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Lezioni di storia del diritto romano - sintesi

giurisprudenza



Lezioni di storia del diritto romano - sintesi


Cronologia:

Le origini;

La Repubblica dal 509 al 27 a.C.;

Repubblica arcaica sec. V-IV a.C.;



Media e Tarda repubblica sec. III-I a.C.;

Il Principato dal 27 a.C. al 284 d.C.;

Alto Principato (da Augusto a Traiano);

Medio Principato (da Adriano alla fine della dinastia severiana nel 235 d.C.);

Anarchia militare (235-283 d.C.);

Il Dominato (impero tardo - antico) da Diocleziano (284 d.C.) a Giustiniano (565 a.C.);


Le origini

La penisola italiana tra il II e il I millennio a.C

L'età del bronzo vede una certa omogeneità culturale.

Dal 1800 ca. al 1050 a.C. si sviluppa la cultura "appenninica", così chiamata per la sua stretta relazione con la dorsale montana:

Villaggi su alture o sulle pendici dei colli, con minuscolo numero di capanne;

Allevamento ovino, suino e caprino ed economia di sussistenza;

Organizzazioni di tipo tribale in rapporto di interazione;

Esistevano forme di scambio al sud, specialmente con i Micenei (tempo in cui si svolgono le narrazioni omeriche. Questo giustifica il soggiorno di Diomede, Odisseo e Nestore in Italia).

Durante la fase finale dell'età del bronzo si delineano le culture subappenninica e protovillanoviana.

In quest'ultima epoca, poi, l'agricoltura si sviluppa molto Þ crescita demografica società più articolata e divisione del lavoro.

Mentre la subappenninica proseguì negli insediamenti precedenti, la protovillanoviana propose diverse innovazioni:

le grandi tombe nascita della società gentilizia e proprietà privata;

ideologia guerriera cfr. X sec. a.C. corredi funerari bronzei, in area laziale, con armi miniaturizzate, per i maschi adulti;

pater familias cfr. urne a forma di capanna. Egli era il capo del gruppo sociale fondamentale, guerriero e sacerdote dei culti domestici;

Più famiglie villaggio (lat. vicus e gr. oikoV <<FoikoV>>). Le capanne erano disposte in modo uniforme e a poca distanza sfruttamento razionale del territorio.


Fase protourbana nel Lazio e la "fondazione" di Roma

Quadro geografico: il Latium vetus confinava a nord col Tevere, a ovest col mare, a est con le alture che lo separavano dai sabini e a sud coi colli Albani e con la pianura verso Circei e Terracina.

In quest'area erano insediati i Latini, una popolazione d'origine indoeuropea, con rapporti di lontana parentela con altri popoli (Sanniti.). Erano calati nella facies villanoviana, ma erano molto simili agli Etruschi.

Il periodo iniziale ci è noto attraverso le tombe a incinerazione e caratterizzate dal rituale della miniaturizzazione del corredo. L'urna assume la forma di una capanna. Col IX sec. a.C. continuano questi usi, ma compare anche l'inumazione in fossa, che divenne esclusivo successivamente. Ruoli sociali in base a sesso ed età.

Insieme di piccoli abitati vicini e legati sul piano religioso e politico. Il fondamento del sistema sociale è la famiglia patriarcale in cui il progenitore vivente era il signore assoluto delle cose e delle persone, che regolava ai fini della sopravvivenza della famiglia, dell'ordine interno e dell'organizzazione economica.

Il pater era capo e sacerdote, onnipotente nella domus, in cui tutti gli erano sottoposti.

Tra la fine del IX e gli inizi dell'VIII a.C. si assiste a un fenomeno di stratificazione, che originò le aristocrazie.

Lazio, metà VIII a.C.: articolarsi dei livelli di ricchezza e crescita demografica.

Insediamenti di nuovo tipo e realtà produttiva basata sull'appezzamento di terra ereditario (heredium) Þ società gerarchizzata, in cui coesistevano gruppi parentali con autonoma capacità di produzione e di accumulo di ricchezze. Da essi dipendono clientele con individui inferiori. Dunque origine della gens che si affianca alla familia, senza però sostituirla.

pater familias: evidenzia il rapporto di parentela;

princeps gentis: evidenzia il ruolo politico;

Dalla seconda metà dell'VIII sec. a.C. ci fu il dominio di capi guerrieri, il cui potere era fondato sulle armi, sul possesso della terra e sul controllo dei traffici, con grande accumulo di beni simbologia del potere che riprende i fasti orientali.

I Romani, in età storica, fissarono la data della fondazione della città al 754 circa a.C.. Partendo dal dato sicuro della nascita della repubblica e la cacciata dei Tarquini intorno all'anno 509 a.C., essi attribuirono ai sette re una media di 35 anni di regno, 35 7=245 e 245+509=754

Alcuni parlavano dell'839 a.C. (fondazione di Cartagine).

L'apporto sabino alla fondazione di Roma fu dato da Tito Tazio, già re di Cures, associato al trono da Romolo (eroe eponimo che dà il nome alla città) e da Numa Pompilio.

I fondatori mitologici sarebbero invece Enea (fonda Lavinia) o Eracle (civilizzatore).

Il primo nucleo di Roma è sorto sul Palatino. Sulla base di testimonianze archeologiche, la fondazione avvenne alla metà dell'VIII a.C.: periodo cioè della prima linea pomeriale attorno al colle. L'importanza del Palatino è data dalla posizione geografica favorevole, su un'ansa del Tevere; in precedenza l'egemonia era di Alba Longa (distrutta da Tullio Ostilio. Gli abitanti deportati formarono le curiae novae).

I Triginta populi Albenses si riunivano una volta all'anno sul monte Albano per celebrare un sacrificio a Iuppiter Latiaris. Al primo posto fra questi ci sono gli Albani. Non erano ricordati i Romani, ma citati i Velienses (abitanti della Velia sul Palatino), i Querquetulani (Celio) e i Vimitellani (Viminale). Nell'VIII sec a.C. si avviò il processo di integrazione che portò alla nascita della città. Il rito del Septimontium (processione dal Palatino che evitava Quirinale e Viminale) rivela il legame religioso. La comunità del Palatino era promotrice del rito.

Le istituzioni di Roma durante la monarchia latina

Quadro generale: partendo dall'affermazione di K. Marx, per cui la guerra è il grande lavoro collettivo di ogni comunità primitiva, si nota come essa abbia comportato la conquista di terre e la sottomissione di gruppi vicini.

Nel Lazio tra IX e VIII sec. a.C. nascono élites guerriere, in possesso di notevoli ricchezze aristocrazie.

Diverse strutture portanti nella società:

il rex che è sia sacerdote sia capo militare;

il populus è la comunità degli uomini in armi (dal verbo populo, populari = devastare, saccheggiare);

le curiae associazioni di genera hominum per il reclutamento della fanteria (da coviria = insieme di uomini);

le tribus sono istituzioni territoriali per il reclutamento della cavalleria;

il Senato è l'assemblea dei patres;

i clientes sono individui al seguito di persone eminenti (cliens è colui che ascolta o obbedisce, da kluw = ascolto);

le familiae sono i nuclei;

le gentes sono aggregati, legati da consanguineità o dipendenza, guidati da gruppi aristocratici;

l'artigianato è in linea di massima estraneo al corpo sociale in epoca arcaica. Mentre i metallurghi godono di uno status di privilegio, la ceramica e la lavorazione dell'argilla sono in mano agli stranieri. Il flamen Dialis (flamine di Giove), il sacerdote più importante dell'epoca protostorica, non può incontrare alcun vasaio, nel recarsi a un sacrificio; questo tabù conferma l'estraneità dei vasai dal corpo sociale.


Il rex

Era il perno del sistema politico di Roma primitiva. Poteri militari, civili e religiosi capo militare, giudice supremo e legislatore.

Era il garante della pax deorum. Mediante gli auspicia egli interrogava le divinità su tutte le decisioni riguardanti la vita della città. Originariamente era il compito fondamentale (cfr. Romolo "additio avium", quando vide 12 uccelli mentre Remo ne vide 6).

Autorità politica e religiosa imperium, potere supremo.

Il rex sarebbe stato eletto dai comizi curiati, con l'autorizzazione del senato. La lex curiata de imperio, di età repubblicana, dimostra la partecipazione delle curie, probabilmente limitata solo al riconoscimento del sovrano scelto dall'interrex. L'istituto dell'interregnum è la prova dell'importanza dell'assemblea dei patres anche in questo ambito.

Interregnum venuto a mancare il rex, il potere era attribuito a un collegio di dieci senatori, Le funzioni di interrex erano esercitate per cinque giorni a testa. La creatio del nuovo re era opera di uno di loro, a eccezione del primo, quando i segni divini erano favorevoli.

Secondo le nostre fonti, l'unico re che non fu creato da un interrex fu Romolo; alla morte del rex il potere tornava ai patres auspicia ad patres redeunt.

In conclusione la nomina del re è legata alla scelta dei patres; una scelta confermata dall'inauguratio (e non dalla partecipazione attiva dei comizi), una cerimonia in cui un augure, innanzi al popolo radunato nei comizi, invocava l'assenso divino, con l'imposizione delle mani.


Il senato

Assemblea degli anziani delle gentes, i cui componenti in origine erano solo i patres.

Il senato collaborava con il re e ad esso tornavano gli auspicia.

In età monarchica avrebbe avuto 100 membri e poi 150 o 200, in seguito alla fusione sabina. Sue prerogative erano l'interregnum e l'auctoritas, vale a dire la ratifica delle deliberazioni comiziali. Compito del senato era fornire pareri al re, qualora ne facesse richiesta ( senatoconsulti).


I comizi curiati

Furono la prima assemblea dei cittadini maschi, articolati nelle 30 curie in cui era divisa la città. (cfr. Lelio Felice, giurista sotto Adriano nel II sec. d.C., che ricordava che la cittadinanza votava nei com. cur. ex generibus hominum).

Curiae (da coviriae) = luogo di riunione dei viri

Ognuna di esse doveva fornire un contingente di 100 fanti e 10 cavalieri.

L'esistenza delle curie è molto antica festa curiale dei Fornacalia, dedicata alla confezione del pane di spelta (l'antichità della festa è sicura e non può risalire al II mill. a.C.) e organizzazione non gentilizia, ma basata su oikoi / vici (case), hiereis (sacerdoti) e leitourgoi (prestatori di servizi), secondo la descrizione fatta da Varrone e trasmessaci da Dionigi di Alicarnasso; la curia rappresenta la comunità di villaggio ed è originariamente a struttura egualitaria (cfr. rito delle feriae stultorum, che prevedeva la partecipazione ai Quirinalia di chi avesse dimenticato la curia d'appartenenza- stulti-).

La riunione del comizio avveniva in uno spiazzo, nel Foro, detto Comitium. I Quirites (uomini delle curie) si dividevano per curie, mentre l'intera assemblea era presieduta dal curio maximus e, in alcuni casi, dal pontifex maximus.

Il comizio votava le leggi proposte dal re (leges regiae): il ruolo era passivo (adesione e acclamazione).

Altro tipo di assemblea delle curie, erano i comitia calata: era diversa la forma di convocazione, che avveniva con un araldo (calator) su disposizione dei pontefici. Compiti dei comitia calata erano:

l'inauguratio del rex e dei Flamines;

il testamentum calatis comitiis;

la detestatio sacrorum;

L'adrogatio pare fosse dei comizi curiati.

Ramnes, Tities e Luceres erano le tre tribù originarie o romulee.


Le gentes e la clientela

Festo ci informa che sette antiche curie non potevano essere evocate nelle nuove e, tramandandoci quattro di questi sette nomi (Foriensis, Rapta, Veliensis e Velitia), ci svela come le curie con nome di luogo o di culto siano più antiche rispetto a quelle con nome gentilizio.

La gens esiste come entità politica soltanto dopo la prima divisione in classi, che è l'istituto della clientela, caratterizzata da:

facoltà di sfruttamento della terra (anche se meno dei membri della gens) in cambio di doveri connessi al vincolo sacrosanto della fides, come la partecipazione alle azioni politiche e militari della gens.

Le fonti illustrano l'ampia potestà del patrono sul peculium dei clienti.

Con lo stratificarsi dei rapporti sociali e con la crescita demografica, la sola familia non poteva più fronteggiare la complessa situazione che si era creata, ma la gens, agglomerato di non basato esclusivamente sulla consanguineità, sì.

Gens = organismo di tipo familiare, in cui convivono membri consanguinei ed altri (clientes) che vi entrano mantenendo, però, ruoli subordinati, e che giurano fedeltà al princeps gentis.


L'onomastica: familia e gens

La formula onomastica bimembre (prenome + nome gentilizio), in latino, in etrusco e in altre lingue italiche, fornisce informazioni utili per collocare cronologicamente la genesi delle gentes.

Prenome: designativo non trasmissibile (es. Aulo Marcio);

Gentilizio: rappresenta un antico patronimico (es. Aulo Marcio, figlio di Marcus);

L'innovazione del latino, rispetto al greco, è di aver reso fisso e trasmissibile il patronimico, che in greco muta in ragione della genealogia (es. greco: Cleante - Cleonimo - Cleandro "Cleonimo figlio di Cleante" e "Cleandro figlio di Cleonimo"; es. latino: Marcus - Aulus - Titus "Aulus Marcius" e "Titus Marcius").

In epoca molto antica (e i latini lo sapevano) i nomi erano semplici: Romolo, Remo.mentre nella generazione successiva l'onomastica è già bimembre (cfr. Numa Pompilio).

La fissazione del patronimico è avvenuta intorno all'VIII sec. a.C., con la nascita delle aristocrazie progressivo irrigidirsi della struttura sociale.

La figura del capostipite, dunque, assume un ruolo ideologico tanto importane, da giustificare il culto degli avi e dei Lari.


I sacerdoti

Indiscutibile è l'origine remota dei Fatres Arvales, dei Salii e dei Luperci Quinctiani e Fabiani, testimoni di culti ancestrali gentilizi, e dei Flamines (i tre maggiori: Dialis - di Giove -, Martialis - di Marte- e Quirinalis - di Quirino- + i 12 minori).

Cfr. tabù del vasaio età del bronzo: nascita del Flamen Dialis e Vestali.

Maggiore importanza, per la vita politica della città e per lo sviluppo del diritto, avevano i tre collegi degli Augures, dei Fetiales e dei Pontifices.

Gli Augures, in principio 3 e poi 5, ricercavano e interpretavano il volere divino col volo e il canto degli uccelli e l'osservazione di fenomeni naturali. A differenza degli auspicia, che il re era legittimato a prendere prima di ogni atto politico, gli auguria potevano riferirsi a situazioni più lontane nel tempo. Agli Augures spettava l'inauguratio del re.

Il collegio dei Fetiales (da fides o da foedus) era composto di venti sacerdoti a vita e si trovavano anche al di fuori del Lazio. Presiedevano alla stipulazione dei trattati con le altre città e gli altri popoli e vigilavano sul loro mantenimento e sulla corretta applicazione, chiedevano soddisfazione e presiedevano al rito della dichiarazione di guerra. Erano garanti della fides publica inter populos.

Per ogni rituale c'erano regole precise ius Fetiale.

Alcuni oggetti rituali, come il coltello di selce, con cui il pater patratus uccideva il porco nella cerimonia di stipulazione di un foedus, e la lancia sanguinea, scagliata entro il confine del nemico, per la dichiarazione di guerra, indicano la risalenza preistorica dei riti e (forse) dei sacerdoti al neolitico.

Il collegio sacerdotale più importante era quello dei Pontifices, i massimi custodi della religione romana e, dunque, dei sacra della città.

Festo definisce il pontefice massimo come "iudex atque arbiter rerum divinarum humanarumque".

Etimologia: per Q. Mucio Scevola pontefice massimo da posse facere; per Varrone da pontem facere (a loro fu attribuita la costruzione del ponte Sublicio, il primo ponte fisso sul Tevere, ai tempi di Anco Marzio).

Nei tempi più antichi erano 3 pontefici, in età monarchica divennero 5. Il capo fu il pontefice massimo. Compito del collegio era di:

esprimere il parere sulle varie cerimonie religiose e assistere con il proprio sapere i magistrati ad esse preposti;

redigere il calendario (giorni fasti e nefasti);

redigere gli Annales maximi, in cui scrivevano gli avvenimenti più importanti;

interpretare i mores maiorum (consuetudini ataviche);

assistere il re nell'interpretatio iuris

dare responsa ai privati (in quanto depositari della scienza giuridica), ma segretamente in penetralibus, solo ai singoli interroganti ( ogni anno un pontefice specifico se ne occupava);

Era il collegio depositario della memoria storica della città.


Ius e fas

A garantire ordine e coesistenza tra i diversi popoli probabilmente fu sufficiente, in origine, un certo numero di divieti religiosi (nefas).Ciò che non era nefas era fas, lecito.

Lo ius è uno sviluppo del fas. Nel quadro di quanto era ritenuto fas, venne a formarsi lo ius, cioè quelle norme prodotte dagli antenati e confermate consuetudinariamente (mores maiorum).

Lo ius Quiritium è la più antica qualificazione romana dello ius, derivante dai più arcaici mores maiorum. Era l'insieme dei diritti comuni alle varie gentes, che avevano contribuito alla fondazione della città. Non si identificava del tutto con lo ius né con gli ordinamenti gentilizi, poiché non comprendeva i iura esclusivi delle singole gentes (iura gentilicia), né i foedera.

Soggetti del diritto privato romano rimasero, anche successivamente, solo i patres familiarum, mentre soggetti del diritto pubblico sarebbero sempre stati tutti i cives.


La monarchia etrusca: dal basileuV al turannoV

I caratteri dell'egemonia etrusca su Roma.

Re etruschi: Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio Superbo.

