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I negoziati e lo scopo della Convenzione - Obblighi generali relativi al management dei rifiuti pericolosi

giurisprudenza

















Basel Convention on the control of transboundary movements of hazardous wastes and their disposal adopted by the conference of the plenipotentiaries on 22 March 1989.








Sommario


I negoziati e lo scopo della Convenzione

Definizione di "rifiuti" e "rifiuti pericolosi"

Limitazione e divieto di movimenti oltre frontiera di rifiuti pericolosi

Obblighi generali relativi al management dei rifiuti pericolosi

Il sistema del prior informed consent (PIC)

Traffico illegale e dovere di reimportare

Responsabilità e risarcimento

Cooperazione internazionale e scambio di informazioni

Accordi bilaterali, multilaterali e regionali

Tematiche da affrontare in futuro

Implicazioni commerciali della Convenzione e del ban amendment


















I NEGOZIATI E LO SCOPO DELLA CONVENZIONE


La Convenzione di Basilea è il risultato di complesse negoziazioni promosse dall'UNEP, intraprese a seguito della scoperta da parte dell'autorità pubblica del dumping illecito di rifiuti pericolosi in Africa e in altri Paesi in via di sviluppo.

Poiché l'elaborazione di tale trattato universale derivò dalla indignazione e dalla reazione della comunità internazionale all'incontrollato scarico di rifiuti pericolosi dal "mondo industrializzato" a quello "in via di sviluppo", il principale scopo dei negoziati fu proprio quello di provvedere all'eliminazione di tali pratiche nel futuro.

Le Parti si facevano sempre più consapevoli dei danni che i rifiuti pericolosi e i loro movimenti transfrontalieri rischiavano di causare alla salute umana e all'ambiente; del fatto che il modo più efficace per proteggere la salute umana e l'ambiente dai pericoli che rappresentano tali rifiuti consiste nel ridurre al minimo la loro produzione dal punto di vista della quantità e/o del pericolo potenziale; del fatto che si sarebbero dovute prendere le misure necessarie per fare in modo che il loro management fosse compatibile con la protezione dell'ambiente, qualunque fosse stato il luogo nel quale tali rifiuti vengono eliminati.

I principali obiettivi della Convenzione si possono così riassumere:

proteggere la salute umana e l'ambiente dagli effetti dei rifiuti pericolosi;

ridurre al minimo la produzione e i movimenti oltre frontiera di rifiuti pericolosi;

assicurare una gestione ecologicamente razionale di tali rifiuti, qualunque sia il luogo del loro smaltimento;

assoggettare ogni movimento oltre frontiera, che non sia vietato in linea di principio, ad un sistema di controllo e di monitoraggio basato sul c.d. PIC.

Tali norme sono indirizzate a soddisfare sia il bisogno di proteggere i Paesi, specie quelli in via di sviluppo, dalle importazioni illecite di rifiuti pericolosi, sia l'esigenza di potenziare la capacità di tutti gli Stati di gestire adeguatamente i rifiuti pericolosi che essi stessi hanno prodotto.








DEFINIZIONE DI "RIFIUTI" E "RIFIUTI PERICOLOSI"


Esaminando più da vicino la Convenzione, dagli artt.1 e 2 si evince la definizione di rifiuti e di hazardous wastes.

Per rifiuti si intendono le sostanze o gli oggetti che si eliminano, che si ha l'intenzione di eliminare o che si è tenuti ad eliminare in virtù delle disposizioni del diritto nazionale.

Sono invece considerati rifiuti pericolosi i seguenti rifiuti che sono oggetto di movimenti oltre frontiera :

a)  i rifiuti appartenenti ad una delle categorie che figurano nell'allegato I, tranne quelli che non hanno nessuna caratteristica fra quelle indicate nell'allegato III;

e,

b)  i rifiuti ai quali non si applicano le disposizioni del capoverso a), ma che sono definiti o considerati pericolosi dalla legislazione interna della Parte che è stato d'esportazione, d'importazione o di transito.

