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DIRITTO AMMINISTRATIVO - Concetti generali

diritto





DIRITTO AMMINISTRATIVO




appunti a cura di







Concetti generali

Ordinamento giuridico: è il complesso di norme giuridiche che disciplinano una collettività. Quelle portatori di un fine generale si dicono ordinamenti politici.

Possono essere originari (come gli Stati) o derivati.


Lo Stato è un ordinamento giuridico originario (superiorem non recognoscens), sovrano (all’interno e all’esterno) e territoriale. Esso è inoltre autonomo (libero di governarsi da sé) ed effettivo (può imporre il proprio ordinamento a tutti i soggetti che ne fanno parte).

La dottrina ha elaborato le seguenti definizioni:

Stato Apparato: insieme degli organi che detengono il potere supremo (organi costituzionali: Presidente delle Repubbliche, Parlamento, Regioni, Enti Locali, Magistratura, Presidente del Consiglio, Corte Costituzionale).

Stato Comunità: è rappresentato dal popolo, evidenzia il momento della libertà

Stato Ordinamento: è rappresentato dall’insieme di popolo ed autorità.

Stato Amministrazione: è l’insieme di organi politici, amministrativi e giudiziari.

Stato Persona: è lo stato apparato inteso come titolare di personalità giuridica

Elementi costitutivi dello Stato sono:

Sovranità: è la potestà suprema di comando che spetta allo stato su tutti gli individui e le cose esistenti sul suo territorio. Si esplica nelle tre funzioni fondamentali: legislativa, amministrativa e giurisdizionale, cui si aggiunge la funzione di garanzia svolta dalla Corte Costituzionale. E’ originaria, esclusiva, incondizionata e coattiva.

Territorio: è l’elemento costitutivo materiale dello Stato, lo spazio entro cui risiede la popolazione. Comprende terraferma, sottosuolo, spazio aereo sovrastante, mare territoriale (6 miglia marine, 12 a fini doganali), navi e aerei civili in cielo e mare libero, navi e aerei militari ovunque situati, nonché ambasciate e consolati all’estero.

Popolo: è l’elemento costitutivo personale dello Stato, definito come il complesso di individui legato allo Stato dal rapporto di cittadinanza (ius sanguinis). La popolazione individua invece un concetto statistico-demografico, ossia l’insieme degli abitanti di un dato territorio. La Nazione è invece un concetto sociologico, definita come una comunità di individui uniti da elementi comuni: stirpe, lingua, storia, religione, tradizione.

Lo Stato è una persona giuridica pubblica. Col riconoscimento acquista personalità internazionale. A livello internazionale vige la parità giuridica di tutti gli stati.

I simboli dello stato italiano sono: bandiera, stemma, sigillo, inno nazionale.

Forme di Stato

Individuano il modo in cui lo Stato risulta strutturato nella sua totalità, con riguardo alla concezione ideologica dominante che ne ha ispirato la formazione, nonché ai rapporti economici in esso vigenti.

In base alla situazione giuridica dei cittadini si distinguono:

Stato patrimoniale: sia i sudditi che il territorio sono proprietà del capo dello Stato.

Stato di polizia: anche se i sudditi formalmente hanno dei diritti è il capo dello stato che detiene il potere.

Stato di diritto: la sovranità spetta al popolo

In base alla struttura interna si distinguono, le seguenti tipologie:

Stato Unitario: unico popolo in un unico territorio con un unico governo

Stato federale: (o composto) unione di più Stati che pur conservando la loro autonomia confluiscono in una più ampia ed articolata organizzazione

Forme di Governo

Individuano il sistema organizzativo adottato dallo stato per l’esercizio della potestà di imperio. Riguarda la gestione del potere statale, la struttura degli organi, il loro numero e i loro poteri specifici. Si distinguono a riguardo:

Monarchia: è il governo di uno solo, ove il potere di imperio deriva non dalla volontà del popolo, ma da diritto divino, privilegio o dinastia. Si distinguono diversi tipi:

Monarchia assoluta: il monarca è l’esclusivo titolare di ogni potere assoluto (es. ancien regime di Luigi IV).

Monarchia limitata: il potere del Re è limitato da quello di altri organi di governo (es. i sovrani illuminati come Maria Teresa d’Asburgo).

Monarchia costituzionale: vi sono altri organi costituzionali e quindi vi è una separazione dei poteri. Può essere pura, quando sono presenti solo il Re e il Gabinetto, oppure parlamentare.

Repubblica: è una forma di governo in cui il capo dello Stato, che può essere una persona singola o un collegio di più persone, è eletto dal popolo direttamente o indirettamente. Si distinguono:

Repubblica Aristocratica: vi governano solo gli appartenenti ad una certa classe sociale.

Repubblica Democratica: governa il popolo. Può essere diretta o rappresentativa.

La repubblica democratica può essere di diversi tipi:

Repubblica Democratica Parlamentare: il governo esercita la funzione esecutiva sulla base della fiducia accordatagli dal Parlamento.

Repubblica Democratica Presidenziale: il Presidente della Repubblica è titolare della funzione di indirizzo politico ed è eletto direttamente dal popolo, può nominare e revocare i ministri e ne è responsabile verso le camere (modello USA). Esiste anche un modello intermedio, come quello francese, detto semipresidenziale, in cui manca la rigida separazione di poteri tipica del presidenzialismo (al Presidente infatti si affianca un governo che, pur essendo di nomina presidenziale, è passibile di mozione di sfiducia da parte dell’assemblea.

Repubblica Democratica Direttoriale: il governo, detto Direttorio, è eletto dal Parlamento.

Repubblica Popolare: Vi è un solo partito, si fonda su ideologie di tipo marxista



La nostra è una repubblica democratica rappresentativa parlamentare

Nello Stato democratico vi è tendenziale coincidenza fra governati e governanti, pari tutela dei partiti, decentramento organizzativo e istituzionale, tutela dei diritti soggettivi dei cittadini.

Le Forme di Regime sono invece costituite dall’insieme degli elementi di ordine ideologico, istituzionale e sociologico che concorrono a definire l’assetto politico di un Paese in un dato momento storico. Tali elementi si desumono, in genere, dai preamboli delle Costituzioni o dagli articoli di introduzione delle stesse.


Norma giuridica: si caratterizza per generalità, astrattezza, novità, imperatività. Si compone di precetto e sanzione: se questi due elementi sono entrambi presenti la norma si dice perfetta, se manca la sanzione la norma si dice imperfetta, se la sanzione è presente ma la violazione della norma non determina anche l’invalidità dell’atto ce la viola, la norma si dice meno che perfetta.

La norma può essere civile, penale o amministrativa. Può essere cogente (inderogabile), dispositiva (derogabile), permissiva, suppletiva, interpretativa.

Diritto oggettivo: complesso di regole che disciplinano la vita di una collettività, imposte dallo Stato, è sinonimo di ordinamento giuridico. Può essere pubblico o privato, prescrive comportamenti positivi o negativi.

Situazioni giuridiche soggettive: complesso di diritti, poteri ed obblighi di cui un soggetto può essere titolare. Quelle attive sono: diritto soggettivo, diritto potestativo, potestà, interesse legittimo, interesse semplice. Quelle passive sono: obbligo, dovere, onere, soggezione.

Gli Status descrivono la posizione complessiva di un soggetto nell’ambito della collettività generale o di un corpo sociale minore (es: cittadino vs la collettività, figlio legittimo vs la famiglia).

Diritto soggettivo: è una posizione di vantaggio riconosciuta al singolo rispetto ad un certo bene, concretizzatesi in un potere o in una facoltà. Ad esso è accordata tutela piena ed immediata. Può essere assoluto, come i diritti reali, concretizzatesi nella pretesa a che tutti si astengano dal turbare il godimento del bene, oppure può essere relativo come i diritti di credito, che possono essere fatti valere solo nei riguardi della controparte. Può essere perfetto, se corrisponde ad un obbligo posto in capo ad un altro soggetto (diritti di credito). Può essere (Sandulli) sospensivamente condizionato (diritto in attesa di espansione) quando il suo esercizio è limitato da un ostacolo giuridico, per la cui rimozione occorre un provvedimento (es. diritto di costruire), oppure risolutivamente condizionato, nel caso di un diritto affievolito che degrada a interesse legittimo (es. espropriazione per pubblica utilità). La lesione del diritto soggettivo da parte della P.A. scaturisce dalla violazione delle norme di relazione, che disciplinano i rapporti fra la P.A. stessa e i consociati, ed è impugnabile davanti al giudice ordinario nei termini di prescrizione.

Interesse legittimo: è l’aspirazione differenziata e qualificata ad un bene della vita, ossia una posizione giuridica di vantaggio riconosciuta ad un soggetto, che si trovi in una posizione differenziata e qualificata rispetto ad un procedimento amministrativo, ed a condizione che non confligga con l’interesse pubblico. La sua lesione scaturisce da una violazione delle norme di azione, che regolano l’esercizio dei pubblici poteri. Virga definisce l’interesse legittimo come la pretesa alla legittimità dell’azione amministrativa, riconosciuta a chi si trovi in una posizione differenziata (es: partecipazione a pubblico concorso). La dottrina più moderna (Nigro, Caianello, Giacchetti) individua l’interesse legittimo sulla base della norma regolativa del potere (norma di organizzazione), e delle altre norme ad essa collegata (teoria dei blocchi normativi). L’interesse legittimo, secondo questa impostazione, è incluso nella norma attributiva del potere, che lo definisce insieme agli altri interessi pubblici e privati coinvolti. Esso si concretizza in una posizione non solo differenziata, ma anche qualificata, perché presa in considerazione dal diritto oggettivo. Tale teoria ben si sposa con una visione partecipativa anziché autoritativa dell’attività amministrativa, in linea con quanto stabilito dai principi di imparzialità sanciti dall’art. 97 Cost., nonché con gli istituti partecipativi previsti dalla L241/90, così che il procedimento si pone come sede primaria di tutela dell’interesse legittimo, che viene a configurarsi come una situazione autonoma e sostanziale, avente alla base un interesse materiale, al pari del diritto soggettivo. Mentre però quest’ultimo riceve sempre una tutela piena, l’interesse legittimo è tutelato sempre in funzione dell’interesse pubblico generale. Inoltre, a differenziare le due situazioni, va sottolineato che mentre il diritto soggettivo è tutelato solo in via risarcitoria e reintegratoria, l’interesse legittimo è tutelato anche in via antecedente mediante il potere di partecipare al procedimento (così da orientare l’azione pubblica) o di richiedere il procedimento, quindi ai poteri di reazione si aggiungono quelli di partecipazione.

Oggi, inoltre, con la sentenza 500/99 Cassazione, si è riconosciuta la risarcibilità del danno per lesione dell’interesse legittimo ex art. 2043 C.C., ed inoltre la L205/00 ha attribuito la relativa competenza al G.A. sia in sede di giurisdizione esclusiva che di legittimità.