L'egemonia etrusca su Roma non ebbe i caratteri di una conquista, ma rappresentò solo l'estendersi del controllo di gruppi militarmente forti. Cfr. la storia di Servio Tullio (il secondo re etrusco di Roma, dopo Tarquinio Prisco):

Secondo la leggenda romana, sarebbero stati i figli di Anco Marzio a uccidere Tarquinio Prisco. Servio Tullio, nato da una prigioniera, sarebbe stato figlio di un princeps di Cornicolo e avrebbe sposato una figlia di Tarquinio.

Secondo la versione etrusca: Servio Tullio, col nome di Mastarna, sarebbe provenuto da Vulci, da cui fu cacciato coi fratelli Celio e Aulo Vibenna. Cfr. i dipinti del sepolcro dei Saties - la tomba François - a Vulci, del 340 a.C., in cui Macstarna libera i fratelli Caile e Avle Vipinas.

Tarquinio Prisco, figlio di Demarato di Corinto, andò a vivere a Tarquinia. In questo periodo è facile lasciare la propria città ed essere annoverati tra i nobiles di quella nuova. Con lui nasce, a Roma, l'urbanistica: costruzione della cloaca maxima, pavimentazione dei comizi, inizio del tempio di Giove Capitolino e non solo.

Verso la fine del VII sec. a.C. città con case in muratura e urbanizzazione, conseguenza dello sviluppo economico. Espansione mercantile e aumento dell'opulenza dei consumi privati degli aristocratici. Moda dei fasti orientali.

La crescita urbana e sociale richiese l'ampliamento di numerose istituzioni civiche:

il senato fu portato a 300 membri: ai patres delle maiores gentes furono affiancati i patres conscripti, quelli delle minores.

si duplicarono le centurie dei celeres (cavalleria).

le vestali salirono da 4 a 6;


I fondamenti della legittimità del potere del re in epoca etrusca

Il re etrusco era ancora il supremo sacerdote, ma soprattutto il comandante di un nuovo esercito di tipo oplitico. Il suo era un potere illimitato di carattere militare imperium

Il suo carisma religioso non veniva solo dall'augurium e dall'auspicium, ma da rapporti privilegiati con la divinità: i miti greci e orientali sono utilizzati a fini politici, come base di legittimazione del potere. Cfr. rapporto fra Servio Tullio e la dea Fortuna, cui egli dedicò un sontuoso santuario. Era una vera e propria ierogamia. La base reale del potere etrusco è maggiore di quella romana: il re non è più primus inter pares, ma vi si associò una simbologia rituale che lo rende riconoscibile da una base sociale più diffusa (la comunità); il potere tirannico, infatti, limita sempre quello delle oligarchie, ma si concilia col favore del popolo.

I simboli dell'imperium erano etruschi:

la toga purpurea o laticlavius;

la sella curulis;

i fasces;

i littori;

Di origine etrusca era anche il triumphus.


Tattica oplitica e ordinamento centuriato.

La guerra in età villanoviana è combattuta in "duelli eroici", con l'uso di armi di origine centro - europea.

Nell'VIII sec. a.C. le forme di combattimento erano praticamente immutate.

Dalla metà del VII a.C., invece, è documentata l'adozione di falangi oplitiche in Etruria.

Questa nuova tattica avviava un processo dissolutivo degli antichi eserciti gentilizi, fondati sul valore dei principes. I comizi centuriati altro non erano che l'esercito oplitico riunito.

L'esercito era reclutato per classi di censo e non più sulla base dell'appartenenza a tribù gentilizie Þ il popolo, dunque, era diviso sulla base della ricchezza fondiaria. L'organizzazione centuriata aveva carattere timocratico (cfr. riforma di Solone e poi di Clistene ad Atene nel VI a.C., fondata su 4 classi di censo e sull'istituzione dei demi.).

Ai più ricchi erano affidati maggiori doveri, cui corrispondevano più ampi poteri e connessi onori. Al censimento forse sovrintendeva il re.

Da Aristotele sappiamo che l'ordinamento cittadino nacque, dopo l'era dei re, dall'ordinamento degli armati (nel senso di evoluzione della tattica oplitica e dell'involuzione dell'importanza della cavalleria gentilizia). La causa di questa trasformazione, in Grecia come in Italia, fu soprattutto lo sviluppo della metallurgia e la conseguente diffusione di armi metalliche.

Funzionale fu la divisione del territorio in tribù che, inizialmente, erano distretti per il reclutamento e l'imposizione di tributi. Alle prime 4 tribù urbane (Suburbana, Palatina, Collina ed Esquilina), si aggiunsero le tribù rustiche cambia così il criterio di appartenenza, basato non più sul domicilio, ma sul possesso fondiario (anche se non abitavano a Roma, i non proprietari di fondi erano iscritti nelle tribù urbane).


Le leges regiae

Attività normativa dei re (da Romolo in poi) che si esplicava in formulazioni orali, ma anche scritte Þ cfr. il lapis niger, il cippo attribuito alla monarchia etrusca, rinvenuto alla fine dell'800, su cui è incisa una norma sacrale formula sakros eset per chi l'avesse violata. È la stessa clausola sanzionatoria "sacer esto" di alcune leggi regie romane. L'homo sacer - destinato agli dei - poteva essere ucciso impunemente da chiunque, in modo da inviarne l'anima alla divinità cui era consacrata. Incerta è la tradizione che fa risalire a un pontefice (Papiro) la redazione e la pubblicazione, al tempo di Tarquinio il Superbo o subito dopo la caduta della monarchia, delle legies regiae in un unico corpus.


I caratteri della primitiva repressione criminale

A Numa Pompilio gli antichi attribuivano le norme repressive dell'omicidio volontario e involontario. Si qui hominem liberum dolo sciens morti duit, paricida esto chi uccide volontariamente sia punito come il patricida. In caso di omicidio involontario si procedeva con l'offerta pro capite occisi della testa di un ariete, ai parenti dell'ucciso.

Oggetto della sanzione non era, infatti il reato, ma l'offesa recata alla divinità. Non a caso molti illeciti erano colpiti con la pena di sacertà.

È possibile che esistesse una forma di partecipazione popolare ai giudizi criminali.

I questori avevano un ruolo importante nella repressione criminale, ma anche nell'amministrazione dell'erario.


La repubblica patrizia

Patriziato e plebe

Gli antichi facevano risalire la dicotomia "patrizi/plebei" a una divisione artificiale di Romolo, nell'ambito del popolo (cfr. Dionigi d'Alicarnasso e Plutarco "Vita di Romolo"). Ai patrizi (identificabili coi senatori), affidò il compito di attendere ai sacra e collaborare con il re nella gestione politica della città; ai plebei il compito di occuparsi di agricoltura, pastorizia e commercio.

Soltanto agli inizi del V a.C. - la "serrata" si data al 486 a.C. - il patriziato divenne un ordine chiuso.

L'origine della plebe è composita: fuggiaschi che sfruttavano l'asilo istituito da Romolo, artigiani, commercianti, ex clienti ed ex schiavi. La plebe, in età monarchica, aveva già al suo interno elementi poveri e ricchi. Nasce con lo sviluppo commerciale di Roma, contemporaneo alla nascita dei santuari emporici (con diritto d'asilo per gli stranieri). Da essa Tarquinio Prisco trasse addirittura dei senatori e quindi dei nuovi patrizi (i patres conscripti delle minores gentes).

Agli inizi degli anni '60 uno storico ungherese sostenne che i patrizi fossero i discendenti delle guardie a cavallo dell'ultimo re. I reperti ci fanno pensare all'esistenza di un gruppo aristocratico fin dall'VIII a.C.. Questa aristocrazia non ha origine unitaria, ma si crea con la nobiltà.


La crisi del V a.C. e il conflitto fra gli ordini

Soltanto nel V a.C. il patriziato si trasformò in un ordine chiuso, con connotati che ricordano quelli di una casta. I patrizi avevano una supremazia religiosa indiscutibile: solo loro potevano prendere gli auspicia. Il terrore del sacro era il più forte sostegno del loro potere.

In quel secolo, però, le difficoltà economiche causarono una grossa crisi. Si affermò un modello sociale ed economico che negava i "consumi opulenti" e imponeva l'austerità.

Il fatto che poi Roma dovesse difendersi costantemente dai nemici che la circondavano, aggravò il malessere dei gruppi non aristocratici, che avevano nella ricchezza l'unico modo per emergere.

Ridimensionati sul piano economico e politico ed esclusi dal governo della città, essi erano esclusi anche dal possesso dell'ager publicus, riservato ai patrizi. Essi erano cittadini, ma in condizione subordinata:

non ammessi a prendere gli auspicia ed esclusi da magistrature, sacerdozi e senato;

estranei all'organizzazione gentilizia e non dotati di connubium con i patrizi (che sottolinea la non isopoliteia e la diversità di status. L'otterranno nel 445 a.C. con la Rogatio Canuleia);

privi di poteri giudiziari;

esposti alla prigionia per debiti;

senza cognizione sicura dei mores maiorum, la cui custodia era del collegio dei pontefici.

Ai componenti poveri della plebe interessava il miglioramento dalla condizione economica e quindi anche la possessio dell'ager publicus, e l'eliminazione della schiavitù per debiti (nexum, che rendeva il debitore soggetto alla potestà, o mancipium, del creditore; ne otterranno l'abolizione nel 326 a.C. con la lex Poetelia Papiria de nexis).

Il metodo più importante di lotta plebea fu la secessione o anche la semplice minaccia di essa. Le secessioni presupponevano una forte coesione e sviluppate strutture organizzative.

L'affermarsi della tattica oplitica, il combattimento in formazione serrata (falange), e quindi il costituirsi dell'assemblea centuriata timocratica, rappresentano l'ingresso della politica nella vita della comunità. Quantomeno il nucleo centrale della classis dell'exercitus doveva essere equipaggiato con armi di attacco e di difesa in metallo (bronzo e ferro). Qualsiasi defezione avrebbe danneggiato le capacità militari: di qui la forza delle minacce plebee di secessione.

Durante il V a.C., quando Roma fu ripetutamente attaccata da popolazioni ostili e bellicose (Volsci ed Equi), la minaccia dei plebei di abbandonare la città e l'esercito e di lasciare ai soli patrizi e ai loro clienti il compito di difendere la città, fu una potente arma di pressione politica.


Le forme della repressione penale e la provocatio ad populum

Col passaggio alla repubblica separazione delle funzioni religiose e quelle politiche.

La suprema dignità sacerdotale passò al pontifex maximus. Ai consoli fu attribuito il comando degli uomini in armi: magistrati cum imperium.

Provocatio ad populum: il cittadino perseguito in via di coercizione del magistrato esercitante l'imperium poteva sottrarsi alla morte e alla fustigazione, chiedendo un regolare processo dinanzi ai comitia.

Le fonti della tradizione annalistica conservano il ricordo di 3 successive leggi de provocatione:

lex Valeria del 509 a.C.: approvata dai comizi centuriati su proposta del console P. Valerio Poblicola. Stabiliva che nessun magistrato poteva far fustigare e poi mettere a morte un cittadino romano che avesse provocato al popolo.

lex Valeria Horatia del 449 a.C.: proposta dai consoli L. Valerio Potito e M. Orazio Barbato, intesa a vietare magistrature esenti da provocazione.

lex Valeria del 300 a.C., ascritta al console M. Valerio Corvo, di contenuto analogo alla prima, ma munita, secondo Livio, di una più efficace sanzione.

Che il limite della provocatio preesistesse alle XII tavole è provato dalle attestazioni degli antichi, ma si lascia desumere anche dalle leggi Aternia Tarpeia del 454 a.C. e Menenia Sestia del 452 a.C., in cui figura come limite massimo per le multe.

La terza legge (300 a.C.) però si limitava a dichiarare l'atto di violazione del magistrato "improbe factum", ossia oggetto di semplice riprovazione morale forse le più antiche leggi in materia erano imperfectae, per cui lo ius provocationis, riconosciuto al plebeo contro la coercitio magistratuale, doveva ridursi ad una garanzia meramente platonica.

L'opinione tradizionale (Mommsen) considera la provocazione come un vero e proprio appello e il giudizio popolare come un giudizio in seconda istanza.

Kunkel ha negato a questa visione della provocatio come un mezzo di impugnazione di una decisione magistratuale, per individuare in essa un'istituzione politica che ottenne sanzione legale solo in virtù dell'ultima lex Valeria del 300 a.C.

Alla teoria di Mommsen si possono opporre le seguenti considerazioni:

il magistrato non aveva la facoltà di giudicare, ma solo di procedere coattivamente, d'autorità e senza giudizio contro chi contravveniva ai suoi ordini.

Non è pertanto giusto vedere la provocatio come un "appello", in quanto non era preceduto da un giudizio in primo grado.

Più fondato è ritenere che la provocatio avesse la natura giuridica di un atto opposto alla coercitio, accompagnato dalla richiesta di un processo (di primo e unico grado!) davanti ai comizi.


Il decemvirato legislativo

L'uguaglianza di fronte al diritto era una delle principali rivendicazioni plebee, accanto alle richieste di poter accedere alla magistratura suprema e alla possessio dell'ager publicus

Fin dal 461 a.C., il tribuno della plebe Terentilio Arsa avrebbe chiesto la nomina di magistrati straordinari, che provvedessero a scrivere leggi sull'imperium dei consoli. Bloccata questa proposta dai patres, essa fu al centro di duri scontri, fino alla decisione dei trib. della plebe, ottenuto l'aumento del loro numero a 10, di non insistervi ulteriormente.

Nel 456 a.C. essi, con la lex de Aventino publicando, avrebbero anche ottenuto l'attribuzione alla plebe povera del suolo sull'Aventino. Nel 454 a.C. i tribuni avrebbero proposto di creare una commissione, formata da membri di entrambi gli ordini, col compito di proporre leggi utili a entrambe le parti. La proposta sarebbe stata accolta solo se i legislatori fossero stati solo patrizi.

Furono mandati ambasciatori in Grecia per studiare le leggi di Solone e in città della Magna Grecia per le leggi locali. I trib. avrebbero premuto perché, al loro ritorno, si redigessero leggi scritte.

Sarebbe stato eletto nel 451 a.C. un collegio di decemviri legibus scribundi, formato da soli patrizi e dotato di imperium, non sottoposto a provocatio. Le magistrature ordinarie, patrizie (consolato) e plebee (tribunato), furono sospese.

Un ruolo guida aveva, nel collegio, Appio Claudio. Inizialmente i decemviri avrebbero agito con imparzialità e giustizia, ma poi col secondo collegio del 450 a.C., in cui erano rimasti membri del precedente e in cui furono ammessi 3 o 5 plebei, le cose cambiarono: non avrebbe discusso con il popolo le due nuove leggi (le tabulae iniquae), in quanto contenenti il divieto di connubium tra patrizi e plebei.

I decemviri, in particolare Appio Claudio, non erano disposti ad abbandonare la carica alla fine dell'anno di mandato. In più eventi come l'assassinio di L. Siccio e il caso Virginia, causarono la reazione popolare e la successione plebea.

La richiesta plebea di una legislazione scritta e l'invio di una delegazione, se non in Grecia, almeno nelle città della Magna Grecia, appaiono notizie sostanzialmente fededegne. Al contrario il racconto sul secondo decemvirato dipende da tradizioni annalistiche orientate in senso politicamente disomogeneo.

Forse nel secondo decemvirato è possibile identificare un tentativo di "restaurazione" tirannica, appoggiata anche da elementi della plebe.

Le XII tavole costituiscono l'episodio più significativo successivo alla caduta dei re. L'esempio greco ha influenzato i romani soprattutto per il modello della norma individuale che passa attraverso la forma della legge.

È la città nel suo insieme che pone se stessa a garanzia del comportamento dei cittadini, senza più ricorrere a tradizioni remote, esclusive dei pontefici. L'introduzione della scrittura accentua di più la rottura.

Le leggi decemvirali non ci sono pervenute per intero, ma sono note solo citazioni isolate. Piuttosto che nel testo originale, forse distrutto nell'incendio gallico del 390 a.C., le XII tavole erano conosciute e citate nella "trascrizione" che di esse aveva fatto il giurista Sesto Elio Peto Cato nei Tripertita (opera divisa in 3 parti: le XII tav., l'interpretazione pontificale e le formule).

Le prime tre tavole contenevano la disciplina del processo privato: la libertà del singolo di agere a tutela del proprio diritto, a condizione che l'actio fosse a esso proporzionata; il recarsi con l'avversario dinanzi al magistrato e recitare davanti a lui una formula specifica e ottenere la dichiarazione di conformità allo ius, il successivo trasferimento dal giudice privato. Le XII tav. fissarono nei particolari le caratteristiche di questa procedura, sia per la in ius vocatio, sia per la fase in iure (nel tribunale del magistrato), regolando anche presupposti, formule e schemi procedurali delle diverse actiones Þ legis actiones.


Tavola I: chiamata in giudizio.

I,1 <<Se taluno chiama un altro in giudizio, vada; se invece non va, allora il vocans faccia l'antestatio (la chiamata dei testimoni). Quindi, dopo cioè aver provveduto ad antestari, lo afferri (em capere).>>

I,2 <<Se fa ostruzionismo o cerca di sottrarsi alla chiamata in giudizio fuggendo, gli si pongano le mani addosso>>. Manum endo iacito è la forma arcaica di manum inicito ed è più grave di em capere = attuazione coattiva della chiamata in giudizio.

I,3 <<Se viene fatta valere quale impedimento una malattia o la tarda età del chiamato, chi chiama in giudizio gli dia una bestia da soma. Se non vuole, non gli si appronti un carro coperto>>. Morbus = malattia non troppo grave; morbus sonticus = malattia grave. Con l'arcera, un carro debitamente attrezzato, si poteva trasportare il malato grave.

I,4 <<All'abbiente sia garante un altro abbiente; al nullatenente sia garante chiunque si offre>>. Il vindex = un terzo che interviene nel procedimento per manus iniectio a fini satisfattivi esecutivi, in tutte le ipotesi di applicazione della legis actio per manus iniectionem (iudicati o pro iudicato). Egli assume su di sé la contesa, per sottrarre colui che aveva subito la manus iniectio alla definitiva secum o domum ductio.


Tavola I: le norme relative allo svolgimento del processo.

