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LE IMPUGNAZIONI

diritto ed economia



Le impugnazioni


L'attività del giudice può essere inficiata da errori sia di fatto, sia di diritto: le impugnazioni sono gli strumenti tecnici predisposti per porre rimedio proprio a tali errori grazie ad un riesame delle acquisizioni di fatto e ad un controllo in punto di diritto. Il codice prevede tre gradi ordinari di giudizio, di cui due di merito ed uno di legittimità (oltre alla impugnazione straordinaria per revisione). I principi a fondamento del sistema di impugnazione sono:

Tassatività

I mezzi di impugnazione ed i casi di impugnabilità sono soltanto quelli tassativamente previsti dalla legge. Tale principi emerge dall'art. 568, comma 1, secondo cui è soltanto la legge che stabilisce i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti ad impugnazione e determina il mezzo con cui possono essere impugnati.

In ossequio all'art. 111 della Costituzione, sono sempre soggetti a ricorso per cassazione, a prescindere da espresse previsioni, i provvedimenti in tema di libertà personale e le sentenze, anche quando sono inappellabili. Peraltro le sentenze di ordine processuale, in tema di competenza, possono giungere al sindacato della corte di cassazione solo a seguito di conflitto, positivo o negativo, sulla giurisdizione o sulla competenza stricto sensu.

La tassatività, oltre a tali aspetti oggettivi attinenti al provvedimento, si traduce, sul piano subiettivo, nella statuizione che il diritto di impugnazione spetta sol-tanto alla parte cui la legge espressamente lo conferisce.

Il principio di tassatività delle impugnazioni non esclude che vi sia un favor impugnationis, perché il sistema è convinto che il controllo e la critica della prima sentenza giovino ad un miglior accertamento della verità. In concreto il favor impugnationis risulta anche dalla disposizione del comma 5 dell'art. 568, secondo il quale l'impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione ad essa data dalla parte che l'ha proposta. Se l'impugnazione è proposta ad un giudice incompetente, questi trasmette gli atti al giudice competente.



Interesse ad impugnare

Ad un sistema processuale preoccupato della necessità di deflazionare il carico dei processi è pienamente coerente la necessità della esistenza di un interesse concreto, diretto e personale, in testa a chi si avvale dell'impugnazione, restando condizionata la giuridica esperibilità di questa a siffatta condizione dell'azione. Il codice, infatti, all'art. 568, comma 4, prevede che per proporre impugnazione è necessario avervi interesse.

Convertibilità dell'impugnazione

La convertibilità attiene a due profili logicamente connessi. Innanzitutto una errata qualificazione, data dalla parte impugnante ad un mezzo di gravame, non è di ostacolo alla sua automatica conversione, ope legis, nel mezzo appropriato; così pure, la impugnazione proposta ad un giudice incompetente si considera come validamente formulata innanzi al giudice competente, cui gli atti debbono essere dal primo trasmessi. In entrambi i casi viene, pertanto, riconosciuta come prevalente l'intento di gravame rispetto ad errori di identificazione del mezzo o del giudice. Sotto altro profilo, nella diversa ipotesi in cui manca l'errore, la conversione, anch'essa operativa ope legis, si risolve nella sostituzione di un mezzo di gravame ad un altro, non per sopperire ad errori di parte, ma per esigenze di funzionalità ed armonia processuali. Infatti, il ricorso si converte in appello quando contro la stessa sentenza vengono esperiti mezzi di impugnazione diversi, sicché prevale l'esigenza di completezza della sequela dei gradi di giudizio (1° grado, appello e ricorso per cassazione). Secondo lo stesso schema la conversione in appello si verifica anche quando il ricorso per cassazione è stato correttamente proposto, omisso medio, saltando l'appello, ma un'altra parte abbia appellato.

Ricorribilità immediata in cassazione

Le esigenze di celerità sono congeniali alla scelta della parte interessata di avvalersi subito della verifica di legittimità, esperibile direttamente in cassazione, saltando l'appello. Peraltro, tale scelta soggiace ad un limite oggettivo attinente ai motivi di doglianza, reputandosi più consono il previo giudizio di appello per quelli inerenti alla mancata assunzione di una prova decisiva e al vizio di motivazione che, quindi, non sono direttamente censurabili in cassazione; nonché ad un limite soggettivo, abbisognando la scelta del ricorso diretto per cassazione dell'adesione generale delle parti che abbiano già manifestato la volontà di avvalersi dell'appello.

Rinunciabilità dell'impugnazione

In un processo di parti, in cui alle stesse compete una scelta fra talune forme rituali (procedimenti alternativi), è conforme al sistema un potere dispositivo in ordine allo strumento di gravame azionato. Tale potere si esercita mediante la rinuncia alla impugnazione proposta ad opera dello stesso soggetto che aveva manifestato la volontà di gravame. La strutturazione degli uffici del P.M. in livello sovraordinati, ma distinti e separati tra loro, mentre non consente all'ufficio sopra-elevato di sostituirsi a quello inferiore, abilita tuttavia il P.M. presso il giudice ad quem a rinunciare al mezzo azionato dal sottostante P.M., nel momento in cui il processo giunge in dibattimento o in camera di consiglio e cioè allorché l'esercizio delle funzioni di accusa è effettivamente trasferito in capo al P.M. sovraordinato, rinunciatario.

I titolari dell'impugnazione

Dal principio di tassatività deriva che non chiunque può proporre impugnazione, ma unicamente i soggetti legittimati, i quali sono soltanto quelli espressamente indicati dalla legge (l'art. 568, comma 3, fissa questo principio aggiungendo poi che se la legge non distingue tra le diverse parti, il diritto ad impugnare spetta a ciascuna di esse).

Il pubblico ministero

Il procuratore della Repubblica presso il tribunale e il procuratore generale presso la corte di appello possono proporre impugnazione (art. 570), nei casi stabiliti dalla legge, quali che siano state le conclusioni del rappresentante del pubblico ministero. Il procuratore generale può proporre impugnazione nonostante l'impugnazione o l'acquiescenza del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento. L'impugnazione può essere proposta anche dal rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni. Il rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni e che ne fa richiesta nell'atto di appello può partecipare al successivo grado di giudizio quale sostituto del procuratore generale presso la corte di appello. La partecipazione è disposta dal procuratore generale presso la corte di appello qualora lo ritenga opportuno. Gli avvisi spettano in ogni caso al procuratore generale.

L'imputato

L'imputato può proporre impugnazione personalmente o per mezzo di un procuratore speciale nominato anche prima della emissione del provvedimento (art. 568, comma 4). Il tutore per l'imputato soggetto alla tutela e il curatore speciale per l'imputato incapace di intendere o di volere, che non ha tutore, possono proporre l'impugnazione che spetta all'imputato. Può inoltre proporre impugnazione il difensore dell'imputato al momento del deposito del provvedimento ovvero il difensore nominato a tal fine. Tuttavia, contro una sentenza contumaciale, il difensore può proporre impugnazione solo se munito di specifico mandato, rilasciato con la nomina o anche successivamente nelle forme per questa previste. L'imputato, nei modi previsti per la rinuncia, può togliere effetto all'impugnazione proposta dal suo difensore.

La parte civile e la persona offesa

La parte civile, la persona offesa, anche se non costituita parte civile, e gli enti e le associazioni intervenuti a norma degli articoli 93 e 94, possono presentare richiesta motivata al pubblico ministero di proporre impugnazione a ogni effetto penale. Il pubblico ministero, quando non propone impugnazione, provvede con decreto motivato da notificare al richiedente (art. 572).