Infine sono considerati "altri rifiuti" quelli appartenenti ad una delle due categorie che figurano nell'allegato II (rifiuti urbani e residui provenienti dall'incenerimento dei rifiuti urbani).



LIMITAZIONE E DIVIETO DI MOVIMENTI OLTRE FRONTIERA DI RIFIUTI PERICOLOSI


La Convenzione di Basilea vieta alle Parti di esportare o di autorizzare movimenti transfrontalieri dei rifiuti pericolosi a certe circostanze. Naturalmente ciò è conforme allo scopo del trattato stesso di minimizzare il traffico di rifiuti al fine di proteggere la salute umana e l'ambiente, specie nei Paesi in via di sviluppo. Tale scopo è stato riaffermato dalla decisione della seconda Conference of the Parties (COP), tenutasi a Ginevra nel marzo del 1994, per cui vengono vietate le esportazioni di rifiuti pericolosi dai Paesi OECD ai Paesi non-OECD, per il dumping con effetto immediato, per il riciclaggio a partire dal dicembre del 1997.

L'articolo 4, par.7 della Convenzione permette tali movimenti soltanto:

a)  se lo Stato di esportazione non è in possesso degli strumenti tecnici, degli impianti idonei o dei siti di eliminazione richiesti per trattare i rifiuti in un modo efficiente e razionale per l'ambiente, oppure

b)  se i rifiuti in questione sono necessari come materia prima per l'industria del riciclaggio o del recupero dello Stato d'importazione, oppure

c)  se il movimento oltre frontiera in questione è conforme ad altri criteri che saranno stabiliti dalle Parti purché tali criteri non siano in contraddizione con gli obiettivi della Convenzione stessa.

Aggiuntivamente, tali pratiche sono vietate nei seguenti casi:

agli Stati che non sono parte della Convenzione di Basilea o di un altro trattato che stabilisca standards ambientali equivalenti;

verso l'Antarctica;

verso uno Stato che appartiene ad un'organizzazione regionale i cui membri hanno vietato le importazioni di rifiuti pericolosi nella legislazione nazionale;

se c'è motivo di ritenere che una gestione ecologicamente razionale o uno scarico idoneo non siano raggiungibili in prospettiva dallo Stato di destinazione.



OBBLIGHI GENERALI RELATIVI AL MANAGEMENT DEI RIFIUTI PERICOLOSI


In aggiunta alle limitazioni sui movimenti di rifiuti pericolosi, la Convenzione detta pure delle linee guida concernenti la gestione di tale sorta di rifiuti indipendentemente dal luogo della loro eliminazione. Agli Stati è richiesto di:

ridurre al minimo la produzione di rifiuti pericolosi;

ridurre al minimo i loro movimenti transfrontalieri, per esempio assicurare che siano eliminati quanto più vicino possibile alla sorgente di produzione (principio di prossimità);

assicurare che i razionali requisiti di gestione siano applicati sia ai rifiuti pericolosi esportati sia a quelli eliminati all'interno del proprio Stato (principio di non-discriminazione);

cooperare nella promozione di nuove tecnologie che consentano, per quanto possibile, una bassa produzione di rifiuti pericolosi.

promuovere la cooperazione tecnica e lo scambio di informazioni, specialmente verso i Paesi in via di sviluppo.



IL SISTEMA DEL PRIOR INFORMED CONSENT (PIC)


In sede di framework molta attenzione andò all'elaborazione di un sistema di regolamentazione e di monitoraggio (PIC) che costituisce la pietra miliare della Convenzione così come originariamente formulata e rappresenta probabilmente il punto di più difficile elaborazione per contemperare i numerosi e confliggenti interessi coinvolti. Esso è basato sul concetto del consenso preinformato, secondo cui prima che possa aver luogo un'esportazione, che non sia in linea di principio vietata, le autorità dello Stato di esportazione devono notificare a quelle dei potenziali Stati di importazione e di transito, provvedendo a fornire loro dettagliatissime informazioni sui movimenti che si intendono compiere. Si potrà così procedere con l'esportazione solo quando tutti gli Stati interessati hanno dato il loro consenso scritto (articoli 6 e 7).