I,7 << Se non trovano un accordo, prima di mezzogiorno riepiloghino la causa nel comizio o nel foro. Poi, presenti entrambi, espongano le loro ragioni>>

I,8 <<Dopo mezzogiorno la lite sia decisa a favore di chi è presente>>

I,9 <<Se entrambe le parti sono presenti, l'estremo termine sia il tramonto del sole>> poiché il processo doveva concludersi in un solo giorno.


Tavola II: le azioni dichiarative.

Due erano le actiones dichiarative previste:

legis actio sacramenti;

legis actio per iudicis arbitrive postulationem;

L'actio sacramenti, pur nelle differenti forme in rem, a tutela di un diritto assoluto e in personam, a tutela di un diritto relativo, era contrassegnata dal sacramentum, dal giuramento pronunciato dalle parti, di consacrare a Giove cinquanta assi, per controversie fino a mille assi, o 500 per quelle di maggior valore.

Fino alla lex Aternia Tarpeia (454 a.C.) o proprio alle XII tav., la summa sacramenti consisteva, invece, in capi di bestiame: 5 pecore o 5 buoi.

L'actio per iudicis arbitrive postulationem, valevole però solo per la tutela o dei crediti derivanti da sponsio, o del coerede che volesse dividere il patrimonio ereditario (in epoca successiva sarà estesa a tutti gli altri giudizi divisori), consisteva nell'affermazione della pretesa, da parte dell'attore, dinanzi al magistrato che, in caso di diniego del convenuto e convinto della fondatezza della pretesa dell'attore, nominava, senza nessuna necessità di sacramentum, il iudex o l'arbiter per la decisione della controversia.


Le azioni di tipo esecutivo.

Due azioni di tipo esecutivo:

per manus iniectionem (cfr. tav.III);

per pignoris capionem (cfr. tav. XII);


Tavola III: norme relative all'esercizio della manus iniectio contro il iudicatus e il confessus.

Legis actio per manum iniectionem presupposto per la legis actio per manus iniectionem era o l'emanazione di una sentenza di condanna o la confessione in iure di essere debitore di una certa quantità di aes. Poteva essere data, dunque, come sentenza di condanna ( al iudicatus) o a seguito di una confessione in iure (al confessus). Dopo trenta giorni, in caso di inadempimento, l'insoddisfatto aveva il diritto di acciuffare l'inadempiente, condurlo dinanzi al magistrato giudicante e, dopo aver pronunciato una solenne dichiarazione, ottenere l'addictio del debitore, che poteva trascinare a casa sua, tenere in catene per 60 giorni, nutrendolo con una libbra di farro al giorno, ma conducendolo a tre mercati consecutivi. Se nessuno lo riscattava, poteva venderlo come schiavo trans Tiberim o ucciderlo (nel caso di una pluralità di creditori, questi potevano distribuirsi i pezzi del debitore.).

III,1 <<A colui che ha confessato un debito di denaro, o che è stato condannato in un regolare giudizio, sia concesso un termine di trenta giorni>>.

III,2 <<Dopo di che lo si prenda e lo si porti in giudizio>>.

III,3 <<Se non esegue il giudicato o nessuno afferma in giudizio che vi è stata violenza contro di lui, l'attore lo porti con sé e lo leghi o con una corda o con ceppi del peso di almeno 15 libbre o anche di più>>.

III,4 <<Se vuole l'esecutato viva del suo. Se non vive del suo, colui che lo terrà prigioniero gli dia una libbra di farro al giorno o, se vuole, di più>>.

III,5 <<Vi era la possibilità di esercitare il diritto a un accomodamento, ma se ciò non avveniva, il debitore era tenuto prigioniero 60 giorni. Durante tale spazio di tempo, nei tre successivi giorni di mercato, il debitore veniva condotto dinanzi al pretore nel Comizio e veniva annunciata la somma per la quale era stato condannato. Al terzo giorno di mercato veniva decapitato o mandato al di là del Tevere per essere venduto fuori città>>.

III,6 <<Al terzo mercato lo si tagli a pezzi. Se i creditori avranno un pezzo maggiore o minore, ciò si consideri senza frode>>.

La pignoris capio consisteva nell'impadronirsi di una res mobile dell'obligatus, anche non in iure e non in dies fasti, a titolo di pignus, con la pronuncia di una formula solenne a noi però ignota.

Fu prevista dalle XII tav. contro chi avesse comprato un animale da sacrificio e non ne avesse pagato il prezzo; ancora, contro colui che non corrispondesse la mercede per l'animale da soma, che uno avesse locato per impiegare il ricavato in un banchetto sacrificale.

Le leggi decemvirale, come il più antico ius Quiritium, conobbero come fondamentale "rapporto assoluto", intercorrente tra un pater familias e tutti gli altri, il mancipium (o piuttosto manus o potestas).Oggetti del mancipium (o forse meglio, per l'età arcaica, della manus) furono tutti gli elementi della famiglia:

figli di ambo i sessi;

discendenti ex filio;

adrogati

uxores in manu

liberi in mancipio

schiavi;

domus

heredium

le quattro servitù prediali (iter, via, actus, aquaeductus);

animalia quae collo dorsove domantur (animali da soma e da basto: buoi, asini, muli e cavalli).


Tavola IV: la patria potestas e la repressione dei suoi abusi.

Le XII tav. confermano la struttura patriarcale della famiglia. L'ascendente maschio capostipite - il pater familias - aveva potestà assoluta sulla moglie, sui discendenti e sulle loro mogli. Per il diritto privato egli era l'unico titolare di diritti, sia sulle persone libere e schiave, appartenenti alla famiglia, che dipendevano dal suo potere fino all'estremo del ius vitae ac necis (diritto di vita e di morte). Il pater aveva anche la facoltà di alienare i figli che, se fossero stati manomessi, sarebbero tornati sotto la sua potestà, ma non poteva abusarne. parens manumissor

IV,2a <<Dal momento che la legge ha concesso al padre il potere di vita o di morte sul figlio>>.

IV,2b <<Se il padre vende il figlio per tre volte, il figlio sia libero>>. Il figlio per effetto di triplice vendita, esce dalla potestà paterna e diventa, a sua volta, pater familias, soggetto di diritto. È la norma che ha permesso ai pontefici di creare il paradigma dell'adoptio, combinando sette momenti negoziali con iure cessio. Il figlio passava da un padre all'altro.


Tavola V: le successioni e la tutela.

Alla morte del pater, la famiglia si divideva in tante altre, quanti erano i discendenti di primo grado

Per realizzare la divisione, le XII tav. previdero l'actio familiae (pecuniaeque) (h)erciscundae, attraverso l'uso del formulario della legis actio per arbitri postulationem.

Gli heredes sui potevano però anche decidere di restare in regime di comunione, formando dunque un consortium fratrum ercto non cito.

Se mancavano sui heredes, la famiglia e la pecunia spettavano al più vicino parente maschio in linea agnatizia o, in caso di mancanza o rifiuto di adgnati, l'hereditas toccava ai gentiles. Qualora il defunto fosse uno schiavo liberato morto senza sui heredes e intestato, i beni andavano all'ex padrone. Probabilmente soltanto a chi non avesse sui heredes era consentito fare testamento.

Le XII tav. sancirono l'obbligo di eseguire le disposizioni testamentarie del pater:

V,3 <<Come il testatore ha disposto con legato in ordine al suo patrimonio o ha disposto in ordine alla tutela, così sia il diritto>>.

V.4 <<Se muore intestato colui che è privo di un erede sottoposto alla sua potestà, abbia il suo patrimonio l'agnato più prossimo>>.

V,5 <<Se manca anche l'agnato, abbiano il suo patrimonio i gentili>>.

Alla morte del pater, figli maschi impuberi e donne erano sottoposti a tutela. Il tutore poteva essere designato dal testamento del pater (tutor testamentarius) o altrimenti ex lege XII tabularum adgnati sunt tutores qui vocantur legitimi. Al raggiungimento della pubertà, gli impuberi si sottraevano alla tutela e divenivano a loro volta patres familiarum, le donne invece rimanevano sempre soggette alla potestà del tutor.

V,7 <<Nel caso in cui vi sia un pazzo furioso, la potestà su di lui e sul suo patrimonio spetti agli agnati e ai gentili>>.


Tavola VI: i principali paradigmi negoziali e l'usucapione.


La legislazione decemvirale confermò formalità e validità della mancipatio e della in iure cessio, atti costitutivi e traslativi del mancipium. Per la mancipatio (e il nexum) fu stabilito che il mancipio dans potesse fare una dichiarazione modificativa o integrativa degli effetti normali dell'atto e che, conseguentemente, a essa si conformassero diritto e situazioni giuridiche delle parti:

VI,1 <<Ogni volta che si porrà in essere un nexum o un mancipium, come la lingua ha solennemente pronunciato le parole, così sia il diritto>>.

Le leggi decemvirali conoscono le più arcaiche forme di regolamentazione del fenomeno creditizio: la sponsio e il nexum. La prima già emerge in uno stadio evoluto, consistendo unicamente nello scambio contestuale di domanda e risposta tra creditore e debitore (Spondes dari centum? Spondeo).

Ma in origine la sponsio si identificava con un atto di tipo sacrale. La ragione principale per ritenerlo è costituita dalla radice del verbo spondeo, comune a quella greca del verbo spendw.

Il nexum era l'atto librale (compiuto mediante il bronzo e la bilancia dello stesso materiale) attraverso cui il debitore mancipava se stesso al creditore, a garanzia del credito.

Le XII tav. fissarono i termini per l'usucapione:

VI,3 <<La garanzia di un fondo, prima di acquistarne il mancipium per usus, è di un biennio, per le altre cose di un anno>>.

L'usucapio era l'acquisto del mancipium, mediante usus, senza violenza o clandestinità. L'usus è l'esercizio di fatto su persona o cosa delle res mancipii, dunque è l'esercizio del mancipium ( possessio sulle res nec mancipii; in un'epoca successiva si uniranno nel dominium). Nella disposizione decemvirale all'usus era accostata l'auctoritas, nel senso che la garanzia dovuta dal "venditore" durava per il tempo necessario all'usucapio.

VI,4 <<Nei confronti dello straniero si perpetua la garanzia>>.

Questo precetto, oltre a comprovare la frequenza dei rapporti commerciali con popolazioni straniere, sancisce la perpetuità della garanzia (per evizione) verso i compratori stranieri, in mancanza degli effetti sananti dell'usus, proprio dell'ius Quiritium. Con ius commerci s'intendeva non solo la regolamentazione dei commerci con gli stranieri, ma anche il diritto che gli stranieri potevano usare nell'utilizzo di tutti i paradigmi giuridici disponibili per i cives romani, con diversi effetti però, perché per es. la proprietà è legata allo status di cittadino: lo straniero può divenire proprietario, ma non dominus ex iure Quiritium, cioè non può "porre la mano" in sede giuridica.


Tavola VII: la disciplina della "proprietà fondiaria".

Fu stabilito che i fondi fossero circondati da un limes (spazio inappropriabile), della grandezza di 5 piedi, e che il pater familias potesse agire contro il vicino che deviasse verso il di lui fondo l'acqua piovana (actio aquae pluviae arcendae).

La stessa ampiezza delle vie era regolata con estrema precisione:

VII,6 <<.deve essere di 8 piedi in rettilineo e di 16 nella giravolte, dove si riscontra una curva>>.

Tra i proprietari era altresì regolato lo stabilirsi di diritti relativi al passaggio o a canali di irrigazione.

Anche i rapporti di vicinato erano disciplinati attentamente:

VII,7 <<Se un albero del fondo vicino si è inclinato, per il vento, sul tuo fondo, puoi agire per la sua rimozione>>.

Questi precetti documentano la rilevanza dei rapporti di vicinato, e della connessa viabilità dei fondi, in un mondo la cui economia era basata sull'agricoltura.


Tavole VIII e IX: il diritto penale.

Pena (lat.: poena, gr.: poinh, dor.: poina) indica in origine il prezzo del sangue (it.: guidrigildo: prezzo che, secondo l'antico diritto germanico, l'uccisore doveva pagare alla famiglia della vittima).

È visibile il tentativo dei legislatori di superare i residui della sanzione primitiva dei delitti, cioè la vendetta privata.

Per la frode commessa dal patrono ai danni del cliente persiste la consecratio del colpevole a una divinità infernale.

Nel caso del membrum ruptum, la lesione permanente, restava la legge del taglione, subordinata all'ipotesi di una composizione pattizia:

VIII,2 <<Se ha leso un arto in modo permanente, e non transige con l'offeso, si applichi il taglione>>.

Per le lesioni non permanenti (os fractum), le leggi decemvirali abolirono il preesistente taglione, sostituendolo con una sanzione pecuniaria: dovevano versarsi all'offeso 300 assi se libero, 150 assi al suo padrone se era uno schiavo. La semplice iniuria (atti di violenza fisica più lievi) era colpita da una pena di 25 assi.

Soltanto se inferte al genitore le percosse erano punite con la morte, sotto forma di sacrificio agli dei familiari.

Per il furto flagrante (furtum manifestum) la persecuzione non è più lasciata alla discrezione della vittima, ma è affidata agli organi della città: il ladro, se persona libera, doveva essere fustigato e attribuito - addictus - al derubato; se è schiavo, fustigato e precipitato dalla rupe Tarpea. È tuttavia fatta salva la possibilità di un accomodamento amichevole (de furto pacisci). Ove poi il ladro sia stato sorpreso a rubare di notte (fur nocturnus) o, di giorno, si sia difeso a mano armata (fur diurnus qui se telo defendit), il derubato, invocati in soccorso e a testimonianza dell'accaduto i vicini, può addirittura ucciderlo.

La situazione di pericolo determinata dal tempo notturno o dall'uso di armi è riconosciuta come causa di giustificazione dell'omicidio

All'ipotesi di flagranza i decemviri assimilano l'ipotesi che la cosa rubata sia rinvenuta dalla vittima del furto nell'abitazione del ladro in seguito a una perquisizione solenne, di carattere magico (la cosiddetta quaestio lance et licio), eseguita in perizoma e con un piatto di bronzo in mano.

Per il furto non flagrante (nec manifestum) il ladro è tenuto a pagare al derubato una somma pari al doppio del valore rubato.

Per il furtum conceptum e oblatum (nel caso in cui la refurtiva è scoperta in casa del sospettato, con testimoni, ma senza il rito di cui sopra, e nel caso in cui sia rinvenuta presso un terzo di buona fede, che a sua volta è legittimato ad agire di furto contro chi gliel'ha trasmessa), puniti entrambi con la pena del triplo.

Con la pena del quadruplo è invece punito l'usuraio che abbia prestato denaro a un tasso superiore al massimo legale fissato, a quel che sembra, nel cento per cento annuo: l'inserzione di questa norma nel codice decemvirale è da considerarsi probabilmente furto della pressione dell'elemento plebeo. Sono infine colpite con sanzione pecuniaria alcune particolari ipotesi di danno alle cose, come l'abbattimento di alberi altrui (25 assi per ogni albero tagliato), il pascolo abusivo sull'altrui fondo e i danni causati da quadrupedi domestici senza colpa dell'uomo.

Significativo rilievo è attribuito alla repressione di opere di magia. Assoggettato a pubblica persecuzione e punito con la morte era il malum carmen incantare, cioè l'incantesimo per provocare la morte di qualcuno. Egualmente punito, forse con la morte, chi malediceva i raccolti (fruges excantare) e chi tentava di attrarre con incantesimi nel proprio campo le messi del vicino (alienam segetam pellicere).

Non sempre però la magia era condannata, anzi talvolta era esplicitamente ammessa: colui cui era venuto meno un testimone, era autorizzato a recitare, ogni tre giorni, formule malefiche dinanzi alla porta del teste reticente. Una volta accertato pubblicamente il rifiuto di testimonianza, quest'ultimo perdeva la capacità di poter testimoniare in futuro e di poter chiamare altri a testimonio in suo favore. La collusione del giudice o dell'arbitro con una delle parti in causa era sanzionata con la pena di morte.

Repressione di fatti atti a turbare il pacifico svolgimento delle attività agricole: chi intenzionalmente avesse bruciato l'altrui abitazione o i covoni di grano posti vicino a essa doveva essere bruciato sul rogo. Chi, nottetempo, avesse fatto pascere i suoi animali sul fondo altrui o ne avesse asportato furtivamente le messi era sacrificato a Cerere, se pubere, altrimenti battuto con le verghe e condannato al doppio del danno arrecato.

Nella tav. IX erano contenute alcune significative disposizioni a garanzia dei cittadini:

IX,2 <<.l'una che abolisce le leggi con un solo destinatario, l'altra che vieta di condannare a morte il cittadino, se non attraverso i comizi centuriati>>.  Divieto dei privilegia (astrattezza della norma) e giudizio sul caput civis (pena di morte) richiesto ai comizi centuriati.

Nelle XII tav. si distinguono:

delitti pubblici o crimina;

delitti privati che a volte oscillavano tra crimina e maleficia;


Tavola X: le disposizioni in materia funeraria.

Repressione dell'opulenza dall'epoca dei fasti orientali). Si potevano seppellire le decorazioni militari. Era vietata la cremazione e il seppellimento nella città. Era vietato usucapire i sepolcri.


Tavole XI e XII (tabulae iniquae).

Alla tav. XI doveva appartenere la norma che vietava il connubium tra patrizi e plebei.

La XII doveva stabilire il principio della nossalità per i delitti commessi dai filii familias e dagli schiavi. L'avente potestà poteva liberarsi della responsabilità con la consegna, alla parte lesa, del colpevole vivo o morto; altrimenti assumeva su di sé la responsabilità del delitto commesso dal sottoposto.

L'ultima tav. conteneva anche il principio per cui tutto ciò che il popolo aveva deliberato per ultimo, aveva valore di ius e doveva considerarsi valido



L'interpretazione delle XII tavole.

