di un interprete. Soltanto le teorie sono intelligenti. La scienza è come lo spirito apollineo: mette ordine dove c'è disordine, è una reazione di difesa e, lungi dal nascere da intuizioni veritiere, spesso nasce da degli errori.

E) La critica alla morale: In particolare è affrontata, tra gli altri, in "Umano troppo umano", "Al di là del bene e del male", "La genealogia della morale" e "Il crepuscolo degli idoli". Nietzsche vuole compiere un'analisi chimica della morale, partendo dal presupposto che occorre mettere in questione il valore dei valori, non quali siano questi valori. L'intento è quello di costruire una genealogia della morale, e cioè di individuare l'origine storica, sociale e psicologica dei valori. In questo modo egli ritiene di poter rivelare il vero aspetto dei valori in relazione alle loro origini. Ad esempio, la voce della coscienza è una sorta di voce interiore che viene depositata dai ricordi dei divieti dell'infanzia (Freud porterà a fondo quest'intuizione elaborando il concetto di super-io). La morale è quindi una maschera, un vestito con cui l'uomo occidentale si ricopre. Essa nasce da un istinto del gregge presente nell'uomo: la morale è quell'insieme di norme che vengono codificate per l'interesse della comunità, non del singolo. Crescere moralmente per ciascun individuo significa essere sempre più addomesticati. Secondo Nietzsche le azioni dell'uomo non possono addirittura essere valutate moralmente: l'uomo è natura e nella natura non ha senso parlare di agire morale. Egli non è del tutto libero nell'agire, ma è mosso da impulsi vitali. La morale ha attribuito a ciò, che non è nient'altro che un impulso alla vita, un'intenzionalità che l'impulso non aveva: l'intenzionalità di danneggiare gli altri. Se l'utile per me porta al danneggiare gli altri, non per questo la mia azione va valutata in quest'ottica di danneggiamento. Dove la filosofia, la religione e in genere la tradizione hanno visto valori assoluti, c'è solo l'uomo ("io vedo cose umane, troppo umane"). Nietzsche distingue tra morale dei signori e morale degli schiavi. Inizialmente, i più forti furono i signori ed i più deboli furono condotti in schiavitù. I signori imposero una tavola di valori, basata sulla loro forza (valori quali fierezza, bellezza, forza, salute, violenza e amore sessuale) a cui i servi si assoggettavano. Ad un certo punto della storia ci fu una sorta di rovesciamento di questi valori, determinato dalla casta dei sacerdoti: il primo popolo che operò questo rovesciamento fu quello ebraico, il popolo sacerdotale per eccellenza. Il sacerdote, per prevalere sul signore guerriero, sostituisce come valore fondamentale la forza dello spirito a quella del corpo, che addita come peccato. Gli schiavi seguirono questa morale, che rappresentava l'esatto inverso di quella dei signori (valori della debolezza, sacrificio di sé, altruismo, castità, malattia e povertà). Gli ebrei hanno conquistato Roma (il mondo) attraverso il Cristianesimo, che non è nient'altro che una derivazione dell'ebraismo. I valori cristiani sono una variazione dei valori ebrei e questa "malattia mortale" si è diffusa come un virus in tutto il mondo. La morale sacerdotale è detta da Nietzsche la "morale del risentimento". Tradizionalmente si interpreta questo termine come spirito di vendetta di chi, sentendosi dominato dai signori, ribalta la loro tavola dei valori per assoggettarli. Ma esiste un'altra interpretazione più psicoanalitica: tutto ciò che è forza vitale è espansione, il risentimento è un meccanismo psicologico per il quale la vita, invece di proiettarsi all'esterno, si proietta all'interno, contro se stessa, usando la forza contro l'istinto vitale. La figura che meglio esemplifica questa morale è l'asceta, che rinuncia a tutto, si procura profonde sofferenze, si assoggetta a tutti gli uomini, ma a partire da questa posizione si sente superiore a tutti gli altri (poiché la debolezza è considerata un valore): egli è il re di tutti i deboli e contrasta la sanità del corpo come un peccato. Il cristiano dice di porgere l'altra guancia, ma non per perdonare, quanto in vista di una vendetta ultraterrena. Il cristiano è tormentato dai sensi di colpa (il senso del peccato). Nell'antichità, chi subiva un danno lo restituiva ugualmente al reo; il creditore poteva esigere che gli venisse pagato il debito. Non c'erano sensi di colpa, era solo una restituzione. Gesù Cristo, figlio di Dio, è i massimo creditore nei confronti degli uomini. Secondo la norma antica, il massimo creditore dovrebbe esigere il massimo riscatto, mentre Gesù si sacrifica in croce pagando il riscatto del peccato degli uomini. Il debitore si sente in colpa, perché non ha potuto pagare il suo debito, in quanto qualcun altro l'ha fatto per lui, e si tormenta. Da ci scatta l'autopunizione, da cui deriva la natura del Cristianesimo: il fine cristiano è quello dell'infelicità terrena come perenne tentativo di riscatto dal proprio debito. Per Nietzsche il Cristianesimo è un nichilismo della debolezza, perché riduce ad un nulla la vita. Eredi della morale ebraica e cristiana sono le moderni correnti democratiche, socialiste ed umanitarie in genere, che rappresentano il trionfo degli uomini mediocri e deboli, perché si pone la collettività al di sopra dell'individuo, creando un appiattimento e uccidendo qualsiasi forma di forza vitale. L'ultima manifestazione di questa tendenza perversa è la condizione della donna, evidente nella misoginia di Nietzsche. Il bene deve essere individuale, non comune. Bisogna ritornare ala morale dei signori, della forza. Per loro ciò che è buono è la forza, ciò che è negativo è cattivo; per gli schiavi ciò che è buono è la debolezza, la povertà, ciò che non è buono è malvagio (= forte): anche nei valori negativi c'è un abisso. Nietzsche auspica che trionfino nuovamente i valori vitali dei signori.

F) La morte di Dio: È annunciata da un folle in un famoso passo de "La gaia scienza". Egli va al mercato con una lanterna per rischiarare le menti alla chiara luce del mattino (inizio di un nuovo giorno). Il mercato rappresenta gli uomini che si incontrano e discutano; lì il folle trova l'ottimismo ateo dell'800: gli atei non sono sconvolti dall'annuncio drammatico del folle, poiché non credono in Dio ma nella scienza. L'uomo folle, al contrario, sostiene che Dio sia morto perché l'uomo l'ha ucciso, cancellando "la più antica delle menzogne": l'esistenza di Dio. A ciò hanno contribuito anche gli atei, che però sono pacificati: il folle non lo è. Dopo la morte di Dio, non vi è più alcun punto di riferimento e non si riesce ancora a percepire la tragicità dell'evento. Fino ad ora l'uomo si è sempre mosso sulla strada indicatagli proprio da Dio. La prima reazione alla consapevolezza di aver ucciso Dio è ancora il senso di colpa (con quale rinuncia o ascetismo possiamo pagare il debito?), che fa ancora parte della morale cristiana. Ma subito dopo si annuncia la necessità, in forma velata, della nascita del superuomo: noi, come uomini, non possiamo tollerare la morte di Dio, dobbiamo farci Dei e accettare noi stessi come punti di riferimento. Quindi l'uomo folle considera la propria inattualità: Dio è già morto, ma non tutti sono pronti ad accogliere questo messaggio (per questo egli getta a terra la propria lanterna). Ma egli non rinuncia ad accettare la morte di Dio come un evento già compiuto. Quel Dio che è morto è:

il mondo soprasensibile, ogni prospettiva ultramondana che pone il senso dell'essere al di là dell'essere stesso;

la personificazione di tutte le certezze e le credenze (non solo religiose, ma anche metafisiche) dell'umanità che gli uomini hanno elaborato nel corso della loro storia, per conferire un ordine alla propria esistenza e a quella del mondo (al fine di evitare l'inquietudine che deriva dal caos): persino la scienza rappresenta Dio, perché contrappone il cosmo al caos;

la più antica delle menzogne, espressione della paura della vita e della fuga da essa.

Con la morte di Dio il mondo della cultura occidentale è andato in frantumi. Il messaggio di Nietzsche è espresso nella terza fase, contrassegnata non più dalla critica corrosiva ma dall'annuncio di qualcosa di nuovo, l'annuncio di Zarathustra.

G)    "Così parlò Zarathustra": Scritta in versetti, riprende volutamente lo stile del Vangelo, con un messaggio però contrario. Zarathustra è il profeta di un'antica religione persiana, il manicheismo, che aveva concepito l'esistenza di due principi divini, uno del bene (Ormuz) e uno del male (Ariman), in incessante lotta. La scelta di Zarathustra come profeta che dà voce al pensiero di Nietzsche è da ricondurre a due motivi: in primo luogo, essendo il profeta di una religione orientale, per la sua lontananza dall'occidente, e quindi la sua estraneità alla decadenza dell'Occidente; in secondo luogo per essere il fondatore di una religione anti-vitale, e quindi per avere anch'egli partecipato alla decadenza del mondo, riconoscendo però (nel racconto di Nietzsche, il suo errore, isolandosi per anni su una montagna dove ha compreso la verità che è tornato ad annunciare agli uomini):

il superuomo introdotto dall'uomo folle nella "Gaia scienza", che afferma: "Dobbiamo farci dei per sopportare la morte di Dio". La parola tedesca è Übermensch, che in realtà, secondo lo studioso Gianni Vattimo, significa "oltreuomo". Nietzsche afferma che "l'uomo è una corda tesa tra la bestia e l'oltreuomo", che dunque è una meta di là da venire, non è ancora comparso ma i tempi sono maturi. Egli non è il risultato di un'evoluzione, ma un salto: non c'è niente dell'uomo che lasci presagire cos'è il superuomo. Nella "Gaia scienza" Nietzsche allude alla comparsa del superuomo attraverso una triplice metafora: perché l'uomo si trasformi in superuomo, lo spirito deve farsi prima cammello, poi leone e infine fanciullo. Il cammello sopporta in modo passivo e rassegnato il peso della vita e la più terribile verità: che Dio è morto (nichilismo passivo). Il leone rappresenta invece il sì alla vita ("il leone risponde al drago che gli dice "Tu devi" affermando "Io voglio"): si libera dalle costrizioni della morale per diventare l'unico signore di se stesso (nichilismo attivo). Il fanciullo gioca con la vita e scopre in ogni momento un significato nuovo, è assoluta libertà nell'attribuire valori e significati al mondo: egli accetta la vita per quello che è, senza scopi al di là di se stessa (è Dioniso). Da queste tre metamorfosi cogliamo che l'oltreuomo è capace di rovesciare qualsiasi prospettiva esistente: è in grado di dire di sì alla vita anche se nelle sue manifestazioni più terribili (è accompagnato da un pessimismo coraggioso), di manifestare l'hybris (= tracotanza) e l'indifferenza di chi è al di là del bene e del male, ha "del barbaro l'istinto e la forza, del greco l'educazione e la libertà", è l'uomo del grande disprezzo, che è capace di provare il pathos della distanza (= sentimento di aristocratico disprezzo verso colui che è inferiore), è il senso della terra (ha riportato il significato al corpo e alla vita), può sopportare la morte di Dio, può esercitare il nichilismo attivo, può operare una tra trasvalutazione dei valori, decide l'eterno ritorno, si pone come volontà di potenza. Non si sa se questo superuomo rappresenti un'elite dominante o un'umanità rinnovata: sono pertanto altrettanto giustificate le interpretazioni di destra e di sinistra;

la volontà di potenza secondo Nietzsche, Schopenhauer ha sbagliato nell'individuare nella volontà di vita il noumeno: ciò che vive non può voler vivere, ma vuole qualcosa di più, la potenza. La vita è espansione: tutta la realtà è pervasa dalla volontà di potenza. Essa fa sì che l'oltreuomo sia egli stesso fonte di significato. Il significato proviene dalal vita stessa, non dall'esterno; l'oltreuomo è consapevole di ciò e liberamente attribuisce significati al mondo e istituisce i propri valori, operando una tra svalutazione (= rovesciamento) dei valori tradizionali: quelli tradizionali, morali, si impongono dall'esterno sull'uomo che è assoggettato ("tu devi"), il superuomo dice "io voglio";

l'eterno ritorno "Il più abissale dei miei pensieri", lo definisce Nietzsche. E' una teoria che nega la concezione lineare del tempo cristiana e storicista, in cui il tempo è un progredire verso una meta finale ideale (che sia il Giudizio Universale o il trionfo della Ragione hegeliana) che ne segna la fine. Essa trae suggestioni dalle concezioni cicliche del tempo orientali e greche. Non si tratta di un'ipotesi cosmologica (come quella degli stoici), ma di un modo di vivere il tempo, che è sopportabile soltanto dall'oltreuomo (si può dire che l'eterno ritorno sia un vero e proprio selettore che discrimina l'uomo dall'oltreuomo). L'uomo comune non può sopportare l'idea che tutto ciò che egli vive debba eternamente ritornare identico a se stesso, poiché egli non ama la vita in tutti i suoi aspetti. L'oltreuomo ama talmente la vita nelle sue irregolarità, contraddizioni, gioie e dolori, che può sopportare quest'idea. Lo studioso Gianni Vattimo sostiene che l'eterno ritorno nega la concezione edipica del tempo, secondo cui l'istante figlio divora l'istante padre. Tutto questo accorciarsi del tempo termina nell'istante finale che, avendo divorato tutto, è l'unico a sopravvivere. In questa concezione il senso dell'essere è fuori dall'essere, ed è proiettato in un unico, ipotetico, ultimo momento che rappresenta la negazione di tutto ciò che è stato. Nell'eterno ritorno, ogni istante ha invece un valore non relativo, ma assoluto; in ciascun istante si realizza la coincidenza tra essere e senso. Invece di riporre il significato della vita in una meta che è oltre la vita, il significato della vita sta in ogni istante della vita stessa. L'oltreuomo che accetta l'eterno ritorno nutre, nei confronti di ciò che è stato, l'amor fati (= amore per il destino): che significa che il passato non è qualcosa di greve che lo paralizza. L'amor fati libera l'oltreuomo dalla schiavitù del passato trasformando ciò che è stato in ciò che io volevo che fosse. Nel brano "La visione e l'enigma" Zarathustra sale per un pendio con un nano sulla schiena (rappresenta il fardello delle vecchie menzogne): nello stesso tempo in cui annuncia il più abissale dei suoi pensieri, se ne libera. Zarathustra giunge a una porta carraia: da una parte c'è l'interminabile sentiero del passato e dall'altra quello del futuro. L'attimo è la porta, dove passato e futuro si congiungono, è il cuore del tempo. Quindi Zarathustra annuncia l'eterno ritorno e vede un pastore che si rotola con un serpente che gli penzola in bocca: l'eterno ritorno è un pensiero strisciante che si insinua nell'animo umano. Zarathustra ordina al pastore di mordere la testa del serpente, egli lo fa e diventa un uomo circonfuso di luce, che ride: è diventato un oltreuomo perché ha dominato e accettato l'idea dell'eterno ritorno.

