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Il procedimento penale è per definizione una successione di atti - provenienti dai vari soggetti coinvolti nel procedimento - che presentano profili formali e sostanziali. Viene tradizionalmente definito "atto del procedimento penale" quell'atto che è compiuto da un soggetto legittimato e hce è preordinato alla pronuncia di una decisione penale. In base a tale definizioni rientrano nel concetto di atto sia gli atti delle indagini preliminari sia gli atti dell'udienza preliminare e del giudizio. Viceversa non rientra in tale concetto la notizia di reato. Gli atti assumono in genere la forma di verbali - contenenti le indicazioni della data di formazione, dei soggetti presenti, delle attività compiute - e recano la sottoscrizione degli intervenuti. Altri atti sono quelli tipici del giudice (sentenza, decreto, ordinanza). Diversi dagli atti sono le copie (mere riproduzioni di atti), gli estratti (copie parziali) e i certificati (attestazioni del contenuto di altri atti).
Abbiamo già visto, nel capitolo precedente, gli atti che possono essere emanati dal giudice. Occorre ora analizzare gli atti che possono essere compiuti dalle parti.
Nel libro secondo il codice si limita ad enunciare due soli modelli generali di atti delle parti: si tratta delle richieste e delle memorie. Nella parte dinamica il codice prevede molti altri atti, che non hanno un rilievo inferire a quelli menzionati. Si pensi alle conclusioni, al consenso, all'accettazione, alla rinuncia o alla revoca.
Per quanto riguarda i modelli generale,
iniziamo a considerare
Sulle richieste ritualmente formulate il giudice deve provvedere senza ritardo e comunque entro quindici giorni, salvo specifiche disposizioni di legge (art. 121, comma 2). L'altro modello generale è la memoria che ha un contenuto meramente argomentativi teso ad illustrare questioni in fatto o in diritto. Nel codice troviamo, come esempio, le memorie che la persona offesa può presentare in ogni stato e grado del procedimento (art. 90).
Il procedimento in camera di consiglio
Il codice utilizza l'espressione camera di consiglio per indicare due situazioni ben diverse. In base all'art. 125, comma 4, il giudice delibera in segreto i propri provvedimenti in camera di consiglio. In questo caso tale espressione indica il luogo in cui il giudice si ritira per formare il proprio convincimento sulla singola questione da decidere.
L'art. 127 disciplina il modello generale di procedimento in camera di consiglio. Per camera di consiglio qui si intende la modalità di svolgimento di una attività giurisdizionale, alla quale le parti e le altre persone interessate hanno il diritto di partecipare. Il procedimento in camera di consigli presenta due caratteristiche: l'assenza del pubblico e la non necessaria partecipazione delle parti, delle persone interessate e dei loro difensori.
Nel modello ordinario 232b11c l'atto iniziale del procedimento è un decreto di fissazione dell'udienza. Alle parti, agli interessati ed ai loro difensori è dato avviso della data fissata per l'udienza almeno dieci giorni prima dell'udienza stessa. L'osservanza di questo adempimento è richiesta a pena di nullità (art. 127, comma 5). Fino a cinque giorni prima dell'udienza gli interessati possono presentare memorie presso la cancelleria del giudice. All'udienza il contraddittorio è orale e soltanto eventuale, perché la partecipazione delle parti, degli intreressati e dei loro difensori è facoltativa. Il giudice ha comunque l'obbligo di ascoltare a pena di nullità, tutti coloro che intervengono in udienza. L'imputato ed il condannato in stato di detenzione hanno diritto di essere sentiti se ne fanno richiesta e purché siano detenuti nello stesso luogo ove il giudice ha sede: in caso di loro legittimo impedimento, l'udienza deve essere rinviata a pena di nullità. Se invece l'imputato o il condannato sono detenuti in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice, alla loro audizione deve procedere a pena di nullità il magistrato di sorveglianza prima che abbia luogo l'udienza in camera di consiglio. Il provvedimento conclusivo della procedura camerale assume, di regola, la forma dell'ordinanza, che è impugnabile mediante ricorso per cassazione. La procedura in comare di consiglio non viene osservata quando il giudice emette un provvedimento senza formalità, ossia de plano (ad es. art. 409, comma 1: decreto di archiviazione).