Se la loro conoscenza era accessibile a tutti, l'interpretazione restò monopolio del collegio dei pontefici. L'aristocrazia patrizia, conservando attraverso quei sacerdoti l'esclusiva dell'interpretatio, poteva ribadire il suo controllo sull'intera organizzazione giuridica della città.

La laicizzazione di questa cultura fu capace di arrivare a una formulazione non rozza del testo normativo, ma non di sostenerne nel tempo un'interpretazione accettabile.

L'attività dei pontefici si svolse naturalmente secondo lo spirito formalistico del periodo più antico, essenzialmente nei binari di un'interpretazione letterale. Con un abile uso del tenore letterale della legge ed escogitando complicati formulari, i pontefici crearono espedienti idonei a soddisfare le nuove esigenze della vita giuridica. L'esempio forse più noto di questa loro attività creatrice è il formulario predisposto per la liberazione di un figlio dalla potestà del padre, in linea di principio vitalizia (emancipatio). [Per i figli maschi tre mancipationes successive a persone di fiducia, seguite, la prima e la seconda da manumissio. Estintasi così la patria potestas e trovandosi il figlio in causa mancipii del terzo fiduciario, questi remancipava il filius al pater, in maniera tale che lo riacquistasse in causa mancipii. Il pater poi lo avrebbe manomesso, rendendolo sui iuris e acquistando sul filius la condizione di parens manumissor].

Questo lavoro di creazione, con l'adattamento di pochi paradigmi negoziali o norme legislative a sempre nuovi contenuti di autonomia privata, venne appunto indicato come interpretatio, perché nascondeva il nuovo in vecchie forme.

Ogni anno un pontefice era preposto all'attività respondente nei confronti dei privati. I responsa pontificali non erano motivati, ma autoritativi. La scientia iuris, su cui si fondava l'interpretatio dei pontefici, era mera conoscenza sapienzale del ius, priva di caratteri scientifici, sia nel senso sviluppato nella cultura greca a partire dal V a.C., sia in quello moderno, derivato dal primo.

Criterio di verità non era la razionalità, ma l'autorità sacerdotale che la giustificava.


Le vicende politiche tra il 449 e il 123 a.C.

445 a.C.: lex Canuleia che vieta il connubium tra patrizi e plebei.

431 a.C.: Roma vs Volsci. Roma vincendo inizia una politica non più di difesa, ma di espansione.

406 a.C.: Roma vs Vejo. La cavalleria doveva procurarsi i cavalli a proprie spese dunque solo per i plebei ricchi, che erano il nucleo degli equites, il secondo ordine sociale della rep.. La Guerra contro Vejo fu vinta grazie a Furio Camillo e riavvicinò patrizi e plebei. Ai più indigenti furono assegnati i territori vinti.

Intorno al 390 a.C. alcune tribù galliche si stanziarono nella pianura Padana e in Etruria, mentre altre si diressero verso il Lazio. Roma fu battuta e devastata, ma non riuscirono a conquistare il Campidoglio. I Galli, secondo una falsa leggenda, furono battuti da Furio Camillo al rientro dall'esilio.


343-341 a.C.: I guerra Sannitica. I Campani si allearono con Roma. Capua chiede protezione a Roma dai Sanniti Abruzzesi. Questa le viene concessa, ma Capua si allea ai Latini contro Roma, che li vinse e sciolse la lega Latina che l'aveva tradita. Alle città assoggettate fornì diverse forme di autonomia, applicando il metodo del divide et impera, per evitare che queste città avessero interessi comuni che le potessero spingere ad allearsi contro Roma.

326-321 a.C.: Roma e Napoli impegnate nella II g. Sannitica. In questa prima fase Roma fu sconfitta alle Forche Caudine.

321-316 a.C.: Roma ristruttura l'esercito. al posto dello schieramento a falange, si adotta quello manipolare. 3 schiere disposte in più manipoli: la prima fa il vuoto, mentre le altre due rompono le file nemiche e accerchiano. Contro gli Etruschi a nord e contro gli Ernici a sud - est. Roma li batté separatamente, poi si rivolse vs i Sanniti; espugnò la loro capitale Boviano e raggiunse l'Adriatico dalle coste pugliesi.

318 a.C.: Tusculo sotto la cittadinanza romana: civitas sine suffragio.

303 a.C.: Roma vince la II g. Sannitica


Leggi Liciniae Sextiae

367 a.C.: leggi L. S. rogate da L. Licinio Stolone e L. Sestio

I legge: garantisce almeno un console plebeo (non sempre rispettata).

II legge: modo agrorum: max. 500 iugeri di ager publicus per famiglia.

III legge: reprime l'usura.

367 a.C.: plebeo Edile curule.

354 a.C.: plebeo dittatore.

337 a.C.: plebeo pretore

Poi furono ammessi anche alla censura, ma non al pontificato e all'augurato.

Censura di Appio Claudio Cieco (non A. C. decemviro!): delinea due gruppi politici che dividono patrizi e plebei al loro interno. 312 a.C.: egli stabilì che per l'iscrizione alle tribù si considerassero anche i patrimoni mobiliari e non solo le res mancipii. Questo consentiva ai commercianti e agli artigiani (e ai liberti che si dedicavano a queste attività) di iscriversi nelle tribù rustiche e non solo in quelle urbane. Era la base per il suo consenso politico.

La costruzione della via Appia, verso sud, avvenne per motivi economici e militari.

326 a.C.: lex Poetelia Papiria de nexis, abolisce la schiavitù volontaria per debiti.

298-290 a.C.: III g. Sannitica.

286 a.C.: lex Hortensia che uguaglia i plebisciti alle leggi comiziali

254 a.C.: Tiberio Coruncanio è il primo pontefice massimo plebeo, che dà responsi pubblici, mentre prima veniva fatto in privato Þ è possibile conoscere il ius anche se non si è membri del collegio.

264 a.C.: I g. punica.

241 a.C.: fine I guerra punica. Nasce il pretore pellegrino nel 242 a.C. (rapporti tra stranieri e tra stranieri e cives). A partire dal 242 a.C. Roma si considera uno dei principali snodi commerciali del mondo conosciuto. Vittorie sugli Etruschi (dal punto di vista culturale erano simili, cioè della stesa koinh culturale) e sulle popolazioni appenniniche (i romani erano superiori sia dal punto di vista militare che civile).

I clientes in Etruria continuavano a servire i principes, ma vengono ridotti a uno stato più servile disgregazione dei rapporti clientelari.

Roma, poi, affronta gli eserciti ellenistici: cfr. guerra tarantina vs Pirro, che Roma vince grazie all'esercito mercenario, più forte di quelli italici. Pirro stesso spiega perché: "i romani sono come una fontana aperta: se ne possono uccidere 10.000, ma se ne riformano altrettanti."

Polibio, a 16 anni dalle g. puniche, considera quelle galliche e ci dice "che nel 225 a.C. Roma chiese agli alleati di fornire un quadro completo delle forze mobilitabili in caso di guerra (780.000 uomini mobilitabili, da non usare tutti insieme, è ovvio!). Nessun'altra potenza poteva permettersi tanto; di solito gli eserciti più grandi erano di circa 20.000 o 30.000 uomini.

Battaglie galliche (che Roma vinse):

225 a.C. a Telamone;

223 a.C. sull'Oglio;

222 a.C. a Clastidium;

219 a.C.: II g. punica. Cartagine perde Sicilia e Sardegna e vuole espandersi in Spagna. Amilcare, padre di Annibale, invade la Spagna, ma a causa di alcuni patti non poteva superare l'Ebro.

Casus belli: Annibale va contro Sagunto, che era a sud dell'Ebro, ma che era legata con un patto a Roma. Problema dell'indire o no la guerra. Annibale entra in Italia dal nord. I cartaginesi nel 218 a. C. vincono sul Ticino e sul Trebbia e, nel 217 a.C. sul Trasimeno, ma nel 216 a.C. a Canne (Foggia) i romani furono letteralmente annientati. I romani avevano altre risorse: punirono le città ribelli (Capua e Siracusa).

211 a.C.: Publio Cornelio Scipione in Spagna sconfigge i cartaginesi e conquista Cartagèna (Carthago Nova), ma Asdrubale, fratello di Annibale, fugge. Il suo esercito fu poi sconfitto sul fiume Metauro. Alla fine Roma vince.

202 a.C.: fine II g. punica

Filippo V di Macedonia si era alleato con Annibale negli anni precedenti.

Nel 200 a.C.: Roma dichiara guerra alla Macedonia e vince a Cinocefale (col console Tito Quinzio Flaminino); poi dovettero vedersela con Antioco III re di Siria, che voleva espandersi in Anatolia (regno di Pergamo). Roma si era impadronita della Spagna Ulteriore e Citeriore.

168 a.C.: il regno di Macedonia fu sconfitto a Pidna dall'esercito di Lucio Emilio Paolo e fu smembrato in 4 colonie.

167 a.C.: Polibio giunge a Roma come ostaggio

149-146 a.C.: III g. punica, condotta da Publio Cornelio Scipione Emiliano.

146 a.C.: distruzione di Cartagine e Corinto. La Grecia fu sottomessa, ma città come Atene e Sparta fu concessa la libertà.

Dieci anni dopo: guerra di Numanzia (143-133 a.C.), città che fu distrutta nell'ambito delle guerre celto - iberiche.

135 a.C.: rivolta in Sicilia che durò 10 anni

Conseguenze delle guerre di Scipione sulla nobilitas:

La nobilitas si riteneva superiore a tutte le classi, ma tra di loro i membri dovevano essere uguali ® sconvolgimento dell'equilibrio politico.

134 a.C.: Scipione vs Marco Porcio Catone (nelle sue opere letterarie insiste sulla megalofyucia; egli non cita il nome di Scipione, perché non conta l'individuo, ma la res romana). Catone è il primo creatore del mito romano.

La stagione successiva è dominata da altre pulsioni: dal tribunato di Tiberio Gracco le guerre civili e le istituzioni di Roma crollano.

133a.C.: tribunato di Tiberio Gracco. Scipione Emiliano assedia e conquista Numanzia.

Cicerone:"De legibus" e "De republica". Scrive un'opera in tre livelli: magistratura, senato e popolo.

123-121 a.C.: tribunato di Caio Gracco, fratello di Tiberio


La repubblica patrizio - plebea

Formavano la nobilitas quanti avessero ricoperto magistrature curuli (dal II a.C. solo il consolato) e i loro discendenti fino ai nipoti.

Alle altre cariche erano rimasti solo residui dell'originaria posizione di predominio:

al senato l'auctoritas patrum e l'interregnum;

nell'organiz. sacrale solo il rex sacrorum, i flamines (tra cui il Dialis aveva diritto alla sella curule, a un littore e a sententiam dicere in senato) e le vestali.


Il sistema delle magistrature tra il III e il II a.C.

La stessa etimologia della parola magistratus (da magis: "chi è" o "chi può di più") indica che di fronte ad altre autorità e poteri (popolo e senato) la loro preponderanza era assai marcata. Si distingue tra:

imperium: potere molto forte, civile e militare insieme, virtualmente, almeno, sempre coercitivo, che implica il diritto di prendere gli auspici, vale a dire di richiedere all'inizio l'investitura sacra di Giove Ottimo Massimo, di consultare gli auguri, di comandare l'esercito, di ordinare l'arruolamento e il prelievo delle imposte e di emettere editti (dichiarazione di intenzione). Viene conferito al suo titolare con specifica legge votata dal popolo (lex de imperio). L'imperium domi si esercita entro la linea del pomerio, mentre l'imperium militiae fuori Roma (e non è mitigato dalla provocatio ad populum).

potestas: propria dei mag. inferiori, anch'essa implica la possibilità di emanare editti, una certa giurisdizione e un potere coercitivo; ma la potestas dei tribuni della plebe, diversa per origine da quella degli altri mag. inferiori, è considerevole per i poteri negativi che comporta.

Solo i magistrati superiori avrebbero avuto il primo, di natura essenzialmente militare

A parte alcune eccezioni, i caratteri comuni delle magistrature romane sono:

gerarchizzazione;

specializzazione;

collegialità;

annualità;

elettività;


La gerarchizzazione relativa tra i mag. risulta sia dall'estensione delle loro competenze, sia dal modo con cui possono intervenire gli uni contro gli altri (intercessio: potere di veto; o conflitto di auspici maggiori e minori).

Varrone dà la seguente lista gerarchica di coloro che hanno il diritto di presiedere il senato: dittatore, console, pretore, tribuni della plebe, interrex, prefectus urbi. Anche se i consoli hanno il potere su tutta la penisola, essi sono limitati dal territorio e dal senato. Questo causa molti problemi e la caduta della rep.; quando i cons. non riescono più a controllare i governatori, non possono più imporre la loro politica


Specializzazione. Gli sconfinamenti e i cambiamenti di competenze sono frequenti

Benché definita in termini di auxilium e di prohibitio, la potestas dei tribuni si estende, di fatto, all'insieme della repubblica: quei termini si limitano a definire le procedure impiegate, non gli ambiti di competenza. Per di più, potendo sottoporre qualsiasi proposta alla plebe, i tribuni possono legiferare su ogni cosa.


Collegialità. Ad eccezione dell'interrex e del dictator, tutte le altre cariche hanno contemporaneamente più titolari, con poteri pari.

Ma il collegio non delibera e non agisce solidalmente: ciascun membro ha la totalità dei poteri e, se il suo o i suoi colleghi vengono a mancare, può agire perfettamente da solo. I colleghi non deliberano insieme, non sono nemmeno tenuti a riunirsi e ad accordarsi. Ciascun collega ha, nella sua pienezza, il potere di opporsi a ogni azione o decisione del collega (prohibitio e intercessio).

2 consoli, almeno 2 pretori, 2 questori (20 con Silla), 10 trib. plebe.


Annualità Carattere che appartiene a tutte le magistrature eccetto: il dittatore, che riceve i poteri per un massimo di 6 mesi e in ogni caso scadeva con la cessazione del console che lo aveva nominato, e i censori che, eletti ogni 5 anni, restano in funzione per 18 mesi.

Per principio le regole emanate da un magistrato non vincolano quello successivo.

L'annualità ha portato l'idea di "successione". Le "leggi annuali", a partire dalla lex Vilia del 180 a.C., hanno organizzato il cursus delle mag., stabilendo tra esse un ordine fisso, cioè una gerarchia, un ordine di successione e le condizioni di eleggibilità.


Elettività. Eccezioni: il dittatore (tranne che nel 217 a.C.) è sempre nominato, su decisione del senato, dai consoli e l'interrex eletto dai senatori patrizi.

È probabile che in origine il mag. cum imperio avesse l'obbligo di designare lui stesso il suo successore

Si finì col concepire le mag. come un "mandato" concesso dal popolo ad alcuni singoli per condurre gli affari della comunità.


La proroga delle magistrature e il comando provinciale.

La tradizione fa risalire alle guerre sannitiche la prima apparizione della proroga, in altre parole del prolungamento dell'incarico oltre il termine di scadenza di una mag..

Nel III a.C. vi si ricorse sempre più spesso, tramite legge o senatoconsulto. Concessione di poteri per. es. proconsolari a qualcuno che non è stato console, per es. un ex. pretore.


Il senato.

Era il senato che pareva governare Roma agli occhi di uno straniero. Cfr. Polibio.

Il senato era diventato, a partire dalla fine del III a.C., quel consiglio permanente, con un ruolo quasi sovrano nella repubblica, ma sempre in virtù della sua autorità più che per statuto costituzionale. Il senato era la sede del potere politico e rappresentava la classe dirigente della città.


Il reclutamento del senato.

a)   il numero dei senatori: 300 fino alle riforme Sillane;

b)   l'autorità competente per il reclutamento del senato (lectio senatus): i censori (dalla lex Ovinia tra il 318 - 312 a.C.);

c)   le condizioni di accesso: la lex Ovinia, trasferendo ai censori la responsabilità di scelta, fissava che di tutti gli ordini si scegliessero i migliori (ordini = le categorie degli antichi mag. curuli).

La lex Claudia del 218 a.C. interdiceva ai senatori ogni attività lucrosa di tipo commerciale, impedendo loro di possedere navi di stazza superiore alle 300 anfore. Così si aumentò la divaricazione tra senatori e cavalieri.

Il senato è dunque essenzialmente un'assemblea di ex mag., una parte di cui continua peraltro a essere chiamata, a turno, all'esercizio di mag..


La composizione del senato.

Gerarchia con ordines e loci

Più importante è la gerarchia relativa alle funzioni. Essa si manifesta nell'ordine in cui i senatori sono tenuti ad esprimere il proprio parere nei dibattiti, cioè in quello espresso nell'album affisso dai censori al termine della lectio senatus. Nel II. sono in testa gli ex dittatori, poi gli ex censori, consoli, pretori, edili tribuni, questori. All'interno di ogni categoria si calcolava l'anzianità, che introduceva un'altra gerarchia e sempre i patrizi avevano la precedenza.

Il numero uno era il princeps senatus, che veniva interpellato per primo in ogni circostanza.

I senatori pedarii (inizialmente chiamati così per derisione) non avevano rivestito una magistratura curule e non avevano un seggio nelle adunanze. Forse si accontentavano di votare tramite discessio: si spostavano da una parte all'altra.


Le competenze.

relazioni estere;

la guerra;

l'amministrazione generale (Italia e province);

le finanze;

supremo controllo sui culti religiosi tradizionali e sull'accoglimento di nuove divinità;


Le procedure: le sedute.

Assemblea politica.

Non poteva riunirsi spontaneamente, ma doveva essere convocato da uno dei magistrati con ius agendi (mag. superiori e tribuni), tranne che in due circostanze: per la nomina dell'interrex e per costringere i mag. a creare un dittatore o questo ad abdicare per un vizio nel procedimento di creatio.

Le riunioni avvenivano in diversi ambienti, ma era necessario che il luogo fosse un templum, un luogo cioè consacrato (locus per augures constitutus).