H)    Autodistruzione della metafisica: Nietzsche intitola questo argomento "storia di un errore (come il mondo vero divenne favola)", tracciata nel "Crepuscolo degli idoli". Il primo uomo della decadenza è Socrate (razionalismo); in realtà il primo autore della menzogna metafisica è Platone, che ha duplicato il mondo degradando il mondo terreno a semplice copia di quello ideale. Da Platone la distinzione tra mondo vero e mondo falso diventa il tema principale del Cristianesimo (per Nietzsche esso è "platonismo per il popolo"): in questo caso il mondo vero è l'aldilà. Il terzo momento è quello della ragione illuministica, che sembra spezzare il predominio del Cristianesimo, ma in realtà ripropone il dualismo, con Kant (il mondo vero diventa il noumeno): per Nietzsche il socialismo ne è uno sviluppo. La morale moderna, frutto dell'Illuminismo e del socialismo (culto del progresso e della ragione) è un'ulteriore momento di passaggio verso il positivismo, il culto della scienza, che è una manifestazione della metafisica, espressione dell'ottimismo razionalista di matrice socratica. Esso inaugura, però, contemporaneamente un nuovo percorso di distruzione della metafisica (è il "canto del gallo"), poiché smaschera le certezze metafisiche. Il quinto momento è la morte di Dio, che corrisponde alla "filosofia del mattino": la morte di Dio è un selettore tra uomo e superuomo, qualcuno la sopporta e la supera, qualcuno la sopporta ma ne rimane schiacciato. Nel caso di chi non si fa superuomo avremo il cosiddetto "nichilismo (= atteggiamento o dottrina volti a negare in modo definitivo e radicale un determinato sistema di valori) passivo": quello del cammello, che si manifesta con il culto della decadenza, con la nostalgia, con il pessimismo rinunciatario, con il risentimento (sua manifestazione letteraria è lo spleen). L'Übermensch, che supera la morte di Dio, esprime l'atteggiamento del nichilismo attivo (nichilismo che supera il nichilismo): con una trasmutazione dei valori l'uomo diventa fonte dei suoi stessi valori. E' il leone ("io voglio") e il fanciullo ("io sono"). Il mondo vero è distrutto, e con la sua distruzione ci si è liberati anche di quello apparente: è ora possibile una nuova umanità (è l'"ora del mezzogiorno", senza ombre, in cui comincia l'insegnamento di Zarathustra).


HENRI BERGSON


A)    Vita ed opere: Bergson è il più importante esponente dello spiritualismo del '900. Lo spiritualismo di Bergson è una delle tante reazioni nel panorama della filosofia al positivismo: quest'ultimo affermava il fatto naturale come unica realtà e il metodo della scienza come unico metodo valido ad indagare questa realtà. Lo spiritualismo nega entrambi questi presupposti, affermando una realtà altra, spirituale, irriducibile al fatto naturale e attingibile attraverso l'autoauscultazione della coscienza. Bergson nacque a Parigi nel 1859, dopo gli studi liceali si formò nelle discipline scientifiche che però non lo soddisfarono, si laureò così in filosofia. Insegnò nei licei prima di conseguire il dottorato di ricerca in filosofia e di intraprendere la carriera universitaria. Uno dei due saggi con cui ottenne il dottorato è il "Saggio sui dati immediati della coscienza", che già gli regalò grande notorietà. Le opere successive, ancora più famose, sono:

"Materia e memoria" (1896);

"Introduzione alla metafisica" (1903);

"L'evoluzione creatrice" (1907);

"Le due fonti della morale e della religione" (1932).

Vince il premio Nobel per la letteratura nel 1927. Ebreo convertitosi di fatto al cattolicesimo, non volle rinunciare alla sua religione d'origine per solidarietà nei confronti dei perseguitati, al punto da rinunciare all'esclusione, che gli sarebbe stata garantita grazie alla sua notorietà, dalle liste compilate dai nazisti degli ebrei residenti in Francia. Morì nel 1941. L'intento generale della filosofia di Bergson è il rifiuto del meccanicismo, soprattutto quando esso viene esteso a spiegare l'uomo, e l'affermazione della libertà umana.