La documentazione degli atti
Gli atti del procedimento penale devono essere documentati perché se ne possa conservare traccia. Il codice prevede che a tale documentazione si provveda mediante verbale che viene redatto dall'ausiliario che assiste il giudice o il pubblico ministero (artt. 135, 373 e 480 c.p.p.). L'art. 136, comma 1, indica in modo analitico il contenuto del verbale: il verbale contiene la menzione del luogo, dell'anno, del mese, del giorno e, quando occorre, dell'ora in cui è cominciato e chiuso, le generalità delle persone intervenute, la descrizione di quanto l'ausiliario ha fatto o ha constatato o di quanto è avvenuto in sua presenza nonché le dichiarazioni ricevute da lui o da altro pubblico ufficiale che egli assiste. Occorre sottolineare che "il verbale deve bensì documentare gli atti, ma non è esso fonte di prova, di modo che è implicita la libera valutazione di quanto è in esso racchiuso" (Relazione al progetto preliminare).
La documentazione può essere effettuata con almeno tre modalità differenti: in dibattimento di regola deve essere redatto in forma integrale con la stenotipia o altro strumento meccanico ovvero, in caso di impossibilità di ricorso a tali mezzi con la scrittura manuale (art. 134, comma 2). Il verbale in forma integrale ha la caratteristica di riprodurre sia la domanda, sia la risposta (art. 136, comma 2). Una seconda modalità di documentazione è il verbale in forma riassuntiva con riproduzione fonografica (art. 134, comma 3).
Infine vi è una terza modalità di documentazione che si effettua quando vi sia una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici o anche quando gli atti da verbalizzare hanno contenuto semplice o limitata rilevanza (art. 140, comma 1). Si tratta della verbalizzazione in forma riassuntiva senza riproduzione fonografica; in tal caso spetta al giudice vigilare che sia riprodotta nell'originaria genuina espressione, la parte essenziale delle dichiarazioni (art. 140, comma 2), da cui si evince che riassuntivo non significa riassunto del concetto delle dichiarazioni, ma solo sommaria esposizione degli elementi extra - dichiarativi.
Le esigenze di segretezza[1] e il correlato divieto di pubblicità delle attività investigative e processuali si fondano su una serie di valori meritevoli di tutela, quali la speditezza ed efficienza delle indagini preliminari, la presunzione di non colpevolezza, la corretta formazione del convincimento del giudice. La tutela della segretezza si scontra, peraltro, con la libertà di stampa, il diritto ad una piena informazione e il c.d. ruolo di controllo dell'opinione pubblica. Il punto di equilibrio è stato rinvenuto in una limitazione sia quantitativa degli atti segreti, sia temporale sulla durata della segretezza. L'art. 114 disciplina la materia nei seguenti termini:
è vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto;
è vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare;
se si procede al dibattimento, non è consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e di quelli del fascicolo del pubblico ministero, se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello. E' sempre consentita la pubblicazione degli atti utilizzati per le contestazioni;
è vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti del dibattimento celebrato a porte chiuse nei casi previsti dall'articolo 472 commi 1 e 2[2]. In tali casi il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di pubblicazione anche degli atti o di parte degli atti utilizzati per le contestazioni. Il divieto di pubblicazione cessa comunque quando sono trascorsi i termini stabiliti dalla legge sugli archivi di Stato ovvero è trascorso il termine di dieci anni dalla sentenza irrevocabile e la pubblicazione è autorizzata dal ministro di giustizia;
se non si procede al dibattimento, il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di pubblicazione di atti o di parte di atti quando la pubblicazione di essi può offendere il buon costume o comportare la diffusione di notizie sulle quali la legge prescrive di mantenere il segreto nell'interesse dello Stato ovvero causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni o delle parti private. Si applica la disposizione dell'ultimo periodo del punto 4;
è vietata la pubblicazione delle generalità e dell'immagine dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiati dal reato fino a quando non sono divenuti maggiorenni. Il tribunale per i minorenni, nell'interesse esclusivo del minorenne, o il minorenne che ha compiuto i sedici anni, può consentire la pubblicazione;
è sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto.
Infine la L. 479/99 ha introdotto nel corpo dell'art. 114, il comma 6bis che vieta la pubblicazione di immagini di persone sottoposte all'uso di manette o altri mezzi di coercizione fisica.