La parte civile può proporre impugnazione, con il mezzo previsto per il pubblico ministero, contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile e, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio. Con lo stesso mezzo e negli stessi casi può proporre impugnazione contro la sentenza pronunciata a norma dell'articolo 442, quando ha consentito alla abbreviazione del rito. Lo stesso diritto compete al querelante condannato a norma dell' 424j97e articolo 542. Da questa norma si ricava un principio importante. La parte civile non ha un potere autonomo di impugnazione agli effetti penali; soltanto se il p.m. impugna, detta parte riproporrà le sue pretese civilistiche in tale sede. Se il p.m. non impugna, la parte civile può proporre impugnazione solo a tutela dei suoi interessi civili (art. 576).

La persona offesa costituita parte civile può proporre impugnazione, anche agli effetti penali, contro le sentenze di condanna e di proscioglimento per i reati di ingiuria e diffamazione (art. 577).

Il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria

Il responsabile civile può proporre impugnazione contro le disposizioni della sentenza riguardanti la responsabilità dell'imputato e contro quelle relative alla condanna di questi e del responsabile civile alle restituzioni, al risarcimento del danno e alla rifusione delle spese processuali (art. 575, comma 1). L'impugnazione è proposta col mezzo che la legge attribuisce all'imputato. Lo stesso diritto spetta alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria nel caso in cui sia stata condannata. Il responsabile civile può altresì proporre impugnazione contro le disposizioni della sentenza di assoluzione relative alle domande proposte per il risarcimento del danno e per la rifusione delle spese processuali.

Forme termini ed effetti dell'impugnazione

L'impugnazione si propone con atto scritto (art. 581) nel quale sono indicati il provvedimento impugnato, la data del medesimo, il giudice che lo ha emesso, e sono enunciati:

i capi o i punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione. Per completezza di esposizione si ricorda che il capo della sentenza è identificabile con la singola imputazione; il punto è costituito da una questione di fatto o di diritto che deve essere trattata e risolta per giungere alla decisione in merito ad una o più imputazioni;

le richieste;

i motivi, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Sicché l'indicazione approssimativa di tali elementi comporta l'inammissiblità dell'impugnazione (art. 591, comma 1, ett. c).

Salvo che la legge disponga altrimenti, l'atto di impugnazione è presentato personalmente ovvero a mezzo di incaricato nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Il pubblico ufficiale addetto vi appone l'indicazione del giorno in cui riceve l'atto e della persona che lo presenta, lo sottoscrive, lo unisce agli atti del procedimento e rilascia, se richiesto, attestazione della ricezione. Le parti private e i difensori possono presentare l'atto di impugnazione anche nella cancelleria del tribunale del luogo in cui si trovano, se tale luogo è diverso da quello in cui fu emesso il provvedimento, ovvero davanti a un agente consolare all'estero. In tali casi, l'atto viene immediatamente trasmesso alla cancelleria del giudice che emise il provvedimento impugnato.

Le parti e i difensori possono proporre l'impugnazione con telegramma ovvero con atto da trasmettersi a mezzo di raccomandata alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Il pubblico ufficiale addetto allega agli atti la busta contenente l'atto di impugnazione e appone su quest'ultimo l'indicazione del giorno della ricezione e la propria sottoscrizione. L'impugnazione si considera proposta nella data di spedizione della raccomandata o del telegramma. Se si tratta di parti private, la sottoscrizione dell'atto deve essere autenticata da un notaio, da altra persona autorizzata o dal difensore.

A cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, l'atto di impugnazione è comunicato al pubblico ministero presso il medesimo giudice ed è notificato alle parti private senza ritardo (art. 584).

Per una esigenza di concentrazione dei gravami e quindi di deflazione dei procedimenti, le ordinanze emesse nel corso del dibattimento debbono essere impugnate con la sentenza che lo definisce (art. 586). Ragioni di giustizia sostanziale comportano, per i gravami, la capacità di estensione dei loro effetti, quasi come fenomeno di espansione, per altro solo pro reo; e quindi in direzione favorevole agli altri imputati non impugnanti e alle parti private contigue agli interessi dell'imputato impugnante: responsabile civile e civilmente obbligato (art. 587).

Quanto ai termini, la disciplina è dettata dall'art. 585. Il termine per proporre impugnazione - a pena di decadenza - per ciascuna delle parti, è:

di quindici giorni, per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio e nel caso previsto dall'articolo 544/1 (motivazione immediata);

di trenta giorni, nel caso previsto dall'articolo 544/2 (deposito motivazione nei quindici giorni);

di quarantacinque giorni, nel caso previsto dall'articolo 544/3 (deposito motivazione in un termine differente ma in ogni caso non eccedente i novanta giorni).

I termini appena visti decorrono:

dalla notificazione o comunicazione dell'avviso di deposito del provvedimento emesso in seguito a procedimento in camera di consiglio;

dalla lettura del provvedimento in udienza, quando è redatta anche la motivazione, per tutte le parti che sono state o che debbono considerarsi presenti nel giudizio, anche se non sono presenti alla lettura;

dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza ovvero, nel caso previsto dall'articolo 548/2, dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione dell'avviso di deposito;

dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione dell'avviso di deposito con l'estratto del provvedimento, per l'imputato contumace e per il procuratore generale presso la corte di appello rispetto ai provvedimenti emessi in udienza da qualsiasi giudice della sua circoscrizione diverso dalla corte di appello.

Quando la decorrenza è diversa per l'imputato e per il suo difensore, opera per entrambi il termine che scade per ultimo (art. 585, comma 3). Fino a quindici giorni prima dell'udienza possono essere presentati nella cancelleria del giudice della impugnazione motivi nuovi nel numero di copie necessarie per tutte le parti (art. 585, comma 4). L'inammissibilità dell'impugnazione si estende ai motivi nuovi.

La proposizione del gravame, infine, può essere vanificata, oltre che dalla rinuncia (art. 589), dalla inammissibilità scaturente altresì da violazione delle suindicate norme in tema di forme e termini ad impugnare, interesse e legittimazione a dolersi o mera inoppugnabilità della decisione (art. 591). L'ordinanza di inammissibilità è pronunciata dal giudice dell'impugnazione de plano anche d'ufficio (art. 591, comma 2), ma previo parere del p.m.. Essa è notificata a che ha proposto l'impugnazione affinché, nel termine di trenta giorni (art. 585, comma 1, lett. b), decorrente dalla data dell'ultima notificazione, la parte possa proporre ricorso per cassazione. Se non rilevata d'ufficio in camera di consiglio, l'inammissibilità dell'impugnazione può comunque essere rilevata, acnhe con sentenza, in ogni stato e grado del procedimento (art. 591, comma 4). Ovviamente l'inammissibilità dichiarata dalla Suprema Corte è senza rimedio.

In ipotesi di vana proposizione del gravame e di esito sfavorevole dello stesso, l'impugnante subisce la sanzione processuale della condanna alle spese del procedimento stesso.

Quanto agli effetti, oltre a quello estensivo in bonam partem già esaminato (art. 587), vanno ricordati quelli sospensivi e devolutivi.

L'effetto sospensivo attiene alla paralisi dell'esecuzione del provvedimento sia durante il termine per impugnare, sia durante la pendenza del giudizio di impugnazione[2]. Se l'impugnazione è promossa a tutela dei soli interessi civili, tale tipo di impugnazione non sospende l'esecuzione del capo penale della sentenza (art. 573, comma 2).

L'effetto devolutivo, soggettivamente inteso, comporta che il giudizio di impugnazione è normalmente devoluto ad un giudice diverso, di regola superiore; oggettivamente inteso, concerne l'ampiezza di cognizione del giudice di impugnazione, che può estendersi all'intera materia trattata dal primo giudice ovvero a parte della stessa. Ne consegue che il giudice del gravame ha cognizione nei limiti del devoluto.

