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La responsabilità si configura come una situazione giuridica soggettiva sfavorevole, in cui viene a trovarsi il soggetto che, avendo posto in essere un comportamento antigiuridico sia assoggettabile ad una sanzione. La responsabilità può essere civile, penale, amministrativa a seconda della natura delle norme violate. In particolare: la responsabilità civile si concretizza nell’obbligo del risarcimento del danno provocato ad un soggetto in conseguenza di un comportamento qualificato illecito civile. Essa è sempre convertibile in una prestazione di denaro; la responsabilità penale concerne il comportamento di persone fisiche le quali ledono particolari interessi tutelati dall’ordinamento come pubblici: essa consiste nell’assoggettamento personale del colpevole alla potestà punitiva dello Stato mediante l’inflizione di una pena detentiva e /o pecuniaria; la responsabilità amministrativa, deriva dalla violazione di doveri amministrativi , ove sia prevista una sanzione amministrativa.
La responsabilità
che può ricadere sulla PA può essere civ 252b16c ile e amministrativa,
Esclusa senz’altro la responsabilità penale della PA, si è per lungo tempo discusso se la resp civile potesse o meno ricadere sulla PA. Negli anni passati si escludeva la responsabilità civile della PA in base alla considerazione che lo Stato poteva solo perseguire il bene comune e quindi, per definizione non poteva arrecare danno. Con l’affermazione dello Stato di diritto si consolidò l’opposta tesi, oggi indiscussa, che anche lo Stato e gli altri enti debbano rispondere dei fatti illeciti commessi nel compimento delle loro attività.
La resp civile può essere a sua volta di due specie: contrattuale, quando l’obbligo del risarcimento deriva dalla violazione di un preesistente rapporto obbligatorio; extracontrattuale, quando l’obbligo del risarcimento del danno deriva dal fatto di aver, al di fuori di un preesistente rapporto obbligatorio, cagionato ad altri una ingiusta lesione di un diritto. La dottrina considera anche una terza forma di responsabilità, la resp precontrattuale, configurabile nelle fase delle trattative e riguardante la violazione dei doveri di lealtà, correttezza e buona fede. La giurisprudenza fa rientrare questa forma di resp in quella extracontrattuale. Quanto alla natura giuridica della resp per fatto illecito esistono diverse teorie in dottrina: la teoria della responsabilità diretta, prevalente in dottrina, ritiene che la resp. della PA per il fatto dannoso dei propri agenti sia diretta, in quanto tra l’organo ed i soggetti che ne sono titolari o agenti vi è un rapporto di immedesimazione. Tale teoria trova conferma nell’art.28 della Cost; teoria della responsabilità indiretta, che parte dalla considerazione che egli non hanno capacità di agire e perciò sono costretti a mutuarla dalle persone fisiche, queste però saranno direttamente responsabili. Quindi alla PA non sarebbero applicabili i principi di cui all’art.2043 del codice civile, ma quelli dell’art.2049 (responsabilità indiretta); teoria intermedia, la responsabilità della PA sarebbe diretta o indiretta a seconda che l’atto da cui derivi sia posto nell’esercizio di una pubblica funzione ovvero derivi da un’attività materiale del dipendente.
La responsabilità extracontrattuale della PA si basa sugli stessi principi di diritto privato(art.2043). Sono elementi di essa una condotta attiva o omissiva, l’antigiuridicità di tale condotta, la colpevolezza dell’agente, l’evento dannoso, il nesso di casualità tra condotta ed evento dannoso.
La condotta può consistere tanto in un’azione che in una omissione della PA dalla quale sia derivato un danno, deve essere riferibile alla PA, occorre cioè che essa sia stata compiuta da un’autorità amministrativa nell’esercizio delle sue funzioni amministrative. L’antigiuridicità del fatto era tradizionalmente identificata nella lesione del diritto soggettivo, i dubbi per la lesione degli interessi legittimi sono stati risolti con la sentenza 500/1999 delle sez unite della cassaz e dalla l 205/2000. La condotta del dipendente deve essere strumentalmente connessa con l’attività d’ufficio. Va esclusa la riferibilità del fatto alla PA, quando il dipendente abbia agito come un semplice privato per un fine personale o strettamente egoistico. L’art.2043 c.c. richiede che il fatto dannoso sia riferibile a titolo di dolo o colpa alla volontà del soggetto che agisce per conto della PA. Parte della dottrina nega l’applicabilità dell’art 2043 per la parte dell’elemento psicologico, ma la giurisprudenza della suprema corte ormai è costante nell’affermare che in generale l’illiceità della condotta esige la concreta esigenza dell’elemento psicologico, ma quando la lesione derivi da un atto amministrativo dichiarato illegittimo, è sufficiente a dimostrare la colpa della PA la violazione alle regole alle quali si deve uniformare. Sono risarcibili i soli danni che costituiscono conseguenza immediata e diretta del fatto illecito.
La sentenza SS.UU., 22.7.99, n.