Il Titolo 5 del Libro Secondo del codice di rito è dedicato alle notificazioni. Queste consistono in quelle attività poste in essere per assicurare la conoscenza degli atti ad alcuni soggetti al fine di esercitare i propri diritti, esigenza fondamentale e insopprimibile considerando che il procedimento penale è appunto una serie di attività e di atti-documenti che si susseguono nel tempo[3].
Le notificazioni degli atti, salvo che la legge disponga altrimenti, sono eseguite dell'ufficiale giudiziario o dalla PG. Sia la legge 128/2001 che il D.L. 374/2001 hanno inciso sugli artt. 148 e 149 c.p.p. riducendo il campo di operatività della PG come organo notificatore, ai procedimenti con detenuti, ove sussiste una maggiore esigenza di celerità. Conseguentemente la PG non può essere utilizzata per le notifiche in processi con imputati liberi; ciò alla finalità di risparmiare risorse degli organi di PG e destinarle all'attività di indagine.
L'atto è notificato per intero, salvo che la legge disponga altrimenti. La consegna di copia dell'atto all'interessato da parte della cancelleria ha valore di notificazione. Il pubblico ufficiale addetto annota sull'originale dell'atto la eseguita consegna e la data in cui questa è avvenuta. La lettura dei provvedimenti alle persone presenti e gli avvisi che sono dati dal giudice verbalmente agli interessati in loro presenza sostituiscono le notificazioni, purché ne sia fatta menzione nel verbale[4].
Nei casi di urgenza, il giudice può disporre, anche su richiesta di parte, che le persone diverse dall'imputato siano avvisate o convocate a mezzo del telefono a cura della cancelleria o della polizia giudiziaria. Sull'originale dell'avviso o della convocazione sono annotati il numero telefonico chiamato, il nome, le funzioni o le mansioni svolte dalla persona che riceve la comunicazione, il suo rapporto con il destinatario, il giorno e l'ora della telefonata. Alla comunicazione si procede chiamando il numero telefonico corrispondente ai luoghi indicati nell'articolo 157 commi 1 e 2. Essa non ha effetto se non è ricevuta dal destinatario ovvero da persona che conviva anche temporaneamente col medesimo. La comunicazione telefonica ha valore di notificazione con effetto dal momento in cui è avvenuta, sempre che della stessa sia data immediata conferma al destinatario mediante telegramma. Quando non è possibile procedere nel modo indicato nei commi precedenti, la notificazione è eseguita, per estratto, mediante telegramma.
Salvo quanto previsto dagli articoli 161 e 162, la prima notificazione all'imputato non detenuto è eseguita mediante consegna di copia alla persona. Se non è possibile consegnare personalmente la copia, la notificazione è eseguita nella casa di abitazione o nel luogo in cui l'imputato esercita abitualmente l'attività lavorativa, mediante consegna a una persona che conviva anche temporaneamente o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci. Qualora tali luoghi non siano conosciuti, la notificazione è eseguita nel luogo dove l'imputato ha temporanea dimora o recapito, mediante consegna a una delle predette persone. Il portiere o chi ne fa le veci sottoscrive l'originale dell'atto notificato e l'ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell'avvenuta notificazione dell'atto a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Gli effetti della notificazione decorrono dal ricevimento della raccomandata. La copia non può essere consegnata a persona minore degli anni quattordici o in stato di manifesta incapacità di intendere o di volere. L'autorità giudiziaria dispone la rinnovazione della notificazione quando la copia è stata consegnata alla persona offesa dal reato e risulta o appare probabile che l'imputato non abbia avuto effettiva conoscenza dell'atto notificato. La consegna alla persona convivente, al portiere o a chi ne fa le veci è effettuata in plico chiuso e la relazione di notificazione è scritta all'esterno del plico stesso. Se le persone precedentemente indicate mancano o non sono idonee o si rifiutano di ricevere la copia, si procede nuovamente alla ricerca dell'imputato, tornando nei luoghi indicati prima. Se neppure in tal modo è possibile eseguire la notificazione, l'atto è depositato nella casa del comune dove l'imputato ha l'abitazione, o, in mancanza di questa, del comune dove egli esercita abitualmente la sua attività lavorativa. Avviso del deposito stesso è affisso alla porta della casa di abitazione dell'imputato ovvero alla porta del luogo dove egli abitualmente esercita la sua attività lavorativa. L'ufficiale giudiziario dà inoltre comunicazione all'imputato dell'avvenuto deposito a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Gli effetti della notificazione decorrono dal ricevimento della raccomandata.