Naturalmente lo Stato verso cui i rifiuti sono diretti può negare il permesso o può richiedere un supplemento di informazioni.

Le informazioni che devono essere fornite sono specificate ed elencate nell'annesso V della Convenzione, e il Segretariato ha predisposto una forma di notificazione che può essere utilizzata a questo scopo. A titolo di esempio, lo Stato di esportazione deve fornire le seguenti informazioni:

motivo dell'esportazione dei rifiuti;

produttore(i) e eliminatori dei rifiuti e luogo di produzione;

Paesi di transito previsti;

notifica generale o notifica unica;

denominazione e descrizione fisica dei rifiuti e informazioni su tutte le disposizioni particolari relative alla manipolazione, in particolare misure urgenti da prendere in caso di incidente;

quantità stimata in peso/volume;

processo dal quale provengono i rifiuti;

dichiarazione del produttore e dell'esportazione attestante l'esattezza delle informazioni.






TRAFFICO ILLEGALE E DOVERE DI REIMPORTARE

La prevenzione e la punizione dei traffici illegali, e l'attribuzione di responsabilità e la corrispondente obbligazione degli Stati, si pone come una delle questioni più vivacemente discusse durante i negoziati. Ben dieci anni dopo, questo problema rimane nell'agenda come uno di più difficili compiti da mettere in pratica. La Convenzione richiede alle Parti di adottare una legislazione nazionale per prevenire e punire il traffico illegale (articolo 9(5)), ma fino all'adozione del Protocollo nel 1999, erano pochi i mezzi per verificare che ciò fosse stato effettivamente fatto. Nonostante che dopo l'adozione della Convenzione molti sforzi siano stati compiuti in tal senso attraverso un sistema di monitoraggio da parte prima della COP e, successivamente del Segretariato con la cooperazione dell'INTERPOL e della World Customs organization, si è dovuto attendere l'adozione del Protocollo per concretizzare le speranze della previsione di un sistema capace di impedire, o almeno limitare, i traffici illegali di rifiuti pericolosi attraverso un ulteriore rafforzamento dei controlli nazionali e delle infrastrutture, incluso in particolare controlli di frontiera.

Ogni transazione di rifiuti pericolosi oltre frontiera che avvenga in contravvenzione delle norme della Convenzione, ivi inclusa quelle concernenti il sistema del PIC e i divieti di esportazione, sono considerate illegal traffic. L'articolo 9 stabilisce, infatti, che è illecito qualsiasi traffico di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti:

a)  effettuato senza che ne sia stata data notifica a tutti gli Stati interessati;

b)  effettuato senza il consenso che deve dare lo Stato interessato;

c)  effettuato con il consenso dello stato interessato ma ottenuto mediante falsificazione, falsa dichiarazione o frode; 

d)  che non è materialmente conforme ai documenti;

e)  che comporta un'eliminazione deliberata di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti in violazione delle disposizioni della Convenzione stessa o dei principi generali del diritto internazionale.

Lo Stato responsabile di tale eventuale illegalità si deve adoperare affinché i rifiuti in questione siano riportati nello Stato di esportazione o, se ciò risulti di fatto impossibile, eliminati in un modo ecologicamente razionale entro un termine di 30 giorni dal momento in cui lo Stato di esportazione è stato informato del traffico illecito oppure entro un altro termine convenuto fra gli Stati interessati.

Tale obbligo sussiste a meno che non sia possibile prendere altri provvedimenti per eliminare i rifiuti secondo metodi ecologicamente razionali entro un termine convenuto fra gli Stati interessati. A tale scopo, la reimportazione dei rifiuti nello Stato di esportazione non sarà negata, né ritardata, né impedita dallo Stato di esportazione e da ogni Paese di transito (art. 8), inteso come qualsiasi Stato, diverso dallo Stato di esportazione o di importazione, attraverso il quale un movimento oltre frontiera di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti è previsto o ha luogo (art. 2, n° 12).