Per quanto concerne invece gli "interessi legittimi pretensivi", ai quali non era prima applicabile il meccanismo dell'affievolimento e riespansione del diritto soggettivo, la novità è sostanziale e si concreta nella risarcibilità di posizioni giuridiche soggettive prima non tutelate in via aquiliana. La citata sentenza SS.UU. 500/99, sovvertendo la regola dell'irrisarcibilità della lesione all'interesse legittimo, ha recepito un orientamento che, dapprima solo espressione dell'elaborazione dottrinale più illuminata, era stato successivamente accolto dallo stesso Legislatore nazionale, che con il D.Lgs. 80/98, aveva (prima della dichiarazione di incostituzionalità, per eccesso di delega) previsto, per la prima volta, la risarcibilità dell'interesse legittimo leso, nei (soli) campi dell'edilizia, dell'urbanistica e dei servizi pubblici, su cui si sanciva la giurisdizione esclusiva del G.A. La legge 10.8.2000, n. 205, ampliando infatti i poteri del G.A., disponeva la possibilità per questo di disporre il risarcimento della lesione all'interesse legittimo, non solo nelle materie di cui al citato D.Lgs. 80/98, ma in tutte le materie rientranti nella giurisdizione (anche di mera legittimità) del G.A.
Si discute se
Le resp disciplinari sono considerate lesive solo dell’ordinamento interno della PA. L'illecito amministrativo è modellato sulla struttura del reato. Infatti, a conferma di ciò la legge n. 689/1981 nella Sezione I del Capo I, dedicato ai principi generali delle sanzioni amministrative ricalca gli istituti penalistici del principio di legalità (art. 1), della capacità di intendere e di volere (art. 2), dell'elemento soggettivo dell'illecito (art. 3), le cause di esclusione della punibilità (art. 4), il concorso di persone nell'illecito (art. 5), pur prevedendo macroscopiche differenze come il principio di solidarietà nell'illecito amministrativo che si estende all'ente impersonale (art. 6, persona giuridica, associazione priva di personalità, ecc.).A differenza del sistema penalistico, per le sanzioni amministrative non opera il principio del favor rei, ovvero nella successione delle leggi penali prevale quella più favorevole, quanto piuttosto il principio tempus regit actum, ovvero la sanzione è individuata sulla base della legge vigente al momento della commissione dell'illecito, anche se più sfavorevole per il trasgressore. Tale principio non vale per le sanzioni tributarie che seguono una normativa peculiare, prevedendo il principio del favor rei.Nell'ordinamento italiano la sanzione amministrativa è la sanzione prevista dalla legge per la violazione di un norma giuridica che costituisce illecito amministrativo.La sanzione amministrativa moderna è nata con la legge n. 689/1981 che ha istituito un sistema compiuto di illecito amministrativo, conseguente alla depenalizzazione di molti reati, puniti sino ad allora con la pena dell'ammenda. Le sanzioni amministrative sono in genere di tipo pecuniario, cioè ingiungono al pagamento di una somma di denaro. La sanzione amministrativa pecuniaria, previste dall'art. 10 dalla Legge n. 689/1981, possono essere di due tipi: sanzioni fisse, e consiste nel pagamento di una somma non inferiore ad € 6 e non superiore ad € 10.329; sanzioni proporzionali, tali sanzioni non hanno limite massimo. La legge stabilisce, inoltre, che tranne casi tassativi espressamente stabiliti dalla legge, il limite massimo della sanzione amministrativa pecuniaria non può, per ciascuna violazione, superare il decuplo del minimo.
Servizio pubblico complessa relazione che si instaura tra soggetto pubblico,che organizza una offerta pubblica di prestazioni,rendendola doverosa,ed utenti.
Il
servizio è pubblico in quanto reso al pubblico e per la soddisfazione dei
bisogni della collettività ,nonché in ragione del fatto che un soggetto
pubblico lo assume come doveroso. Il servizio pubblico è assunto dal soggetto
pubblico con legge o con un atto generale,rendendo doverosa la conseguente
attività. Alla fase dell’assunzione del servizio segue quella della sua erogazione,e
cioè la concreta attività volta a fornire prestazioni ai cittadini.
L’ordinamento prevede forme tipizzate di gestione ,contemplando spesso anche
l’intervento di privati. Di recente si è introdotto l’impiego del contratto
di servizio quale strumento per disciplinare i rapporti tra
l’amministrazione e soggetto esercente. Al fine di garantire la continuità
dell’offerta di una prestazione,la disciplina comunitaria talora prevede il
meccanismo,alternativo rispetto al contratto,dell’imposizione ai privati già
presenti sul mercato di obblighi di servizio. Per quanto riguarda i servizi pubblici locali
che rientrano nella titolarità di comuni e province gli artt.112 e ss. T.U.
enti locali distinguono tra i servizi a rilevanza economica
(energia elettrica,trasporto,raccolta rifiuti e ciclo delle acque) e servizi
privi di tale rilevanza. L’erogazione del servizio avviene secondo le
discipline di settore con conferimento della titolarità del servizio: a società
di capitali individuate;a società a capitale misto pubblico; a società a
capitale interamente pubblico. Accanto all’affidamento mediante gara la legge
prevede l’affidamento diretto a società pubbliche secondo il modello dell’in
house providing. II meccanismo degli affidamenti in house soddisfa
l’esigenza delle amministrazioni coinvolte all’auto-organizzazione e alla tutela dell’autonomia interna, ma pone
anche problemi interpretativi derivanti dall’assenza di una normativa, in modo
da evitare abusi, strumentalizzazioni e manovre fraudolentemente destinate ad
eludere la disciplina comunitaria posta a presidio della libertà di
concorrenza. Si discute molto in dottrina e in giurisprudenza, sul carattere
ordinario o eccezionale della scelta di procedere attraverso un affidamento in
house. Si osserva che l’ordinamento comunitario non prevede, almeno non in
termini espliciti un obbligo generalizzato di esternalizzazione a carico delle
amministrazioni e, facendo leva su questo argomento si è sostenuto che
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