I senatori non hanno diritto di interpellanza né di iniziativa: ma siccome quando viene il loro turno, obbligatorio, di parola essi possono parlare senza limiti di qualsiasi soggetto, possono altresì chiedere ai mag. di sottoporre una qualsiasi questione all'assemblea (praticamente è dir. di iniziativa). Lo stesso voto è pubblico: avviene con lo spostamento dei senatori attorno all'autore della proposta.

L'intercessio può essere esercitata solo da un mag. pari o superiore a quello che ha presentato il testo, tranne il caso dei tribuni della plebe. Il veto ha solo l'effetto di togliere validità, ma non del tutto il peso, al testo votato, che veniva conservato ed eventualmente poteva essere riconsiderato.



Lex publica

Lex rogata lex data: la prima è rogata da un mag. con ius agendi, la seconda è uno statuto concesso da un mag. a una provincia, colonia, .

lex = nomoV (da nemw nemei "giustizia distributiva). Nel mondo antico una città era autonoma se usava le proprie leggi. In latino la legge è lex (da "legare" = deliberare). Sono 2 diversi ambiti concettuali. Lex può essere associata alla versione attica sejismata (decreta) nomoV.

Presupposti storici della lex publica

Se ne può parlare quando il popolo è sovrano anche nella fase comiziale (dalle XII tav. in poi). Prima vi erano leges regiae; precedenti delle leggi pub. possono essere alcune leggi comiziali (es. lex curiata de imperio) e leges sacratae (anche queste giuramenti collettivi: homo sacer era chiunque avesse attentato ai tribuni).

A partire dal V a.C., la lex. pub. assume una sua definizione. La legge comiziale è fondamentale per la nascita delle istituzioni e per il passaggio alla repubblica. Le leges publicae, più politiche, che hanno valore nel diritto privato sono poche (circa 30), perché il diritto privato è ancora regolato dai mores. La legge pub. avrà grande valore nel processo criminale.

La legge pubblica in senso proprio è diversa dal plebiscitum, perché rogata dinanzi ai comizi tributi e centuriati, da magistrati cum imperio.

Possono ag re

dittatore, consoli, pretori Þ nei comizi centuriati;

tribuni della plebe nei com. tributi

Dal 286 a.C. la lex Hortensia equipara la lex pub. ai plebiscita. Nel 449 a.C. e nel 339 a.C. ci sono due leggi sulla stessa materia, rispettivamente di: Tito e Barbato la prima e di Publilio Filone la seconda.

I plebisciti diventano effettivamente leggi, se sono ratificati dai patres (449 a.C.). La legge di P. Filone è diversa: stabilisce che plebisciti e leggi consuetudinarie non potevano essere rogati prima dell'avallo del senato (probouleutika. La boulh stabiliva l'ordine del giorno da sottoporre all'ekklesia). Questi, cioè, deve verificare il contenuto della rogatio prima e non dopo.

Formazione della legge.

Il magistrato deve redigere il testo da rogare. Una volta divulgato non può più modificarlo, ma se vuole lo può ritirare e promulgarne un'altra versione.

Insieme alla promulgatio c'è la fissazione della data del voto, che deve avvenire dopo circa 17/25 giorni (cioè dopo tre mercati). Triginta iusta dies: tempo necessario per arruolare e convocare l'esercito. Durante questo periodo il testo della legge era oggetto di discussione (al foro, in contione) in riunioni cui prendeva parte gran parte della popolazione. Il giorno della votazione, il magistrato prendeva gli auspicia (chiaramente il tribuno delle plebe non poteva, poiché non era mag. cum imperio). Se erano favorevoli si votava: nei comizi centuriati per centurie, in quelli tributi per tribù (urbane e rustiche).

Procedure e meccanismi di voto.

Nel II a.C. tutti i cittadini sono elettori (scompare la categoria della civitas sine suffragio).

Le frazioni in cui era ripartito il corpo elettorale (centurie e tribù) erano gerarchizzate.

Ogni cittadino dunque votava nella sua classe d'appartenenza. Non contava la loro maggioranza, ma quella delle unità di voto. Mediante una renuntiatio complessiva si esprimeva il voto (prima c'era la renuntiatio centuriae e poi la r. tributae).

Il voto si espresse oralmente fino al 131 a.C., quando la lex Papiria stabilì la segretezza, tramite forma scritta, rendendolo più democratico. Esso dunque si esprimeva con due tabelle: uti logas = sì; antiquo = no. I cittadini, passando per il pontem in campo Marzio, ponevano la cartella nell'urna.

Il voto per iscritto era condannato dai nobiles, perché emancipava i cittadini dalla loro tutela.

In ogni modo nel testo della lex ci voleva un argomento unitario e ben definito (era vietata la promulgazione di leggi per saturam, cioè dai contenuti eterogenei).

Le parti della legge sono

Praescriptio: riassume gli aspetti formali (il mag. rogante, il comizio di fronte a cui si vota, la data e, se è comizio tributo, la prima tribù votante e di essa il primo cittadino votante).

Rogatio: è il testo in sé. Può essere un testo breve o lungo (e quindi diviso in capita, come la lex Iulia de Repetundis, divisa in 130 capita).

Sanctio: clausole che regolano i rapporti di quella lex con il resto delle leges, dato che ne può modificare il contenuto.(es. clausola de impunitate che colpisce chi non rispetta la legge).

Il tutto può essere preceduto da un index.

Classificazione delle leggi:

Imperfectae: leggi proibitive, ma non sanzionano né puniscono;

Minus quam perfectae: sanzionano ma non rescindono l'atto compiuto in violazione;

Perfectae: rescindono e sanzionano.

Le imperfectae sono le più antiche, perché basate sui mores maiorum, modificabili e sanzionabili solo alla fine della repubblica (ma è una teoria molto discussa).


Lo ius honorarium

367 a.C.: istituzione del praetor come collega minore dei consoli, col compito di gestire l'attività giurisdizionale.

242 a.C.: istituzione del praetor peregrinus. Battaglia delle Egadi.

Prima del 242 a.C. il diritto romano ha questi nuclei fondamentali:

ius Quiritium: (consuetudini ataviche delle gentes che avevano preso parte alla fondazione di Roma);

ius legitimum: XII tavole e le poche leggi del IV-III a.C. su temi privatistici (es. lex Aquilia de damno, per l'uccisione di schiavi e instrumenta vari, cioè animali,.);

interpretazione dei pontefici e dei giuristi laici: evoluzione dell'antico diritto e creazione di nuovi paradigmi negoziali (es. dai giur.: usufrutto, servitù, diritti su cose altrui.).

Ciò non era sufficiente. Si dovevano tutelare i rapporti con gli stranieri a cui non si possono attribuire i tre nuclei dello ius civile, perché estranei dai paradigmi regolati (tranne che per chi godeva di ius commerci, ma erano pochi). Se si fosse rimasti nell'ambito delle popolazioni vicine, il problema non si sarebbe posto, dato che per es. i Latini potevano usare la sponsio.

Prima del 242 a.C. era il pretore urbano che se ne occupava, insieme alla competenza cittadina. Prima lui, poi il p. pellegrino avrebbero recepito i sistemi di composizione arbitrali del mercato di Roma.

Sistemi di composizione arbitrali

Nel II d.C. Roma è una grande potenza navale, ma già coi Tarquini c'era un trattato commerciale con Cartagine. Già con gli ultimi re Etruschi, Roma era una potenza.

"Arbiter" deriva da:

a.   tradizionalmente da ad + bit re = "recarsi presso" (cfr. contesto dei rapporti di vicinato rurali; arbiter è il vicino che testimonia in un contratto tra 2 vicini), ma è una teoria poco convincente;

b.   etimo anindeuropeo; radice "-rb" forse semitico - fenicia, cui corrisponde "arbu". Che sia riconducibile a questo, lo dicono altre parole come "arra" - "" (parola greco - fenicia) = "garante", "sensale".

Arbiter = sensale, che fornisce la conclusione dei contratti ai mercati. Sensale da "sinsal"   (arabo).

L'arbitro agiva come sensale poiché era esperto di equivalenze e fungeva da interprete

Nel commercio di gruppi aristocratici (che spesso si connota come donazione), dal VI a.C., ci sono relazioni strette. Poi arrivano numerosi artigiani e commercianti e la tutela gentilizi si fa insufficiente. Nascono i santuari emporici, in cui agisce l'arbiter. Erano luoghi di mercato per i commercianti stranieri. Si definivano santuari, perché protetti da una divinità emporica (Afrodite e Astarte, cioè la versione fenicia, per es., a Gravisca e a Virci). L'arbiter è poi assunto anche nelle legis actio per le eredità, in quanto esperto di equivalenze. La giuridicità non dipende dall'interpretazione, ma dalla consuetudine.

Poi nel i santuari emporici (emporici erano i commerci marittimi, poiché poroV = mare) vengono chiusi. I mercati si spostano alle pendici dell'Aventino (colle dei plebei, che perpetuavano il sistema arbitrale nei loro mercati). (c/o il Foro Boario)

Gli edili plebei sovrintendevano al mercato ed erano i custodi dei templi di Cerere, Libero e  Libera. La plebe tutelava i commerci con gli stranieri, perché procuravano merci a prezzi minori e più rapidamente approvvigionamento regolare e a buon mercato. Questa situazione dura per tutto il V a.C., ma il pretore (367 a.C.) vuole controllare queste figure e gli stranieri, ma per farlo deve recuperare gli arbitri.


Formula = atto scritto, con cui si invita il giudice a condannare o ad assolvere qualcuno. Probabilmente in origine non conteneva condemnatio, ma una clausola estimatoria per tradurre il debito in sanzione pecuniaria.

Formula o iudicium = sintesi dei dati giuridici rilevanti. Formava l'oggetto della litis contestatio.

Demonstratio: indicava la fonte della pretesa. Inizia con "quod". Al suo interno c'era una clausola per il calcolo della pretesa dell'attore. Erano posti in discussione solo i particolari.

Quando i processi arbitrali raggiungono la loro massima importanza, si afferma il processo per formulas diviso in due fasi:

in iure: qui si nota la maggiore differenza con le legis actiones, in cui sono necessari certa gesta e certa verba ;

apud iudicem ( o apud arbiter);

I commerci su lunga distanza, che nel V a.C. erano molto intensi, sono tutelati; la giuridicità di questi rapporti risiede in tradizioni e consuetudini più antiche della creazione dei pretori.


Origine dell'editto

Tutti i magistrati cum imperio potevano comunicare col popolo tramite gli editti. Ne emettevano uno ogni anno, esattamente come i pretori (edictum perpetuum). Il pretore successivo poteva recuperare parte dell'editto del predecessore (edictum tralaticium).

Le azioni si dividono, a seconda della loro fonte, in civili e pretorie (o onorarie) e la loro appartenenza all'una o all'altra categoria si vede nell'intentio:

intentio in ius concepta dal dir. civile): in rem (ex iure Quiritium);

in personam (oportere ex fide bona e oprtere);

Tutte forme di integrazione elle lacune del diritto civile. L'azione fittizia, in ius concepta, consente l'applicazione del diritto a situazioni prima non previste.

Le azioni pretorie avevano fondamento nelle clausole edittali: circostanze in cui il pretore avrebbe concesso il giudizio (iudicium dabo). Si distinguono in:

utiles si possono estendere anche al di là del loro capo d'applicazione. Vi rientrano le azioni fittizie (azioni civili che si adattano ricorrendo ad una funzione: si tratta lo straniero come se fosse un cittadino;

in factum, si descrive nell'intentio la situazione da tutelare e la si sottopone alla valutazione del giudice. Se il fatto sussiste, il convenuto è condannato, altrimenti è assolto. La condanna è subordinata alla verifica della sussistenza;

con trasposizione di soggetto nell'intentio c'era il nome del soggetto effettivamente legittimato, ma assente; nella condemnatio, invece, c'era il nome della parte che lo sostituiva:

Es.: actiones adiectae qualitatis: si può concedere un'azione contro il signore per debiti dello schiavo, secondo la clausola edittale (nell'intentio c'è il nome dello schiavo, nella condemnatio quello del dominus):

actio quod ius

actio institoria: (la preposizione dello schiavo a una particolare attività sulla terra);   actio exercitoria: (attività dello schiavo sul mare);

actio de peculio.


Editto

Dell'editto, conosciamo solo la ricostruzione fatta da Lenel.

Si riconosce la cristallizzazione del testo in epoca adrianea, con Salvio Giuliano. Gli editti originari erano programmi politico - giuridici e non potevano essere modificati dal pretore durante l'anno, per cui ricorre all'editto repentino e al decretum (si concede una specifica forma di tutela valevole solo per il singolo e non per gli altri, anche se sono analoghi). Egli poteva usare diversi tipi di espressioni, come iudicium dabo, cogam (costringerò), anima advertam (contratti fatti da minori di 25 anni, che ne traggono vantaggio).

In una prospettiva storica, l'attività giurisdizionale del pretore nell'ambito del processo per formulas permette la tutela di nuove situazioni giuridiche. Il diritto civile pone dei principi, il diritto onorario deve correggere, integrare e colmare le lacune.


Perché nasce a Roma una vera scienza giuridica?

Il diritto romano è alla base di tutte le riflessioni scientifiche giuridiche. In Grecia mancava questo connotato, ma non la riflessione filosofica Þ non c'era giurisprudenza.

I pontefici in età arcaica possedevano la conoscenza dell'ius. I patres familiarum chiedevano loro dei responsa (ex facto oritur ius, cfr. il giurista Piacentino).

Il ius, può scaturire solo dall'analisi del fatto tendenza all'esame dei casi specifici. Ogni caso è diverso dall'altro.

I pontefici dovevano memorizzare e tramandare quel caso: sapienza che si concretizza nella conoscenza dei singoli eventi responsi, usati poi per interpretare i casi proposti.

Al problema dell'analiticità hanno risposto:

Rudolf van Hiering, XIX sec., che scrisse Lo spirito del diritto romano (Der Geist von der ..Recht).

Max Weber, XX sec., che scrisse Economia e società.

Quest'ultimo, partendo dalle considerazioni di van Hiering, sostenne che l'origine di questa analiticità è da ricercare nel formalismo, la cui genesi è il dovere rituale della religione arcaica. Per ogni numen, c'è un particolare rito e una particolare competenza. Per es. numena per la nascita e la crescita di un bambino (cfr. Varrone, Antiquitates divinae):

Pauca, Marzia e Licinia per la nascita; Levana e Cuna per la culla; Cuba per il sonno; Plumina per l'allattamento; Ossipagina per le ossa; Vacinatus per i primi vagiti; Fabulinus per i primi balbettii; Statilinus per i primi passi, Educa per imparare a mangiare; Potina per bere; Edeona per i primi passi in giardino, ecc.


Come la giurisprudenza si laicizza

L'essere pontefice non è più una qualità necessaria per la conoscenza dell'ius.

Roma nel IV a.C. vede un notevole sviluppo politico; le istituzioni sono riviste e nasce un nuovo ceto dirigente: la nobilitas patrizio - plebea. L'esclusivismo patrizio, che si risolve nel primato del pontefice, comincia a crollare e segue due strade:

si delinea attorno al pontefice Appio Claudio Cieco e al suo scriba Gneo Flavio, figlio di un liberto. Questi, secondo il racconto di Pomponio, sottrae ad A. Claudio, nel 304 a.C., il libro del ius, in cui erano contenute le formule delle azioni e il calendario coi giorni fast e nefasti, e lo divulga in un libro (da Papirianum a ius Flavianus). Ius Flavianus si identifica col De usurpatione di A. C. Cieco (l'usurpatio serve ad interrompere l'usucapione). È possibile che G. F. avesse seguito uno schema preciso e che avesse decifrato le sigle usate dai pontefici (acronimi come S. N. P. A. = Si Non Paret Absolvi)

attorno ai Fabi e ai Ogulni (?). La lex Ogulnia apre il collegio pontificale alla plebe, aumentando la base del potere insieme al numero. Il primo plebeo console, che diede responsi in pubblico, fu Tiberio Cornuncanio nel 254 a. C. 50 anni dopo c'è Sesto Elio detmto Cato (cfr. Catus negli Annales di Ennio), console nel a.C. e censore nel 194 a.C., che elaborò nuovi schemi d'azione (ius elianum) come la legis actio per conditionem.

Il giureconsulto, nell'epoca della tarda repubblica, difficilmente motivava il responso. Era espressione della nobilitas. Era una delle attività consuete dei giuristi (cfr. Cicerone, che definisce la giurisprudenza come attività del respond re, cav re ed ag re

Sono azioni del giurista dare responsi, redigere schemi negoziali e insegnare il formulario delle legis actio.

respond re: interpretazione di un paradigma negoziale, di una legge, di una consuetudine;

cav re: attività cautelare; redazione di schemi negoziali, che producono gli effetti desiderati da chi ha chiesto l'azione;

ag re: redazione delle formule dell'azione prima della presentazione dinanzi al pretore.

II d.C. Pomponio scrive l'consolidamento dell'ius civile. Ius, nel suo complesso può indicare la giurisprudenza. Celso afferma che ius est ars bonum et equum.

Pomponio indica il ruolo innovativo di tre giuristi, che iniziano a raccogliere i loro responsi e consolidano, dal punto di vista scientifico, il sapere giuridico: Publio Mucio Scevola, Bruto e Manilio.

A quest'epoca ci sono le prime divergenze tra giuristi.


Pomponio e Cicerone e i giudizi su Quinto Mucio Scevola.

Publio Mucio Scevola è console nel 113 a.C.

Quinto Mucio Scevola (figlio) fu pontefice massimo; nel 95 a.C. è console con Licinio Crasso; nel 98 a.C. pro - pretore d'Asia, esemplare per onestà (fu nominato modello per i successivi).

Q. M. S. fu il primo a raccogliere il ius civile in una raccolta di 18 libri: constitu re ius civile per genera et species. (diaeresiV)

Il giudizio di Cicerone su di lui è riduttivo rispetto a quello che da Pomponio.