RESPONSABILITÀ E RISARCIMENTO


Al tempo della negoziazione e della adozione della Convenzione, la questione della responsabilità e del risarcimento dei danni (e ove possibile il ripristino dello status quo ante) era considerato un problema di grande importanza specie per i Paesi in via di sviluppo e fu propria a causa del dissenso di un numero consistente di Paesi che la Convenzione non contiene una norma sostanziale in materia.

A ogni modo è importante la clausola richiamante l'attenzione degli Stati sulla necessità di negoziare, il più presto possibile, un protocollo sulla responsabilità e sul risarcimento del danno derivante da movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi (art. 12). Un working group costituito dopo l'adozione della Convenzione è finalmente giunto, dopo accese discussioni, all'elaborazione di tale protocollo nel corso del 1999.

In parallelo con la negoziazione di tale protocollo è stata altresì discussa la istituzione di un fondo di emergenza e di un fondo per il risarcimento delle vittime dove il risarcimento non è utilizzabile sotto il futuro regime di responsabilità. Infatti, l'art. 14 prevede che "le Parti considereranno l'istituzione di un fondo rinnovabile per prestare aiuto, a titolo provvisorio, in casi di emergenza al fine di limitare al minimo i danni derivanti da incidenti capitati durante un movimento oltre frontiera o durante l'eliminazione di rifiuti pericolosi e di altri rifiuti".



COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E SCAMBIO DI INFORMAZIONI


La norma relativa alla cooperazione internazionale e allo scambio di informazioni risponde all'esigenza di potenziare le capacità tecniche e istituzionali in particolare dei Paesi in via di sviluppo, nel campo della gestione e dello smaltimento dei rifiuti pericolosi. Con il divieto di esportazioni dai Paesi OECD ai Paesi non-OECD si fa sì che il futuro impegno degli Stati sarà di costruire, di migliorare le capacità degli Stati di trattare i propri rifiuti in modo da rafforzare il divieto di esportare illegalmente i rifiuti pericolosi e da prevenire il traffico illegale. La Convenzione richiede alle parti di cooperare nei loro sforzi diretti ad una gestione ecologicamente razionale dei rifiuti pericolosi (art. 10). Inoltre le Parti devono ricorrere ai mezzi appropriati per cooperare nell'intento di aiutare i Paesi in via di sviluppo.

La cooperazione deve essere estesa alle seguenti aree:

a)  Armonizzazione degli standards tecnici  e dei relativi esercizi;

b)  Monitoraggio degli effetti della gestione dei rifiuti pericolosi sulla salute umana e sull'ambiente;

c)  Sviluppo di tecnologie a bassa produzione di rifiuti e di sistemi di gestione ecologicamente razionali;

d)  Trasferimento di tecnologie;

e)  Sviluppo di linee guida per tali tecnologie.

Il Segretariato supporta e coordina tali studi. In alcuni casi esso può dare l'input necessario a tali attività, o provvedere ad un'assistenza attiva (art. 16).

Per potenziare le tecniche dei Paesi in via di sviluppo in particolare, il Segretariato ha stilato delle Technical Guidelines per una gestione razionale dei rifiuti, cioè un modello di legislazione nazionale e un manuale per l'applicazione della Convenzione. Queste tre iniziative hanno cercato di fornire ad ogni Paese un modello standard minimo per il management dei rifiuti pericolosi.

L'articolo 14 richiama l'attenzione sulla necessità di costituire dei centri regionali (con un'equa distribuzione sull'intero territorio mondiale), per l'apprendimento nella formazione di tecniche adatte a tali scopi, in conformità allo scopo fondamentale di rinforzare le capacità dei Paesi meno industrializzati.



ACCORDI BILATERALI, MULTILATERALI E REGIONALI


L'articolo 11 della Convenzione permette alle Parti di concludere accordi bilaterali, multilaterali o regionali, se tali accordi stabiliscono delle clausole che non sono meno ecologicamente razionali di quelle stabilite dalla Convenzione stessa, prendendo in considerazione gli interessi e le necessità dei paesi in via di sviluppo in modo particolare.