Il giudizio contumaciale

Nel giudizio di appello (art. 603, comma 4) il giudice dispone la rinnovazione del dibattimento quando l'imputato ne fa richiesta e prova di non essere potuto comparire davanti al giudice di primo grado, per caso fortuito o forza maggiore. La dispone altresì, quando l'imputato prova di non aver avuto conoscenza concreta del decreto di citazione e, in caso di notificazione presso il difensore ai sensi dell'art. 161, comma 4, non si sia sottratto volontariamente alla conoscenza degli atti del procedimento. Da segnalare come vi sia un favor contumaciae, perché le notificazioni sono, di regola dirette a produrre la conoscenza legale, e non quella concreta, dell'imputato. La conoscenza concreta, quale dato psicologico, invero, secondo la disciplina generale delle notificazioni, non è raggiungibile.

L'appello

L'appello rappresenta un mezzo ordinario di impugnazione che abbraccia sia il merito che la legittimità della sentenza di primo grado. Ai sensi dell'art. 593, il pubblico ministero e l'imputato possono appellare contro le sentenze di condanna o di proscioglimento. L'imputato non può appellare contro la sentenza di proscioglimento perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto. Sono inappellabili le sentenze di condanna relative a contravvenzioni per le quali è stata applicata (in concreto) la sola pena dell'ammenda e le sentenze di proscioglimento o di non luogo a procedere relative a contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa. Sono altresì inappellabili talune sentenze emesse con rito abbreviato (art. 443) e le sentenze di patteggiamento (art. 448/2).

Quanto all'individuazione del giudice competente, l'art. 596 prevede che:

  1. sull'appello proposto contro le sentenze pronunciate dal tribunale decide la corte di appello;
  2. sull'appello proposto contro le sentenze della corte di assise decide la corte di assise di appello.

Salvo quanto previsto dall'articolo 428 riguardo all'impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, sull'appello contro le sentenze pronunciate dal giudice per le indagini preliminari [presso il tribunale], decidono, rispettivamente, la corte di appello e la corte di assise di appello, a seconda che si tratti di reato di competenza del tribunale o della corte di assise.

La sfera di cognizione del giudice d'appello è per sua natura più ristretta di quella del giudice di primo grado, sia perché non tutte le sentenze sono suscettibili di pervenire alla sua verifica, sia perché l'ambito di questa è variamente limitato.

L'appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti (art. 597). Quando appellante è il pubblico ministero:

se l'appello riguarda una sentenza di condanna, il giudice può, entro i limiti della competenza del giudice di primo grado, dare al fatto una definizione giuridica più grave, mutare la specie o aumentare la quantità della pena, revocare benefici, applicare, quando occorre, misure di sicurezza e adottare ogni altro provvedimento imposto o consentito dalla legge;

se l'appello riguarda una sentenza di proscioglimento, il giudice può pronunciare condanna ed emettere i provvedimenti indicati nella lettera a) ovvero prosciogliere per una causa diversa da quella enunciata nella sentenza appellata;

se conferma la sentenza di primo grado, il giudice può applicare, modificare o escludere, nei casi determinati dalla legge, le pene accessorie e le misure di sicurezza (art. 597, comma 2).

Quando appellante è il solo imputato, il giudice non può riformare in peius, non può cioè irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l'imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti visti nel caso precedente, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado. In ogni caso, se è accolto l'appello dell'imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati per la continuazione, la pena complessiva irrogata è corrispondentemente diminuita (art. 597, comma 4). Con la sentenza possono essere applicate anche di ufficio la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e una o più circostanze attenuanti; può essere altresì effettuato, quando occorre, il giudizio di comparazione a norma dell'articolo 69 del codice penale.

Se non sono impugnati tutti i capi della sentenza, la congizione del giudice di secondo grado può estendersi "ai capi legati da un vincolo di connessione essenziale di tipo logico " con quelli impugnati (Cass., sez. 1, 11 febbraio 1995).

Ovviamente il divieto di reformatio in peius non concerne le disposizioni di natura civilistica, così come esso non impedisce l'applicazione delle misure di sicurezza obbligatorie ex lege.

L'appello incidentale

La parte che non ha proposto impugnazione può proporre appello incidentale entro quindici giorni da quello in cui ha ricevuto la comunicazione o la notificazione previste dall'articolo 584 (art. 595, comma 2). L'appello incidentale è proposto secondo le norme generali contenute dagli artt. 581 e segg.. Si tratta di un mezzo esperibile da tutte le parti (art. 595, comma 1). L'appello incidentale del pubblico ministero produce gli effetti previsti dall'articolo 597/2; esso tuttavia non ha effetti nei confronti del coimputato non appellante che non ha partecipato al giudizio di appello. L'appello incidentale perde efficacia in caso di inammissibilità dell'appello principale o di rinuncia allo stesso (art. 595).

Forme del processo di appello

L'esigenza di semplificare e quindi accelerare il corso del giudizio di impugnazione si rispecchia nella previsione di un rito camerale, accanto a quello dibattimentale, sempre ai fini della decisione sul gravame.

Il codice prevede tassativamente le ipotesi di adozione del rito camerale con le forme previste dall'articolo 127. In particolare, la corte provvede in camera di consiglio:

quando l'appello ha esclusivamente per oggetto la specie o la misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione fra circostanze, o l'applicabilità delle circostanze attenuanti generiche, di sanzioni sostitutive, della sospensione condizionale della pena o della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.

quando le parti ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi e con la consequenziale nuova determinazione della pena. Il giudice, se ritiene di non potere accogliere, allo stato, la richiesta, ordina la citazione a comparire al dibattimento. In questo caso la richiesta e la rinuncia perdono effetto, ma possono essere riproposte nel dibattimento;

nelle ipotesi di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, sia per la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado, ovvero preesistenti ma non assunte; nonché nelle ipotesi di rinnovazione-ripetizione di prove già assunte, allorché si tratti di imputato, contumace in primo grado, che ne faccia richiesta e si trovi nelle medesime situazioni che gli consentirebbero di ottenere la restituzione in termini (art. 603);

nei casi di provvisoria esecuzione dei capi civili sollecitata dalla parte civile e di richiesta di sospensione della esecutività della condanna provvisionale quando ricorrano gravi motivi (art. 600).

In tutti gli altri casi, si ricorre alla celebrazione dibattimentale.

Il processo di appello

Il presidente ordina senza ritardo la citazione dell'imputato appellante; ordina altresì la citazione dell'imputato non appellante se vi è appello del pubblico ministero, se ricorre alcuno dei casi previsti dall'articolo 587 o se l'appello è proposto per i soli interessi civili. Quando si procede in camera di consiglio a norma dell'articolo 599, ne è fatta menzione nel decreto di citazione. Il termine per comparire non può essere inferiore a venti giorni. E' ordinata in ogni caso la citazione del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e della parte civile; questa è citata anche quando ha appellato il solo imputato contro una sentenza di proscioglimento. Almeno venti giorni prima della data fissata per il giudizio di appello, è notificato avviso ai difensori. Il decreto di citazione è nullo se l'imputato non è identificato in modo certo ovvero se manca o è insufficiente l'indicazione di uno dei requisiti previsti dall'articolo 429 comma 1 lettera f).

Nell'udienza, il presidente o il consigliere da lui delegato fa la relazione della causa. Se le parti richiedono concordemente l'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello a norma dell'articolo 599 comma 4, il giudice, quando ritiene che la richiesta deve essere accolta, provvede immediatamente; altrimenti dispone la prosecuzione del dibattimento[3]. Nel dibattimento può essere data lettura, anche di ufficio, di atti del giudizio di primo grado nonché, entro i limiti previsti dagli articoli 511 e seguenti, di atti compiuti nelle fasi antecedenti.