A)    "Saggio sui dati immediati della coscienza": I dati della coscienza sono le sensazioni, le percezioni, le emozioni e i sentimenti. Bergson vuole dimostrare, contro la filosofia scientifica dell'epoca, che essi non sono quantitativi (misurabili), ma qualitativi. Ad esempio emozioni come la gioia o la tristezza vengono trattate nel nostro linguaggio come se fossero delle grandezze, ma se le analizziamo anche in modo ingenuo ci rendiamo conto che maggiore o minore tristezza non significa più o meno lacrime e sospiri, che essa abbia occupato una maggiore o minor parte del mio cervello, ma gli stati della tristezza variano secondo sfumature che io posso provare a descrivere, ma attraverso le quali non posso delimitare questo sentimento. Ma Bergson afferma che neanche le sensazioni e le percezioni sono quantificabili: solo le loro cause sono quantificabili, cioè le fonti esterne da cui derivano (ad es. la sensazione visiva che riguarda l'intensità di una luce: l'intensità della luce può essere variata in modo quantitativo, ma le variazioni della sensazione non sono altrettanto quantificabili. In questo testo Bergson opera la famosa distinzione tra tempo della scienza e tempo della coscienza. Il primo è il tempo della fisica, è spazializzato e per comprenderlo dobbiamo utilizzare la metafora dello spazio (si configura come una successione di istanti equidistanti tra loro, perfettamente omogenei), è un tempo reversibile (è sempre possibile anticipare il futuro o tornare nel passato). Ogni istante è esterno all'altro e ben distinto da esso: è un tempo quantitativo e misurabile, che ci consente di vivere, che ci serve per esigenze pratiche. Bergson lo paragona a una collana di perle, ognuna identica all'altra e distinta da essa. Il secondo è il tempo vero, definito "durata reale": è un unico filo, un'unica durata, è il nostro tempo vissuto, in cui ogni istante assume una diversa durata a seconda della sua quantità. La durata reale è un flusso continuo, che non si può interrompere se non snaturandolo, è irreversibile (non si può tornare indietro e andare avanti a mio piacimento) e il mio passato mi segue sempre tutto intero. Bergson lo paragona a un gomitolo di lana o a una palla di neve: la nostra vita è come srotolare un filo, ma per la mia coscienza è come un arrotolare che conserva tutto ciò che ho vissuto che è il nucleo del mio essere. Questa durata reale è al tempo stesso definita come "conservazione totale del tempo" e "creazione totale". Questo è un tempo qualitativo. Con questa distinzione Bergson intende salvare la libertà umana: egli contesta la posizione sia dei deterministi che dei sostenitori del libero arbitrio, i quali sostengono la libertà di scelta dell'uomo, ma non salvano la libertà come fondamento. Entrambi sbagliano perché considerano l'io come se fosse spazializzabile. E' come se suddividessero l'io in tanti frammenti giustapponendo sentimenti, emozioni, volontà, ricordi, separandoli gli uni dagli altri, quindi lo pongono di fronte a un bivio: secondo i deterministi le condizioni che precedono il bivio determinano per l'io la scelta di una delle due alternative (il bivio è in realtà fittizio); secondo i sostenitori del libero arbitrio entrambe le strade sono entrambe praticabili ma la scelta è comunque una condizione degli elementi dell'io che precedono la scelta (come se l'io deliberasse quale delle due strade gli provoca maggior vantaggio valutando in base agli elementi pregressi). Secondo Bergson l'io non è spazializzabile: la vita della coscienza è un tutto unitario (come un gomitolo) e non è possibile separare un sentimento, un progetto. In ogni momento dell'esistenza la coscienza è di fronte a un bivio tutta intera: ciò che fa l'io è determinato dall'io. La vita è al tempo stesso conservazione totale del passato ma anche creazione totale in ogni momento. Egli prende così le distane da coloro che pretendono di studiare l'uomo come una macchina.

B) "Materia e memoria": In quest'opera Bergson affronta a parecchi secoli di distanza il dualismo cartesiano: la relazione tra corpo e spirito. La sua posizione è sintetizzabile in queste parole: "C'è molto di più in una coscienza che nel cervello corrispondente". Bergson si oppone al riduzionismo materialistico secondo il quale la coscienza è un semplice epifenomeno (= fenomeno derivato da) del sistema nervoso. Egli vuole dimostrare come materia e spirito si compenetrino, partendo dalla definizione di materia. Egli prende le distanze tanto dal realismo quanto dall'idealismo: come gli idealisti sostiene che la materia è un insieme di immagini, ma non le immagini mentali evanescenti del mio sogno a occhi aperti, bensì immagini-cose concrete, che io percepisco esterne alla mia coscienza. Esse sono connesse da relazioni stabili (leggi della natura). Tra queste immagini una del tutto particolare è il corpo, che viene vissuto dall'interno e ha la capacità di intervenire a modificare le altre immagini, selezionando nell'immenso flusso di immagini che mi colpiscono in ogni secondo quelle utili e oscurando le altre. Questa selezione è la percezione secondo Bergson: più che un'attività, essa è un oblio (percepire significa oscurare ciò che non ci interessa). Bergson la definisce percezione-azione perché percepire significa sentire l'azione che il nostro corpo può esercitare nei confronti dell'immagine-cosa selezionata. E' come se il corpo cogliesse la sua azione possibile sugli oggetti: l'azione virtuale di modificazione della realtà materiale in base alle esigenze del nostro corpo. La percezione è dunque soltanto corporea: ciò che determina che il mio corpo selezioni alcune immagini oscurando le altre è la memoria abitudine, che Bergson definisce come l'insieme dei meccanismi con cui l'organismo rielabora una risposta a determinati stimoli selezionando alcuni tra i numerosissimi ricordi contenuti nella memoria pura. Essa è una funzione del nostro sistema nervoso, dunque è corporea. La memoria abitudine è un insieme di ricordi immagine, che sono soltanto alcuni degli infiniti e indistinguibili ricordi puri che appartengono alla memoria pura (che è spirituale), quel serbatoio inesauribile che coincide con la nostra coscienza. I ricordi immagine estrapolati e materializzati dal cervello servono a guidare la mia percezione indicando cosa scegliere e cosa oscurare. Per Bergson non c'è soluzione di continuità tra il corpo e lo spirito.

C)    "Evoluzione creatrice": La domanda da cui muove quest'opera è: "E' possibile estendere all'intero universo la durata reale?". Tutto l'universo, secondo Bergson, è durata reale. Il mondo inorganico è spiegato dal meccanicismo, ma in realtà è solo apparentemente costituito da elementi isolati e dalla loro azione reciproca. Se lo guardiamo dal punto di vista dell'intuizione anch'esso verrà inteso come qualcosa che dura, qualcosa di non scomponibile (ad esempio, l'evento dello zucchero che si scioglie nell'acqua può essere analizzato in base al gradiente della soluzione ecc. oppure connotato per esempio dalla mia attesa, con il punto di vista dell'intuizione). Se questo è vero nel mondo inorganico, a maggior ragione lo è nel mondo organico, in cui gli individui sono separati ma attraverso la riproduzione ogni organismo va al di là della propria individualità e ogni organismo muta secondo un processo simile a quello della coscienza. Quindi, l'universo dura. Si può parlare di un'evoluzione (in chiave spiritualistica) creatrice, soggetto e oggetto di se stessa (interpretazione vitalistica). Bergson ritiene l'ipotesi di Darwin una delle maggiori conquiste dell'uomo, ma non ne condivide l'approccio scientifico. L'evoluzione si spiega con lo slancio vitale (vis a tergo), energia spirituale che agisce come una forza che spinge da dietro: non è una causa finale, ma è all'origine, è unica e spiega tutto l'universo. A un certo punto essa si biforca, per ostacoli anche minimi (come le asperità del terreno che suddividono in vari rivoli l'acqua versata da una brocca):

mondo vegetale: nel mondo vegetale, a causa dell'immobilità, lo slancio vitale si arresta (torpore);

mondo animale: nel mondo animale c'è un'ulteriore biforcazione:

  • da una parte abbiamo gli echinodermi (stella marina, riccio di mare.) e i molluschi (vongole, .). In questo caso lo slancio vitale trova un ostacolo e si arresta (sono animali chiusi in corazze, o simili alle piante, o quasi immobili), ricadendo nel torpore;
  • dall'altra abbiamo gli artropodi, che culminano negli insetti, dall'altra i vertebrati, che culminano nell'uomo.