Un'importante convenzione regionale, aperta per la ratifica dagli Stati membri dell'O.U.A. (Organization of Afriacan Unity), è stata conclusa a Bamako il 29 febbraio 1991; essa prevede un regime più rigido di quello della Convenzione di Basilea. La Bamako Convention impegna la Parti a prendere misure legali e amministrative appropriate nell'ambito dell'area sottoposta alla loro giurisdizione, a vietare l'importazione di tutti i rifiuti pericolosi in Africa e provenienti da Paesi non parte: un'importazione di tal genere sarebbe da ritenere un atto illegale e criminale.

Tale clausola è in conformità con quanto alcuni Stati, specie Africani, avrebbero voluto che fosse sancito già nella Basel Convention, e cioè un divieto assoluto ai movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi, nella misura in cui era ritenuto l'unico mezzo per indurre i Paesi industrializzati a gestire i propri rifiuti in modo da proteggere le regioni più povere del mondo, o comunque in via di sviluppo, dal dumping illecito sul proprio territorio di tali rifiuti da parte del nord industrializzato. I Paesi industrializzati rifiutarono tale approccio, argomentando che il divieto di commerciare rifiuti pericolosi aventi un valore economico, per esempio per l'industria del riciclaggio, tra Paesi aventi a disposizione adeguate opzioni di eliminazione, non tutela gli interessi dell'ambiente; inoltre essi ritennero che un totale e incondizionato divieto sarebbe stato in contrasto con le regole sancite dal GATT (General Agreement on Tariffs and Trade).

Ciononostante la soluzione adottata dalla Convenzione può meglio essere compresa ove si prenda in considerazione che un assoluto divieto avrebbe condotto a traffici illegali e che movimenti di rifiuti verso Paesi adeguatamente forniti di sistemi di smaltimento, non sarebbe stato in se stesso pregiudizievole al problema ambientale.

Per tornare alla Bamako Convention, le parti fanno affidamento su un principio precauzionale relativo all'impegno di adottare e compiere un approccio preventivo al problema dell'inquinamento che implica, inter alia, il prevenire il rilascio nell'ambiente di sostanze che possono causare danno agli uomini o all'ambiente, senza attendere i futuri riscontri scientifici di tali danni. È da notare come la definizione di "rifiuti pericolosi" sia molto più estesa nella Convenzione di Bamako che non in quella di Basilea, fino ad includere le sostanze pericolose la cui registrazione è stata vietata, cancellate o rifiutata da un'azione regolamentatrice dei governi o volontariamente escluse dalla registrazione nel Paese dei Produzione, per motivi concernenti la tutela della salute umana e dell'ambiente.

Inoltre la Convenzione di Bamako include fra i suoi scopi i rifiuti che essendo il risultato di un processo radioattivo, non sono soggetti alla Convenzione di Basilea (vedi art. 1, par.3).

Il divieto sui movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e radioattivi costituisce una delle più importanti innovazioni contenute nella Quarta Convenzione ACP-EEC, firmata a Lomé il 15 dicembre del 1989 dalla Comunità Economica Europea (ora CE) da un lato e i 68 Stati Africani, Pacifici e Caraibici dall'altro. Tale Convenzione prevede che la CEE deve proibire tutte le esportazioni dirette o indirette dei rifiuti di cui trattasi verso i Paesi ACP e allo stesso tempo gli Stati ACP devono proibirne la importazione diretta o indiretta proveniente da un Paese della CEE o da qualsiasi altro Paese.

Gli accordi conclusi dagli Stati Uniti rispettivamente con il Canada (Ottawa, 28 ottobre 1986) e con il Messico (Washington, 12 novembre 1986) possono essere citati come esempi di trattati bilaterali in materia. Essi sono stati adottati entrambi prima della Convenzione di Basilea e sanciscono il sistema del consenso tacito, poiché le esportazioni di rifiuti pericolosi possono aver luogo, se il paese di importazione non ha obiettato o rifiutato entro 30 (accordo Canada - USA) o 45 (accordo Messico - USA) giorni dal momento della ricezione della notifica da parte del Paese di esportazione.