Le notificazioni all'imputato detenuto sono eseguite nel luogo di detenzione mediante consegna di copia alla persona. In caso di rifiuto della ricezione, se ne fa menzione nella relazione di notificazione e la copia rifiutata è consegnata al direttore dell'istituto o a chi ne fa le veci. Nello stesso modo si provvede quando non è possibile consegnare la copia direttamente all'imputato, perché legittimamente assente. In tal caso, della avvenuta notificazione il direttore dell'istituto informa immediatamente l'interessato con il mezzo più celere. Le notificazioni all'imputato detenuto in luogo diverso dagli istituti penitenziari sono eseguite secondo la disciplina vista per l'imputato non detenuto. Le disposizioni che precedono si applicano anche quando dagli atti risulta che l'imputato è detenuto per causa diversa dal procedimento per il quale deve eseguirsi la notificazione o è internato in un istituto penitenziario. In nessun caso le notificazioni all'imputato detenuto o internato possono essere eseguite con le forme dell'articolo 159 (irreperibilità).
Ai sensi dell'art. 161, il giudice, il
pubblico ministero o la polizia giudiziaria, nel primo atto compiuto con
l'intervento della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato non detenuto
né internato, lo invitano a dichiarare uno dei luoghi indicati nell'articolo
157 comma 1 ovvero a eleggere domicilio per le notificazioni, avvertendolo che,
nella sua qualità di persona sottoposta alle indagini o di imputato, ha
l'obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e che
in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiarare o
eleggere domicilio, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al
difensore. Della dichiarazione o della elezione di domicilio, ovvero del
rifiuto di compierla, è fatta menzione nel verbale. Fuori dal caso appena
visto, l'invito a dichiarare o eleggere domicilio è formulato con
l'informazione di garanzia o con il primo atto notificato per disposizione
dell'autorità giudiziaria. L'imputato è
avvertito che deve comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto
e che in caso di mancanza, di insufficienza o di inidoneità della dichiarazione
o della elezione, le successive notificazioni verranno eseguite nel luogo in
cui l'atto è stato notificato. L'imputato detenuto che deve essere scarcerato
per causa diversa dal proscioglimento definitivo e l'imputato che deve essere
dimesso da un istituto per l'esecuzione di misure di sicurezza, all'atto della
scarcerazione o della dimissione ha l'obbligo di fare la dichiarazione o
l'elezione di domicilio con atto ricevuto a verbale dal direttore dell'istituto.
Questi lo avverte, iscrive la dichiarazione o elezione nell'apposito registro e
trasmette immediatamente il verbale all'autorità che ha disposto la scarcerazione
o
Il domicilio dichiarato, il domicilio eletto e ogni loro mutamento sono comunicati dall'imputato all'autorità che procede, con dichiarazione raccolta a verbale ovvero mediante telegramma o lettera raccomandata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da persona autorizzata o dal difensore. La dichiarazione può essere fatta anche nella cancelleria del tribunale del luogo nel quale l'imputato si trova. In quest'ultimo caso il verbale è trasmesso immediatamente all'autorità giudiziaria che procede. Analogamente si provvede in tutti i casi in cui la comunicazione è ricevuta da una autorità giudiziaria che, nel frattempo, abbia trasmesso gli atti ad altra autorità. Finché l'autorità giudiziaria che procede non ha ricevuto il verbale o la comunicazione, sono valide le notificazioni disposte nel domicilio precedentemente dichiarato o eletto.
Il codice prevede dettagliatamente i requisiti formali che devono avere i singoli atti del procedimento penale. Tali requisiti danno luogo al modello legale del singolo atto; essi rispondono alla fondamentale esigenza che in concreto l'atto possa svolgere la funzione che è ad esso assegnata all'interno del procedimento.