Sebbene Pomponio conoscesse quello che aveva scritto Cicerone (nel Brutus, scritto intorno al 46 a.C., in cui, in un dialogo col cesaricida, si riprendono i temi del De oratore, ma in chiave diversa), egli non lo fece proprio. Come altri tecnitai che non consideravano il legame con la filosofia vera e propria (Salvio Giuliano e il celebre medico Galeno, per esempio), Pomponio svaluta il ruolo della dialettica. La diaeresiV è utilizzata da Q.M.S. non per sistematizzare, ma per mantenere un ordine storico nelle sue opere; omologia con le forme contrattuali (contrah re e solv re): si contrahe "re" (= cosa) e si solve "re".

Il punto di discrimine per Cicerone era l'uso dell'oratoria; Q.M.S., non possedendo una spiccata dialettica, non era ritenuto allo stesso livello di Servio Sulpicio Rufo: pur avendo magnus usus (Cic. usa il termine empeiria, che indica il primo punto di conoscenza teorica, in cui si fissa il ricordo delle cose notevoli e si stabiliscono le connessioni logiche), non giunse mai all'ars (tecnh). La scientia (epistemh) è il massimo livello di conoscenza. Non si può passare all'ars senza l'l'esperienza.

La teoria di Pomponio è che lo sviluppo della giurisprudenza è endogeno; deve poco agli influssi delle altre scienze, come sostiene anche Giuliano. In realtà deve molto alla filosofia e alla dialettica greca (cfr. Celso: la dialettica è una delle tecnai logikai).

Servio Sulpicio Rufo era nato nacque nel 105 a.C., da una famiglia della nobilitas romana. A causa di un'azione compiuta dal nonno (suo omonimo), rimase nel rango equestre.

Cicerone nasce un anno prima, nel 106 a.C., e diventa grande amico con Rufo. Questi diventa console nel 51 a.C., 12 anni dopo Cicerone, e muore nel 43 a.C. nel corso di un'ambasceria durante la guerra di Modena (dopo la morte di Cesare).

Cicerone, dunque, riconosce il suo valore come oratore (era il secondo, poiché veniva subito dopo di lui), ma di Rufo ci sono pervenute solo due epistole. Questi si interessò alla giurisprudenza a causa di un rimprovero fattogli da Q.M.S.: "è indegno per un patrizio non comprendere neanche le risposte che gli vengono date".

L'ars è conoscenza universale, che però ha ricadute pratiche (l'vi è inglobata).

Rufo si serve della dialettica stoica (ma lui non è stoico, anzi è critico verso i loro dogmi. Si colloca piuttosto nell'ambito della IV accademia, cioè la scuola scettica di Platone ® cfr. Carneade e la verità irraggiungibile).

La dialettica, per lui, è importante e la applica ad ogni caso, che è analizzato in ogni sua possibile variante.

Le costituzioni in Polibio

Polibio era un Acheo. Storico greco del II a.C., giunse a Roma come ostaggio dopo la battaglia di Pidna nel 168 a.C.. In quell'occasione, diverse città greche mantennero un atteggiamento ambiguo, come gli Achei, che si dimostrarono filo - macedoni. Per questo Roma chiese la consegna di alcuni ostaggi, tra cui, appunto, Polibio (tratto comune con Tucidide, Sallustio Crispo, Tacito).

Il punto di partenza dell'analisi delle costituzioni fatta da Polibio sta nell'individuazione di tre diverse forme di governo (monarchia, aristocrazia e democrazia), la cui morfologia può degenerare (tirannia, oligarchia e olocrazia, è come l'anarchia; il popolo può tutto). C'è un ciclo per cui dalla democrazia si torna alla monarchia. P. giudica la costituzione romana una costituzione mista, che ha in sé tutte e tre le forme. Queste, contemperandosi a vicenda, impediscono il crollo di Roma, permettendo un'esistenza prolungata e il successo politico.

P. individua il principio di monarchia nei consoli, quello dell'aristocrazia nel senato e quello della democrazia nel popolo e nei tribuni della plebe.

Egli ha cominciato a conoscere Roma nel periodo in cui si avvertivano le prime avvisaglie di degenerazione, con l'affermazione dei Gracchi.

Il VI libro dell' di P. racconta la costituzione romana in uno dei suoi stadi più antichi.

P. apre un excursus sulle istituzioni e sull'ordinamento militare, all'indomani della sconfitta di Canne (216 a.C.). Egli ne parla per interesse pragmatico, non vuole né informare né dilettare. Lo scopo utilitaristico è rivolto all'azione, per capire le cause degli eventi relazione evento - causa.

evento: in meno di 50 anni, Roma conquista il mondo allora conosciuto.

causa: da cercare nella struttura della costituzione.

Il libro che P. dedica a questo tema è la dimostrazione che prima delle guerre sannitiche (fine IV a.C.), coi contatti con la Magna Grecia, iniziò un interesse della Grecia verso Roma (es. il geografo Strabone ed Eratostene, che fa un confronto tra Roma e Cartagine).

P. non è l'inventore di questo genere, ma lo porta all'apice.

Impianto del VI libro: P. usa uno schema, quasi naturale, per classificare le forme di governo:

monarchia (V;

aristocrazia VV;

democrazia VV;

Questo schema risale alle Storie di Erodoto (V a.C.).

Altre forme di governo possono essere date dalla loro combinazione costituzioni miste, idea che risale alla filosofia greca (cfr. Platone).

Questi sono gli strumenti di P.: 3 forme pure + costit. miste.

Il suo scopo è di confrontare Roma e Cartagine, per capire come la prima abbia prevalso, nonostante la sconfitta di Canne. Il confronto come mezzo di conoscenza.

Il problema è che sia Roma sia Cartagine sono due cost. miste e quindi analoghe. P., dunque, non solo analizza le singole istituzioni, ma le relaziona tra loro:

istituzioni: a) consoli;

b) senato;

c) popolo;

confronto: a) consoli - senato + popolo;

b) senato - popolo;

c) popolo - senato + consoli;

Funzionalità del VI libro

Schema che risale ad Aristotele (cfr. Politica, IV). Il legislatore deve saper ordinare bene le tre funzioni (tria moria) della costituzione:

deliberante sugli affari comuni (pace, guerra, alleanza, denuncia trattati, leggi, sentenze, condanna a morte, esilio, confisca, elezione dei magistrati e loro rendiconto);

di comando (magistratura cum imperio);

giudiziaria sui conflitti d'interesse;

Rapporto Polibio - Cicerone

Era molto stretto, a quanto dice Cicerone nel De Republica, in cui parla dell'ottimo stato della repubblica.

Le Storie di Polibio. ¹ dal De Republica di Cicerone: P. scrive "in presa diretta", cioè è contemporaneo all'evento descritto (quindi la rep.), C. fa una retrospettiva, perché è successivo al periodo repubblicano, con un dialogo con Publio Cornelio Scipione Emiliano, il migliore amico di Polibio. Dunque all'interesse descrittivo di P. si oppone quello ideologico di C.. Per il resto sono simili.

Nel brano del De Republica il sostenitore della democrazia insiste sulla libertà uguale per tutti, ma una realtà tangibile, non come nei luoghi in cui c'è il diritto di voto, ma in cui non si può incidere sulle scelte, perché è necessario l'imperium, il iudicium e il consilium publicum (i tria moria aristotelici).

Anche Cicerone aveva presente questo schema (attraverso Aristotele o un'altra fonte peripatetica).

Come sono distribuite, a Roma, queste funzioni per Polibio

consoli: potere di comando illimitato in guerra. La manifestazione più estrema di potere è quella di togliere la vita (secondo Max Weber). Uso della forza.

senato: potere finanziario; delibera sulle somme dell'erario. Vi si traggono i giudici ® potere giudiziario.

popolo: signore di onori (elegge i magistrati e ne fa il rendiconto finale) e pene (condanne a morte, esilio, confisca); vota le leggi, decide lo stato di pace o di guerra; ratifica i trattati o sancisce la loro rottura ® potere deliberante.

Confronto con Cartagine

In quel tempo Cartagine aveva già iniziato la sua decadenza, nonostante la vittoria di Canne. Polibio, aveva già affermato che la vita delle istituzioni era "parabolica": il momento di confronto tra queste due civiltà, avviene quando esse si trovano in posizioni diverse sulla parabola della loro vita. Roma, a Canne, era al suo akmh, al vertice (la sua "parabola" era iniziata al tempo delle XII tav.), mentre Cartagine era già in discesa.

In quest'ultima, il popolo aveva la prevalenza nelle decisioni, mentre a Roma il predominio l'aveva il senato a Cartagine governano i molti, a Roma i migliori (dunque le decisioni erano anch'esse migliori).

Ma il potere deliberante non era del popolo?!

a)   noi sappiamo che nel passo in questione P. confronta solo la funzione deliberante: a Roma le decisioni le prendono i migliori, perché per la guerra considera solo le decisioni e non gli interessava descrivere le altre.

b)   nel 167 a.C. (P. arriva a Roma) c'è la questione della guerra contro Rodi. Un pretore chiede al popolo di decidere, ma gli si pone l'intercessio, perché era il senato che doveva prendere la decisione preliminare e pronunciarsi al riguardo.


Dunque il popolo ha funzione di legittimazione e non di decisione: si integra la funzione formale con quella sostanziale







Conseguenze delle vittorie Mediterranee: ricchezze e schiavi (provenienti dalla pirateria in oriente e dalle guerre). Masse di schiavi da utilizzare in agricoltura e pastorizia riconversione delle attività agricole: dalla cerealicoltura all'arboricoltura, cioè la coltivazione estensiva di vite e olivo. Tutto ciò comportava l'impiego di grandi capitali, perché implicava un certo numero di anni di non coltivazione impoverimento ulteriore dei contadini, che essendo anche soldati, dovevano allontanarsi dai propri fondi.

Le conquiste in Italia (regioni a sud del Po fino alla Calabria) avevano lasciato una poderosa eredità, poiché nessuna regione era stata ridotta in provincia: erano socii. Roma confiscava parte dei territori che diventavano ager publicus e solo i ricchi potevano usufruirne.

La legge sul modo agrorum (Liciniae Sextiae del 367 a.C.) fu superata, perché c'erano persone che possedevano fondi maggiori di 500 iugeri.

Nel giro di pochi anni (ultima metà del II a.C.) si esauriscono le risorse Þ crisi economica aggravata dalla rivoluzione degli schiavi in Sicilia nel 135 a.C..

Fu la prima grande rivolta di schiavi problemi nel rifornimento di grano a Roma e crisi per i contadini italici.

Crisi che si riflette sul reclutamento. Fu necessario abbassare le quote di censo e arruolare nelle classi IV e V i proletari.

In una parte della nobilitas ci si risolse a intraprendere una via di restaurazione di antiche normative.

140 a.C.: Levio ripropose la legge Licinia Sextia sul modo agrorum, ma non ebbe fortuna, perché non ponendo una sanzione, nessuno la rispettava.

Tiberio Sempronio Gracco, nato in una famiglia nobile e nipote di Scipione l'Africano, propose una soluzione sul tema. Il suo programma era stato elaborato in collaborazione con alcuni esponenti del governo, probabilmente con Q. M. S., Appio Claudio e Publio Licinio Crasso.

Narra Appiano che nel viaggio di ritorno da Numanzia (133 a. C.), Tiberio attraversò l'Etruria e si rese conto che era una regione basata sulla schiavitù e che i contadini liberi erano rari.

Egli fu molto colpito e ripropose la legge L.S. del 367 e la lex Levia del 140 a.C. + alcune condizioni: 500 iugeri a famiglia + 250 iugeri per ogni figlio; il rimanente doveva essere assegnato ai contadini indigenti in modo perpetuo e inalienabile.

Era una ridistribuzione dell'ager publicus. Nonostante la preposizione di funzionari appositi, questa proposta scatenò l'opposizione sia della parte più retriva della nobilitas, sia dei proprietari italici, preoccupati per i loro fondi.

Fu quindi posto il veto (intercessio) di Caio Ottavio, istigato dalla nobilitas.

Tiberio, non volendo rinunciare ed essendo influenzato dalle teorie egalitaristiche di Gaio Blossio, capo della stoa di Cuma, propose l'abrogazione di Caio Ottavio dalla sua carica. Prima pregò ti togliere il veto, ma lui rifiutò. Al voto delle prime 17 tribù, Tiberio lo richiese e Ottavio rifiutò nuovamente; alla fine decadde dalla carica. Questo evento dimostra la supremazia dei comizi e contrasta con una prassi per cui non s'era mai avuta un'abrogazione di un mag. col voto comiziale. Questo gli rende ulteriormente ostili i nobiles. In più Tiberio sapeva che alla fine del suo tribunato si sarebbero vendicati e, nella migliore delle ipotesi, sarebbe stato esiliato. Così provò a ricandidarsi, ma la lex Vilia Annales, vietava la reiterazione delle cariche per due anni successivi, anche se non era esplicita riguardo al tribunato.

Questa cosa non fu ben vista e, proprio in occasione dei concilii per eleggere i tribuni, ci furono manifestazioni di ostilità da parte dei patrizi, che richiedevano il senatoconsulto ultimus per l'arresto e l'eliminazione fisica delle cause dei disordini e quindi dei graccani. Publio Mucio Scevola però non lo ammise e rifiutò solo la ricandidatura. I nobili più ostili scelsero, però, un'altra via, che si fa risalire al pontefice massimo Scipione Nasica, che mediante evocatio si scagliò contro i graccani, uccidendone parecchi, tra cui Tiberio stesso.

T.G. voleva ricostruire dall'interno il ceto dei piccoli proprietari terrieri, che erano il nerbo dell'esercito e la parte della società che aveva permesso a Roma di divenire una potenza.

Caio, diversamente dal fratello, aveva un programma politico più omogeneo e proponeva una riforma più complessiva, perché si era reso conto che occorreva fondarsi su una base più ampia per combattere la nobiltà.

Cercò di allearsi con gli equites e con la plebe rustica + una parte di quella urbana (trascurata da T.).

Ai cavalieri doveva riconoscere il proprio status, assegnare posti in teatro e la facoltà di giudicare i casi di concussione dei senatori (lex Sempronia iudiciarum).

Alla plebe urbana interessava il prezzo dei beni di sussistenza. Con la lex Sempronia frumentaria furono istituite le frumentationes: distribuzione di frumento ai cittadini poveri.

C. fece una lex agraria per assegnare ai triumviri la possibilità di mettere in discussione e di intervenire nella distribuzione dell'ager p.

Lex Sempronia de capite civis: nessun reato fu escluso dalla possibilità di provocatio.

C. ripete il tribunato per il secondo anno: era previsto, ove mancasse il numero minimo di candidati, secondo una legge approvata pochi anni prima, reiterare la carica.

Il senato (nobilitas) cerca, con una politica demagogica, di rubare gli alleati a C.

M. L. Druso propone una distribuzione più frequente e gratuita delle frumentationes e una politica di colonizzazione. Nel 123 a.C. una legge di C. Rubrio contemplava la possibilità di dedurre colonie dai territori di Cartagine, distrutta.

C.G. perse la plebe urbana: che interesse avrebbero avuto ora i cavalieri? Nessuno.

Infatti nel 121 a.C. non ebbe la terza rielezione e fu privato della sacertas.

In seguito le norme introdotte dai Gracchi furono smantellate.

I triumviri agrari furono fedeli alla nobilitas e furono eliminate le norme in conflitto con gli interessi dei grandi latifondisti (es. fu tolta l'inalienabilità dei fondi assegnati, per cui il piccolo contadino non poteva vendere il proprio terreno assegnatogli, in modo da evitare che i ricchi glieli estorcessero con la forza..è un topoV della retorica). Poi si bloccò la distribuzione dell'ager publicus. Quanti ne possedessero una parte, dovevano versare un vectigal all'erario.

Alla fine alla plebe povera non rimase nulla e nessuno si preoccupò delle reazioni che potevano sorgere. L'unico pensiero era quello di arricchire i cavalieri (che già con C.G. avevano avuto molti vantaggi) e l'aristocrazia.

Fu fondata, nella Gallia transalpina, la colonia commerciale di Narbona ® Gallia Narbonese.

Problema della Numidia (a ovest dell'attuale Tunisia). Questo regno era stato governato dal re Massinissa, alleato di Roma per molti anni. Poi muore e inizia la guerra contro Giugurta, che aveva usurpato il trono dei figli troppo giovani di Massinissa, essendone il reggente. G. ne uccise uno e si mise in guerra con l'altro, che aveva chiesto aiuto a Roma.

Fu inviata una commissione di inchiesta, che G. comprò; poi corruppe i senatori che dovevano giudicarlo. Ma fu eletto console Quinto Metello e fu indetta la guerra Giugurtina. 107 a.C.

Quando si seppe che Metello si rifiutava di eleggere console Caio Mario, perché non aristocratico, la cittadinanza, che dal giorno dell'uccisione dei Gracchi aveva in odio l'aristocrazia, insorse.

A Mario, console, fu quindi assegnato il comando delle legioni.

Nel frattempo, nell'assedio di Cirta, Giugurta si fece scudo coi commercianti italici, che furono massacrati. G. non era più socius et amicus populi romani. Egli aveva capito che il punto debole della nobiltà di Roma era la venalità: pagando ingenti somme evitò di essere punito.

Il 107 a.C. vede la partecipazione dell'esercito professionale proletario.

Giugurta tuttavia fu catturato dal questore di Mario: Lucio Cornelio Silla. Ma fu Mario l'eroe della città e gli fu concesso il consolato per 6 anni.

Nel frattempo (105 a.C.), alcune tribù di Cimbri e Teutoni erano discesi in Gallia e nella pianura Padana. Prima ad Aquae Sextiae (Aix-en-Provence) e poi a Vercelli, sconfisse gli invasori.

Nel 91 a.C. M. L. Druso fu eletto tribuno; era un aristo. figlio dell'oppositore di T.G.

Egli propose all'assemblea una rogatio per saturam:

distribuire nuove terre ai poveri;

ridare il monopolio delle giurie al senato, solo dopo avervi aggiunto altri 300 membri;

conferire la cittadinanza a tutti i cittadini liberi;

L'assemblea approvò i primi due punti, ma il terzo no, perché Druso fu assassinato dalla parte più retriva dei nobili.