L’interesse legittimo può essere sostanziale o formale (meramente partecipativo), oppositivo o pretensivo.

Nella categoria degli interessi legittimi vanno annoverati anche gli interessi ultraindividuali, ossia gli interessi diffusi (che fanno capo ad una formazione sociale non individuata, ossia alla collettività complessivamente considerata, come il diritto alla salute) e gli interessi collettivi (che fanno capo ad un ente esponenziale distinto sia dalla collettività sia dai singoli che ne fanno parte).

Diritto potestativo: situazione giuridica attiva che consente al titolare di ottenere, con un proprio comportamento, un risultato favorevole, incidendo legittimamente sulla sfera giuridica di un altro soggetto, che si trova pertanto in una situazione giuridica passiva di soggezione.

Interesse semplice: interesse del singolo a che la P.A. emani atti in base a criteri di convenienza ed opportunità, è tutelato solo in via amministrativa tramite i ricorsi gerarchici, e non in via giurisdizionale.

Interesse di fatto: non è tutelato dall’ordinamento, il singolo può utilizzare solo denunce, esposti, ecc, che la P.A. è libera di valutare o meno.


Le Fonti del Diritto


Sono quegli atti o fatti produttivi di diritto, riconosciuti come tali dall’ordinamento di cui fanno parte (artt.1-9 prel.).

Fonti di produzione sono le fonti del diritto in senso proprio, ossia gli atti o fatti abilitati dall’ordinamento a creare le norme giuridiche che costituiscono, nel loro insieme, il diritto oggettivo. Si distinguono in:

Fonti Atto: manifestazioni di volontà di organi ed enti abilitati dall’ordinamento a produrre le norme giuridiche

Fonti Fatto: comportamenti e atti giuridici che l’ordinamento assume idonei a produrre norme. Sono dette anche fonti non scritte, fra di esse rientra la consuetudine.

Fonti di cognizione: individuano i documenti e gli atti che contengono le norme, agevolando la conoscenza di norme già poste dal diritto.

Fonti di elaborazione: individuano i procedimenti di creazione delle norme giuridiche

Il diritto si distingue in diritto scritto e diritto non scritto (consuetudine), ma vi sono anche casi di diritto non scritto rilevabile da fonti atto quando una norma si ricava da formulazioni linguistiche contenute in atti normativi che non le enunciano espressamente.

Le fonti, inoltre, si distinguono in fonti pubbliche e fonti private (contratti collettivi del lavoro e regolamenti Consob).

La gerarchia delle fonti nel nostro ordinamento può così essere schematizzata:

Costituzione

Leggi di Revisione Costituzionale

Leggi Costituzionali

Fonti Primarie

Regolamento Parlamentare

Legge Ordinaria

Decreto Legge

Statuti

Leggi Regionali

Fonti Comunitarie

Referendum


5 Fonti subprimarie

Leggi Regionali delegate

Decreti delegati

Statuti degli enti Locali

6 Fonti secondarie

Regolamenti

Ordinanze

Statuti degli Enti minori

Contratti Collettivi di lavoro

7 Consuetudine


La norma di grado inferiore non può mai abrogare o modificare quella di rango superiore, per quelle di pari grado vale il criterio temporale.   

L’art. 11 delle disposizioni preliminari del C.C. sancisce il principio dell’irretroattività della norma giuridica (la legge non dispone che per l’avvenire), ma in realtà tale principio è stato costituzionalizzato solo in materia penale. Nelle altre materie in casi eccezionali vi possono essere leggi retroattive (anche se ciò contrasta con il principio della certezza del diritto), con adeguata motivazione, ad es. le leggi interpretative.

Il problema delle antinomie si verifica quando una stessa fattispecie viene regolata in modo conflittuale da due diverse fonti o da una stessa fonte in tempi diversi. I criteri da utilizzare in via interpretativa per la soluzione del problema sono:

cronologico si applica quando due norme configgenti sono poste da fonti dello stesso tipo: (lex posterior derogat legi priori),

gerarchico: si applica quando le norme configgenti provengono da fonti diverse, in tal caso la fonte di rango inferiore è invalida (es: contrasto fra una legge e un regolamento

di competenza : si applica quando la Costituzione riserva ad alcune fonti la regolamentazione di determinate materie o determinati ambiti territoriali di efficacia (ad es. la Costituzione riserva ai regolamenti parlamentari la disciplina dell’organizzazione delle Camere e del procedimento di formazione delle leggi, per cui una legge ordinaria che interferisse sarebbe invalida).


L’interpretazione della norma giuridica disciplinata dall’art. 12 preleggi, consiste nella ricerca o spiegazione del senso della norma stessa, ossia nella determinazione della volontà del legislatore in essa racchiusa. In base al metodo e ai criteri su cui si fonda può essere:

letterale: rivolta a valutare il significato proprio delle parole secondo la loro connessione (vox iuris)

logica: rivolta a stabilire il vero significato della norma, ossia l’intenzione del legislatore (ratio iuris)

Ai fini della determinazione del significato delle norma l’interpretazione può essere:

teleologica: con riferimento allo scopo della norma, in modo che le applicazioni della norma siano conformi alla sua finalità

sistematica: con riferimento al sistema complessivo, per cui la norma viene posta nel quadro delle altre norme che compongono l’ordinamento

storica: con riferimento ai lavori parlamentari preparatori e contestuali all’emanazione della norma.

In relazione al soggetto che la compie l’interpretazione può essere:

giudiziale: se è compiuta dal giudice nell’esercizio della funzione giurisdizionale

dottrinale: compiuta, senza alcun potere vincolante, dagli studiosi di materie giuridiche

autentica: compiuta dal legislatore stesso, che emana talvolta specifiche norme interpretative, con efficacia retroattiva, per chiarire il significato di norme preesistenti, con efficacia vincolante erga omnes

burocratica: è l’interpretazione compiuta da funzionari di un’amministrazione pubblica trasfusa in circolari.

In relazione ai risultati, infine, l’interpretazione può essere:

dichiarativa: se i risultati dell’interpèretazione letterale coincidono con quelli dell’interpretazione logica (lex tam dixit quam voluti)

estensiva: se l’ambito di applicazione della norma è più esteso di quanto si ricava dalla sola interpretazione letterale

restrittiva: nel caso contrario

Va inoltre sottolineato che la legge straniera va applicata secondo i propri criteri interpretativi, ossia quelli che adotterebbe il giudice straniero.


La Costituzione è la legge fondamentale dello Stato, contiene le norme e i principi generali dell’organizzazione, i fini e il funzionamento dello Stato. La nostra, adottata nel 1948, è votata, rigida, lunga e scritta. Si compone di 139 articoli. E’ costituita da due parti. La prima disciplina i diritti e i doveri dei cittadini, e si compone di: principi fondamentali di organizzazione dello Stato (artt.1-12); rapporti civili, rapporti etico-sociali, rapporti economici, rapporti politici. La II parte disciplina invece l’ordinamento della Repubblica e quindi i vari organi costituzionali, ossia: Parlamento, Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, Governo, Magistratura, Regioni, Enti Locali, Organi di rilievo costituzionale (CSM; CNEL; Corte dei Conti, Consiglio di Stato).

L’art. 138 disciplina la procedura di revisione della Costituzione.

La Consuetudine Costituzionale si forma in tempi lunghi ad opera di stato e Regioni, è superiore alla legge ordinaria. E’ ammessa la sola consuetudine praeter costitutionem, volta cioè ad ampliare ed integrare quello che è il dettato costituzionale, mentre non esiste la consuetudine secundum costitutionem, poiché la Costituzione non richiama mai la consuetudine.La prassi costituzionale, invece, che manca dell’opinio iuris ac necessitatis può essere usata solo per norme pratiche e non giuridiche.

I Regolamenti Parlamentari, (art 64 Cost.) sono atti aventi forza di legge, che contengono le norme necessarie all’organizzazione e al funzionamento delle camere. Ogni camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Nello statuto albertino avevano il valore di semplici atti interni, mentre invece oggi, essendo previsti dalla Costituzione stessa, sono vere e proprie fonti del diritto.


La legge in senso formale è quella deliberata dal Parlamento, in senso materiale, invece, individua un atto a contenuto normativo, indipendentemente dall’organo che lo pone in essere. La legge meramente formale è poi un atto che pur avendo aspetto formale di legge non ha in realtà contenuto normativo e forza innovativa, è un atto confermativo in riferimento al quale il Parlamento esercita solo una funzione di controllo(es. legge di approvazione del bilancio).

Le leggi atipiche sono quelle dotate di una diversa forza attiva o passiva. Ad es. le leggi di bilancio non possono introdurre nuove spese, quindi hanno una minore forza, mentre le leggi di ratifica dei trattati internazionali non possono essere sottoposte a referendum abrogativo, quindi hanno una maggiore forza.

Le leggi rinforzate sono quelle per la cui emanazione è previsto un procedimento diverso, ad es. le leggi di revisione della Costituzione.

La legge cornice (o quadro) è una legge dello Stato che contiene i principi fon 939i89j damentali di disciplina di singole materie, ai quali le Regioni si devono attenere nell’esercizio della loro potestà legislativa.

La riserva di legge, che si ha quando la Costituzione riserva alla legge formale il potere di disciplinare determinate materie, ha funzione garantista, in quanto riserva la disciplina di determinate materie alla legge. Può essere assoluta o relativa (in tal caso gli aspetti di dettaglio sono demandati ai regolamenti). La riserva di legge può essere. Costituzionale, di legge formale, rinforzata (in tal caso la costituzione predetermina anche parte del contenuto), implicita.

Il procedimento di formazione della legge si articola in 4 fasi:

Fase dell’iniziativa: consiste nella presentazione del progetto di legge, ad opera di Governo, singoli parlamentari, Consigli regionali, CNEL in materie di sua competenza, e corpo elettorale (proposta di legge redatta in articoli, firmata da almeno 50.000 elettori).

Fase preparatoria: redazione delle relazioni di maggioranza e di minoranza da parte delle commissioni permanenti.

Fase deliberativa: il disegno di legge dopo essere stato esaminato dalla competente commissione permanente viene discusso nel suo insieme e poi con riferimento ad ogni singolo articolo; in questa fase si realizzano gli emendamenti (che possono essere soppressivi, aggiuntivi o sostitutivi), vi è poi una discussione e votazione articolo per articolo ed infine una votazione finale. Il procedimento si ripete separatamente per ciascuna Camera e la legge viene definitivamente adottata solo quando entrambe le Camere approvano lo stesso testo (navetta Camera-Senato). Possono prevedersi procedimenti abbreviati per disegni di legge urgenti.