TEMATICHE DA AFFRONTARE IN FUTURO


Guardando allo sviluppo delle discussioni sui rifiuti pericolosi negli ultimi dieci anni, si può notare come si è passati da una base contenziosa, emotivamente caricata, con prese di posizione opposte tra loro, a un cambiamento di direzione verso un approccio più razionale e tecnicamente orientato. La tendenza emergente sembra quella di prendere in considerazione differenti situazioni con riferimento ai diversi tipi di rifiuti, il loro potenziale rischio, il loro uso, invece di applicare le stesse regole a ogni situazione, come previsto dal testo originale della Convenzione. A ogni modo l'enfasi delle discussioni riguarda ancora il ban issue e numerosi altri problemi a questo connesso. Alla COP-4 (Malaysia, febbraio 1998) si stabilisce che sia adottato un criterio che prenda in considerazione il livello di sviluppo tecnico, legale, istituzionale e economico di un Paese; che si basi sull'ammontare e sul tipo dei rifiuti pericolosi prodotti, importati e esportati, l'esistenza e l'effettiva obbligatorietà della legislazione nazionale in materia, l'esistenza e la qualità di meccanismi che mettano in pratica il principio del Prior informed consent e altri previsti dalla Convenzione stessa, e l'esistenza e la qualità di un controllo di frontiera per le spedizioni di materiali pericolosi.






11. IMPLICAZIONI COMMERCIALI DELLA CONVENZIONE E DEL BAN AMENDMENT


Una questione di particolare interesse per i Paesi sviluppati e per le organizzazioni industriali durante il processo di negoziazione, e in particolare nel dibattito in seno alla terza COP tenutasi a Ginevra nel settembre del 1995, che portò all'adozione del ban amendment, fu quella relativa alla relazione tra le norme della Convenzione e le regole del GATT/WTO.

Il ban amendment proibisce l'esportazione di rifiuti pericolosi, al solo scopo dello scarico, da parte dei Paesi industrializzati e stabilisce che vengono eliminate gradualmente le esportazioni da questi stessi Paesi per il riciclaggio o il riutilizzo nei Paesi di importazione.

Questa questione è stata analizzata ripetutamente dalla dottrina ma c'è una riluttanza all'indirizzarla ad una data precisa, fatto dovuto probabilmente ad una pluralità di fattori. Innanzitutto è una questione delicata che implica il rischio di sconvolgere il compromesso raggiunto su vari fronti tra il Nord e il Sud del mondo. In secondo luogo, poiché la discussione sulle categorie di Stati e sulle categorie di rifiuti cui il divieto avrebbe fatto riferimento era cominciato, il problema aveva perso, alla fine, alcune delle sue implicazioni pratiche, e le Parti sentivano che altri erano i problemi che necessitavano di una soluzione immediata. Nondimeno, le ripetute discussioni e analisi accademiche si sono rilevate un valido stimolo per un eventuale dibattito politico.

In linea generale le misure nazionali dirette alla salvaguardia dell'ambiente e alla protezione della salute sono assoggettate alle norme generali del GATT. In particolare occorre far riferimento alle seguenti disposizioni:

la clausola della nazione più favorita (MFN) contenuta nell'articolo I del GATT e la sua specificazione nel principio di non-discriminazione tra i prodotti importati sulla base del loro luogo di provenienza;

il trattamento nazionale di non-discriminazione tra prodotti interni e prodotti importati (articolo III GATT);

una proibizione o un limitazione quantitativa delle importazioni o delle esportazioni (articolo XI GATT).

l'articolo XX del GATT contiene delle eccezioni per delle specifiche categorie di misure nazionali. Di particolare rilievo nel campo della salute umana e dell'ambiente sono due eccezioni, e più precisamente, una nel paragrafo (b) relativa alle misure necessarie a proteggere la vita o la salute umana, animale e delle piante, e una nel paragrafo (g) concernente quelle relative alla conservazione delle risorse naturali esauribili, se tali misure sono effettivamente prese in concomitanza a restrizioni alla produzione o consumazione interna.