L'atto che non è conforme al modello legale può essere invalido o meramente irregolare. È invalido quando la singola difformità rientra in uno dei quattro casi di invalidità previsti dal codice; e cioè quando la singola inosservanza di legge è prevista come causa di decadenza, di inammissibilità, di nullità o di inutilizzabilità. L'atto è irregolare se la difformità dal modello legale non rientra in una delle cause di invalidità che sono previste dalla legge e che sono sopra menzionate.
Nella materia vige uno stretto principio di tassatività: ciò significa che l'inosservanza della legge processuale è causa di invalidità soltanto quando una orma espressamente vi ricollega una delle invalidità appena citate. Il principio di tassatività è dettato specificamente per la nullità (art. 177) e per la decadenza (art. 168); tuttavia esso è desumibile dlal'intero sistema delle cause di invalidità.
Sono necessarie alcune premesse di carattere generale. Sono denominati termini perentori quelli che prescrivono il compimento di un atto entro e non oltre un determinato periodo di tempo: se tale periodo è superato, il soggetto decade dal potere di compierlo validamente. Sono denominati termini ordinatori quelli che fissano il periodo di tempo entro il quale un determinato atto deve essere compiuto: tuttavia, a differenza dei termini perentori, dal superamento della scadenza non deriva alcuna conseguenza di tipo processuale: l'atto è validamente compiuto anche se realizzato dopo il decorso del termine. Sono denominati termini dilatori quelli con i quali si prescrive che un atto non può essere compiuto prima del loro decorso (ad. es. art 429, comma 3).
La decadenza consiste nella perdita o estinzione del diritto o facoltà di porre in essere un atto del procedimento . Il presupposto naturale è che l'atto non sia ancora stato compiuto; in caso contrario l'atto sarebbe inammissibile. Pertanto la decadenza può rilevare sotto il duplice aspetto di:
a) divieto di compiere l'atto (preclusione);
b) invalidità (inammissibilità) dell'atto eventualmente compiuto nonostante il divieto.
Merita completare l'esame della terminologia utilizzata dal codice. Come abbiamo accennato, il termine è perentorio quando è stabilito a pena di decadenza. L'art. 173, comma 1, pone in materia un espresso principio di tassatività: i termini si considerano a pena di decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge.
Il codice pone un rimedio eccezionale che tende ad eliminare gli effetti gravosi della decadenza: si tratta della restituzione nel termine prevista dall'art. 175. Il giudice, su richiesta di parte, può accertare che il termine non poteva essere osservato per caso fortuito o forza maggiore e, conseguentemente, restituisce nel termine, e cioè permette alla parte di esercitare il relativo potere.
Occorre, per completezza di esposizione, distinguere la restituzione nel termine dai casi in cui il termine non ha mai iniziato a decorrere. Molto spesso infatti la decorrenza del termine è legata ad una notificazione: ove la notificazione sia nulla ed il destinatario non abbia avuto conoscenza dell'atto notificato, la nullità della notificazione impedisce la regolare decorrenza del termine. Pertanto, una volta dichiarata tale nullità, il soggetto gode del termine originario decorrente dalla nuova valida notificazione.
Questa causa di invalidità impedisce al giudice di esaminare nel merito una richiesta avanzata da una parte effettiva o potenziale del procedimento, quando la richiesta non ha i requisiti stabiliti dalla legge a pena di inammissibilità. Il requisito può riguardare il tempo entro il quale può essere compiuto l'atto (ad es. art. 591, comma 1, lett. C) oppure può concernere il contenuto dell'atto oppure può toccare un aspetto formale (ad. es. procura speciale) oppure ancora può riguardare la legittimazione ala compimento dell'atto. L'inammissibilità è rilevata dal giudice su eccezione di parte o anche d'ufficio; quando la rileva, il giudice dichiara l'inammissibilità della domanda e non decide sul merito di essa.
Il codice non stabilisce in via generale un termine entro il quale eccepire o rileva re l'inammissiblità. Perciò, di regola, è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento sino a che la sentenza non sia divenuta irrevocabile.
Questa causa di invalidità colpisce un atto
del procedimento che è stato compiuto senza l0'osservanza di quelle
disposizioni che sono imposte dalla legge a pena di nullità. Il principio di
tassatività è previsto espressamente dall'art.
a) quelle speciali, determinate di volta in volta per casi particolari con previsione specifica (ad es. art. 109, comma 3);
b) quelle generali, previste una tantum per tutti i casi in cui poi concretamente possano verificarsi (art. 178).