E' quest'ultima la biforcazione che ha avuto successo: lo slancio vitale ha trovato una direzione in cui la vita non è caduta nel torpore. Con gli insetti trova il suo massimo sviluppo l'istinto (= facoltà di utilizzare e produrre strumenti organici), forma raffinata di adattamento all'ambiente. L'istinto è incoscienza, arriva dritto alla sua meta, si riferisce solo a ciò a cui è preordinato, è intimo (aderisce a) alla vita. Con l'uomo trova il suo massimo sviluppo l'intelligenza (= facoltà di utilizzare e costruire strumenti artificiali), altra forma di adattamento all'ambiente. L'intelligenza è consapevolezza, procede tra mille esitazioni, non conosce nulla di preordinato, ma è in grado di cogliere rapporti sempre nuovi e produrre nuove soluzioni, procede meccanicamente, quindi la vita le è estranea ("ci sono cose che solo l'intelligenza è capace di cercare, ma che non riuscirà mai a trovare, soltanto l'istinto potrebbe trovarle ma non le cercherà mai"). Il ritorno consapevole dell'istinto all'intelligenza (intuizione) è l'unico mezzo che l'uomo ha per cogliere la vita (è organo dell'arte). L'evoluzione creatrice si oppone sia al finalismo che al meccanicismo: entrambi presuppongono una realtà già data in cui sono contenuti gli sviluppi futuri. Se nell'evoluzione creatrice l'unità è all'origine, nel finalismo essa è alla fine. Il finalismo è un piano di insieme preordinato, mosso da forze plasmatrici intelligenti. Nel meccanicismo, invece, la realtà è la scomposizione di parti distinte, segue leggi causali necesasarie ed è mossa da forze plasmatrici meccaniche. Bergson fa l'esempio della limatura di ferro spostata da una mano invisibile: secondo i meccanicisti la causa è nelle forze interne alla limatura, secondo i finalisti c'è un piano ordinato. Invece, la realtà è una resistenza (ad esempio, un organo come l'occhio è così complesso perché lo slancio vitale ha incontrato ostacoli). Per l'evoluzione creatrice la realtà è una sola, sia come slancio sia come risultato. Bergson è spiritualista: la materia non è esterna allo slancio vitale. La materia è resistenza come limite interno dello slancio vitale ed è manifestazione dello spirito.

D)    "Le due fonti della morale e della religione": Secondo Bergson esistono nelle società una morale chiusa delle norme trasmesse di generazione in generazione, codificate dalle leggi e dalle dinamiche sociali, conformista e convenzionale, e una religione statica, che contribuisce ulteriormente all'ordine sociale sacralizzando tali norme. Secondo Bergson l'esperienza morale e religiosa dell'umanità non può ridursi a questo: occorre una morale aperta, vitale, che comporti l'amore per l'umanità, e una religione dinamica, mistica, di apertura totale per la vita e per ciò che in essa c'è di trascendente. L'uomo ha proseguito lo slancio vitale, in virtù della sua intelligenza, che gli ha consentito di creargli protesi sempre più grandi (gli strumenti della tecnica, che rappresentano un ingrandimento del nostro corpo). L'uomo è diventato un gigante, ma in questo corpo l'anima è rimasta ciò che era, troppo piccola e debole. Ai grandi mistici chiede un suggerimento per ottenere un supplemento d'anima che possa guidare questo corpo ormai incontrollabile.


SIGMUND FREUD


A)    Vita ed opere: Nacque da una famiglia ebrea nel 1856 a Freiberg, in Moravia (nell'impero asburgico), trasferendosi in seguito a Vienna con la famiglia, dove visse gran parte della sua esistenza. Studiò medicina dedicandosi alla ricerca soprattutto in ambito neurologico. Dopo aver vinto una borsa di studio che gli permise di osservare il lavoro del neurologo Charchot alla Salpetriere di Parigi, tornò a Vienna, dove collaborò con lo psichiatra Breuer austriaco, studiando e curando molte malattie nervose. In seguito alla rottura di questa collaborazione, proseguì da solo e visse curando i pazienti nevrotici. Nel 1910 fondò la Società Internazionale di Psicanalisi, a Norimberga, che presto ebbe sedi in tutta Europa e negli USA. Essendo figlio di ebrei, nel '33 le sue opere vennero bruciate nel rogo di Berlino e, dopo l'Anschluss, fu costretto ad emigrare a Londra, dove muore nel '39, stroncato da un terribile cancro alla mascella, mentre meditava di tornare in Austria.

B) Panorama della psicologia: Nella seconda metà dell'Ottocento, lo stato dell'arte di questa disciplina era circoscritto alla psicologia fisiologica, detta psicofisica. L'impianto metodologico di questa scienza era quello positivistico, una sorta di fisica della mente, basata su presupposti meccanicistici, secondo cui qualsiasi evento psichico ha un corrispettivo fisico ed organico (parallelismo psico-fisico). Gli studi di Weber e Fechner (considerati gli iniziatori della psicologia psicofisica) avevano condotto a stabilire una legge matematica che spiegasse la relazione tra stimolo e percezione/sensazione (indicava di quanto dovesse essere aumentato lo stimolo perché si avvertisse un uguale aumento di sensazione). La psicologia scientifica nasce nel 1875 a Lipsia nel laboratorio di Wundt, le cui ricerche si basavano su elementarismo ed associazionismo (l'attività della mente è scomponibile in unità elementari attraverso la cui associazione è possibile studiare l'attività stessa). Il metodo era quello introspettivo, denunciato come non valido da Comte. Tutta questa psicologia riferiva i suoi studi unicamente alla dimensione della coscienza.