Subito dopo gli italici insorsero e vollero costituirsi autorità autonoma da Roma.

Italici: popolazione lungo la dorsale appenninica. Lingua osco -sabellica. C'era un'identità culturale tra i vari gruppi etnici. Auspicavano a una federazione con un senato in comune di 500 membri, 2 consoli (uno di Marsi, Abruzzo, e uno sannita) e 12 pretori. La capitale sarebbe stata Corfinium (in Abruzzo), ribattezzata Italica. Sulle monete era scritto "Italia" e "Vitelia".

Gli italici potevano disporre di un esercito equivalente a quello romano. Dopo diversi scontri capeggiati da Mario, il senato concesse la cittadinanza a Etruschi, Umbri e a chi avesse giurato fedeltà.

90 a.C.: lex Iulia de latinis socii civitates danda.

89 a.C.: lex Flavia Papiria: cittad. a chi ne faceva richiesta in 60 giorni. +lex Pompeia: ai Galli cisalpini fu concessa la latinitas.

Ora il problema era: in che tribù iscrivere i nuovi cittadini italici? Inserirli in poche tribù equivaleva a limitarli, metterli in tutte le altre era equipararli agli altri cittadini. Furono infine inglobati in 10 nuove curie, per cui fino all'84 a.C. con Cinna, non ebbero nessuna possibilità di influire sulle votazioni dei comizi tributi.

88 a.C.: Silla fu eletto console. Era un homo novus proveniente da una famiglia della piccola aristocrazia e non aveva seguito un regolare cursus honorum.

Egli voleva il comando dell'esercito contro Mitridate, che aveva già invaso la Grecia e Atene si era alleata con lui. Sulpicio Rufo e i cavalieri preferivano Mario e proposero l'assegnazione a Silla di un'altra provincia, lasciando l'Asia Minore a M.

Silla si rivoltò e marciò con l'esercito in armi su Roma, dove Mario ne aveva approntato un altro, che però perse. M. fuggì in Africa. Silla con i suoi 35.000 uomini nel foro abrogò la rogatio di Rufo (che fu ucciso da un suo schiavo. Silla per riconoscenza lo rese libero, ma poi lo uccise subito per il tradimento verso il suo padrone) e affermò che nessuna proposta di legge poteva essere votata dai comizi senza la preventiva ratifica del senato.

Poi, dopo aver ottenuto la carica proconsolare, fece eleggere (87 a.C.) 2 consoli: Gneo Ottavio e Cornelio Cinna.

Mentre in Asia Silla vinceva Mitridate a Orcomeno, a Roma c'era la guerra civile: da una parte gli optimates (conservatori) dall'altra i populares (democratici). Ottavio vs Cinna, che fece rientrare gli esiliati e Mario ed estese il voto degli italici a tutte le tribù. Il senato abrogò C. e gli tolse, seppur illegalmente, la civitas. Questo scappò, raccolse un esercito tra gli schiavi e gli italici, marciò su Roma, sconfisse Ottavio, lo uccise, fece dimettere il console Merula e divenne console con Mario. Silla fu proclamato decaduto dal comando e tutte le sue proprietà furono confiscate. Cinna desiderava inseguire e sconfiggere S. in Asia e organizzò un esercito. Ma rimasto praticamente unico dittatore, vi mandò L. Valerio Flacco.

Silla conquista Atene e vince a Orcomeno Mitridate. Flacco rifiuta di mettersi vs Silla che offrì la pace a Mitridate.

Silla tornò e marciò a Roma. Nella battaglia di Porta Collina batté i mariani Þ liste di proscrizione (privati della civitas e confisca dei beni).

83 a.C.: i soldati di Silla uccidono Cinna.

27 e 28 gennaio 81 a.C.: trionfo di Silla.

V. Flacco roga la lex Valeria de Silla dictatore creando: Silla diventa dictator legibus scribundis et rei publicae constituendae dalla dittatura precedente, perché senza limiti di tempo e:

potere di nominare i mag. che dovevano essere solo ratificati dal senato;

potere di porre in essere atti con valore = a quello delle leggi pub. + ius agendi cum populo; (secondo Appiano)

amministrazione delle province;

modifica della linea del pomerio.

Riforma totale.

Secondo le liste di proscrizione, i proscritti potevano essere uccisi impunemente e i loro beni confiscati.

Gli furono dati 24 littori aveva l'imperium militiae anche all'interno del pomerio (non era sogg. alla provocatio). S. speculò sul piano religioso, rivolgendosi con locutio al popolo: i suoi successi erano dovuti agli dei, perciò aggiunse al suo nome Felix (eutchV = buona sorte, V = favorito di Afrodite, è la traduz. più corretta). Dal punto di vista politico, è la prima volta che un uomo a Roma assume titoli usati dai monarchi orientali ed ellenistici (cfr. i Lacidi e i Tolomei) come .

Programma di Silla

Lex Cornelia de tribunicia potestas: ricondusse i poteri dei tribuni entro i limiti che volevano i patrizi. Furono privati dell'intercessio, ma mantennero l'auxilii latio: interporre la loro persona tra mag. e privati. Non potevano più auspicare alle mag. curuli. Si limitava l'iniziativa legislativa: dovevano chiedere l'autorizzazione al senato. Si ritornò a una situazione simile a quella della lex Publilia Filonis del 399 a.C., riferita all'auctoritas dei patres, abolita dalla lex Hortensia del 286 a.C. Poi si sottopose l'elezione dei tribuni alla destinatio del senato. Il tribuno diventa un'imago sine re, un'immagine senza sostanza.

Lex Cornelia de magistratibus

Rivoluziona il cursus honorum: prescrisse le età minime per accedere alle mag.

questura: dai 29 anni;

pretura: dai 36 o dai 39:

consolato: dai 42 o 43;

Lex Cornelia de provinciis

Verosimilmente S. distinse l'imperium domi dall'i. militiae.

Sia i consoli che i pretori ® i. domi;

Promag. delle province i. militiae (il regime della prorogatio imperii divenne la regola).

Estensione del territorio Italico alla Gallia Cisalpina: dal Rubicone alla Calabria era ager romanus.

Lex Cornelia de pretoribus opto creandis

8 pretori: 2 con ius dicere (urbano e pellegrino) e 6 per le corti permanenti (dir. criminale).

Lex Cornelia de viginti quaestoribus creandis

20 questori.

La riforma sillana tende a rafforzare il senato.

Silla nomina personalmente 300 nuovi senatori, facendoli poi approvare dai comizi. Totale = 600 senatori.

Rapporto senato - tribunato: i trib. per un certo periodo furono solo fantocci.

Rapporto senato - consolato: il fatto di privare i consoli dell'imperium mil. li aveva in parte esautorati. Poteva convocare il senato. Nell'anno di carica aveva funz. politiche.

LEGGI DI CONTORNO

Lex Cornelia frumentaria: abolite le frumentationes + editto sui prezzi, per cui si tentò di tenere i prezzi delle derrate bassi.

Lex Cornelia sumptuaria: per limitare il lusso.

Lex Cornelia agraria: per sistemare i veterani, confisca i territori di alcune città (cfr. Arezzo), ¹ dai Gracchi che volevano ricostruire il ceto dei piccoli proprietari. I lotti per i veterani erano inalienabili, ma poi questo aspetto fu abrogato.


Iudicia populi: erano troppo lunghi e farraginosi. Il processo criminale dinanzi ai comizi era di tipo inquisitorio: il mag. forniva le prove ai danni dell'accusato. Questa parte chiamata anquisitio si svolgeva in 3 giornate non consecutive (cioè nell'arco di 6 giorni); dopo 24 giorni il popolo votava (per centurie o tribù) e a partire dalla lex Tabellaria il loro voto fu scritto.

149 a.C.: creazione del tribunale per le accuse relative ai reati di concussione e corruzione quaestio de repetundis. Non è un processo criminale in senso proprio, perché si svolge sul modello delle legis actio in rem. Non è possibile concedere l'azione ai pellegrini concussi, che dovevano procurarsi un patrono romano.

La giuria era formata da senatori.

Questo quadro cambiò in seguito a un plebiscito d'età graccana (123 a.C. lex Acilia Accidia) che introduceva un'accusa vera e propria e dunque si passa ad un vero e proprio processo criminale.

In conseguenza alla lex Sempronia iudiciaria la competenza per questi giudizi passa ai cavalieri.

Negli anni successivi sorgono nuovi tribunali: q. de sicariis e q. de peculato.

Silla sostituisce al più antico processo popolare (iudicium populi) le quaestiones e roga una serie di leggi per ogni tipo di reato.

lex Cornelia de repetundae.

lex Cornelia de sicariis et veneficis: puniva l'omicidio volontario (inizialmente solo quello mediante sica, pugnale,) e l'avvelenamento.

lex Cornelia de maiestate: vs gli attentati alla maiestas del popolo rom. L'entità cittadina è divinizzata.

lex C. de ambitu: vs la corruzione elettorale. Vieta di ricandidarsi per i seguenti 10 anni.

lex C. de peculato: vs sottrazioni di denaro dall'erario pubblico.

lex nummaria testamentari: vs la falsificazione dei sigilli dei testamenti e delle monete.

lex C. de iniuriis: vs comportamenti offensivi per le persone.

Il processo per quaestiones si svolgeva in corti permanenti. Ogni legge istituiva un'apposita quaestio presieduta da un pretore o da un giudice. di rango edile.

Anche i cittadini venivano chiamati a far parte della giuria mediante un sorteggio (sortitio), ma solo quelli iscritti nella lista dei giudici, abilitati al munus iudiciarum.

Giudici delle q. potevano essere solo i senatori, perché Silla aveva concesso tale munus solo a loro.

La procedura è tipicamente accusatoria. Mentre prima era il mag. che riferiva l'illecito di un cittadino dinanzi alla folla, ora ogni cittadino poteva accusarne un altro di fronte al tribunale.

Nei iudicia pubblica, la titolarità dell'accusa spetta ad ogni cittadino.


I fase: postulatio.

Chi voleva accusare un cittadino doveva postulare: dimostrare la propria legittimazione all'accusa. Persone escluse dalla p.: informi, condannati a precedenti iudicia, attori, mimi o persone di condotta immorale.


II fase: divinatio.

Se gli accusatori erano più di uno, si doveva stabilire quale fosse il più legittimato all'accusa. Se, una volta processato l'accusato, si scopriva che l'accusatore aveva agito con dolo malo, questo poteva essere punito con la stessa pena che era stata attribuita all'altro.


III fase: interrogatio legibus.

IV fase: nominis delatio.

V fase : nominis receptio.


Fasi del processo:

oratio dell'accusatore.

arringa di difesa.

escussione dei testi (interrogatorio incrociato).

laudatores che elogiano l'accusato.

in seguito si votava.

Il processo doveva durare una sola giornata. Se col voto non si raggiungeva la maggioranza o vi erano troppe astensioni si procedeva con l'ampliatio, una seconda votazione.

Per la q. de repetundis, al posto dell'ampliatio, c'era la comperendinatio.

I giurati votavano con delle tavolette: A = absolvo; C = condemno.


Valutazioni sulla riforma di Silla

Alcune sue innovazioni furono abolite e superate. Rimase però la divisione imperium domi / i. militiae.

Riforme caratterizzate dall'uso di propaganda religiosa (per la prima volta il fenomeno è istituzionalizzato).

Si è rivelata l'enorme potenzialità distruttiva ed eversiva dell'esercito proletarizzato e professionale, che deciderà le sorti di Roma. L'imperatore Þ capo militare.

78 a.C.: console Mamerco Emilio Lepido: lex Aemilia frumentaria per cui andavano fino a 5 moggi di frumentazioni per ciascuno. M.E.L. fu considerato sovversivo e nemico pubblico.

75 a.C.: il cons. Caio Aurelio Cotta con la lex Aurelia de tribunicia potestate concesse ai trib. di accedere alle mag. curuli. Il tribunato tornò ad essere una carica appetibile. Concesse anche ai non senatori di accedere al tribunato.

74 a.C.: seconda guerra vs Mitridate.

73 a.C.: insurrezione degli schiavi di Spartaco, annientato da M. Licinio Crasso.

70 a.C.: Pompeo e Crasso consoli. Si alleano con la fazione popolare.

Per diventare console P. tradì i nobili. I trib. riprendono tutti i loro antichi poteri con la lex Pompea Licinia de tribunicia potesas.

Lucio Aurelio Cotta (fratello minore di Caio) emana la lex Aurelia iuduciaria. Senatori, cavalieri e tribuni erari ottengono il modus iudiciarum. Si formano 30 decurie di giudici (ogni decuria composta da 100 persone).

67 a.C.: Caio Cornelio, trib., emana una legge che riduce il potere di solutio del senato: questi non poteva più sciogliere alcuni dal rispetto delle leggi.

Problema della pirateria cilicia (sud Turchia) che riforniva i mercati di schiavi. I pirati iniziarono a saccheggiare le navi per il rifornimento di Roma Þ crisi di rifornimenti. (via mare era più veloce, economico e si trasportavano maggiori quantità). Urgenza di sconfiggere i pirati. Già nel 74 a.C. era stato dato a M. Antonio l'imperium infinitum (equum rispetto a quello dei proconsoli, maium rispetto a quello dei pretori) vs i pirati, ma aveva fallito. Ora si sarebbe dovuto affidare un potere simile valevole su tutto il Mediterraneo a una persona sola. Si decise di affidarlo per 3 anni a Pompeo, che debellò i pirati (per 3 secoli) in soli 6 mesi. Gli fu allora conferito l'incarico vs Mitridate (lex Manilia del 66 a.C.) per il tempo rimanente. Sconfisse Mitridate e muove vs la Siria nel 63 a.C.; profanò il tempio di Gerusalemme e tornò verso Roma. Non fece ingresso a Roma finché non gli fu conferito il trionfo. Egli non ottiene il formale riconoscimento delle azioni in oriente (dunque niente trionfo) e la nobilitas contrastò la rogatio del plebiscito Flavio, con cui P. chiedeva di assegnare terre ai veterani.

P. e Crasso si alleano con C. G. Cesare I triumvirato. Non aveva una valenza giuridica, ma politica: da soli non avrebbero potuto prendere alcuna decisione.

Nel 59 a.C. Cesare doveva diventare console e far riconoscere le azioni in oriente di P. e assegnare i fondi ai veterani. Così fu e mantenne le promesse: con la lex Iulia agraria e con la lex I. agri Campana sistema i veterani e fece partecipare a queste ridistribuzioni anche gli indigenti. Questa legge fu ostacolata dal senato (in partic. da Calpurnio Bibulo).

Sempre nel 59 a.C. il trib. Batinio fece approvare la lex Batinia, per assegnare a C. i territori a nord del Rubicone (Gallia cisalpina), l'Illiria e la Gallia Narbonese.

Da qui parte il desiderio di C. di conquistare la Gallia Comata: nel giro di 8 anni conquistò la Gallia e la Britannia.

A Roma intanto aveva preso piede Clodio (tribuno)dei Claudi Pulcri. Era un patrizio, che per diventare tribuno dovette compiere la transitio in plebem (a cui era caro). Egli contrastò Cicerone, che aveva messo a morte i catilinari (la congiura di Catilina fu nel 63 a.C.) senza regolare processo. Morì nel 52 a.C. ucciso da Milone.

Fu rinnovata, intanto, la jilia tra i triumviri e Cesare ottenne la proroga dell'imperium per altri 5 anni (siamo nel 56 a.C.).

Nel 55 a.C. si dovevano eleggere consoli L. Crasso e P. Crasso avrebbe ottenuto la Siria (vs i Parti), Pompeo la Spagna. Tutto ciò avvenne, ma Crasso fu sconfitto dei Parti.

P., ottenuto dal senato il consolato sine collega, si era riavvicinato alla fazione tradizionalista del sen. e aveva fatto rogare delle leggi vs. Cesare: Lex Pompea de iure magistrato: si sanciva che chi avesse voluto candidarsi al consolato, avrebbe dovuto farlo come privato cittadino, abdicando al proprio imperium.

Cesare avrebbe voluto candidarsi nel 49 a.C., ma questo lo avrebbe distrutto. In quanto proconsole P. non poteva entrare nel pomerio, per cui questo provvedimento cadde guerra civile.

10 gennaio 49 a.C.: C. passa il Rubicone con la XIII legione. Il senato, i consoli e P. scappano in Epiro e in Grecia. Cesare assume il potere e diventa dittatore.

A Farsàlo (Epiro) vinse P. che scappò in oriente. Fu ucciso ad Alessandria d'Egitto da Tolomeo III, fratello di Cleopatra. Nel frattempo Cesare fu nominato dittatore perpetuo (carica mai assegnata in precedenza).

Mentre prepara la spedizione vs i Parti (44 a.C.), si delinea il suo programma politico: vuole riformare la monarchia, pur senza mantenere l'appellativo di Re, mantenendo la costituzione repubblicana.

Fece risalire la sua dinastia a Enea e quindi a Afrodite. (Giulio o Iulio, da Iulo, figlio di Enea).

Ma alle idi di marzo del 44 a.C. muore assassinato; infatti Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino (avo del giurista) volevano eliminare il tiranno.

Gli atti e i benefici emessi da Cesare furono riconfermati e questo fu un bene per i cesaricidi, che avevano ricevuto da lui le loro cariche.

L'erede di Cesare fu Caio Ottavio, che sconvolse i piani di Antonio, rubandogli l'affetto della plebe e dei veterani. Prendendo contatti con Cicerone, mise da parte Antonio. Quest'ultimo fece rogare il programma per cui dopo il consolato avrebbe ottenuto la proroga per la Gallia Cisalpina. Quando vi si recò, chiese al legittimo governatore Decimo Bruto di lasciargli la Gallia, ma questi rifiutò e iniziò la guerra di Modena, che Antonio perse, ma non fu annientato.

Nel 43 a.C. Ottavio assume il nominativo di Caio Giulio Cesare Ottaviano e fa approvare la sua adozione ex testamento dai comizi curiati.