Per quanto riguarda il regime giuridico, le nullità si distinguono a loro volta in:
a) nullità assolute[7], (art. 179) come tali deducibili in ogni stato e grado del procedimento dalle parti e rilevabili d'ufficio dal giudice; si tratta di nullità che non possono in alcun modo essere sanate, salvo quello che si dirà più avanti. L'art. 179 indica quali, fra le nullità di ordine generale elencate dall'art. 178, sono assolute. Rientra in questa categoria la violazione delle disposizioni concernenti le condizioni di capacita del giudice, intese nel senso di capacità generica all'esercizio della funzione giurisdizionale. Vi rientra la violazione delle disposizioni concernenti il numero dei giudici necessario per costituire i collegi, stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario. Ancora, l'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale (es. richiesta di rinvio a giudizio sottoscritta dal segretario). L'omessa citazione dell'imputato riguarda le udienze dibattimentali perché per le altre udienze è previsto un diverso atto denominato avviso (art. 419, comma 1). La presenza del difensore dell'imputato è obbligatoria nelle udienze dibattimentali ed inoltre nelle altre udienze nelle quali è prescritta espressamente come tale;
b) nullità c.d. intermedie[8] (art. 180), rilevabili d'ufficio o su istanza della parte che ha subito danno dalla violazione, purché non vi abbia dato causa; a differenza della assolute, sono sanabili, in quanto sono previsti precisi termini per la loro rilevabilità (le nullità verificatesi durante le indagini preliminari si eccepiscono o si rilevano prima della sentenza di primo grado; quelle verificatesi durante il giudizio si eccepiscono o si rilevano prima della sentenza di grado successivo), trascorsi i quali vengono appunto sanate. L'art. 180 indica per differenza le nullità che rientrano in questa categoria; esse sono le nullità generali che non sono comprese dall'art. 179 fra quelle assolute. Pertanto costituiscono una nullità a regime intermedio l'inosservanza delle disposizioni attinenti alla partecipazione del pubblico ministero al procedimento e di quelle concernenti l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato e delle parti private nonché la citazione in giudizio della persona offesa dal reato e del querelante. Quindi è affetto da tale vizio sia il provvedimento del giudice che decida senza che vi sia stata la richiesta del pubblico ministero, quando questa è prevista come necessaria (ad es. art. 291), sia il compimento di un atto senza previo avviso al difensore delle parti private, ove questo sia imposto dalla legge (art. 364, comma 3);
c) il terzo gruppo di nullità è costituito da quella relative, cioè esclusivamente deducibili dalle parti, purché la parte che le eccepisce abbia interesse a farlo e non via abbia dato causa. Anche queste sono ovviamente sanabili, nel senso che vengono sanate se non dedotte nei termini previsti, e cioè dall'esito dell'udienza preliminare per le nullità verificatesi in tutta la fase che precede l'esito stesso; entro il termine previsto per le c.d. questioni preliminari ex art. 491 c.p.p., per le nullità attinenti al decreto che dispone il giudizio e agli atti introduttivi del dibattimento; con l'impugnazione della sentenza relativa per le nullità verificatesi durante il giudizio. In tale categoria rientrano le nullità che sono previste in modo specifico e che, al tempo stesso, non rientrano in uno dei casi di nullità generale.
Si ricordi che per espressa disposizione dell'art. 182, comma 2 o , c.p.p. tutti i termini per rilevare o eccepire le nullità sono previsti a pena di decadenza; inoltre gli artt. 183 e 184 c.p.p. prevedono un regime differenziato di sanatoria, a seconda che si tratti di nullità intermedie e relative da un lato, e di quelle riguardanti notificazioni, avvisi e citazioni dall'altro: le prime vengono sanate se la parte interessata non le eccepisce, se accerta gli effetti dell'atto nullo, ovvero se si avvale della facoltà cui l'atto nullo è preordinato; le seconde sono sanate se la parte compare o rinuncia a comparire; se compare al solo fine di eccepire la nullità, ha diritto ad un termine per la difesa.