Freud si dedicò in gioventù alla ricerca: fu traumatizzato quando, avendo scoperto gli effetti benefici dal punto di vista visivo della cocaina, provocò la morte di un suo amico che aveva sottoposto a cure sperimentali con questa droga. Nel 1885, Freud è a Parigi quando Charchot stava sperimentando una nuova forma di intervento contro l'isteria, malattia nervosa conosciuta da millenni. Il nome deriva da un termine greco che significa "utero": i greci pensavano che esso nelle isteriche migrasse verso il cervello. Essa si manifestava con una serie variegata di sintomi, molti dei quali di conversione somatica, come cecità, mutismo, sordità, paralisi motoria ed anoressia. Erano proprio questi sintomi somatici senza alcuna eziologia organica a interessare la comunità scientifica. Charchot utilizzava l'ipnosi, una pratica di suggestione che induceva un abbassamento del livello di coscienza della paziente. La paziente giungeva così al punto da instaurare un rapporto particolare con il medico, ai cui ordini era molto obbediente, tanto da far tornare a camminare persone paralizzate da tempo. La comunità scientifica si interrogava quindi sull'esistenza di una dimensione della psiche inaccessibile coscientemente. Al risveglio, le pazienti avevano dimenticato tutto ed avevano gli stessi sintomi. Freud approfondisce con Breuer una tecnica per la cura delle malattie nervose che si avvale dell'ipnosi, ma la utilizza diversamente: ipnotizza la paziente e la fa parlare, affinché racconti tutti i ricordi che affiorano alla sua mente. Questi spesso sono penosi e traumatici; al risveglio la paziente, liberatasi da questi ricordi, appare guarita. Questa tecnica era definita metodo catartico, perché si basa sulla abreazione (= scarica). Uno dei casi più importanti era quello di una giovane della media borghesia viennese, Anna O., con vari sintomi isterici, che soffriva a intermittenza di anoressia, cecità, paralisi motoria e soprattutto idrofobia. Durante l'ipnosi emerse il suo ricordo di aver visto, al capezzale del padre morente, il cane della governante bere in un piatto da portata. Al risveglio l'idrofobia era passata. Il suo grande trauma in realtà derivava da ciò che aveva patito al capezzale del padre: tale emozione, legata al ricordo di copertura (quello del cane), era stata con esso seppellita, provocando il sintomo. Ben presto tra Freud e Breuer nacquero divergenze scientifiche. Freud era poco convinto dell'efficacia del metodo ipnotico, perché scoprì che dopo un po' di tempo i sintomi si ripresentavano, spesso in nuove forme. Inoltre egli considerava il rapporto paziente-analista come strumento efficacissimo della cura, esplorandolo e utilizzandolo a fini terapeutici, mentre l'anziano Breuer, provenendo da una cultura perbenista, era preoccupato dal fatto di non poter controllare il rapporto con la paziente, da lui attratta, al punto di pensare di abbandonare questo tipo di terapia. Questo rapporto fu definito da Freud "transfert", ovvero il trasferimento nella persona del medico di stati d'animo ambivalenti (amore e odio) provati dal paziente durante l'infanzia nei confronti delle figure parentali. Si passava così dall'amore, all'invidia, all'odio, alla rabbia, ., con una riedizione dei sentimenti già vissuti dal paziente. L'ultimo atto della collaborazione Freud-Breuer sono gli "Studi sull'isteria", che comprendono già un'ipotesi sull'eziologia della nevrosi: Freud non si accontenta di rilevare i sintomi della malattia, ma vuole risalire alle cause. Questo modello prenderà corpo negli anni successivi e verrà definito modello idraulico. Il sistema psichico è volto a mantenere il suo equilibrio interno (omeostasi), col minore dispendio di energia. Il ricordo di un evento traumatico (o di un desiderio inaccettabile), probabilmente risalente all'infanzia, viene dimenticato e allontanato stabilmente dalla coscienza per effetto di un meccanismo di difesa, che si chiama rimozione. Connessa alla rappresentazione del ricordo e del desiderio rimosso c'è una carica emotiva che tende a riemergere per scaricarsi, ma trova la strada sbarrata da una sorta di censura (il "guardiano"). Ma se la passione diventa forte, prima o poi la carica emotiva troverà un varco, che non è il suo, e si manifesterà quindi diversamente, attraverso una maschera, cioè una deformazione che permette di scaricare energia senza farsi riconoscere dal guardiano. L'impulso mascherato è il sintomo, che dunque appare come una soluzione di compromesso tra il desiderio inconscio rimosso e la censura, cioè la forza che impedisce il ricordo. Il sintomo è insomma un processo omeostatico, è una valvola di sfogo, funzionale alla salute psichica. E' come se due individui fastidiosi, allontanati dalla sicurezza durante una conferenza, si mascherassero per rientrare o si insinuassero da una porta sul retro. Compito dell'analista sarà smascherare l'impulso per andare a vedere il contenuto rimosso. Con l'ipnosi si toglieva il sintomo, non intervenendo sulla causa. Freud mette invece a punto da solo un nuovo metodo per la cura delle nevrosi, il metodo psicanalitico: abbandonata l'ipnosi, il medico fa rilassare il paziente (per esempio facendolo stendere su un lettino) e gli chiede di riferirgli tutto ciò che gli passa per la mente, senza censurare nulla (metodo delle libere associazioni). Se la mente è lasciata libera, si allenta il controllo della censura ed emergono così contenuti che appartengono a ciò che è stato rimosso o che gli siano vicini, riguardanti il nucleo patologico del paziente, che l'analista possa interpretare, utilizzando lo strumento ermeneutico per individuare la causa. A questo punto Freud ha già elaborato la cosiddetta prima topica dell'apparato psichico. Egli infatti concepisce l'apparato psichico come suddiviso in tre luoghi: inconscio, pre-conscio e coscienza.

l'inconscio è il serbatoio (come la memoria pura di Bergson) di energia psichica ("flussi pulsionali"), di ricordi e desideri rimossi e insomma di tutto il nostro passato. Ciò che è nell'inconscio lo è stabilmente: come una cantina di cui non si ha più la chiave. Solo con certe tecniche di analisi è possibile far riemergere qualcosa dall'inconscio;

il preconscio è una sorta di filtro tra inconscio e conscio. In esso ci sono i ricordi e i desideri che possono essere facilmente rievocati: è il magazzino di cui abbiamo la chiave;

la coscienza è la dimensione psichica responsabile del contatto con la realtà, del suo esame, della percezione, della volontà, della deliberazione, della consapevolezza, dei ricordi accettabili, di tutto ciò che fa parte del mio io.

L'atto di nascita vero e proprio della psicanalisi è la pubblicazione del capolavoro di Freud, "L'interpretazione dei sogni" (1900). Freud, mentre applicava il metodo delle libere associazioni, si accorge che il racconto dei sogni è uno strumento importante per accedere all'inconscio. Tra il 1895 e il 1900 egli aveva intrapreso un percorso di psicanalisi, sottoponendo per primo se stesso a questo metodo (autoanalisi). Egli scopre che il sogno è la "via regia" per l'inconscio, e lo definisce come realizzazione camuffata di un desiderio. Ciò è tanto più evidente quanto più si prendono in esame i sogni infantili ed organici. Il sogno ha una funzione fisiologica (Freud lo definisce come "custode del sonno"), quella di mantenere lo stato di sonno il più a lungo possibile. Ciò è vero anche quando il sonno ci appare terrifico o addirittura un incubo. Se i sogni sono la soddisfazione di un desiderio perché non lo sono in forma diretta? In realtà anche durante il sonno agisce la censura. Essa agisce sempre durante la veglia, con molta attenzione in quanto il soggetto si relazione col mondo, ma durante il sonno non c'è collegamento tra i muscoli e le immagini sognate. Ciò rappresenta l'opportunità per i sogni di rivelare meglio l'inconscio, ma al tempo stesso la censura c'è e i sogni vanno decifrati. Freud distingue due livelli del sogno: il contenuto manifesto e il contenuto latente. Il contenuto latente è quello vero, del desiderio inconscio, che per effetto della censura subisce una trasformazione ed appare come contenuto manifesto. Il processo psichico che determina l'apparire del sogno come contenuto manifesto si chiama lavoro onirico. Le deformazioni del contenuto manifesto sono il frutto di due processi: elaborazione prima ed elaborazione secondaria. L'elaborazione primaria consiste nella drammatizzazione, con dei meccanismi volti ad ingannare la coscienza:

la condensazione rappresenta con lo stesso elemento più contenuti latenti (ad esempio, l'uomo oppresso dalla moglie e con un cattivo rapporto con la madre: sogna una megera e le ricorda entrambe);

la dispersione fa sì che un solo elemento del contenuto latente sia espresso da diversi elementi del contenuto manifesto;

lo spostamento d'accento fa apparire marginale ciò che invece è l'elemento più importante del contenuto latente, e viceversa;

la sostituzione con l'opposto è il più ingannevole, perché si ama ciò che si odia e viceversa. Nel sogno non esiste la negazione, anzi: ciò che precede è ciò che nella realtà segue;

la trascrizione simbolica è il più importante, in quanto il contenuto latente viene espresso mediante simboli, che sono in parte individuali, in parte universali e che riguardano soprattutto la vita, la morte ed il sesso.