I diritti e le obbligazioni che sono articolate nella Convenzione di Basilea e nel regime del GATT/WTO, sono entrambi generati da un trattato internazionale, a volte definito "convenzionale". I risultati di un'attenta analisi volta a verificare l'effettiva esistenza o meno di un contrasto tra i due sistemi convenzionali in questione ci mostrano come l'aspetto più problematico sia il rapporto con uno Stato non parte del trattato di Basilea.

In altre parole, le parti della Convenzione di Basilea non possono compromettere i diritti previsti dal GATT/WTO degli Stati che non ne sono parte.

Tra tutte le norme della Convenzione quella che dà origine a più complesse e articolate problematiche fa riferimento proprio al rapporto tra Stati parte di entrambi i trattati e stati non parte di Basilea. L'articolo 4 (5) sancisce il divieto per le Parti di autorizzare esportazioni di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti verso uno Stato non Parte, e importazioni di tali rifiuti provenienti da uno Stato non Parte. L'attuazione di tale clausola però potrebbe costituire una violazione del principio della most-favoured-nation (MFN) ai sensi dell'art. I del GATT, oppure una violazione della proibizione di restrizioni quantitative ai sensi dell'art. XI, o di entrambi. Se rifiuti identici sono prodotti e gestiti a livello nazionale ma le importazioni di tali rifiuti sono proibite, potrebbe configurarsi anche una violazione da parte dello stato di importazione degli standards nazionali di trattamento così come disposto dall'art. III del GATT.

L'articolo 11 della Convenzione di Basilea configura una sorta di scappatoia nel trattare tale situazione perché dà la possibilità agli Stati, per ovviare a tale situazione, di concludere accordi bilaterali, multilaterali e regionali che comunque non devono essere meno ecologicamente razionale della Convenzione di Basilea stessa (supra, § 9). Tale meccanismo servirebbe per conciliare i diversi doveri di proteggere la salute umana e l'ambiente sotto la Convenzione da un lato, e gli obblighi del commercio internazionale in base al WTO dall'altro. Ma a ben vedere questa non può essere una soluzione automatica al potenziale conflitto tra le regole della Convenzione e quelle del GATT/WTO.

Il potenziale problema che si presenta ad uno Stato Parte dell'Accordo Generale sulle tariffe e sul commercio ma non della Convenzione di Basilea può essere riferito anche ad altri obblighi internazionali, come quello del trattamento della MFN. La situazione appare molto diversa se si considera le relazioni commerciali fra gli stati Parti della Convenzione, perché le obbligazioni assunte dai vari Stati sono non diverse, ma identiche. Il diritto commerciale internazionale indirizza la successione dei trattati nel tempo alla Convenzione di Vienna sulla legge dei trattati. Al riguardo è stabilito che un trattato specifico e successivo rispetto ad un altro debba prevalere su quello antecedente, eccetto il caso che questi siano tra loro compatibili. In altre parole gli obblighi derivanti da diversi trattati devono essere armonizzati, ove possibile, per far sì che vengono attuati tutti gli obblighi simultaneamente.

La Convenzione di Basilea specifica poi alcuni provvedimenti relativi ai rapporti tra le Parti, che se presi unilateralmente potrebbero giustamente ritenersi in conflitto con le regole del GATT/WTO.

L'articolo 4(1)(b) vieta l'esportazione di rifiuti pericolosi o altri rifiuti nelle Parti che ne hanno vietato l'importazione. Come misura unilaterale della legislazione nazionale, essa potrebbe essere considerata in contrasto con la clausola della nazione più favorita o con il divieto delle restrizioni quantitative.

Analoghe considerazioni possono essere fatte relativamente all'articolo 4(2)(e) che richiede che lo Stato di esportazione proibisca tali movimenti se c'è motivo di credere che i rifiuti in questione non saranno gestiti nel Paese destinatario secondo metodi ecologicamente razionali.