Quando una parte, nell'atto di appello o nei motivi presentati ha chiesto la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado o l'assunzione di nuove prove, il giudice se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale (art. 603). Se le nuove prove sono sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale[4]. Il giudice dispone, altresì, la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale quando l'imputato, contumace in primo grado, ne fa richiesta e prova di non essere potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore o per non avere avuto conoscenza del decreto di citazione, sempre che in tal caso il fatto non sia dovuto a sua colpa, ovvero, quando l'atto di citazione per il giudizio di primo grado è stato notificato mediante consegna al difensore nei casi previsti dagli articoli 159, 161 comma 4 e 169, non si sia sottratto volontariamente alla conoscenza degli atti del procedimento. Alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale si procede immediatamente. In caso di impossibilità, il dibattimento è sospeso per un termine non superiore a dieci giorni.

Esaurita la discussione, il presidente dichiara chiuso il dibattimento (art. 524) ed il collegio si ritira in camera di consiglio. La deliberazione avvienesi sensi dell'art. 527, sotto la direzione del presidente. Dopodichè viene redatto e sottoscritto dal presidente il dispositivo, contenente eventualmente la deroga prevista dall'art. 544 per il termine di redazione della motivazione. Il collegio rientra in aula ed il presidente pubblica il dispositivo dandone lettura.

Il "patteggiamento in appello"

Il processo di appello può chiudersi con quello che viene definito il patteggiamento in appello. Trattasi di una forma semplificata del processo - esperibile, a seconda del momento in cui è domandata, in camera di consiglio o in udienza pubblica - consistente in un accordo sostanziale sul contenuto della emananda decisione per i capi diversi dalla responsabilità penale (art. 602, comma 2). In sostanza le parti indicano al giudice quali motivi ritengono che debbano essere accolti; se tale accoglimento comporta una nuova determinazione della pena, il p.m., l'imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la sanzione sulla quale sono d'accordo. Il concordato sui motivi e sulla pena in appello (questa è la sua definizione più appropriata) non ha nulla in comune col patteggiamento: si tratta di un concordato sulla riduzione della pena concretamente inflitta, ma comunque non sotto il livello minimo edittale e suppone la rinuncia dell'appellante agli altri motivi di appello.

Le questioni di nullità e la sentenza

Anche nei casi in cui non interviene o non è ammissibile il patteggiamento, il processo è comunque definito con sentenza trattandosi di provvedimento decisorio di un grado di giudizio. Viene, invece, emessa ordinanza di inammissibilità, anche questa ricorribile per cassazione, nei casi in cui l'appello non sia stato validamente instaurato. L'art. 604, norma di cardinale importanza per comprendere l'essenza stessa del giudizio d'appello, esprime il divieto di regresso del processo di appello al primo grado. Il regresso del dibattimento è istituto eccezionale.

L'art. 604 prevede le questioni di nullità delle sentenze annullate. In particolare, il giudice di appello, nei casi previsti dall'articolo 522, dichiara la nullità in tutto o in parte della sentenza appellata e dispone la trasmissione degli atti al giudice di primo grado, quando vi è stata condanna per un atto diverso o applicazione di una circostanza aggravante per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o di una circostanza aggravante ad effetto speciale, sempre che non vengano ritenute prevalenti o equivalenti circostanze attenuanti[5] (art. 604, comma 1). Quando sono state ritenute prevalenti o equivalenti circostanze attenuanti o sono state applicate circostanze aggravanti diverse da quelle viste prima, il giudice di appello esclude le circostanze aggravanti, effettua, se occorre, un nuovo giudizio di comparazione e ridetermina la pena. Quando vi è stata condanna per un reato concorrente o per un fatto nuovo, il giudice di appello dichiara nullo il relativo capo della sentenza ed elimina la pena corrispondente, disponendo che del provvedimento sia data notizia al pubblico ministero per le sue determinazioni. Il giudice di appello, se accerta una delle nullità indicate nell'articolo 179, da cui sia derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado, la dichiara con sentenza e rinvia gli atti al giudice che procedeva quando si è verificata la nullità. Nello stesso modo il giudice provvede se accerta una delle nullità indicate nell'articolo 180 che non sia stata sanata e da cui sia derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado. Se si tratta di altre nullità che non sono state sanate, il giudice di appello può ordinare la rinnovazione degli atti nulli o anche, dichiarata la nullità, decidere nel merito, qualora riconosca che l'atto non fornisce elementi necessari al giudizio. Quando il giudice di primo grado ha dichiarato che il reato è estinto o che l'azione penale non poteva essere iniziata o proseguita, il giudice di appello, se riconosce erronea tale dichiarazione, ordina, occorrendo, la rinnovazione del dibattimento e decide nel merito. Quando il giudice di primo grado ha respinto la domanda di oblazione, il giudice di appello, se riconosce erronea tale decisione, accoglie la domanda e sospende il dibattimento fissando un termine massimo non superiore a dieci giorni per il pagamento delle somme dovute. Se il pagamento avviene nel termine, il giudice di appello pronuncia sentenza di proscioglimento.

Fuori da tutti questi casi (previsti dall'art. 604), il giudice di appello pronuncia sentenza con la quale conferma o riforma la sentenza appellata. Le pronunce del giudice di appello sull'azione civile sono immediatamente esecutive. Copia della sentenza di appello, con gli atti del procedimento, è trasmessa senza ritardo, a cura della cancelleria, al giudice di primo grado, quando questi è competente per l'esecuzione e non è stato proposto ricorso per cassazione.

L'inibitoria civile

L'art. 600, comma 1, prevede che, se il giudice di primo grado ha omesso di provvedere sulla richiesta di provvisoria esecuzione del capo civile contenente la pronuncia riparatoria, provvisionale compresa, ovvero l'ha rigettata, la parte civile può riproporre la richiesta, la quale deve essere sorretta da giustificati motivi (art. 540, comma 1), mediante impugnazione. Il giudice di secondo grado provvede con ordinanza in camera di consiglio. Il rinvio all'art. 127 fa capire, ovviamente, che devono essere citati, oltre al procuratore generale, il responsabile civile e l'imputato, nonché i loro difensori. È da segnalare che tale provvedimento può essere emesso prima della discussione dell'appello principale. L'art. 600, commi 2 e 3, prevede quell'istituto che, con parallelismo con il processo civile, è chiamato inibitoria civile, prescrivendo che, sempre con le forma camerali del comma 1, il responsabile civile e l'imputato possano chiedere la revoca o la sospensione della provvisoria esecuzione, quando ricorrono giustificati motivi. La richiesta della parte civile o l'inibitoria del responsabile civile debbono essere proposte con l'appello e, concorrendo giustificato o gravi motivi, devono essere decise prima del dibattimento.

Il ricorso per Cassazione

Ai sensi dell'art. 111 Cost., il ricorso per cassazione si pone come un mezzo di gravame indefettibilmente esperibile in ordine a tutte le sentenze e a quei provvedimenti che incidono sulla libertà personale. Mentre possono aversi sentenze di primo grado appellabili e non appellabili, non esistono sentenze di secondo grado non ricorribili, né sentenze di primo grado inappellabili che siano sottraibili al ricorso per cassazione. Peraltro, il ricorso può costituire l'istanza di giustizia azionabile in relazione a qualsiasi decisione di primo grado, sia perché può essere l'unico mezzo di gravame[6], sia perché può elettivamente assurgere a mezzo immediato di impugnazione allorché la parte che abbia diritto di appellare la prima sentenza preferisca avvalersi immediatamente del ricorso ai sensi dell'art. 569 .