L'elaborazione secondaria inizia nel sonno e continua nelle fasi successive, come nella veglia. È la tendenza a razionalizzare il sogno, mettendolo in ordine e deformandolo. Il lavoro onirico deve decifrare il sogno con l'interpretazione. Con gli incubi, infine, il sogno fallisce, perché la censura sbaglia ad operare facendo emergere qualcosa che doveva stare nascosto. Freud in seguito si accorse che altri elementi inconsci potevano essere letti con maggiore attenzione. Nella "Psicologia della vita quotidiana" esamina i lapsus, le dimenticanze, gli atti mancati che erano stati attribuiti ad elementi casuali.

A)   D: d

B)                                       I tre saggi sulla teoria sessuale: Freud si rende conto che la maggior parte dei contenuti dei sogni sono di natura sessuale: pone la sessualità al centro della sua indagine. La sessualità era intesa come genialità, come congiungimento carnale di un individuo con uno del sesso opposto, volto alla procreazione. La sessualità dovrebbe comparire come una rosa nel deserto e manifestarsi come attrazione irresistibile: ma non si spiegherebbero le manifestazioni di desiderio sessuale nell'infanzia e le perversioni, o comunque la soddisfazione che non avviene attraverso la procreazione. La sessualità deve quindi essere estesa ad altri comportamenti della vita. Propone una teoria in cui la sessualità rappresenta l'energia pulsionale fondamentale dell'essere umano ed è responsabile del suo sviluppo, della sua maturazione psichica e anche della malattia. Le nevrosi dipendono quindi da disfunzioni nella sessualità. Freud fu accusato di pansessualismo. L'energia sessuale concepita come patrimonio innato dell'essere umano fu definita libido. Si presenta come una pulsione (trieb), che migra da una zona del corpo ad un'altra zona in corrispondenza dello sviluppo fisico. Queste zone sono definite erogene, generatrici di piacere erotico. La pulsione sta al limite tra il fisico e lo psichico e consiste in una spinta che ha la sua fonte in uno stato di tensione interna all'organismo e che raggiunge la sua meta scaricando questo stato di tensione nell'oggetto o attraverso esso. Freud elaborò una teoria della sessualità infantile, concependo il bambino come un perverso polimorfo. In lui la libido giunge alla sua meta indipendentemente dai fini riproduttivi e mediante i più diversi organi corporei. Freud concepì tre fasi dello sviluppo psicosessuale del soggetto, caratterizzate ciascuna da una specifica zona esogena:

fase orale inizia dai primi mesi di vita e va fino ad un anno e mezzo. Il piacere è nella zona della bocca e si manifesta nell'attività della suzione e della deglutizione. Ciò è strettamente connesso alla sopravvivenza: si prova piacere per essere allattati. Si ha così un piacere autoerotico (il bambino trae piacere da se stesso, succhiando il dito). Per quanto lungo sia l'allattamento, tutti sono d'accordo che sia durato troppo poco;

fase anale da un anno e mezzo di vita a tre anni. È legata alle funzioni escretizie, da cui si prova piacere nell'espletare. La mamma cerca di insegnare al bambino il controllo dei muscoli, indicando come e dove espletare. Si passa da una fase di autoerotismo a una fase in cui compare l'oggetto esterno (madre), che educa il figlio. In questa fase compare l'ambivalenza, con la presenza di amore e odio. La nascita di questa è dovuta all'atteggiamento materno nei confronti del bambino;

fase fallica va dai tre anni di vita ai sei/sette anni. È chiamata così perché la scoperta del pene costituisce l'oggetto della curiosità ed dell'attrazione sia del bambino, che della bambina. Ciò determina sentimenti ed emozioni, uniti all'angoscia della castrazione, che diventa più forte se al bambino è dato di vedere un organo sessuale femminile (concepito come l'esito della castrazione). Nella bambina c'è anche il complesso di castrazione, vedendo il pene del maschio: infatti teme di essere stata castrata (invidia del fallo). La fase fallica è fondamentale, perché in essa si verifica il complesso di Edipo. Il bambino ha un attaccamento lipidico nei confronti del genitore del sesso opposto. È ambivalente, tra ammirazione ed invidia, che confronti del genitore dello stesso sesso. Il complesso edipico va superato in virtù dell'angoscia di castrazione. Il bambino si identificherà così col padre, trasferendo il suo amore su oggetti più idonei nella fase successiva: la fase di latenza, in cui tutte le pulsioni sessuali sono nascoste (fino ai dieci anni), seguita da una fase genitale (dove lo sviluppo sessuale viene completato). La bambina, invece, nel complesso di Elettra, teme di perdere l'affetto e la stima della mamma ed abbandona il suo primo oggetto d'amore.

Tutti gli aspetti pulsionali pregenitali vengono in qualche modo messi al servizio della genialità: se non mantenessimo una pulsione orale non troveremmo piacere nel baciarsi. Lo scopo della genialità è la sessualità con fini produttivi. Il caso contrario si ha la perversione, col voyeurismo, sadismo e masochismo. Freud giunge ad una conclusione che contraddice i suoi primi studi. Riteneva infatti che gli adulti nevrotici avessero avuto dei traumi da piccoli. Ora scopre che non c'è nessun trauma, ma sono le fantasie sessuali dell'infanzia che possono provocare i sintomi. La libido è incamminata verso progresso, una forza che determina lo sviluppo sessuale. In un qualche momento si può verificare un intoppo, che determina la fissazione. Dopo di che lo sviluppo continua e si perviene allo sviluppo genitale adulto. Ora può accadere che un trauma, una fantasia o un evento lo metta in difficoltà. Questo nuovo ostacolo non è necessariamente legato al primo, ma ora l'energia non ha abbastanza forza per procedere e rifluisce indietro fino a dove c'era stata la fissazione. Essa, con la successiva regressione, determina patologie mentali più gravi (psicosi schizofrenica nella fase orale, psicosi maniaco-depressiva nella fase anale, nevrosi nella fase fallica). Nel 1910 Freud fonda la Società Psicanalitica Internazionale, in seguito alla quale però ebbe delle difficoltà e molte delusioni dai suoi allievi, che si dissociarono dal pansessualismo. Si crearono così altre due scuole: la scuola di Adler (fondata nel 1911 con nome di Scuola di Psicologia individuale, dove il sesso è un elemento come tanti altri) e la scuola di Jung (fondata nel 1913, evolvendo verso un'interpretazione antropologica-spiritualistica).