Fase dell’integrazione di efficacia: prima della promulgazione il Presidente della repubblica può chiedere alle Camere un’ulteriore deliberazione, dopo la quale la legge deve essere obbligatoriamente promulgata entro 1 mese. La promulgazione è l’atto con cui il Presidente della Repubblica attesta che la legge è stata approvata in conformità delle norme costituzionali, che si è formata regolarmente e pertanto è l’atto che le conferisce esecutorietà. Dopo la promulgazione segue la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale; la legge diviene efficace il 15° giorno dalla pubblicazione (il periodo che va dall’inizio della pubblicazione all’inizio dell’efficacia è detto vacatio legis), salvo che la legge stessa preveda un termine più breve.


Il Decreto Legislativo (o legge delegata), disciplinato dall’art 76 Cost. è un atto con efficacia di legge formale emanato dal Governo in base ad una delega del Parlamento, conferita con legge formale ordinaria. La delega deve essere esercitata in un termine prefissato e nel rispetto dei principi e criteri direttivi indicati nella legge, per cui la potestà legislativa viene delegata al governo temporaneamente e per oggetto definito. Secondo la struttura originaria il decreto doveva esaurirsi in un unico atto, mentre oggi si vanno diffondendo sempre più, nell’ambito della medesima delega, più decreti correttivi e integrativi (es: Dlgs 29/93), per cui la stessa delega viene esercitata più volte.

E’ annoverato fra le fonti subprimarie.

Il Decreto Legge, disciplinato dall’art 77 Cost. può essere emanato dal governo in casi straordinari di necessità e di urgenza (tali presupposti devono essere indicati nella motivazione, la loro mancanza rende il decreto illegittimo, come ribadito dalla sentenza C.C. 29/95) e deve essere convertito in legge entro 60gg., o perde efficacia fin dall’inizio. E’ deliberato dal Consiglio dei ministri, emanato con DPR e pubblicato sulla GU, deve essere presentato alle Camere per la conversione in legge il giorno stesso della pubblicazione, entro 5 giorni le Camere, anche se sciolte, si devono riunire per decidere in merito. In passato vi è stato un forte abuso di tale strumento così come si è assistito al fenomeno della reiterazione dei decreti legge scaduti, cosa che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima con la sentenza 360/96

E’ annoverato fra le fonti primarie.


Legge Regionale

Ha forza di legge ordinaria, ma efficacia territorialmente limitata, si esplica nell’ambito della potestà legislativa regionale, disciplinata dall’art.117 Cost., come riscritto dalla Legge Costituzionale 3/2001 (riforma del titolo V della Costituzione) e dalla Legge di adeguamento 131/03 (Legge La Loggia).

Alla regione competono diversi tipi di potestà legislativa:

Potestà legislativa esclusiva o piena, in virtù della quale le Regioni sono equiparate allo Stato, attribuita in precedenza solo alle regioni a statuto speciale; oggi, dopo la riforma, tale criterio si è ribaltato, in quanto la potestà esclusiva spetta allo Stato in determinate materie elencate dall’art 117Cost (che in precedenza elencava invece le materie di competenza concorrente delle regioni) cui corrispondono poteri che connotano lo Stato in quanto garante dell’unitarietà e indivisibilità della Repubblica (materie inerenti ai rapporti internazionali, alla politica economica e monetaria, ai rapporti fra le persone, a organizzazione e sicurezza dello Stato, al benessere, alla giustizia, alla tutela ambientale, alle dogane, a pesi e misure e coordinamento statistico). Risultano inoltre riservati allo Stato i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere assicurati in misura uniforme su tutto il territorio nazionale.

Potestà legislativa concorrente o ripartita: in virtù della quale la Regione legifera con  leggi vincolate al rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato (leggi cornice).Si esplica nelle seguenti materie:

rapporti internazionali

commercio con l’estero

tutela e sicurezza del lavoro

istruzione

professioni

ricerca scientifica e tecnologica

salute

alimentazione

sport

protezione civile

porti e aeroporti

previdenza complementare

beni culturali

casse di risparmio e credito fondiario

Potestà legislativa attuativa di leggi statali: in virtù della quale esse legiferano nel rispetto sia dei principi contenuti nelle leggi cornice, sia delle disposizioni di dettaglio contenute nella normativa nazionale, adattandola puntualmente in base alle eterogenee esigenze locali.

Potestà legislativa residuale, con riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione statale.


La nuova formulazione dell’art.117 Cost, quindi, riferisce la residualità allo Stato, piuttosto che alle Regioni, in ossequio al principio di sussidiarietà sancito dalla Bassanini. E’ inoltre previsto che ulteriori forme di autonomia possono essere riconosciute, con legge statale, a singole regioni anche in ambito legislativo, in attuazione di quello che si definisce regionalismo differenziato.   La Consulta ha inoltre evidenziato la possibilità di derogare allo schema di ripartizione sancito dall’art 117 attraverso il meccanismo della sussidiarietà, infatti qualora in virtù di tale principio la funzione amministrativa fosse attratta allo Stato, allora ad esso spetterebbe anche la competenza legislativa (sent. 303/2003).

Le Regioni, inoltre, vengono oggi proiettate in un sistema sovraordinato di relazioni esterne a carattere internazionale e comunitario, in quanto nelle materie in cui hanno potestà legislativa, esclusiva o concorrente che sia, esse possono provvedere all’attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’UE, nonché concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altri Stati; inoltre, ai sensi della L11/05, Le Regioni e le province autonome possono dare immediata attuazione alle direttive comunitarie.

Fonti Comunitarie sono fonti primarie prevalenti su quelle nazionali contrastanti. Si distinguono in: regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e pareri, ma solo le prime tre tipologie di atti hanno potere vincolante, e possono quindi considerarsi fonti vere e proprie. Sono disciplinate dall’art.249 trattato CE.

Regolamenti Comunitari: hanno portata generale, sono obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili in ciascuno Stato membro e prevalgono sulle leggi nazionali contrastanti, anche se posteriori.  Entrano automaticamente in vigore trascorsi 20 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea.

Direttive comunitarie: vincolano gli Stati membri cui sono dirette circa i risultati da raggiungere, lasciando libertà circa le forme e i mezzi, quindi non sono immediatamente vincolanti, ma devono essere recepite entro un certo termine (da esse stesse di volta in volta fissato) con una legge o con altro provvedimento di attuazione. Ultimamente si stanno diffondendo sempre più le direttive self-executing, ossia direttive molto dettagliate in cui il margine di discrezionalità lasciato al singolo Stato membro è molto ridotto.

Decisioni Comunitarie: si rivolgono sia a individui sia a Stati membri e sono immediatamente obbligatorie in tutti i loro elementi; acquistano efficacia a far data dalla notifica.

Con il Trattato di Maastricht viene enunciato il principio di sussidiarietà, secondo cui l’UE può intervenire, al di fuori delle sue competenze specifiche, ogni qualvolta determinati obiettivi e interessi non possono essere raggiunti dai singoli Stati, o comunque possono essere raggiunti meglio a livello centrale.

L’Aquis Comunitario individua l’insieme delle norme comunitarie fondamentali e dei Trattati (Trattato CECA del 1951; Trattato CEE del 1957; Atto Unico Europeo del 1987; Trattato UE di Maastricht del 1992: sistema a 3 pilastri: cooperazione economica, politica estera e sicurezza; Trattato di Nizza del 2001: voto a maggioranza anziché unanimista; Trattato di Roma del 2004: Costituzione Europea).

Le Fonti Internazionali si dividono in due tipologie: fonti patrizie (fra cui rientrano, fra l’altro, i Trattati Internazionali) e fonti consuetudinarie. Il diritto internazionale si fonda sull’autolimitazione della sovranità di ciascuno Stato, in base al principio non scritto pacta sunt serranda (i patti devono essere rispettati).

Nell’ambito delle fonti consuetudinarie si inquadrano le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, ai sensi dell’art. 10 Cost, che funge nei loro riguardi da permanente adattatore, dando loro efficacia immediata ed automatica, senza che sia necessario uno specifico atto di recepimento. Esse possono anche derogare alla Costituzione, ma non ai principi fondamentali da essa enunciati (si veda ad esempio la sentenza 48/1979 Corte Costituzionale, che giustificò la non adesione ad un trattato in tema di estradizione ove era prevista la pena di morte, ritenuta contraria ai principi fondamentali del nostra ordinamento).

Le norme patrizie invece hanno la stessa forza della fonte che le introduce nell’ordinamento, ossia la legge, che autorizza il Presidente della Repubblica a ratificate il trattato.  Talune fonti pattizie possono, nel corso del tempo, elevarsi al rango di fonte consuetudinaria, come ad esempio è avvenuto per la CEDU (Convenzione europea sui diritti dell’uomo) anche se la Corte Costituzionale non è molto favorevole a questa impostazione.


Il Referendum Abrogativo, disciplinato dall’art 75 Cost, è indetto, su richiesta di 500mila elettori o di 5 Consigli regionali, per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge. Non è ammesso con riferimento a leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare i trattati internazionali. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto (gli stessi elettori chiamati a votare per la camera), e se è raggiunta la maggioranza dei voti validi. E’ un importante istituto di democrazia diretta.

Il referendum abrogativo può essere anche regionale, per l’abrogazione di una legge regionale.

Il Referendum Sospensivo (o Costituzionale) è invece disciplinato dall’art. 138 Cost., è previsto per le leggi di revisione della costituzione, qualora, pur essendo state approvate, nella seconda votazione, a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna camera, non abbiano però ottenuto il voto favorevole di almeno due terzi dei componenti stessi. In tali ipotesi la legge viene pubblicata sulla GU solo per notizia per un periodo di 3 mesi, in questo periodo 1/5 dei membri di una camera o 5 Consigli Regionali o 500mila elettori possono richiedere tale referendum( detto sospensivo proprio perché in tale periodo la legge resta sospesa).

Con riferimento a regioni ed enti locali esistono inoltre il referendum consultivo e il referendum territoriale (art 123 cost) (per deliberare la modificazione dei relativi territori).


I Testi Unici sono raccolte ordinate di norme relative a d una certa materia, emanate in successione nel tempo, redatti in modo sistematico. Possono essere ricognitivi, quando si limitano a raccogliere norme preesistenti, o novativi, quando oltre a raccogliere norme preesistenti ne introducono di nuove: in tal caso si parla di testi unici-fonte. Discussa è la loro natura giuridica, secondo alcuni interamente legislativa, secondo altri interamente regolamentare, o mista legislativa e regolamentare, opinione questa condivisa anche dal consiglio di Stato (parere 18/9/2000)

Le Fonti Secondarie

Sono atti formalmente amministrativi ma sostanzialmente normativi, espressione del potere normativo della pubblica amministrazione statale o di altri enti pubblici. Si distinguono in: regolamenti, ordinanze e statuti degli enti minori, cui si aggiungono, come fonte privatistica o semiprivatistica, i contratti collettivi di lavoro. Le fonti secondarie non possono drogare né contrastare con le norme costituzionali né con gli atti legislativi ordinari, per cui non hanno né forza né valore di legge, ma solo forza normativa.