Contrariamente a tali interpretazioni, le Parti non sono solo autorizzate ma hanno un vero e proprio mandato di adottare queste misure da intendersi come degli obblighi che esse si sono assunte le une nei confronti delle altre. Per esempio, la norma che vieta le esportazioni di rifiuti che il governo di tale Stato ritiene che non saranno adeguatamente gestiti nello Stato di importazione, non è una misura unilaterale ma un obbligo vincolante che lo Stato di esportazione Parte della Convenzione ha nei confronti dello Stato di importazione Parte della Convenzione. Questa e altre misure autorizzate dal testo sono delle rinunce autorizzate dalle Parti stesse ai diritti attribuiti loro dall'accordo GATT, che potrebbero altrimenti essere esercitati. Si tratta, in altre parole, di una deroga parziale al GATT/WTO fatta reciprocamente e vis-à-vis dagli Stati. Ciò è conforme all'intero scopo della Convenzione, e cioè controllare e regolare il commercio di una precisa categoria di sostanze, definite "rifiuti", che presentano notevoli problematiche da un punto di vista politico. Applicando il compatible test previsto dalla Convenzione di Vienna si cerca di assicurare la vitalità e la continuità dei diritti e dei doveri sanciti da entrambi i regimi convenzionali.

La non incompatibilità tra i due sistemi potrebbe essere affermata anche sotto un altro punto di vista, quello temporale; infatti, la Convenzione di Basilea, adottata nel 1989 e entrata in vigore nel 1992 è successiva nel tempo ai principi del GATT del 1947. Altri, però, fanno notare come tali principi siano stati successivamente codificati negli accordi dell'Uruguay Round del 1994. E allora il criterio della temporalità non farebbe altro che rinforzare l'opinione di coloro che sostengono l'incompatibilità. Ciononostante lo strumento di analisi dei reciproci rapporti dei due accordi non deve essere quello temporale. Infatti, la loro armonizzazione riflette un principio più profondamente radicato secondo il quale gli obblighi previsti dalla Convenzione costituiscono un complesso minore e specifico di limitazioni ai diritti sanciti nell'accordo GATT. La Convenzione, allora, si configura come una sorta di lex specialis compatibile con le norme commerciali, e resistente all'eccezione che potrebbe essere mossa riguardo al fatto che essa precede nel tempo l'accordo dell'Uruguay Round/WTO del 1994.

In secondo luogo, anche se una tale operazione delle Parti fosse vista come una limitazione dei diritti derivanti dal GATT/WTO, lo schema del prior informed consent potrebbe equivalere ad un consenso ad hoc, ad una rinuncia caso per caso dello Stato di importazione a tali diritti che altrimenti potrebbe esercitare. Inoltre, occorre considerare che il punto dell'accordo concernente il consenso sopravviverebbe anche se i diritti del GATT/WTO prevalessero sulle norme della Convenzione. Secondo questa teoria, comunque, le norme che si riferiscono all'esercizio di un potere di discrezionalità dello Stato di esportazione senza il consenso dello Stato di importazione, potrebbero essere oggetto di una sfida del GATT/WTO stesso. Questa potrebbe includere la norma che vieta le esportazioni se c'è motivo di ritenere che i rifiuti non saranno trattati in un modo ecologicamente razionale, o se c'è in corso un dibattito scientifico sulla tossicità o meno di tali rifiuti.

















Bibliografia


Kummer, Katharina, "Transboundary movements of Hazardous Wastes at the Interface of Environment and Trade".


Kummer, Katharina, "The Basel Convention: Ten Years On" in Review of European Community and  International Environment Law, Volume 7 Issue 3, 1998.


Wirth, David A., "Trade implication of the Basel Convention, Amendment Banning; North-South Trade in Hazardous Wastes" in Review of European Community and  International Environment Law, Volume 7 Issue 3, 1998.


Scovazzi, Tullio, "Hazardous Waste" in World Treaties for the Protection of the Enviroment.






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