C)                                       La metapsicologia: Nel 1915 Freud elabora il concetto di metapsicologia, concependo la sua psicanalisi come uno strumento di interpretazione della realtà. La metapsicologia considera tre punti di vista da cui esaminare l'apparato psichico:

dinamico riguarda i conflitti pulsionali e le loro composizioni;

topico descrive i sistemi psichici, preposti a diverse funzioni (come la topica dell'inconscio, preconscio e conscio);

economico è il punto di vista energetico, che dà vita alle forze pulsionali. Freud distingue tra due principi economici:

o   principio di piacere: tende alla scarica immediata di qualsiasi tensione. È visibile nel bambino quando ha questa tensione derivata dalla volontà di nutrirsi: allora allucina la funzione di nutrirsi, scaricando il bisogno e tranquillizzandosi. Questo principio non è funzionale alla vita;

o   principio di realtà: deriva dalla realtà esterna e consente progressivamente di procastrinare la soddisfazione del bisogno se mancano le condizioni di soddisfazione di esso. Consente lo sviluppo delle attività psichiche superiori, con l'attenzione, la percezione, la memoria, le capacità motorie. L'ambiente gioca un ruolo essenziale.

Freud presuppone l'esistenza, a fianco ad una passione lipidica, dell'istinto di morte. In quegli anni, Freud affronta le nevrosi di guerra, in cui i pazienti continuano a rivivere gli episodi più terribili della loro esperienza, individuando il meccanismo della coazione a ripetere: è come se il soggetto fosse costretto a ripetere gli episodi peggiori della propria vita. Questo, per Freud, non è funzionale, non ha nulla a che fare con la libido: per questo arriva a postulare l'esistenza di un impulso contrario alla vita, una tendenza organica e psichica alla morte, intesa come scarica e assenza totale di eccitazioni. Secondo Freud ogni organismo muore perché è come se avesse codificata la morte dentro di sé: una volta compiuto il suo ciclo, giunge al riposo eterno, all'equilibrio dopo una vita di squilibrio. Se thanatos è rivolta all'interno, si manifesta come pulsione autodistruttiva (originariamente è rivolta verso l'individuo, perché questa è la sua funzione), ma per difesa essa è proiettata all'esterno: è quella che conosciamo come aggressività. Nella vita di un individuo, libido e thanatos coesistono e sono impastate. Nel '23 c'è infine la seconda topica, "L'io e l'es". L'apparato psichico è suddiviso in tre istanze (= soggetti): es, super-io e io. L'es è solo inconscio, l'io e il super-io sono sia inconsci, sia pre-consci, sia consci, ma l'io è prevalentemente conscio, mentre il super-io è prevalentemente inconscio.

Es (= esso) è il polo pulsionale della personalità, il fondo oscuro in cui si agitano eros e thanatos, in cui ci sono i desideri rimossi, in cui domina il principio di piacere. Nell'es non vale il principio di non-contraddizione, si è al di là delle coordinate spazio-temporali, è insomma al di là delle leggi della logica;

Il super-io è costituito dal super-io vero e proprio e anche dall'ideale dell'io. Il super-io è la nostra coscienza morale, ma quella parte del super-io che si chiama ideale dell'io è il nostro io ideale. Esso è il risultato della risoluzione del complesso edipico, comincia perciò a formarsi tra i 4 e i 5 anni, consiste nella introiezione dei comandi, dei divieti e delle regole dei genitori, in particolare di quello dello stesso sesso, che si trasformano in voce della coscienza;

L'io è la parte organizzata della personalità, dove domina il principio di realtà, è il soggetto di tutte le funzioni organizzate della personalità (attenzione, memoria.). Ina parte è conscia, quella con cui ci rapportiamo agli altri, una parte è inconscia, e riguarda i meccanismi di difesa: rimozione, sublimazione (= meccanismo che consiste nella deviazione degli impulsi libidici e di morte verso mete socialmente accettabili) e proiezione (= meccanismo per cui io proietto alcune mie paure nella realtà esterna).

L'io deve mediare tra gli istinti e le pulsioni dell'es, i comandi e i divieti del super-io e le norme, i vincoli e le leggi della realtà: è un miracolo, dice Freud, che l'io qualche volta sia sano ("Un uomo è sano quando è in grado di amare e di lavorare"). Il confine tra salute e malattia diviene perciò molto labile. La malattia può intervenire anche in virtù del super-io: un super-io troppo severo ci rende insicuri e votati all'insuccesso, un super-io troppo poco severo ci rende inclini alla criminalità, all'abuso di droghe e alcool, alla perversione sessuale.

D)                                       "Totem e tabù": Per quanto riguarda gli studi di Freud sulla società, molto interessante è "Totem e tabù", in cui Freud cerca di delineare l'origine delle civiltà in modo psicanalitico. In quest'opera Freud vuole rintracciare l'origine della morale e della religione, facendole derivare dalla figura del padre. Egli ipotizza uno stato di natura in cui gli uomini vivono in orde (clan primitivi), in cui c'è un unico maschio che ha il possesso esclusivo delle donne, cui i figli non possono accedere. Nella costruzione metaforica di Freud, ad un certo punto essi si ribellano a questo dispotismo, uccidono il padre e lo divorano (pensando in questo modo di acquisirne la forza). Dopodiché, tuttavia, sono essi stessi a vietarsi da sé ciò che prima il padre vietava loro, codificando il divieto dell'endogamia (il matrimonio all'interno del clan) e il divieto di cibarsi di un animale prescelto come simbolo del padre. Introducono cioè due tabù (termine di origine polinesiana che significa "intoccabile"). L'animale sacro che viene istituito è il totem (che deriva dalla cultura degli indiani d'America e significa "il tuo segno"). Il divieto dell'endogamia è l'inizio della morale, l'istituzione dell'animale sacro, oggetto di culto e venerazione, è l'inizio della religione (solo nel giorno della forza rituale si può cibarsi di quell'animale: è il pasto totemico, che rappresenta in modo ritualizzato l'acquisizione della forza del padre). Nell'opera "Il disagio della civiltà", Freud pessimisticamente afferma che la civiltà è l'unica forma di organizzazione che permette la sopravvivenza degli uomini. Essa è quindi una conquista importantissima per l'umanità. Tuttavia essa ha i suoi costi: produce infelicità, perché funziona come un super-io collettivo esterno (che si aggiunge al super-io individuale), costituito da scuola, Stato, Chiesa, convenzioni sociali, che ci impongono altre regole che impediscono la soddisfazione dei nostri impulsi, nefasti per la civiltà (soprattutto thanatos). La nostra piccola fetta di felicità all'interno della società si può conquistare attraverso la sublimazione: deviazione dei nostri impulsi verso una meta socialmente accettabile, che permette, almeno in parte, la soddisfazione dei nostri impulsi (ad esempio, il chirurgo fa del bene all'umanità mentre soddisfa il suo impulso aggressivo).





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