I Regolamenti: sono atti formalmente amministrativi, in quanto emanati da organi del potere esecutivo, ma sostanzialmente normativi, in quanto contenenti norme destinate a innovare l’ordinamento giuridico. Possono anche definirsi come ordinanze relative ad ampie e autonome sfere di attività, redatti in modo sistematico.

Per quanto riguarda i limiti della potestà regolamentare, essi non possono derogare o contrastare con la Costituzione, con le leggi, con i regolamenti emanati da autorità gerarchicamente superiori. Essi, per espressa previsione della l241/90, in virtù della loro matrice politica, che li rende a motivo libero, non sono soggetti a motivazione, né alle norme in tema di partecipazione procedimentale.

Possono essere classificati in vario modo. Innanzitutto si distinguono in:

Regolamenti Interni: sono atti espressivi del potere pararegolamentare e disciplinano l’organizzazione interna di un organo o di un ente, obbligando soltanto coloro che ne fanno parte, pertanto sono espressione del potere di autorganizzazione, ma non sono fonti del diritto, si inquadrano invece nell’ambito delle norme interne della PA, la loro violazione dà luogo al vizio di eccesso di potere.

Regolamenti Esterni: hanno efficacia esterna alla PA, sono espressione del potere di supremazia di cui il potere esecutivo dispone nei riguardi di tutti coloro che si trovino sul territorio dello Stato. Sono vere e proprie fonti del diritto e la loro violazione è equiparata a violazione di legge. A loro volta essi, ai sensi della l100/1926 (poi ripresa in modo sostanzialmente analogo dalla l400/88), si distinguono in:

Regolamenti di esecuzione: sono quelli necessari per curare l’esecuzione della legge, presuppongono quindi una legge precedente cui si collegano e che sono chiamati ad attuare nel dettaglio. Sono gli unici consentiti nell’ambito delle riserve assolute di legge, in quanto contengono una disciplina di dettaglio, o comunque marginale, rispetto alle prescrizioni di legge. Ai sensi della L 400/88 si distinguono ulteriormente in esecutivi e attuativi-integrativi. Questi ultimi hanno un’ampiezza maggiore (infatti non sono consentiti nell’ambito della riserva assoluta di legge) dovendo svolgere i principi fissati dalla legislazione di principio.

Regolamenti indipendenti: disciplinano le materie attribuite dalla legge alla competenza della PA, presupponendo, quindi, una legge che attribuisca alla PA la competenza generale a disciplinare una certa materia. Ne sono esempi i regolamenti di igiene, di polizia veterinaria, ecc. Non possono operare in settori coperti da riserva di legge, assoluta o relativa che sia.

Regolamenti di organizzazione: relativi all’organizzazione e il funzionamento dei pubblici uffici. Operano in materie coperte da riserva relativa di legge.

La dottrina ha poi teorizzato la figura dei regolamenti delegati (o liberi, o autorizzati), figura estremamente controversa, di cui è dubbia la stessa ammissibilità. Secondo alcuni (Sandulli, Galli), essi potrebbero eccezionalmente derogare alla legge e disciplinare materie ad essa riservate, in virtù di un’autorizzazione contenuta nella legge stessa (da cui la dizione di regolamenti autorizzati), potendosi anche definire come regolamenti di delegificazione, in quanto deputati ad attuare il trasferimento della disciplina di una certa materia dal potere legislativo a quello regolamentare.

In base all’autorità che li emana i regolamenti si distinguono in:,

Regolamenti statali si esplicano nelle materie di competenza esclusiva dello Stato e si distinguono ulteriormente in:

Governativi: sono disciplinati dall’art. 87 Cost, deliberati dal Consiglio dei Ministri, sottoposti al parere del Consiglio di Stato ed emanati con DPR dal capo dello Stato (che ne verifica la legittimità costituzionale formale, non sostanziale). Il decreto viene poi sottoposto al controllo della Corte dei Conti, inserito nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica e pubblicato sulla GU, entrando in vigore dopo 15 giorni.

ministeriali (deliberati da un singolo ministro)

interministeriali

Queste ultime due tipologie, subordinate alla prima, sono state introdotte dalla L 400/88. Vengono emanati con decreto rispettivamente ministeriale e interministeriale e, come i regolamenti governativi, sono sottoposti a parere del Consiglio di Stato, visto e registrazione della Corte dei Conti e pubblicazione sulla GU.

Regolamenti regionali: riconosciuti a livello costituzionale nelle materie di legislazione concorrente e residuale, nonché nelle materie di legislazione esclusiva dello Stato qualora questo abbia specificamente delegato alle regioni la normazione secondaria.

Regolamenti provinciali e comunali: anch’essi riconosciuti dall’art 117 Cost, devono esplicarsi nel rispetto della legge e dello statuto (atto normativo fondamentale dell’ente) nelle materie di loro competenza; in particolare il Dlgs 267/2000 individua i seguenti: regolamento per l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni, regolamento l’organizzazione e il funzionamento degli organismi di partecipazione, regolamento per il funzionamento degli organi istituzionali, regolamento per gli uffici, regolamento per l’esercizio delle funzioni. Tali regolamenti godono di una competenza riservata e garantita nei confronti dei regolamenti statali.

Regolamenti di altri Enti: quali Università, Enti di ricerca, Ordini e Collegi professionali, Camere di Commercio, Aziende speciali, autorità indipendenti. Questi ultimi sono definibili come fonti terziarie.

Regolamenti delle Università: sono prevalentemente norme attuative o integrative dello Statuto, che individua anche la competenza ad emanarli, salvo per alcuni di essi di particolare importanza, per i quali l’organo competente a deliberarli è individuato dalla legge. Particolare importanza riveste il regolamento didattico di ateneo, (disciplinato dall’art.11 DM 270/2004) deliberato dal Senato Accademico, sottoposto a controllo ministeriale con le stesse modalità dello statuto, individua: denominazione dei corsi di studio, obiettivi formativi e classe di appartenenza; quadro generale delle attività formative da inserire nei curricula; crediti formativi assegnati a ciascuna attività formativa e caratteristiche della prova finale per il conseguimento del titolo accademico. Esso viene poi integrato dal regolamento didattico di corso di studio, che individua: elenco degli insegnamenti con indicazione del settore scientifico disciplinare di riferimento, obiettivi formativi specifici, piani di studio e obblighi di frequenza. Molto importante è anche il regolamento per l’amministrazione, la finanza e la contabilità, la cui deliberazione è, per espressa previsione di legge, di competenza del Consiglio di Amministrazione. Esso disciplina, anche in deroga alle vigenti norme di contabilità pubblica, ma nel rispetto dei principi da esse dettati, i criteri della gestione, le procedure di finanziamento, le responsabilità, le procedure contrattuali e i relativi controlli, l’amministrazione del patrimonio mobiliare e immobiliare.

Va sottolineato che ciascun ente deve obbligatoriamente avere alcuni regolamenti previsti da leggi di vario genere, come ad es il regolamento sul diritto di accesso (L 241/90), quello sul trattamento dei dati personali, ecc

Il regolamento, proprio perché caratterizzato da generalità e astrattezza, necessita, per la sua concreta applicazione, di un provvedimento di attuazione, che inciderà direttamente sulle situazioni soggettive dei destinatari. In caso di illegittimità di un regolamento, pertanto, si dovrà procedere a doppia impugnativa, del regolamento e del provvedimento di attuazione ad esso relativo. La successiva pronuncia dell’autorità giudiziaria avrà ad oggetto il regolamento, il cui annullamento spiega efficacia erga omnes, e non solo fra le parti in causa, e i suoi effetti si propagheranno al provvedimento di attuazione.

Le Ordinanze: il termine individua un insieme di atti di tipo piuttosto eterogeneo; in diritto amministrativo sono atti che creano obblighi o divieti (la cui inosservanza espone a sanzioni), quindi impongono degli ordini, emanati da autorità amministrative diverse dal Governo in virtù del potere di supremazia della PA. Affinché siano qualificabili come fonti del diritto devono essere generali ed astratte. Le ordinanze libere, (Sandulli) possono introdurre una disciplina derogatoria rispetto a norme di rango legislativo, purchè nel rispetto della Costituzione e dei principi generali dell’ordinamento.

Le ordinanze libere in senso stretto si classificano in:

Ordinanze previste in campi specificamente indicati dal legislatore: ne sono un esempio i provvedimenti-prezzo del CIP e dei Comitati provinciali dei prezzi, soppressi dalla L537/93, le cui funzioni sono oggi svolte dal CIPE e dagli uffici provinciali del Ministero dell’Industria. Sono previste per caso ordinari, quindi non hanno carattere di eccezionalità..

Ordinanze previste dalla legge per casi eccezionali di particolare gravità: sono ordinanze volte a fronteggiare situazioni eccezionali codificate dal legislatore e che hanno carattere atipico, rivolte di volta in volta a fronteggiare il caso specifico. Rientrano fra di esse: bandi militari (presuppongono lo stato di guerra o di emergenza internazionale dichiarato dal Parlamento), ordinanze prefettizie in materia di sicurezza e ordine pubblico, ordinanze speciali per la visita e la disinfezione delle case, ordinanze prefettizie di emergenza nucleare, ordinanze eccezionali in caso di calamità pubbliche o catastrofi nazionali, ordinanze dell’autorità marittima in caso di inquinamento marittimo, ecc.

Ordinanze di necessità e di urgenza: sono emanate da autorità amministrative espressamente investite di tale potere (fra cui il Prefetto e il Sindaco) per far fronte a situazioni di necessità e di urgenza, sono molto ampie, atipiche (a differenza degli atti necessitati, che sono invece strumenti tipici, che doppiano altri provvedimenti, es: requisizione d’urgenza) straordinarie e la loro efficacia temporale è limitata al perdurare dello stato di necessità. Esse trovano fondamento esclusivamente nella legge e devono essere adeguatamente motivate e pubblicizzate.

Gli Statuti sono atti normativi aventi ad oggetto l’organizzazione di un ente e le linee fondamentali della sua attività. Sono espressione di una potestà organizzatoria a carattere normativo.

Essi si possono così classificare:

Statuti regionali: hanno rilievo costituzionale (artt. 114 e 123 Cost) e sono inquadrati fra le fonti primarie. Per le regioni ordinarie vengono approvati con legge regionale, per quelle a statuto speciale con legge costituzionale (in tal caso assurgono al rango di fonti costituzionali).

Statuti degli enti locali: sono stati previsti dalla L 142/90, e hanno acquisito rilievo costituzionale (art.114) con la legge costituzionale 3/2001. Per quanto riguarda la formazione, gli Statuti, così come le loro modifiche, sono deliberati dal Consiglio.