L'attività giurisdizionale della Corte di Cassazione è quella che non mira a riesaminare in terzo grado il merito del rapporto sostanziale, ma a giudicare le sentenze dei giudici di merito, annullandole dove appaiono viziate da errori di diritto, oltreché da difetti di motivazione. La Corte Suprema giudica sulle sole questioni di diritto, vale a dire in base alla interpretazione e all'applicazione della legge, senza scendere a discutere i fatti della controversia, bensì basandosi sull'accertamento compiuto dal giudice di merito nella sentenza che egli ha pronunciato. La Corte di cassazione inoltre, tanto in materia civile quanto in quella penale, ha la funzione di uniformare le interpretazioni giurisprudenziali della normativa vigente, (art. 65 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12) anche se non ha nessun potere effettivo di indirizzo nei confronti dei giudici di grado inferiore (come succede nei paesi anglosassoni, dove le decisioni della Corte Suprema assumono valore di precedenti legali). Quando una questione ha dato luogo a contrasto o, presentandosi per la prima volta, è di particolare delicatezza, la Suprema Corte, sollecitata dalla procura generale, da una sezione semplice o dal difensore, decide a sezioni unite (art. 618).

Il ricorso per cassazione può essere proposto solo per i seguenti cinque motivi:

esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri;

inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale;

inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza;

mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta a norma dell'articolo 495 comma 2 (prova contraria);

mancanza o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato.

La tassatività dei casi di gravame, provoca la inammissibilità di motivi diversi o sostanzialmente apparenti e manifestamente infondati. Infatti, ai sensi dell'art. 606, comma 3, il ricorso è inammissibile se è proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge, se è manifestamente infondato nonché se è proposto per violazioni di legge non dedotte nei motivi d'appello, fuori dei casi di cui agli artt. 569 e 609, comma 2.

I soggetti ricorrenti

L'imputato e il suo difensore possono ricorrere per cassazione contro la sentenza di condanna o di proscioglimento ovvero contro la sentenza inappellabile di non luogo a procedere. Possono, inoltre, ricorrere contro le sole disposizioni della sentenza che riguardano le spese processuali (art. 607).

Il procuratore generale presso la corte di appello può ricorrere per cassazione contro ogni sentenza di condanna o di proscioglimento pronunciata in grado di appello o inappellabile.

Il procuratore della Repubblica presso il tribunale può ricorrere per cassazione contro ogni sentenza inappellabile, di condanna o di proscioglimento, pronunciata dalla corte di assise, dal tribunale o dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale.

Il procuratore generale e il procuratore della Repubblica presso il tribunale possono anche ricorrere nei casi previsti dall'articolo 569 di ricorso immediato per cassazione e da altre disposizioni di legge.

Infine, la persona offesa, che sia costituita parte civile, può ricorrere anche per i capi penali, quando trattasi di reati di ingiuria o di diffamazione commessi in suo danno (art. 577).

Il procedimento

Il presidente della corte di cassazione provvede all'assegnazione dei ricorsi alle singole sezioni secondo i criteri stabiliti dalle leggi di ordinamento giudiziario. Il presidente, su richiesta del procuratore generale, dei difensori delle parti o anche di ufficio, assegna il ricorso alle sezioni unite quando le questioni proposte sono di speciale importanza o quando occorre dirimere contrasti insorti tra le decisioni delle singole sezioni. Il presidente della corte, se si tratta delle sezioni unite, ovvero il presidente della sezione fissa la data per la trattazione del ricorso in udienza pubblica o in camera di consiglio e designa il relatore. Il presidente dispone altresì la riunione dei giudizi nei casi previsti dall'articolo 17 e la separazione dei medesimi quando giovi alla speditezza della decisione. La cancelleria dà immediata comunicazione al procuratore generale del deposito degli atti per la eventuale richiesta della dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Almeno trenta giorni prima della data dell'udienza, la cancelleria ne dà avviso al procuratore generale e ai difensori, indicando se il ricorso sarà deciso a seguito di udienza pubblica ovvero in camera di consiglio. In quest'ultimo caso, l'avviso deve inoltre precisare se vi è la richiesta di dichiarazione di inammissibilità, enunciando la causa dedotta.

Oltre che nei casi particolari previsti dalla legge, la corte procede in camera di consiglio quando deve decidere su ogni ricorso contro provvedimenti non emessi nel dibattimento[8] (art. 611, comma 1). Se non è diversamente stabilito e in deroga a quanto previsto dall'articolo 127, la corte giudica sui motivi, sulle richieste del procuratore generale e sulle memorie delle altre parti senza intervento dei difensori. Fino a quindici giorni prima dell'udienza, tutte le parti possono presentare motivi nuovi e memorie e, fino a cinque giorni prima, possono presentare memorie di replica. Nello stesso modo la corte procede quando è stata richiesta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Se non dichiara l'inammissibilità, la corte fissa la data per la decisione del ricorso in udienza pubblica.

A richiesta dell'imputato o del responsabile civile, la corte di cassazione può sospendere, in pendenza del ricorso, l'esecuzione della condanna civile, quando può derivarne grave e irreparabile danno[9].

Salvo che la parte non vi provveda personalmente, l'atto di ricorso, le memorie e i motivi nuovi devono essere sottoscritti, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della corte di cassazione. Davanti alla corte medesima le parti sono rappresentate dai difensori. Per tutti gli atti che si compiono nel procedimento davanti alla corte, il domicilio delle parti è presso i rispettivi difensori. Il difensore è nominato per la proposizione del ricorso o successivamente; in mancanza di nomina il difensore è quello che ha assistito la parte nell'ultimo giudizio, purché si tratti di un avvocato cassazionista[10]. Gli avvisi che devono essere dati al difensore sono notificati anche all'imputato che non sia assistito da difensore di fiducia. Quando il ricorso concerne gli interessi civili, il presidente, se la parte ne fa richiesta, nomina un difensore secondo le norme sul patrocinio dei non abbienti.

Le norme concernenti la pubblicità, la polizia e la disciplina delle udienze e la direzione della discussione nei giudizi di primo e di secondo grado si osservano davanti alla corte di cassazione, in quanto siano applicabili. Le parti private possono comparire per mezzo dei loro difensori. Nell'udienza stabilita, il presidente procede alla verifica della costituzione delle parti e della regolarità degli avvisi, dandone atto a verbale; quindi, il presidente o un consigliere da lui delegato fa la relazione della causa. Dopo la requisitoria del pubblico ministero, i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato espongono nell'ordine le loro difese. Non sono ammesse repliche.

La corte di cassazione delibera la sentenza in camera di consiglio subito dopo terminata la pubblica udienza salvo che, per la molteplicità o per l'importanza delle questioni da decidere, il presidente ritenga indispensabile differire la deliberazione ad altra udienza prossima. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni degli articoli 527 e 546. Se non provvede a norma degli articoli 620, 622 e 623, la corte dichiara inammissibile o rigetta il ricorso. La sentenza è pubblicata in udienza subito dopo la deliberazione, mediante lettura del dispositivo fatta dal presidente o da un consigliere da lui delegato. Prima della lettura, il dispositivo è sottoscritto dal presidente.

Con il provvedimento che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto è condannata al pagamento delle spese del procedimento[11].

Conclusa la deliberazione, il presidente o il consigliere da lui designato redige la motivazione. Si osservano le disposizioni concernenti la sentenza nel giudizio di primo grado, in quanto applicabili. La sentenza, sottoscritta dal presidente e dall'estensore, è depositata in cancelleria non oltre il trentesimo giorno dalla deliberazione. Qualora il presidente lo disponga, la corte si riunisce in camera di consiglio per la lettura e l'approvazione del testo della motivazione[12].