Per quanto attiene agli effetti delle nullità, l'art. 185 c.p.p. dispone che, una volta dichiarata dal giudice, la nullità di un atto travolge gli atti consecutivi dipendenti da quello dichiarato nullo; il giudice dispone la rinnovazione dell'atto dichiarato nullo, ponendo eventualmente le spese a carico di chi abbia dato seguito alla nullità con dolo o colpa grave. A causa della dichiarazione di nullità di un atto, poi, il procedimento regredisce allo stato e grado in cui l'atto si è verificato, salvo che si tratti di nullità concernente le prove. La nullità non dichiarata, anche se assoluta, non invalida il procedimento, che prosegue fino alla sua conclusione, tanto che il passaggio in giudicato della sentenza sana anche le nullità assolute.
Il termine inutilizzabilità descrive due aspetti del medesimo fenomeno. Da un lato, esso indica il vizio da cui può essere affetto un atto o un documento; da un altro lato, esso illustra il regime giuridico al quale l'atto viziato è sottoposto, e cioè il non poter essere messo a fondamento di una decisione del giudice. L'inutilizzabilità è un tipo di invalidità che ha la caratteristica di colpire non l'atto in sé, bensì il suo valore probatorio. L'atto, pur valido dal unto di vista formale, è colpito nel suo aspetto sostanziale, poiché l'inutilizzabilità impedisce ad esso di produrre il suo effetto principale, che è quello di essere posto a base di una decisione del giudice.
L'inutilizzabilità è assoluta quando il giudice non può basarsi su di esso per emettere un qualsiasi provvedimento; è relativa, quando la legge indica le persone nei confronti delle quali non può essere utilizzato un determinato atto (art. 63, comma 1) o la categoria dei provvedimenti che non possono basarsi su tale atto.
Nel codice l'inutilizzabilità è prevista per situazioni indicate nella specie o nel genere. Una disposizione di carattere generale è quella enunciata nell'art. 191, comma 1: le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate. Il regime giuridico è precisato nel comma 2: l'inutilizzabilità è rilevabile, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del procedimento.
Il divieto idoneo a provocare l'inutilizzabilità è soltanto quello che è previsto da una norma processuale. In base all'art. 191, l'inutilizzabilità è la conseguenza che deriva dall'aver acquisito una prova violando un divieto probatorio. Il vizio, che viene in considerazione, consiste nel fatto che il giudice ha esercitato un potere che la legge processuale gli vietava. Quando è stata violata una semplice modalità di assunzione di una prova, questa di regola è utilizzabile. La prova diviene inutilizzabile soltanto se tale sanzione è espressamente prevista dalla legge come conseguenza della violazione di quella modalità di assunzione. Viceversa le modalità di assunzione non espressamente poste a pena di inutilizzabilità, non sono idonee a far scattare tale sanzione processuale.
Come abbiamo specificato, l'inutilizzabilità colpisce il valore probatorio dell'atto. Il giudice d'ufficio o su istanza di parte, dichiara che l'atto è inutilizzabile. L'inutilizzabilità deve essere rilevata dal giudice in ogni stato e grado del procedimento, e cioè dalle indagini preliminari alle impugnazioni. In base all'art. 191, comma 2, l'inutilizzabilità non può essere sanata perché l'atto è stato compiuto esercitando un potere vietato dalla legge processuale.
L'inutilizzabilità è un tipo di invalidità che si traduce direttamente in un limite al libero convincimento del giudice. I divieti probatori, per opera dell'art. 191, costituiscono una sorta di prova legale negativa nel senso che il legislatore esclude alcuni elementi di prova dal materiale che è utilizzabile dal giudice per prendere una decisione e motivarla.
Concludendo su punto, occorre da ultimo risolvere il problema della configurabilità o meno di un divieto probatorio implicito, che si ha in presenza di una disposizione che non contenga l'espressione è vietato. Di regola non si può considerare efficace un divieto probatorio implicito in quanto non sarebbe compatibile con il principio di tassatività (non espressamente tradotto in un principio scritto del diritto processuale ma pacificamente ritenuto vigente, sia per il vizio di inammissibilità che per quello della inutilizzabilità, sulla base di una interpretazione delle singole norme che prevedono tali vizi) e con le esigenze di certezza che ispirano tutte le norme sulle invalidità. Soltanto se dalla norma processuale è ricavabile con certezza un vero e proprio divieto probatorio, è possibili applicare l'art. 191 c.p.p.; ma per poter superare l'ostacolo del principio di tassatività, occorre che in base ad una determinata disposizione sia sottratto in modo assoluto al giudice il potere di ammettere, assumere e valutare quella prova.