Statuti degli altri enti pubblici: sono inquadrati fra le fonti secondarie e quindi spesso hanno carattere di norme interne. Sono adottati dall’ente stesso o da un ente superiore, talvolta sono adottati dall’ente ma approvati da un ente superiore che esercita un controllo su di essi, condizionandone l’efficacia (ad esempio gli statuti delle Università sono approvati dallo Stato, quelli degli Istituti autonomi delle case popolari dalle Regioni).

Statuti delle Università: sono deliberati dal Senato Accademico in composizione integrata, quindi, oltre al Rettore e ai Presidi di Facoltà (che costituiscono la struttura ordinaria di tale organo), sono coinvolti i seguenti membri: un ugual numero di rappresentanti dei direttori dei dipartimenti e degli istituti; un professore ordinario, un professore associato e un ricercatore per ciascuna area scientifico-disciplinare; un numero di rappresentanti degli studenti pari al numero dei presidi di facoltà e comunque non inferiore a 5; un numero di rappresentanti del personale tecnico amministrativo pari alla metà dei rappresentanti dei direttori di dipartimento. Lo Statuto è deliberato a maggioranza assoluta e trasmesso al Ministro (MUR), che entro 60 gg. Esercita un controllo di legittimità e di merito, quest’ultimo si attua con la richiesta motivata di riesame. I rilievi di legittimità possono essere superati con una nuova deliberazione adottata a maggioranza di tre quinti, quelli di merito con la maggioranza assoluta. Ove dette maggioranze qualificate non siano raggiunte, le disposizioni contestate vanno eliminate, in caso contrario invece possono essere emanate, e il Ministro può adire il GA per i soli vizi di legittimità. Lo statuto viene poi emanato con decreto pettorale e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Lo Statuto universitario presenta un contenuto necessario (sancito da diverse leggi) e un contenuto eventuale. Contenuto necessario ai sensi della L 168/89 (legge fondamentale dell’autonomia universitaria) consiste in: previsione dell’elettività del rettore; indicazione dei criteri cui attenersi per l’individuazione della responsabilità di uffici e servizi; norme sullo stato giuridico ed economico del personale (sia docente e ricercatore, sia tecnico amministrativo); individuazione di curricula formativi coerenti e adeguati al valore legale dei titoli accademici rilasciati; previsione di una composizione del Consiglio di amministrazione rappresentativa delle varie componenti dell’ateneo. Il contenuto necessario ai sensi della L 341/90 consiste in: previsione di corsi di orientamento per gli studenti; previsione di corsi di aggiornamento per il personale tecnico-amministrativo e previsione di attività formative autogestite dagli studenti. Ancora, contenuto necessario ai sensi della L 370/99 consiste in: previsione di un nucleo di valutazione e previsione di commissioni per le attività didattiche. Costituisce invece contenuto eventuale dello Statuto il seguente: determinazione dei corsi di laurea; ripartizione della competenza regolamentare fra Senato accademico e consiglio di amministrazione; individuazione delle strutture didattiche e di ricerca con autonomia finanziaria e di spesa; disciplina delle cariche accademiche e degli organi collegiali. La Federico II, ad esempio, fra le altre cose nello Statuto individua i Poli, l’Orto Botanico, l’Azienda agraria, L’azienda Ospedaliera, il sistema bibliotecario e il sistema museale.


La Consuetudine costituisce tipica fonte del diritto non scritto, consiste in un comportamento uniformemente, pubblicamente e costantemente (senza interruzioni) reiterato per un periodo di tempo indeterminato a brevi intervalli di tempo (diuturnitas: elemento oggettivo) nella convinzione della sua necessità ed obbligatorietà (opinio iuris ac necessitatis: elemento soggettivo).

La consuetudine può essere secundum legem, quando è richiamata dalle leggi scritte, praeter legem, quando regola materie non disciplinate da norme scritte, o contra legem, ossia abrogativa di norme di legge, inammissibile nel nostro ordinamento in quanto contraria all’art.8 disp.prel.

Gli Usi, oggi soppressi, erano previsti all’ultimo posto della gerarchia delle fonti dalle disp.prel.CC, si collocavano nell’ambito delle fonti non scritte del diritto ed erano raccolti a cura delle Camere di Commercio. I loro elementi costitutivi erano gli stessi della consuetudine.


Le Norme Interne

Sono emanate dalle pubbliche amministrazioni per il funzionamento degli uffici e lo svolgimento delle loro attività, costituiscono un ordinamento amministrativo interno distinto dall’ordinamento giuridico generale, dirigendosi solo a coloro che fanno parte di una certa amministrazione, infatti obbligano solo gli appartenenti ad essa. Non sono fonti del diritto e non possono essere in contrasto con norme giuridiche. Si fondano sul potere di autorganizzazione della PA e sul potere di supremazia speciale di un organo su un altro. La loro violazione dà luogo al vizio di eccesso di potere. Si distinguono in:

Regolamenti: si annoverano fra i regolamenti interni, che dettano norme sul funzionamento interno dell’ufficio.

Ordini: sono atti amministrativi emanati da un’autorità gerarchicamente superiore nei confronti di una inferiore e contenenti un comando ad agire in un dato modo.

Istruzioni: sono atti contenenti regole di comportamento a carattere tecnico, a chiarimento e completamento di altre norme.

Circolari: è la più importante categoria di norme interne. Il termine circolare deriva dal gergo militare e secondo Giannini non indica una categoria autonoma di atto amministrativo, ma bensì dei mezzi di comunicazione e notificazione di atti amministrativi. Dato il loro carattere conoscitivo non ne è consentita l’impugnazione, salvo il caso delle circolari interpretative, che hanno valenza esterna. Si distinguono in:

Circolari organizzative: contengono disposizioni sull’organizzazione degli uffici

Circolari interpretative: recano l’interpretazione di leggi e regolamenti al fine di assicurarne l’uniforme interpretazione nell’ambito dell’apparato amministrativo. Hanno rilevanza esterna, per sono suscettibili di impugnazione. Obbligano i dipendenti dell’ente che le ha emanate a seguire l’interpretazione indicata, o a motivare adeguatamente una differente interpretazione.

Circolari normative: stabiliscono il modo di istruire una pratica, sono vincolanti per i dipendenti, ma prive di rilevanza esterna. Attraverso di esse si esercita il potere di indirizzo politico.

Circolari di cortesia: contengono voti augurali, saluti, messaggi di stima, ecc.

Circolari informative: sono strumenti di conoscenza tesi a informare su determinate problematiche, innovazioni legislative, orientamenti giurisprudenziali, ecc.

Circolari intersoggettive: sono circolari improprie, che si rivolgono ad organi o uffici appartenenti ad enti diversi da quello dell’autorità emanante. Generalmente fissano regole per la trasmissione di informazioni da un soggetto all’altro.

Circolari regolamento: sono impropriamente denominate circolari, in quanto sono atti produttivi di effetti normativi esterni, sono in realtà veri e propri regolamenti.


La Funzione Amministrativa è la concreta esecuzione delle scelte effettuate in sede politica e rese vincolanti per la PA con legge (infatti il diritto è la proiezione formale della politica).

Costituisce esplicazione di una posizione giuridica pubblica qualificata potestà, che consiste nel potere di supremazia finalizzato alla realizzazione dei fini pubblici individuati dagli organi cui compete la determinazione dell’indirizzo politico.

Deve ispirarsi ai principi di buona amministrazione, legalità e imparzialità.

Si articola in funzioni finali, strumentali e di supporto.

Nel corso del si è reso necessario riformare lo svolgimento dell’attività amministrativa della PA, allo scopo di renderla più snella e duttile, meno burocratizzata, così da poter interagire in maniera più efficiente ed efficace con un ambiente continuamente mutevole. Tale riforma, tuttora in atto, è iniziata con la L241/90 e il Dlgs 29/93, che hanno introdotto i concetti di efficacia, efficienza, economicità, privatizzazione del pubblico impiego, managerializzazione, responsabilizzazione, flessibilità, intercomunicabilità (all’interno e all’esterno), separazione fra politica e gestione, eliminazione delle duplicazioni, articolazione degli uffici per funzioni omogenee con distinzione fra funzioni finali (di line) e funzioni strumentali (di staff), decentramento, sussidiarietà. Tutti questi nuovi principi ispiratori si vanno quindi ad aggiungere ai tradizionali principi di legalità, imparzialità e buon andamento sanciti dall’art.97 Cost.

Di particolare importanza è la separazione fra funzione politica e funzione amministrativa, consacrata dal Dlgs 29/93. A livello politico, ove si esprime la volontà degli organi dello stato, si determinano obiettivi e programmi, a livello amministrativo si cura la gestione dei pubblici uffici.

L’atto politico è espressione della volontà delle forze politiche di maggioranza e di minoranza o degli organi costituzionali super partes (Parlamento e Corte Costituzionale). Gli atti politici costituiscono un numerus clausus, sono tipici, sono liberi nei fini, e pertanto non sono suscettibili di impugnazione e non sono soggetti ad obbligo motivazionale.

Essi constano di un elemento formale (provenienza da un’autorità di governo)e un elemento materiale (emanazione nell’esercizio del potere politico).

Il Potere politico consiste nella suprema direzione della res publica, nell’individuazione dei fini che lo Stato deve perseguire (attività di scelta dei fini). Implica libertà di fini e di forme, la prima limitata dall’osservanza dei principi costituzionali, la seconda dall’osservanza delle forme rituali (ossia i procedimenti previsti dall’ordinamento).

Titolari della funzione politica sono: il Corpo elettorale (cioè l’insieme degli elettori), il parlamento, il Governo, il Presidente della Repubblica, le Regioni, la Corte costituzionale.

L’atto di alta amministrazione esprime le direttive fondamentali adottate dalla PA nel rispetto degli indirizzi politici espressi dal governo, svolgendo una funzione di raccordo tra funzione politica e funzione amministrativa, che consiste nel trasferire in norme e concreti atti amministrativi le scelte relative all’amministrazione effettuate in sede politica.. Tali tipi di atti vengono adottati dai supremi organi di direzione della PA, e sono atti formalmente e sostanzialmente amministrativi, per cui sono giuridicamente assoggettati al regime degli atti amministrativi, e pertanto devono essere obbligatoriamente motivati e sono suscettibili di impugnazione (ma solo per motivi di legittimità, mai di merito). Ne sono esempi: le decisioni dei comitati interministeriali, le delibere di nomina e revoca di alti funzionari dello Stato, le decisioni con cui il Consiglio dei Ministri risolve i conflitti di competenza, l’approvazione dei regolamenti, le decisioni dei ricorsi straordinari in dissenso dal parere del Consiglio di stato, la nomina dei dirigenti regionali, ecc.


Il Decentramento

Consiste nel distacco di certe funzioni, per lo più di natura deliberativa, dalla sfera di competenza degli organi centrali dello Stato, con conseguente loro trasferimento ad altri organi (decentramento burocratico) o ad enti (decentramento autarchico).