Gli errori di diritto nella motivazione e le erronee indicazioni di testi di legge non producono l'annullamento della sentenza impugnata, se non hanno avuto influenza decisiva sul dispositivo. La corte tuttavia specifica nella sentenza le censure e le rettificazioni occorrenti. Quando nella sentenza impugnata si deve soltanto rettificare la specie o la quantità della pena per errore di denominazione o di computo, la corte di cassazione vi provvede senza pronunciare annullamento. Nello stesso modo si provvede nei casi di legge più favorevole all'imputato, anche se sopravvenuta dopo la proposizione del ricorso, qualora non siano necessari nuovi accertamenti di fatto.

Pare opportuno ricordare che ai sensi dell'art. 609, comma 1 il ricorso attribuisce alla Corte di Cassazione la cognizione del procedimento limitatamente ai motivi proposti ex art. 606, comma 1, con l'implicita prescrizione che tali motivi debbano già essere stati presentati dal giudice di merito. Le questioni non contestate in grado di appello, invero, passano nel giudicato interno. Sicché, ovviamente, l'intempestiva deduzione del motivo nel giudizio di appello lo rende indeducibile nel giudizio di cassazione. Tale prescrizione conosce l'eccezione delle questioni che la corte può rilevare d'ufficio e quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello (art. 609, comma 2).

La tipologia delle sentenze della suprema corte

Quattro sono i tipi di pronuncia della suprema corte. A parte l'inammissiblità ex art. 591, la corte, se non rigetta il ricorso perché infondato può rettificare gli erori non determinanti annullamento. L'art. 619, comma 1, prevede, invero, che gli errori di diritto della motivazione e le erronee indicazioni di testi di legge non producono l'annullamento della sentenza impugnata, se non hanno avuto influenza decisiva sul dispositivo ed aggiunge che la corte tuttavia specifica nella sentenza le censure e le rettificazioni occorrenti, aprendo la via ad interventi di carattere disciplinare sul giudice di merito la cui sentenza è rettificata. Il comma 2 dell'art. 619 prescrive che, quando nella sentenza impugnata si deve soltanto rettificare la specie o la quantità della pena per errore di denominazione o di computo, la corte di cassazione vi provvede senza pronunciare annullamento. Sempre mediante rettificazione vi provvede quando deve applicare una legge più favorevole all'imputato: non debbono essere necessari accertamenti di fatto.

Al di fuori di questi tipi di sentenza, non resta che l'annullamento della sentenza impugnata, il quale può essere senza rinvio o con rinvio (artt. 620 - 626).

L'annullamento senza rinvio

Oltre che nei casi particolarmente previsti dalla legge, la corte pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio:

se il fatto non è previsto dalla legge come reato, se il reato è estinto o se l'azione penale non doveva essere iniziata o proseguita (art. 620, comma 1, lett. a);

se il reato non appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario[13](art. 620, comma 1, lett. b);

se il provvedimento impugnato contiene disposizioni che eccedono i poteri della giurisdizione, limitatamente alle medesime(art. 620, comma 1, lett. c);

se la decisione impugnata consiste in un provvedimento non consentito dalla legge(art. 620, comma 1, lett. d);

se la sentenza è nulla a norma e nei limiti dell'articolo 522 in relazione a un reato concorrente[14](art. 620, comma 1, lett. e);

se la sentenza è nulla a norma e nei limiti dell'articolo 522 in relazione a un fatto nuovo[15](art. 620, comma 1, lett. f);

se la condanna è stata pronunciata per errore di persona(art. 620, comma 1, lett. g);

se vi è contraddizione fra la sentenza o l'ordinanza impugnata e un'altra anteriore concernente la stessa persona e il medesimo oggetto, pronunciata dallo stesso o da un altro giudice penale[16](art. 620, comma 1, lett. h);

se la sentenza impugnata ha deciso in secondo grado su materia per la quale non è ammesso l'appello[17];(art. 620, comma 1, lett. i)

in ogni altro caso in cui la corte ritiene superfluo il rinvio ovvero può essa medesima procedere alla determinazione della pena o dare i provvedimenti necessari[18](art. 620, comma 1, lett. l).

Fermi gli effetti penali della sentenza, la corte di cassazione, se ne annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l'azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato, rinvia quando occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l'annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile (art. 622).

L'annullamento con rinvio

L'art. 623 regola i casi di annullamento con rinvio. Fuori dei casi previsti dagli articoli 620 e 622:

se è annullata un'ordinanza, la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che l'ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento;

se è annullata una sentenza di condanna nei casi previsti dall'articolo 604 comma 1, la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice di primo grado;

se è annullata la sentenza di una corte di assise di appello o di una corte di appello ovvero di una corte di assise o di un tribunale in composizione collegiale, il giudizio è rinviato rispettivamente a un'altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale o, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini;

se è annullata la sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale; tuttavia, il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata.

L'annullamento parziale

Se l'annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata. La corte di cassazione, quando occorre, dichiara nel dispositivo quali parti della sentenza diventano irrevocabili. L'omissione di tale dichiarazione è riparata dalla corte stessa in camera di consiglio con ordinanza che deve trascriversi in margine o in fine della sentenza e di ogni copia di essa posteriormente rilasciata. L'ordinanza può essere pronunciata di ufficio ovvero su domanda del giudice competente per il rinvio, del pubblico ministero presso il medesimo giudice o della parte privata interessata. La domanda si propone senza formalità. La corte di cassazione provvede in camera di consiglio senza l'osservanza delle forme previste dall'articolo 127.

Il giudizio di rinvio

Nel giudizio di rinvio non è ammessa discussione sulla competenza attribuita con la sentenza di annullamento, salvo quanto previsto dall'articolo 25. Il giudice di rinvio decide con gli stessi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le limitazioni stabilite dalla legge. Se è annullata una sentenza di appello e le parti ne fanno richiesta, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per l'assunzione delle prove rilevanti per la decisione. Il giudice di rinvio si uniforma alla sentenza della corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa. Non possono rilevarsi nel giudizio di rinvio nullità, anche assolute, o inammissibilità, verificatesi nei precedenti giudizi o nel corso delle indagini preliminari. Se taluno degli imputati, condannati con la sentenza annullata, non aveva proposto ricorso, l'annullamento pronunciato rispetto al ricorrente giova anche al non ricorrente, salvo che il motivo dell'annullamento sia esclusivamente personale. L'imputato che può giovarsi di tale effetto estensivo deve essere citato e ha facoltà di intervenire nel giudizio di rinvio.

La sentenza del giudice di rinvio può essere impugnata con ricorso per cassazione se pronunciata in grado di appello e col mezzo previsto dalla legge se pronunciata in primo grado. In ogni caso la sentenza del giudice di rinvio può essere impugnata soltanto per motivi non riguardanti i punti già decisi dalla corte di cassazione ovvero per non essere uniformata alla sentenza della corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa.

Il ricorso straordinario per errore materiale

Con la L. n. 128/2001 è stato introdotto nel codice l'art. 625bis c.p.p. disciplinante il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto.

Come noto la sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione non è impugnabile essendo l'epilogo dell'ultimo grado di gravame: la nuova disposizione consente alla Corte, su ricorso del procuratore generale o del condannato, di correggere errori materiali o di fatto contenuti in suoi provvedimenti.

Mentre l'errore materiale è quello già descritto nell'art. 130 c.p.p., l'errore di fatto riconducibile all'art. 625bis c.p.p. deve consistere in una vera e propria svista materiale, ossia in una disattenzione di ordine percettivo che non ha consentito di prendere in considerazione un motivo di ricorso, decisivo nella decisione del giudizio di legittimità.

Non costituisce pertanto errore di fatto la mancata presa in considerazione di un motivo di ricorso, allorchè esso, pur non essendo stato esplicitamente esaminato, è stato disatteso od assorbito nella decisione adottata.