Diventato console non segue più la linea di Cicerone.

Lex Poelia de interfectoribus Cesaris: quaestio vs i cesaricidi, cui spettava la pena dell' interdictio aquae et igni.

O. fa un accordo con Antonio, cui partecipa anche E. Lepido Þ II triumvirato.

27 novembre 42 a.C.: lex Titia triumviri res publica constituendi.

40 a.C.: a Filippi i triumviri vincono Bruto e Cassio. In seguito si spartiscono l'impero: a O. spettava la parte europea, a Lepido quella africana e ad Antonio l'Egitto, la Grecia e il Medio Oriente.

38 a.C.: si rinnova il triumvirato.

Antonio fa chiamare Cleopatra a Tarso, perché accusata di aver aiutato Crasso, ma lui se ne innamora e va con lei ad Alessandria. Ebbero due figli: Selene e Alessandro, cui si aggiunge Cesarione, figlio di Cleopatra e Cesare.

O. fece aprire il testamento di A. e strumentalizzò la cosa, leggendolo in pubblico. Una cosa che scandalizzò molto fu il trionfo che fece ad Alessandria, in seguito allo scontro in Persia, ad Antiochia, vs Labieno. O. ne approfitta per screditarlo e muove contro A., anche se formalmente la guerra era vs Cleopatra.

Le due flotte (egizia e romana) si scontrarono ad Azio, dove quella di Cleopatra fu costretta al ritiro. O. in seguito isola Antonio rompendo le alleanze che aveva stabilito in Oriente. A. si uccise pensando che Cleopatra fosse morta. O. disse a C. che l'avrebbe condotta a Roma come ornamento del suo carro del trionfo e a questo punto lei si uccise.

Con l'oro riportato dall'Egitto, liquidò parte dell'esercito e si proclamò imperator della parte rimanente.

Diede avvio alla realizzazione di grandi opere pubbliche. Egli voleva compiere una riforma e per farlo aveva bisogno di un apparato burocratico efficiente. Intorno a sé costruì una specie di gabinetto ministeriale, di tecnici che scelse di persona, ma in cui non comparivano nomi aristocratici. Questi, che si lamentavano per l'esclusione, furono cooptati in un consiglio che divenne il portavoce del senato, vincolandone le decisioni.

O. fu console per 13 volte, ma nel 27 a.C. rimise tutti i suoi poteri al senato, proclamando la restaurazione della rep. e dicendo di ritirarsi a vita privata. L'unico titolo che aveva accettato era quello nuovo di princeps. Il senato abdicò a sua vota e gli conferì tutti i poteri col titolo di Augusto.

Egli, tuttavia, si mostrò discreto nell'uso dei suoi poteri.


PRINCIPATO

Definizione di principato di Mommsen: come regime sarebbe definito "diarchia", duplicità di poteri nelle mani dell'imperatore e del senato.

Dunque due poli di potere, senato e principe, sullo stesso piano e con stessa dignità.

Questa teoria però non descrive la sostanza del principato come regime, perché deprime la figura del principe.

Altra soluzione: al principe e al senato farebbero capo due diversi ordinamenti. Una soluzione sul rapporto tra essi è fornita da Arangio Ruiz, che ricorre al concetto di "protettorato" (nozione del diritto internazionale, che fu in auge fino alla II g. mondiale, che limitava la sovranità della nazione protetta).

A.R. parla di "protettorato interno", ma fu obiettato che questa nozione va applicata a due differenti entità.

Quale era il rapporto in Grecia tra V? Le istituzioni della Vpur essendo all'interno di un regno ( erano entità distinte.

A.R. si serve di un'epigrafe di Cirene: programma di costituzione di un Tolomeo e di alcuni cittadini. Si prevedeva che accanto agli strateghi annuali (magistrati), T. assumesse il titolo di stratega perpetuo (cfr. dittatura romana), pur restando re d'Egitto. T. è allo stesso tempo re d'Egitto e magistrato d'Alessandria.

Se consideriamo le province senatorie, notiamo che queste costituiscono un cerchio all'interno delle province imperiali, dove erano appostate le legioni per la difesa cfr. protettorato.

A.R. ricorda che nel mondo antico mancava la nozione di stato unitario anche nell'idea di populus.

Paolo Frezza (?) fornisce un'altra chiave interpretativa, recuperando la nozione latina di "clientela" (rapporto per cui ci si impegna a rimanere fedele al patrono).

Durante il principato, si definisce crimen maiestatis ogni offesa verso la famiglia imperiale. Es. l'adulterio con una donna di tale fam. non era punito secondo la lex Iulia de adulteriis, ma con la lex Iulia de crimen maiestatis rapporto di clientela del popolo verso la fam. imperiale.

Giuramento all'imperatore. In conclusione il principe può essere considerato un patrono

Già lo stesso Augusto fu coadiuvato da collaboratori che, per senatoconsulto, ottennero poteri uguali ai suoi (cfr. Vipsanio Agrippa, Tiberio.) Þ correggenti.


SUCCESSIONE: il titolo di imperatore non fu mai ereditario, ma elettivo. Le modalità di elezione sono mutate nel tempo, ma era necessario l'intervento dell'esercito, del senato, del popolo. Nessuno poteva garantire la successione.

I figli maschi dell'imperatore dovevano essere riconfermati.

Nel caso ci fosse una crisi dinastica, tutto veniva messo in discussione Þ cfr. 69 d.C., quando si susseguirono 4 imp. e alla fine fu eletto Vespasiano.

Gli espedienti più usati furono la correggenza e l'adozione.

Nel corso dei primi due secoli d.C. non ci fu il problema della successione. Le crisi furono due:

69 d.C.: dopo due guerre civili si afferma la din. Flavia;

193 d.C.: si afferma quella dei Severi.

La costituzione imp. rimase invariata; le province continuarono ad essere governate da legati imperiali (rogatio augusti pro pretore).

Il II d.C. vede un grande sviluppo civile. Edward Gimond (XIII) definisce la dinastia dei Severi come la migliore; fu in effetti un'epoca molto florida, in cui si rafforzarono i legami con le colonie d'Africa. Questo quadro fu sconvolto nel 235 con l'assassinio di Severo Alessandro e da una serie di eventi:

fattori interni: nel giro di pochi anni sconvolgimento del sistema economico, basato sullo schiavismo. Nelle regioni più avanzate (Italia) lo sfruttamento degli schiavi era antieconomico, poiché la pace imperiale aveva limitato fortemente pirateria e guerre e i pochi schiavi sul mercato costavano parecchio abbandono dell'agricoltura e crescita della pastorizia.

fattori esterni: a partire da Marco Aurelio cominciano le pressioni dei popoli germanici (per cui grande utilizzo dell'esercito sia a nord che a est) e si diffonde un'epidemia di vaiolo Þ crisi demografica. L'imperatore riuscì a fermare i barbari e quando morì stava costituendo una provincia nell'attuale repubblica Ceca.

La dinastia dei Severi enfatizzò ulteriormente la monarchia militare: la fedeltà delle truppe legionarie era la base del potere.

A Severo Alessandro, ucciso nel 235 da una congiura militare, successe Massimino il Trace, figura che aveva avuto grande fortuna nell'esercito. Per finanziare le guerre vs i germani, alzò le tasse anche ai patrizi, che fecero scoppiare una rivolta nell'Africa proconsolare, che sfociò nell'elezione a imperatore di Gordiano, appunto proconsole d'Africa, già ottantenne. Massimino gli uccise il figlio in battaglia e G. si suicidò.

I patrizi si rivolsero, allora, a Massimo e a Balbino, proclamandoli congiuntamente imperatori, con l'appoggio del senato, ancora in grado d'opporsi a un imperatore con l'appoggio dell'esercito.

Massimino parve vincere ad Aquileia, ma fu ucciso dai suoi soldati e la stessa sorte toccò ai due correggenti, assassinati dai pretoriani, che installarono sul trono un altro Gordiano.

La situazione nel III deteriorò: gli attacchi su più fronti indussero la riforma dell'esercito basato sull'ormai inefficace fanteria pesante. I romani dovettero assorbire la tecnica barbara della fanteria pesante, utilizzata a est dai Persiani e a ovest dai germani.

Sono i Goti ad infliggere le maggiori sconfitte: nel 251 l'imp. Decio fu sconfitto e ucciso dai Goti e nel 261 l'imp. Valeriano fu catturato dai Persiani.

L'impero era ormai diviso in tre parti: occidentale, centrale e orientale (col corrector orientis).

Il figlio di Valeriano, Gallieno, escluse i senatori dalle cariche militari: non avrebbero più guidato truppe né governato province.

Gallieno crea un esercito campale basato sulla cavalleria pesante. Con questo nuovo esercito vinse gli Alamanni e il suo successore, Claudio II il gotico, annientò i Goti.

A quest'ultimo segue Aureliano, il cui regno lascia emergere alcuni caratteri del regime imperiale del III:

dal punto di vista provinciale si denota come autocrazia;

da quello del rapporto imperatore - soldati appare come una democrazia irregolare (Montesquieu notò che, nel III, ogni decisione importante era assunta dopo aver ottenuto il consenso dei soldati) o, meglio, come una rozza democrazia militare.

Per esempio, dopo aver sconfitto i barbari, A. chiese all'esercito se preferivano proseguire la guerra o fermarsi al Reno. I soldati scelsero quest'ultima ipotesi.

Aureliano si definisce dominus et deus Þ occorrono nuove fonti di legittimazione del potere, poiché a un esercito barbarizzato non interessavano le tradizioni repubblicane (lex de imperio.); si sceglie, dunque, la religione.

L'imp. introduce un nuovo culto: il sole, cui subordina le altre divinità. Da questo punto in poi si festeggia il dies natalis (25 dicembre, assunto poi dai cristiani) dell'imperatore stesso e del sole.


Esclusi i senatori dalla guida dell'esercito, non c'è limite per i talenti di emergere e, magari, diventare imperatori; spesso non erano colti, ma erano militari di grande talento. Spesso provenivano dalla provincia della Pannonia (Illiria), una regione molto romanizzata, che aveva interiorizzato la cultura dal I d.C..


PASSAGGIO PRINCIPATO - MONARCHIA

III d.C.: alcuni poteri rappresentano un vero punto di svolta:

Gallieno esclude i senatori da compiti militari. Questo contribuisce al crollo del quadro istituzionale, in cui il principe era al pari col senato, che collaborava con lui nel governo dell'impero. Ora i senatori sono esclusi dal governo Þ colpisce i senatori in quanto persone.

A partire da una certa data, alla proclamazione dell'imp. non ci si preoccupò più di chiedere l'approvazione del senato: con questa prassi si pongono nel nulla le forme di conferimento del potere imp. tradizionali, basate sulla lex de imperio. colpisce i senatori in quanto organi politici.

Tra Aureliano e Diocleziano c'è la provincializzazione dell'Italia, fino ad allora governata dal senato e dai magistrati rep. Si istituiscono figure analoghe a quelle dei governatori Þ il senato è spodestato di un'altra competenza.

La situazione di privilegio italico viene abolita (definitivamente con Giustiniano).


DIOCLEZIANO E COSTANTINO: sono chiamati a rispondere alle medesime sfide, ma con ¹ atteggiamenti.

Diocleziano: sale al trono dopo l'assassinio di Numeriano. Si discolpò e si fece nominare imp.. Sposta la capitale a Nicomedia, Asia minore.

Si emancipa dal culto solare e fa coniare monete con Iuppiter conservator augusti: Giove diventa il dio protettore di Roma, inteso come fonte di concessione del potere.

Nel 285, per rispondere a una rivolta di contadini Celti, insorti a causa della fame, nominò un Cesare (Massimiano) che installò a Milano e che pose sotto la tutela di Ercole.

D. ® Iovius.

M. ® Herculius.

286: M. diventa Augusto, collega di D.. Si formano due dinastie: una sotto la tutela di Giove, l'altra sotto quella di Ercole. Con ciò si vuole enfatizzare il rapporto con la divinità (recupero della tradizione tardo - repubblicana di Silla).

293: associazione al trono di due Cesari: Costanzo Cloro per Massimiano e Galerio per Diocleziano; entrambi erano comandanti militari illirici, distintisi notevolmente.

I due cesari furono istituiti per poter impegnare figure imperiali su più fronti: Egitto, Persia e Britannia.

Galerio porta la sua capitale a Mitrovizza (Yugoslavia), C. Cloro a Treviri.

Un tale collegio (tetrarchia) doveva preservare l'impero su più fronti e risolvere i problemi di successione. I due Augusti, infatti, avrebbero dovuto abdicare dopo 20 anni in favore dei Cesari.

Nel 305, con solenne cerimonia contemporanea sia a Nicomedia che a Milano, abdicarono.

C. Cloro ebbe come Cesare Severo, Galerio ebbe Massimino Daza.

Costantino era figlio di Cloro e di una concubina, S. Elena, ma era tenuto in ostaggio da Galerio, per poter esercitare un maggior potere sul collega. Un giorno Costantino fuggì e si recò a Eboracum (York), dal padre. Alla morte di questo, Costantino fu acclamato Augusto, ma egli preferì essere nominato Cesare per poter comandare l'esercito. Galerio accettò.

Poi ci fu uno scontro fra sei personaggi (esarchia) che si candidarono a diventare Augusti, ma alla fine vinse Costantino, che fu investito il 27 ottobre 312.

Diocleziano e Massimiano, nel frattempo, si erano ritirati a vita privata.

Lattanzio, retore greco, rivela che questa decisione era maturata grazie a Diocleziano, che riteneva fosse necessario ricondurre l'imperium alle magistrature repubblicane: garantire la renovatio e poi, dopo aver gestito il potere, ritirarsi a vita privata).

Idea che emerge anche livello iconografico: gruppo scultoreo in porfido dei tetrarchi di Venezia, che rappresenta i 4 imp. che pongono una mano sulla spalla dell'altro, in segno di concordia (segno preso dall'arte popolare). Tutti hanno l'abito militare e lo stesso copricapo (colbacco pannonico degli ufficiali illirici stessa radice etnica) e i più anziani hanno la barba (segno distintivo anche per le età degli dei).


RAPORTO RELIGIONE - TETRARCHIA

Con Diocleziano gli imp. non assumono più titoli che li equiparano agli dei: essi non sono altro che gli esponenti riconosciuti della stirpe divina.

La perpetuità del potere non s'identifica nella persona del sovrano, né nel popolo o nel senato, ma nella divinità della dinastia.

La non perpetuità della carica è una ripresa di un elemento repubblicano.

Costantino ha sempre sostenuto la legittimazione del potere per via dinastica. La sua monarchia si distingue, perché caratterizzata da una precisa teologia politica: egli fonda la moderna teologia politica.

La teologia e la politica sono due discipline sorelle. Questa vicinanza è percepibile anche nella genesi di alcune dottrine relative allo Stato:

es: onnipotente legislatore Dio;

stato d'eccezione (rifiutato dallo stato di diritto, perché si violerebbero le stesse leggi che si sono poste) miracolo (viola le leggi della natura);

Nel Kuntistorischmuseum di Vienna è conservato un multiplo in oro, in cui Costantino è incoronato dalla mano di Dio, mentre i figli sono incoronati dalle personificazioni di Victoria e Virtus.

Questo non è del tutto nuovo, perché l'imperator a diis electo era già noto, ma ad opera di dei pagani.

Ricerca di una corrispondenza tra regno divino e regno terreno.

Com'era descritto il regno di Costantino dalla pubblicistica del tempo? Orazione di Eusebio, vescovo di Cesarea, per i 30 anni (tricennalia) di regno (336). Eusebio cerca di descrivere la monarchia di Costantino, non alla luce di una corrispondenza con l'ordine divino, ma cerca una similitudine tra C. e i figli e la Trinità.

È un tema molto controverso soprattutto tra ortodossi e ariani. Diatriba basata sul rapporto tra la prima e la seconda persona (logoV) della Trinità. Per gli ariani il logoV era subordinato al Padre, perché non del tutto partecipe della stessa sostanza divina (stessa natura, ma sostanza); gli ortodossi, invece, riconoscevano il Credo (stabilito nel Concilio di Nicea), che ammette la consustanzialità: "della stessa sostanza del Padre" non c'è gerarchia, ma identità.

Eusebio, che forse appoggiava di più le tesi ariane, descrive Costantino da un duplice punto di vista: per un certo verso è la trasposizione del logoV, lo strumento della volontà divina, dall'altro vuole instaurare una gerarchia tra C. e i figli.

Perché non si è formata una figura di re - sacerdote?

Perché nonostante il cesaropapismo fosse sempre latente, la dottrina ortodossa della Trinità era molto forte. Nel mondo terreno il rapporto tra le persone divine non è riproducibile.

Si può dire che C. crea una monarchia dinastica.

Prima di diventare cristiano, C. si atteggiava a monarca monoteista solare. Cfr. le monete in cui compare col diadema da cui si diffondono raggi e il sol invictus. Egli applica gli stessi simboli al cristianesimo, dato che la similitudine tra i due culti era forte (es. i cristiani primitivi pregavano rivolti a est).

RAPPORTO FUNZIONARI - IMP.

A partire da Diocleziano e poi con Costantino, la V / adoratio diventa la norma: ci si inginocchiava e si baciava il lembo dell'abito dell'imperatore. I contatti col suo corpo erano limitati il meno possibile e se per caso si riceveva qualcosa da lui, lo si faceva con un velo sulle mani.

Com'è possibile che i cristiani accettassero questo? Essi lo consideravano come un gesto civile e non religioso. Questi riti sono stati laicizzati nel tardo impero, desacralizzando i cerimoniali.

C. fonda una struttura burocratica molto articolata, dividendo l'impero in 4 prefetture, ripartite a loro volta in diocesi (rette dai vicari) e poi in province.

All'interno degli organi buro., i ranghi medi e subalterni erano occupati da liberi. L'organizzazione imperiale non è più la proiezione della domus imp. (non usa più i liberti). Il rango più alto è quello degli illustri.




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