La dottrina e la giurisprudenza hanno creato una ulteriore figura di invalidità denominata inesistenza. L'inesistenza ricorre qualora non sussistano i presupposti minimi per inquadrare l'atto compiuto come un atto processuale (ad esempio una sentenza emessa da un soggetto diverso dal giudice). Essa impedisce che si formi il giudicato; in modo che può essere rilevata dal giudice anche dopo che una sentenza sia divenuta irrevocabile e, cioè, non più impugnabile.
L'irregolarità è qualsiasi vizio formale
dell'atto non sanzionato dalla legge con
Si tenga presente che ai sensi dell'art. 124 i magistrati, i cancellieri e gli altri ausiliari del giudice, gli ufficiali giudiziari, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria sono tenuti a osservare le norme processuali anche quando l'inosservanza non importa nullità o altra sanzione processuale. I dirigenti degli uffici vigilano sull'osservanza delle norme anche ai fini della responsabilità disciplinare.
Tale vizio non è espressamente codificato ma frutto di elaborazioni dottrinali. Si considera abnorme l'atto che per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall'intero ordinamento processuale nonché quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. A titolo di esempio è stato classificato abnorme la sentenza di incompetenza del GIP a fronte di una richiesta di archiviazione; il provvedimento del GUP che, investito della richiesta di rinvio a giudizio, abbia invece disposto l'archiviazione ai sensi dell'art. 415 c.p.p.
Avverso tali provvedimenti è esperibile il ricorso per cassazione.
Per atto segreto si intende quello che l'indagato o imputato non conosce né ha diritto di conoscere.
"Il giudice dispone che il dibattimento o alcuni atti di esso si svolgano a porte chiuse quando la pubblicità può nuocere al buon costume ovvero, se vi è richiesta dell'autorità competente, quando la pubblicità può comportare la diffusione di notizie da mantenere segrete nell'interesse dello Stato.
Su richiesta dell'interessato, il giudice dispone che si proceda a porte chiuse all'assunzione di prove che possono causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni ovvero delle parti private in ordine a fatti che non costituiscono oggetto dell'imputazione. Quando l'interessato è assente o estraneo al processo, il giudice provvede di ufficio
Diversa dalla notificazione è la comunicazione mediante la quale il giudice - senza l'intervento dell'Ufficiale Giudiziario - rende noto al P.M. propri atti o determinazioni attraverso la consegna della copia a cura della cancelleria.
Quando lo consigliano circostanze particolari, il giudice può prescrivere, anche di ufficio, con decreto motivato in calce all'atto, che la notificazione a persona diversa dall'imputato sia eseguita mediante l'impiego di mezzi tecnici che garantiscano la conoscenza dell'atto. Nel decreto sono indicate le modalità necessarie per portare l'atto a conoscenza del destinatario.
Tuttavia, quando risulta che, per caso fortuito o forza maggiore, l'imputato non è stato nella condizione di comunicare il mutamento del luogo dichiarato o eletto, si applicano le disposizioni degli articoli 157 e 159.
La decadenza non attiene direttamente all'atto, ma alla posizione del soggetto potenzialmente legittimato all'atto: si parla quindi di decadenza dal potere di compiere un atto.
precisamente: quelle riguardanti la capacità ed il numero degli giudici necessario per costituire i collegi; quelle riguardanti l'iniziativa del p.m. nell'esercizio dell'azione penale; quelle derivanti dall'omessa citazione dell'imputato e dall'assenza del suo difensore quando ne sia obbligatoria la presenza; quelle definite come assolute da altre disposizioni di legge.
precisamente: quelle riguardanti la partecipazione del p.m. al procedimento e a qualsiasi atto in cui la legge la dichiari obbligatoria; quelle riguardanti l'imputato che non siano definite ex lege come assolute; quelle relative alle altre parti private; quelle relative alla citazione in giudizio della persona offesa e del querelante.
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