Il ricorso non sospende l'efficacia esecutiva del provvedimento della Corte e deve essere proposto entro 180 giorni dal suo deposito. Se la richiesta è avanzata fuori termine ovvero risulti palesemente infondata, la Corte può dichiararne d'ufficio l'inammissibilità, altrimenti la questione viene discussa in camera di consiglio ai sensi dell'art. 127 c.p.p.

Il giudicato progressivo

La giurisprudenza ha costruito l'istituto del giudicato progressivo. Se la prescrizione non è maturata nel giudizio di cassazione, ma lo è nel giudizio di rinvio, la suprema corte ha stabilito che la formazione progressiva del giudicato limita l'applicazione dell'art. 129, comma 1, nel senso che è inibito far valere la prescrizione in sede di rinvio. In altri termini, la sentenza del giudice di rinvio retroagisce al momento della pronuncia della corte di cassazione. Introducendo questo limite la suprema corte dunque moralizzato l'annullamento con rinvio.

Il provvedimento abnorme

Poiché le invalidità sono previste in forma tassativa, le mere irregolarità non influiscono sugli effetti giuridici dell'atto processuale penale e, quindi, sulla seriazione causale che costituisce il procedimento. La giurisprudenza ha creato il concetto di provvedimento abnorme, cioè non rispondente, per la sua singolarità o stranezza, ai tipi previsti dall'ordinamento processuale. Occorre sottolineare che l'abnormità concerne tanto i provvedimenti del giudice quanto quelli del p.m.; inoltre l'abnormità può essere dovuta a ragioni di struttura o di funzione. In entrambi i casi, il provvedimento giudiziario abnorme è ricorribile direttamente per cassazione, mancando i mezzi ordinari di impugnazione e discendendo il ricorso per cassazione dall'art. 111 Cost.. Secondo la giurisprudenza l'impugnabilità per cassazione del provvedimento abnorme dipende non dalla conoscenza legale ma dalla conoscenza concreta. Ovviamente, il termine per ricorrere, pur partendo dalla conoscenza concreta, è quello ordinario.

Il ricorso per cassazione contro il provvedimento abnorme si distingue perché è trattato in camera di consiglio de plano, cioè senza l'applicazione dell'art. 127. Proposto personalmente o da un avvocato iscritto nell'albo speciale, tale ricorso può essere illustrato con motivi nuovi e memorie, necessari non fosse altro per documentare l'evoluzione della giurisprudenza e la presenza di altro caso simile, definito come provvedimento abnorme nel ricorso.

La revisione

La revisione, a differenza dell'appello e del ricorso per cassazione, è un mezzo straordinario di impugnazione ed, in quanto tale, si caratterizza per la sua idoneità a travolgere il giudicato. Infatti, ai sensi dell'art. 629, "è ammessa in ogni tempo a favore dei condannati, nei casi determinati dalla legge, la revisione delle sentenze di condanna o dei decreti penali di condanna, divenuti irrevocabili, anche se la pena è già stata eseguita o è estinta".

Competente, sia per la fase di delibazione preliminare, sia per il giudizio di revisione è esclusivamente la corte d'appello individuata secondo i criteri di cui all'art. 11 (art. 633, comma 1). Il passaggio dalla fase della delibazione al giudizio di revisione è segnato dall'emissione del decreto di citazione. Gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena di inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato doveva essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 o 531 (art. 631). Sia la decisione di inammissibilità con la quale può concludersi la fase de delibazione preliminare sia la sentenza, che accoglie o rigetta la richiesta di revisione, possono essere oggetto di ricorso per cassazione (art. 634, comma 2 e 640). La suprema corte decide anche nel merito.

L'errore giudiziario può essere di fatto o di diritto, ovvero entrambi. L'errore oggetto di revisione è solo quello di fatto. L'errore di diritto resta emendabile soltanto finché non si è formato giudicato. Il solo errore che può essere corretto investe il fatto con riguardo alla condotta, al nesso causale, all'evento, nonché all'attribuzione soggettiva di colpevolezza e di imputabilità. Vi è un doppio limite: l'errore di fatto deve emergere dalla motivazione, in quanto premessa storica del dispositivo; esso non deve dipendere da un riesame delle sole prove assunte nel procedimento, ma da nuove prove.

La revisione può essere richiesta[19] (art. 630):

se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale;

se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall'articolo 3 ovvero una delle questioni previste dall'articolo 479;

se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell'articolo 631;

se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato.

Possono chiedere la revisione:

il condannato o un suo prossimo congiunto ovvero la persona che ha sul condannato l'autorità tutoria e, se il condannato è morto, l'erede o un prossimo congiunto (art. 623, comma 1, lett. a);

il procuratore generale presso la corte di appello nel cui distretto fu pronunciata la sentenza di condanna. Le persone indicate nella lettera a) possono unire la propria richiesta a quella del procuratore generale (art. 623, comma 1, lett. b).

La richiesta di revisione è proposta personalmente o per mezzo di un procuratore speciale. Essa deve contenere l'indicazione specifica delle ragioni e delle prove che la giustificano e deve essere presentata, unitamente a eventuali atti e documenti, nella cancelleria della Corte di appello individuata secondo i criteri di cui all'articolo 11.


La parte privata interessata se ammessa al giudizio di revisione, riacquista lo status di imputato. La corte d'appello può in qualunque momento disporre, con ordinanza, la sospensione dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, applicando, se del caso, una delle misure coercitive previste dagli artt. 281, 282, 283 e 284 (art. 635, comma 1). In caso di inosservanza della misura cautelare la corte revoca l'ordinanza e dispone che riprenda l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza.

Il predibattimento ed il dibattimento nel giudizio di revisione

La norma che regola i due istituti è l'art. 636, secondo il quale, da un lato, il presidente della corte d'appello emette il decreto di citazione a norma dell'art. 601 (comma 1); dall'altro si osservano le disposizioni del titolo I e del titolo II del libro settimo in quanto siano applicabili e nei limiti delle ragioni indicate nella richiesta di revisione (comma 2).

Tra gli atti preliminari rientra la citazione del condannato in espiazione che non ha fatto richiesta di revisione, ma al quale potrebbe applicarsi l'effetto estensivo previsto dalle disposizioni generali sulle impugnazioni. È obbligatoria pure la citazione del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e, ovviamente, della parte civile. Il decreto di citazione contiene i requisiti di cui all'art. 429, comma 1 lett. a, f e g, con esclusione dell'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza (art. 429, comma 1, lett. c).

Il giudizio inizia con le richieste che siano assunte quelle prove a discarico, che già in precedenza erano state indicate o allegate.

In caso di accoglimento della richiesta di revisione, il giudice revoca la sentenza di condanna o il decreto penale di condanna e pronuncia il proscioglimento indicandone la causa nel dispositivo (art. 637, comma 2). Ai sensi dell'art. 639 la corte di appello, quando pronuncia sentenza di proscioglimento ., anche nel caso previsto dall'art. 638, ordina la restituzione delle somme pagate in esecuzione della condanna per le pene pecuniarie, per le misure di sicurezza patrimoniali, per le spese processuali o di mantenimento in carcere e per il risarcimento dei danni a favore della parte civile citata per il giudizio di revisione. Ordina altresì la restituzione delle cose che sono state confiscate, ad eccezione di quelle previste dall'art. 240, comma 2, n. 2 del codice penale. Inoltre, la sentenza di accoglimento, a richiesta dell'interessato, è affissa per estratto, a cura della cancelleria, nel comune in cui la sentenza era stata pronunciata e in quello di ultima residenza del condannato (art. 642, comma 1). Infine, sempre su richiesta dell'interessato, il presidente della corte di appello dispone con ordinanza che l'estratto della sentenza sia pubblicato a cura della cancelleria in un giornale, indicato nella richiesta; le spese della pubblicazione sono a carico della cassa delle ammende (art. 642, comma 2). Il giudice non può pronunciare il proscioglimento esclusivamente sulla base di una diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio.