Decentramento politico: è volto ad ottenere una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita dello Stato.

Decentramento amministrativo: è volto ad una migliore organizzazione di pubblici uffici, attuando una più efficiente distribuzione fra di essi delle molteplici funzioni loro attribuite.

Decentramento Autarchico: le funzioni in questione vengono trasferite ad enti autarchici, cioè a soggetti pubblici diversi dallo Stato. Può essere territoriale o istituzionale, a seconda dell’ente coinvolto.

Decentramento burocratico: le funzioni vengono trasferite non a organi diversi dallo stato, ma a organi periferici dello Stato (Ministro, Prefetto, Questore, Commissario di PS). Non vengono trasferiti poteri ma solo funzioni. E’ detto anche decentramento organico.

Decentramento funzionale: tramite azienda autonoma per la cura di determinati beni o la gestione di certi servizi. L’azienda pur incardinata nel Ministero da cui promana, ha autonomia di bilancio.


L’Autarchia è la potestà di un Ente pubblico ad amministrare i propri interessi svolgendo un’attività che ha gli stessi caratteri e la stessa efficacia dell’attività amministrativa statale. L’Ente Autarchico agisce in regime di diritto amministrativo e gode di un particolare regime giuridico, caratterizzato da specifiche potestà, ossia:

Certificazione

Autorganizzazione: è il potere di creare e gestire le strutture necessarie per il proprio funzionamento

Autotutela: è il potere di farsi ragione da sé secondo diritto con specifici mezzi amministrativi, che non necessitino di intervento del giudice

Autogoverno: individua un fenomeno in cui gli organi di governo di un certo ente vengono eletti da un corpo elettorale costituito dagli stessi soggetti governati. Tale fenomeno si riscontra, ad es., negli enti locali e nelle università.

L’Autonomia è il potere di un Ente di effettuare scelte ed emanare atti con proprie deliberazioni. Si distingue in:

Autonomia Normativa: si concretizza nel potere di autodisciplinarsi attraverso l’emanazione di statuti e regolamenti

Autonomia finanziaria: è la capacita di un ente di poter contare su risorse provenienti da fonti diverse, che possono essere gestite in maniera indipendente.

Autonomia contabile: potere di gestire autonomamente la propria contabilità, il proprio bilancioe il proprio piano dei conti, nonché potestà regolamentare in materia contabile.

Autonomia Impositiva:(o tributaria) è il potere di imporre propri tributi; compete solo agli Enti locali e solo sulla base di previsione di legge.

Autonomia organizzativa: è il potere di creare e gestire le strutture necessarie per il proprio funzionamento

Autonomia didattica: compete alle Università, è la capacità di determinare e disciplinare i corsi di studio e tutto ciò che riguarda l’organizzazione della didattica.


L’Amministrazione Indiretta, è il fenomeno che si verifica quando un ente utilizza, per il perseguimento dei propri compiti, organi ed uffici di un altro ente.



I Soggetti della PA


L’Organizzazione dello Stato e degli enti pubblici si attua tramite organi e uffici.

Gli Organi pongono in essere atti giuridici per conto dell’ente, hanno specifica competenza e operano anche all’esterno, hanno una loro soggettività, ma non una autonoma personalità giuridica.

Si definiscono come la persona (organi monocratici), o il complesso di persone (organi collegiali) preposte ad un certo centro di riferimento ed imputazione di competenza amministrativa, esercenti una pubblica potestà. Essi possono essere o meno rappresentativi.

Gli organi hanno sempre competenza esterna.

I collegi si distinguono in reali (deliberano all’unanimità) e virtuali (deliberano a maggioranza).

A volte gli organi utilizzano uffici di altri enti: in tal caso si parla di avvilimento (ad esempio il Sindaco anche quando agisce come ufficiale di governo, utilizza gli uffici del Comune).

Le relazioni tra organi hanno rilevanza giuridica.

Gli Uffici uniscono all’elemento soggettivo un complesso di mezzi, attraverso cui compiono operazioni ausiliarie e strumentali. Si caratterizzano per la presenza di due elementi: uno funzionale ed uno strutturale.

L’elemento funzionale consiste nel fatto che ad essi sono attribuite funzioni proprie della persona giuridica di cui fanno parte. Da questo punto di vista si distinguono in uffici attivi, consultivi, di controllo, deliberativi, esecutivi.

L’elemento strumentale consiste nel fatto che essi sono incorporati stabilmente nella struttura dell’ente di cui fanno parte. Da tale punto di vista si distinguono in semplici e complessi( es. Ministeri), a seconda che abbiano o meno propri uffici interni.

Preposto all’ufficio può essere il titolare (rapporto di primarietà), il supplente (in caso di impedimento del titolare), il sostituto (in caso di delega) o il vicario (qualora il titolare non sia stato ancora nominato).

Gli uffici possono o meno avere competenza esterna.


Rapporto organico individua la relazione che intercorre tra l’organo e la persona fisica ad esso preposta, nonché il rapporto che intercorre tra l’organo e l’ente di cui è parte. Si parla a riguardo di rapporto di immedesimazione organica, per cui gli atti compiuti dalla persona fisica preposta all’organo si ritengono compiuti dall’organo e imputati direttamente all’ente di cui l’organo è parte integrante. Non rileva dal punto di vista giuridico, perché fa riferimento ad una relazione interna fra addetti e preposti all’ente e la PA stessa. E’ regolato dalle norme di azione e si costituisce di diritto al momento dell’assegnazione all’organo o all’ufficio (investitura) e presuppone al previa costituzione del rapporto di servizio. In caso di gravi situazione di carenza di potere esso, in mancanza di investitura, si costituisce di fatto (figura del funzionario di fatto). Sono legati alla PA da rapporto organico tutti i dipendenti pubblici.

Rapporto di servizio: è un vero e proprio rapporto giuridico che intercorre tra la PA e i dipendenti pubblici. E’ regolato dalle norme di relazione e riguarda: assunzione, promozione, trasferimento, licenziamento, ecc.

Talvolta rapporto organico e rapporto di servizio non coincidono, ad es. il segretario comunale ha un rapporto organico col comune e di servizio con lo Stato.

La Presidenza è un rapporto fra più soggetti di uno stesso organo, non è invece qualificabile come rapporto interorganico.


I Rapporti interorganici: come si è detto i rapporti fra organi, a differenza di quelli fra uffici, hanno specifica rilevanza giuridica. Si distinguono in:

Gerarchia è un rapporto esterno intercorrente tra organi i9ndividuali di uno stesso ramo di amministrazione. Può intercorrere solo tra organi individuali, anche se eccezionalmente è ammesso il ricorso gerarchico improprio ad un organo individuale avverso gli atti di un organo collegiale. Si sostanzia nella subordinazione di un organo ad un altro. Può essere intesa in senso stretto (intercorre fra organi militari) o in senso lato, e postula poteri di varia intensità.

Direzione tende sempre più a sostituire la gerarchia, detta regole di comportamento lasciando ampi margini di discrezionalità, fissa gli obiettivi ma non si sostanzia in ordini puntuali. Con il D.lgs.29/93 è il tipo di rapporto che intercorre tra Ministri e dirigenti.

Coordinamento: si esplica fra organi equiordinati per armonizzare i comportamenti in vista della realizzazione di un disegno unitario, implica poteri di indirizzo e vigilanza. Può essere attribuito ad uno degli organi coinvolti o ad un nuovo organo creato ad hoc cui convergono tutti gli organi interessati (es. comitati interministeriali).

Controllo:si concretizza nel sindacato di un organo sull’operato di un altro organo. Necessità di due presupposti: la diversità di organi (che qualifica appunto il rapporto come interorganico) e la sovraordinazione dell’organo controllante sull’organo controllato. Concretizza la funzione di controllo, che è una delle tre fondamentali estrinsecazioni dell’attività amministrativa, insieme alla funzione attiva e a quella consultiva. Il controllo ha natura giuridica mista, in quanto è al contempo manifestazione di volontà e di giudizio. Esistono diverse classificazioni dei controllo. Innanzitutto si distingue fra:

Controlli Interni: controlli gerarchici, controlli degli uffici Centrali di Bilancio (ex Ragionerie), controlli di gestione, controlli dei nuclei di valutazione. Essi sono stati esplicitati dal D.lgs 286/99 che ne individua 4 tipi:

Controlli di regolarità amministrativa e contabile: sono i controlli degli organi di revisione, delle Ragionerie, dei servizi ispettivi. Si effettuano sulla base dei principi generali della revisione aziendale asseverati dagli ordini e collegi professionali operanti nel settore.

Controllo di gestione: concretizza un sindacato di tipo tecnico volto a verificare il rispetto dei criteri di efficacia (rapporto fra risultati conseguiti ed obiettivi prefissati), efficienza ed economicità.

Valutazione dei dirigenti: tiene conto dei risultati dell'attivita' amministrativa e della gestione. La valutazione ha periodicita' annuale e costituisce presupposto per l'applicazione delle misure in materia di responsabilita' dirigenziale.

Controllo strategico: verifica l’adeguatezza delle scelte effettuate in sede di attuazione dei piani, delle direttive e degli altri atti di indirizzo politico. Consiste nell'analisi, preventiva e successiva, della congruenza e/o degli eventuali scostamenti tra le missioni affidate dalle norme, gli obiettivi operativi prescelti e le scelte operative effettuate.Riferisce direttamente agli organi politici e costituisce supporto per l’esplicazione degli altri tre tipi di controllo.

Controlli esterni: controllo giurisdizionale, controllo parlamentare (es.approvazione della legge di bilancio), controllo preventivo di regolarità amministrativa e contabile della Corte dei Conti. Quest’ultimo si esplica tassativamente sulle seguenti categorie di atti:

Atti che impattano sulla spesa (provvedimenti adottati a seguito di deliberazione del Consiglio dei ministri; atti normativi dei Ministri; bilanci; atti di nomina dei dirigenti; contratti, attivi tutti, passivi se superiori alle soglie comunitarie).

Atti a rischio (adottati con ordine scritto del Ministro competente)

Atti individuati temporaneamente dal presidente del Consiglio dei Ministri.

Relativamente all’oggetto si distingue fra:

Controlli di legittimità: verificano solo il rispetto delle norme di legge e di regolamento, sono diretti a valutare la corrispondenza formale dell’atto e delle attività del soggetto alle norme di legge, con funzione di vigilanza.

Controlli di merito: sono rivolti a verificare anche i criteri di opportunità e convenienza che hanno ispirato l’operato dell’organo controllato. Concretizza un sindacato di tipo politico con funzione di tutela.

I controlli amministrativi si distinguono poi in:

Controllo sugli atti: di legittimità (con funzione di vigilanza) e di merito (con funzione di tutela).

Controllo sugli organi (o sui soggetti) può essere ispettivo, sostitutivo o repressivo. E’ detto anche controllo funzionale. Compete al Governo, al Difensore Civico Regionale e al Coreco. Si esplica essenzialmente in materia di: adempimento degli obblighi comunitari; ordine e sicurezza pubblica; diritti civili e politici.

Controllo sulle attività: sono diretti a verificare i risultati raggiunti, in termini di efficienza ed efficacia, dall’attività amministrativa svolta da un certo ente in un dato periodo di tempo.

Il controllo si distingue inoltre in preventivo (si esplica prima che l’atto, pur perfetto, acquisti efficacia, e si distingue a sua volta in antecedente e susseguente all’adozione dell’atto) e successivo (interviene dopo che l’atto ha prodotto i suoi effetti), repressivo e sostitutivo (quando l’organo controllante ha il potere di sostituirsi al controllato nell’emanazione dell’atto, direttamente o tramite un commissario ad acta). Inoltre, rispetto al loro intervento, i controlli si distinguono in ordinari e straordinari.

Gli atti di controllo sono:

Visto: controllo preventivo di legittimità vincolato.

Approvazione: controllo preventivo di merito, non recettizio, ma che va comunicato.

Autorizzazione: controllo preventivo antecedente di legittimità e di merito.

Omologazione: controllo di legittimità e di merito analogo all’approvazione.

Annullamento: controllo successivo di legittimità dovuto in sede di controllo, discrezionale in sede di autotutela.


La Competenza è l’insieme di attribuzioni che spettano a ciascun organo per la cura degli interessi pubblici che gli sono affidati., quindi individua il complesso di poteri e funzioni che esso può, per legge, esercitare.

Per competenza si intende l’individuazione dell’area di pertinenza, per incompetenza uno dei vizi dell’atto amministrativo.

E’ possibile distinguere la competenza nel seguente modo:

Competenza per materia: i compiti vengono ripartiti in relazione ai vari oggetti. In Italia si attua per mezzo dei Ministeri. Può essere esclusiva o concorrente.

Competenza per territorio: presuppone l’identità di competenza per materia fra gli organi interessati (es. per la materia dell’ordine pubblico, la ripartizione territoriale della competenza si attua fra Commissariati, Questure, ecc).

Competenza per grado: presuppone l’identità di competenza sia per materia che per territorio,ha riguardo al livello che l’organo occupa all’interno di uno stesso ramo di amministrazione. Dà luogo ad una gerarchia piramidale al cui vertice c’è il Ministero. Rileva in materia di definitività del provvedimento e possibilità del ricorso.

Un particolare tipo di competenza per materia è la competenza per valore, che ha riguardo alla somma massima di spesa consentita ad un certo organo, come avviene ad esempio per i dirigenti statali per la stipula dei contratti.

La competenza viene attribuita per legge ed è inderogabile. In alcuni casi è possibile trasferirne non la titolarità, ma il solo esercizio, ciò si verifica nelle ipotesi di delega, sostituzione e avocazione.

La delega è l’atto con il quale si trasferisce temporaneamente e per un certo oggetto l’esercizio della competenza. Può essere interorganica (il delegante conserva il potere sull’oggetto della delega) o intersoggettiva (in tal caso il delegante perde il potere sull’oggetto della delega). Si può ricorrere alla delega solo nei casi in cui la legge lo preveda. La delega deve essere conferita per iscritto e attribuisce una competenza derivata. E’ un atto, organizzatorio, temporaneo, discrezionale. L’atto prodotto è giuridicamente imputato al delegato, al contrario di quanto avviene nella delega di firma, che è un’autorizzazione a sottoscrivere un provvedimento per nome e per conto del delegante, senza alcuno spostamento di competenza.

In caso di vizio dell’atto di delega per il principio del fatto compiuto restano validi gli atti che attribuiscono vantaggi a terzi. La giurisprudenza ammette il ricorso al delegante avverso gli atti compiuti dal delegato, ma la dottrina non concorda con questa impostazione.

La sostituzione è un trasferimento temporaneo di esercizio di competenza effettuato da parte dell’organo gerarchicamente superiore in caso di inerzia da parte dell’organo inferiore protratta anche dopo formale diffida. In tal caso il superiore trasferisce ad altro soggetto (in genere un commissario ad acta) la competenza a compiere gli atti in oggetto.

L’avocazione è anch’essa un trasferimento temporaneo di esercizio di competenza da parte dell’organo gerarchicamente superiore che provvede direttamente all’adozione degli atti. E’ possibile solo nei casi di competenza non esclusiva (ad es. i Ministri non possono avocare a sé gli atti di competenza dei dirigenti).


I Soggetti della PA possono schematizzarsi secondo il prospetto seguente:


Amministrazione dello Stato

Enti Territoriali

Enti Autarchici

Enti Strumentali

Enti Ausiliari

Enti Pubblici Economici

Amministrazioni Indipendenti

Agenzie Autonome

Aziende e Amministrazioni Autonome

Aziende Speciali

Gestori di pubblici servizi

Amministrazione Comunitaria

Organismi di diritto pubblico in forma societaria


L’Amministrazione dello Stato si articola in organi costituzionali (Parlamento, Governo, ministeri, Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale), che sono essenziali per il funzionamento dello Stato, e organi a rilevanza costituzionale (Consiglio superiore della Magistratura, CLEL, Consiglio di stato, Corte dei Conti) , che pur non avendo carattere di essenzialità sono comunque previsti a livello costituzionale.


Il Parlamento, disciplinato dagli artt.55 e segg. Cost., è un organo costituzionale e sovrano (partecipa all’esercizio della sovranità), è un organo necessario, indefettibile, complesso (formato da due camere), collegiale, rappresentativo. Si caratterizza per il bicameralismo perfetto, in quanto è composto da due camere distinte che esercitano le medesime funzioni in posizione di reciproca parità.

Svolge le funzioni: legislativa (sua funzione fondamentale), di controllo politico e di connotazione del sistema, poiché individua la forma di governo (Repubblica Parlamentare). Ulteriore funzione è la eventuale messa in accusa del Presidente della Repubblica.

Fonti del diritto parlamentare sono: Costituzione, Leggi ordinarie 8fra cui particolare importanza riveste la legge elettorale), i regolamenti parlamentari e le norme di correttezza costituzionale.

La Camera dei Deputati si compone di 630 membri, di cui 12 eletti nella circoscrizione estero. L’elezione dei deputati avviene con metodo proporzionale[1], l’elettorato attivo spetta a tutti i cittadini maggiorenni, quello passivo agli elettori che abbiano compiuto i 25 anni di età. Ha sede a Montecitorio.

Il Senato della Repubblica si compone di 315 membri, di cui 6 eletti nella circoscrizione estero. Ha sede a Palazzo Madama. E’ eletto a base regionale con metodo proporzionale[2], salvi i seggi assegnati alla circoscrizione estero. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a 7, salvo il Molise, che ne ha 2, e la Valle d’Aosta che ne ha 1. l’elettorato attivo spetta a tutti gli elettori che abbiano compito il 25° anno di età, quello passivo agli elettori che abbiano compiuto il 40° anno di età. E’ senatore di diritto a vita, salvo rinuncia, chi è stato Presidente della repubblica. Inoltre il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita 5 cittadini che abbiano dato lustro alla patria in campo sociale, scientifico, artistico e letterario. I senatori a vita si aggiungono ai 315 senatori ordinari.

L’attuale sistema elettorale è disciplinato dalla L270/2005.

Sia la Camera che il senato sono eletti a suffragio universale e diretto e restano in carica 5 anni (legislatura). La durata delle Camere può essere prorogata solo in caso di guerra, con legge. Diverso è l’istituto della prorogatio, (art.61 Cost) ossia il perdurare dei poteri (solo per gli affari di ordinaria amministrazione) delle Camere scadute finchè non si riuniscano le nuove Camere. L’elezione delle nuove Camere ha luogo entro 70mgg. Dalla fine delle precedenti, e la prima riunione ha luogo entro 20 gg. dalle elezioni. Il “semestre bianco” è il periodo degli ultimi 6 mesi di mandato del Presidente della repubblica: in questo periodo esso non può esercitare la facoltà di scioglimento anticipato delle Camere.

Le Camere si riuniscono in via ordinaria il primo giorno non festivo di febbraio e ottobre. Ciascuna Camera può essere convocata in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente o del Presidente della Repubblica o di 1/3 dei suoi componenti, e in questi casi è convocata di diritto anche l’altra Camera.

Ciascuna Camera elegge fra i suoi componenti il Presidente e l’Ufficio di Presidenza. Altri organi delle Camere sono le Giunte Parlamentari e le Commissioni Parlamentari, queste ultime possono essere speciali, con carattere di occasionalità, costituite per studiare determinate problematiche, oppure permanenti. Le Commissioni permanenti si distinguono ulteriormente in commissioni referenti (valutano i vari disegni di legge e si esprimono con parere obbligatorio, ma non vincolante) e commissioni deliberanti (procedono direttamente all’approvazione del ddl, dando luogo a quello che si definisce “procedimento decentrato”. Vi sono poi anche le Commissioni bicamerali, che sono commissioni miste, composte in parte da deputati e in parte da senatori. Infine si devono menzionare i Gruppi Parlamentari, ossia formazioni permanenti che uniscono deputati e senatori politicamente affini. Si parla di gruppi misti quando vi sono parlamentari di diversi partiti che non hanno raggiunto le maggioranze necessarie singolarmente. Vi sono poi i cosiddetti parlamentari indipendenti, che non sono affiliati ad alcun partito. Si parla invece di “franchi tiratori” con riferimento a quei parlamentari che, approfittando del voto segreto, votano contro le indicazioni del partito di appartenenza.

Ciascuna Camera adotta a maggioranza assoluta il proprio regolamento (regolamenti parlamentari, sono fonti primarie), le sedute sono pubbliche, salvo casi particolari, le sedute sono valide se è presente la maggioranza dei componenti (vige però il principio della presunzione del numero legale) e le deliberazioni vengono adottate a maggioranza dei presenti. La discussione deve rispettare l’ordine del giorno.

Ogni parlamentare rappresenta la nazione (non il partito cui appartiene) ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato (divieto di mandato imperativo[3]), ciascuno di essi inoltre gode dell’immunità penale, ossia non può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare e a intercettazione senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza ed inoltre può essere privato della libertà personale solo in esecuzione di sentenza irrevocabile o se colto in flagranza di reato. Altra prerogativa dei parlamentari è l’insindacabilità, ossia la non sottoponibilità a giudizio per le opinioni espresse nell’esercizio delle proprie funzioni (libertà di opinione e di parola). I parlamentari percepiscono un’indennità comprensiva di diaria mobile e di franchigia viaggio stabilita in percentuale sullo stipendio del presidente della Corte di Cassazione.