In caso di rigetto della richiesta, il giudice condanna la parte privata che l'ha proposta al pagamento delle spese processuali e, se è stata disposta la sospensione, dispone che riprenda l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza.

Qualunque sia l'esito del giudizio di revisione la sentenza può essere oggetto di ricorso per cassazione. Il ricorso si svolge secondo le norme dell'udienza pubblica, in quanto applicabili. Qualora la corte annulli la sentenza impugnata, si svolgerà obbligatoriamente il giudizio di rinvio, secondo il principio di diritto stabilito dalla corte stessa. Tale giudizio si rinvio deve svolgersi, ex art. 634, davanti ad una sua diversa corte d'appello, individuata secondo i principi di cui all'art. 11.

la riparazione dell'errore giudiziario

Nell'ambito dei presupposti della riparazione dell'errore giudiziario occorre distinguere tra quelli positivi e quelli negativi. In positivo sono presupposti della riparazione il giudicato di condanna e la sua revisione, con conseguente riconoscimento dell'errore giudiziario. In negativo occorre che chi è stato prosciolto in sede di revisione non abbia dato causa, per dolo o colpa grave, all'errore giudiziario: si tratta di concetti analoghi all'esclusione della riparazione dell'ingiusta detenzione. Sempre in negativo, il diritto alla riparazione è escluso per quella parte della pena detentiva che sia computata nella determinazione della pena da espiare per un reato diverso, a norma dell'art. 657, comma 2 (art. 643, comma 3).

L'azione di indole civile con la quale l'innocente fa valere il suo diritto alla riparazione dell'errore giudiziario è proponibile esclusivamente davanti alla corte d'appello in sede penale anche post mortem. Legittimati a richiedere la riparazione dell'errore giudiziario sono, se il prosciolto è morto anche prima del procedimento di revisione, il coniuge, i discendenti e gli ascendenti, i fratelli e le sorelle, gli affini entro il primo grado e le persone legate da vincolo di adozione con quella deceduta (art. 644, comma 1), salvo che siano indegni (art. 644, comma 3). Il termine per la proposizione della domanda è lo scadere del secondo anno dal passaggio in giudicato della sentenza di revisione (art. 645, comma 1).

La domanda scritta di riparazione è presentata, unitamente ai documenti ritenuti utili, nella cancelleria penale della corte d'appello che ha pronunciato la sentenza di revisione, personalmente o per mezzo di procuratore speciale (art. 645, comma 1). Sulla domanda di riparazione la corte di appello decide in camera di consiglio, osservando le forma previste dall'art. 127. La domanda con in calce il provvedimento che fissa l'udienza, è notificata, a cura della cancelleria, al ministro del tesoro, domiciliato presso l'avvocatura distrettuale dello stato, al procuratore generale ed a tutti gli interessati. Nell'udienza camerale segreta, il presidente o il consigliere delegato svolge la relazione, dopo la quale ha luogo la discussione, verbalizzata in forma riassuntiva. La corte d'appello pronuncia ordinanza, che è comunicata al procuratore generale e notificata, in vista del ricorso per cassazione, all'avvocatura distrettuale a tutti gli interessati.

Le forme riparatorie ammesse sono:

il risarcimento del danno: è una forma di riparazione indeterminata del massimo e deve essere commisurata alla durata dell'eventuale espiazione della pena o internamento e alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna (art. 643, comma 1). Il limite è costituito dal divieto di arricchimento della vittima riaffermato al difetto di legittimazione, qualora quest'ultima abbia dato causa per dolo o colpa grave all'errore giudiziario (art. 643, comma 1). Entro questo limito, ampio spazio è dato al risarcimento dei danni, purché essi siano conseguenza immediata e diretta dell'ingiusta condanna, secondo la più tranquillizzante teoria della causalità giuridica;

la rendita vitalizia o il ricovero in un istituto a spese dello stato: viene costituita tenendo conto delle condizioni dell'avente diritto e della natura del danno (art. 643, coma 2). L'ordinanza della corte ha quindi natura costitutiva del diritto. Dopo la notificazione a cura della cancelleria e decorso il termine per impugnare, l'ordinanza, che non è provvisoriamente esecutiva, costituisce titolo per l'esecuzione civile contro il ministero del tesoro.

L'ordinanza riparatoria è impugnabile col ricorso per cassazione, secondo le norme ordinarie; a tal fine la cancelleria comunica al p.m. e la fa notificare all'avvocatura distrettuale dello Stato ed all'interessato o a tutti i superstiti. I vizi rilevabili sono quelli di rito (violazione degli artt. 127 e 128) e di legittimità (motivazione del quantum).




"544. Redazione della sentenza.

1. Conclusa la deliberazione, il presidente redige e sottoscrive il dispositivo. Subito dopo è redatta una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la sentenza è fondata.

2. Qualora non sia possibile procedere alla redazione immediata dei motivi in camera di consiglio, vi si provvede non oltre il quindicesimo giorno da quello della pronuncia.

3. Quando la stesura della motivazione è particolarmente complessa per il numero delle parti o per il numero e la gravità delle imputazioni, il giudice, se ritiene di non poter depositare la sentenza nel termine previsto dal comma 2, può indicare nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il novantesimo giorno da quello della pronuncia

Tale effetto non si produce per i provvedimenti in materia di libertà personale.

La richiesta e la rinuncia ai motivi non hanno effetto se il giudice decide in modo difforme dall'accordo.

La rinnovazione dell'istruzione dibattimentale è disposta di ufficio se il giudice la ritiene assolutamente necessaria.

Se annulla una sentenza della corte di assise o del tribunale collegiale, il giudice di appello dispone la trasmissione degli atti ad altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale ovvero, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini. Se annulla una sentenza del tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, dispone la trasmissione degli atti al medesimo tribunale; tuttavia il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata.

Sentenze di primo grado unicamente ricorribili per cassazione sono quelle emesse nei riti speciali.

A condizione che le altre parti non seguano l'usuale iter dell'appello, giacché allora il ricorso si converte in appello a norma dell'art. 580.

Fatta eccezione delle sentenze pronunciate a norma dell'articolo 442.

La decisione sulla richiesta di sospensione della condanna civile è adottata dalla corte di cassazione con ordinanza in camera di consiglio.

Se l'imputato è privo del difensore di fiducia, il presidente del collegio provvede a norma dell'articolo 97.

Se il ricorso è dichiarato inammissibile, la parte privata è inoltre condannata con lo stesso provvedimento al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da lire cinquecentomila a lire quattro milioni. Nello stesso modo si può provvedere quando il ricorso è rigettato.

Sulle proposte di rettifica, integrazione o cancellazione la corte delibera senza formalità.

La corte dispone che gli atti siano trasmessi all'autorità competente, che essa designa.

La corte dispone che del provvedimento sia data notizia al pubblico ministero per le sue determinazioni.

Anche in questo caso, la corte dispone che del provvedimento sia data notizia al pubblico ministero per le sue determinazioni.

In tal caso la corte ordina l'esecuzione della prima sentenza o ordinanza, ma, se si tratta di una sentenza di condanna, ordina l'esecuzione della sentenza che ha inflitto la condanna meno grave determinata a norma dell'articolo 669.

La corte ritiene il giudizio qualificando l'impugnazione come ricorso.

La corte procede alla determinazione della pena o dà i provvedimenti che occorrono.

Gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena d'inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530 o 531.




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