Le Camere hanno autonomia regolamentare, finanziaria, amministrativa (possono organizzare autonomamente i propri uffici, procedere autonomamente al reclutamento del proprio personale e stipulare autonomamente contratti con i loro dipendenti), inoltre la loro sede è inviolabile, la forza pubblica può accedervi solo previo autorizzazione del loro presidente. Ogni singola Camera ha autonoma personalità giuridica e può stare in giudizio senza il patrocinio dell’Avvocatura di Stato.

Il Parlamento si riunisce in seduta comune , ai sensi dell’art 55 Cost, per: elezione e giuramento del Presidente della repubblica, messa in stato di accusa dello stesso, elezione di 1/3 dei membri del CSM e elezione di 1/3 dei giudici della Corte Costituzionale. In questi casi il Parlamento opera come organo a sé stante e il suo presidente e il suo regolamento sono quelli della Camera dei deputati.

Il Presidente del Senato invece sostituisce il Presidente della Repubblica in caso di impedimento o assenza.

Il Parlamento esercita un continuo controllo politico sul Governo tramite le interpellanze, ossia domande scritte rivolte al Governo stesso o a un singolo ministro. Circa motivi e finalità di determinate politiche.; se il Parlamento non è soddisfatto della risposta può promuovere una discussione parlamentare sull’argomento tramite una mozione, ossia iscrizione del problema a ordine del giorno. Vi sono poi le interrogazioni, che sono semplici domande rivolte a sapere se un fatto sia vero o falso. Il Parlamento inoltre può disporre inchieste su materie di pubblico interesse, con la costituzione di apposita commissione. Inoltre il governo deve avere la fiducia del Parlamento, che può essere revocata in qualunque momento, perciò si parla di regime parlamentare.

L’attuale sistema elettorale, come si è detto, è proporzionale[4], ossia ciascun partito ottiene un numero di seggi proporzionale ai voti ottenuti su base circoscrizionale (questo sistema tutela meglio le minoranze). Nei sistemi maggioritari, invece, si determinano dei collegi uninominali (tanti quanti sono i candidati da eleggere), in ciascuno dei quali viene eletto un solo candidato. I sistemi maggioritari si distinguono in maggioritario secco, ove è eletto colui che ottiene la maggioranza, e maggioritario a doppio turno, ove è richiesta la maggioranza assoluta, quindi vi è l’eventualità di ballottaggio fra i candidati che abbiano ottenuto le maggioranze relative.

Il corpo elettorale è l’insieme dei cittadini iscritti alle liste elettorali. Esso esercita una potestà pubblica. Nel nostro paese vige la regola del suffragio universale e dell’uguaglianza dei voti (in passato il voto dei laureati aveva un peso maggiore). Vige inoltre il principio della libertà e segretezza del voto, e della non obbligatorietà dello stesso (è solo un dovere civico).


I Partiti politici sono associazioni non riconosciute di persone, legate da comune ideologia e comuni interessi, che influiscono sull’indirizzo politico del paese. Rappresentano il raccordo fra Stato e cittadino e sono gli unici organismi legittimati alla competizione elettorale.

Sono disciplinati a livello costituzionale dagli artt. 18 (che sancisce la libertà di associazione, con esclusione delle organizzazioni segrete e di quelle che perseguono scopi militari) e 49, che sancisce proprio la libertà di associarsi in partiti (principio della pluralità dei partiti politici) per concorrere con metodo democratico a determinare la vita politica nazionale. Il metodo democratico si riferisce alla non violenza nella raccolta dei consensi, e non all’organizzazione interna del partito.

Il partito deve predeterminare gli scopi da raggiungere e le modalità di inquadramento degli eletti, ossia il ruolo che essi dovranno svolgere all’interno del partito. E’ fatto espresso divieto, nella stessa Costituzione, di ricostituire il partito fascista. E’ fatto inoltre divieto di utilizzare simboli che creino confusione con altri partiti o che riproducano immagini religiose, ed infine è fatto divieto di iscriversi a partiti politici ai militari di carriera in servizio attivo, magistrati e rappresentanti diplomatici.

Per quanto riguarda il finanziamento dei partiti, la legge “Piccoli” degli anni ’80 prevedeva due tipi di finanziamento: uno annuale (ordinario), devoluto ai gruppi parlamentari, che poi lo ripartivano fra i relativi partiti 8per cui i partiti più forti ottenevano maggiori finanziamenti), e uno straordinario, erogato dal Parlamento ai singoli partiti in occasione delle elezioni per far fronte alle relative spese. Il referendum del 1993 ha abolito il finanziamento annuale, resta solo quello straordinario.


Il Governo: è disciplinato dagli artt.92-96 Cost, a differenza del Parlamento è un organo di parte, perché è espressione delle forze politiche di maggioranza e per questo è sottoposto al controllo politico del Parlamento, del quale deve avere la fiducia all’atto della nomina, e che può votare in qualsiasi momento una mozione di sfiducia con 1/10 dei suoi componenti.

E’ un organo costituzionale complesso e collegiale, partecipa all’esercizio della sovranità essendo titolare della funzione amministrativa e di indirizzo politico; svolge anche funzione legislativa di primo grado (decreti legge e delegati) e di secondo grado (regolamenti).

Tutti gli atti governativi rivestono la forma del decreto, e di distinguono in decreti presidenziali, emanati dal capo dello Stato e riferibili al Consiglio dei Ministri, e decreti ministeriali, emanati dai singoli Ministri senza l’intervento del Consiglio dei Ministri.

La funzione di indirizzo politico è la scelta della linea politica da seguire per realizzare l’attività di governo, quindi la scelta dei modi e degli strumenti, fatta congiuntamente al Parlamento. Gli atti compiuti nell’esercizio di questa funzione sono gli atti politici e sono espressione della volontà dello Stato, ben distinti dagli atti amministrativi.

E’ un organo complesso perché è formato a sua volta da più organi: Presidente del Consiglio, Ministri, Consiglio dei Ministri, Comitati Interministeriali, ecc.

Non è un organo elettivo, infatti il Presidente della Repubblica, in base al risultato delle elezioni o, nel caso dei governi tecnici, in base alle trattative politiche, nomina il Presidente del Consiglio e, su proposta di questi, i Ministri. Sia l’uno che gli altri prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica. Entro 10 giorni deve avere la fiducia delle Camere, e quindi poi esporre il proprio programma. Le sedute del Consiglio dei Ministri, al contrario di quelle del Parlamento, sono segrete.

Il Presidente del Consiglio dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile, inoltre deve mantenere l’unità di indirizzo politico del Governo stesso; in più egli controfirma tutti gli atti. Egli è in posizione di supremazia nei confronti degli altri Ministri, ma non di gerarchia.

Il Consiglio di Gabinetto è un comitato composto dai Ministri designati dal presidente del Consiglio allo scopo di coadiuvarlo.

Il vice presidente del Consiglio, introdotto dalla L400/88, è una figura necessaria per motivi tecnico-organizzativi, più che politici, talvolta appartiene a un partito diverso da quello del presidente del Consiglio.

I Ministri sono nominati dal Presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio. Essi sono organi costituzionali di governo, nonché capi di un dicastero, salvo il caso dei Ministri senza portafoglio, che non sono a capo di alcun dicastero e hanno in tal caso solo compiti politici e non anche amministrativi.

Attualmente, ai sensi della L233/2006, esistono 18 Ministeri, e essi hanno struttura complessa, infatti si articolano in Dipartimenti (con a capo un dirigente) e Direzioni (con a capo un segretario generale).[5]

I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del consiglio dei Ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri, la loro è una responsabilità politica, civile e penale, possono infatti macchiarsi di reati ministeriali o reati comuni, al contrario dei parlamentari non godono di immunità e sono sottoposti alla giurisdizione ordinaria (previo però autorizzazione del Parlamento) e non più, come avveniva in passato, a quella della Corte Costituzionale.

I Comitati Interministeriali sono organi collegiali che svolgono compiti relativi a materie di competenza di più Ministeri. Attualmente vi sono: CIPE (programmazione economica), CICR (credito e risparmio), CIS (informazioni e sicurezza), CIACE (affari comunitari europei). Vengono costituiti con decreto (in tal caso hanno solo rilevanza interna) o con legge (in tal caso hanno rilevanza esterna).

I Sottosegretari di Stato, introdotti dalla L 400/88 coadiuvano i Ministri, non hanno competenze proprie, ma svolgono attività delegate dal Ministro competente con delega temporanea e speciale. Ad alcuni di essi, entro il numero massimo di 10, può essere attribuito il titolo di vice-ministro, in tal caso hanno una delega ampia approvata dal Consiglio dei Ministri, cui possono partecipare senza diritto di voto.


Il Presidente della Repubblica è un organo costituzionale monocratico super partes, posto al di sopra degli interessi partitici.

E’ disciplinato dagli artt.83-91 Cost.

E’ il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale, svolge funzioni caratterizzanti tutti e tre i poteri dello Stato, infatti svolge funzioni legislative, in quanto promulga le leggi, funzioni esecutive, in quanto nomina il Presidente del consiglio e i Ministri, funzioni giurisdizionali in quanto nomina 5 giudici della Corte costituzionale e presiede il CSM. Inoltre ha funzioni di garanzia e di controllo con il fine di equilibrare il sistema senza svolgere funzioni attive di indirizzo politico. Altre sue peculiari attribuzioni (art.87) sono: la nomina dei più alti funzionari dello Stato (Presidente della Corte dei Conti, Presidente del Consiglio di Stato, ecc), il comando delle Forze armate, la presidenza del Consiglio Supremo della Difesa, la dichiarazione dello stato di guerra, la convocazione straordinaria delle Camere, l’invio di messaggi alle stesse, lo scioglimento delle medesime, l’indizione delle elezioni, la ratifica dei trattati internazionali, la concessione della cittadinanza, la concessione di grazie e la commutazione di pene, l’accreditamento e la ricezione dei rappresentanti diplomatici, il conferimento delle onorificenze della repubblica.

Nessuno dei suoi atti è valido se non è controfirmato dal Ministro proponente (quelli aventi valore legislativo devono essere controfirmati anche dal Presidente del Consiglio) e a sua volta egli controfirma gli atti ministeriali; e, in sostanza, molti dei suoi atti si limitano a dare veste giuridica alla volontà di altri organi.

E’ eletto dal Parlamento riunito in seduta comune integrato da 3 delegati per Regione (uno solo per la Valle d’Aosta) con scrutinio segreto a maggioranza di 2/3, presta giuramento davanti al Parlamento riunito in seduta comune. Deve aver compiuto il 50° anno di età, il suo ufficio è incompatibile con qualsiasi altra carica e dura 7 anni, il mandato è rinnovabile.

In caso di assenza o di impedimento le sue funzioni sono esercitate dal presidente del senato. Il Presidente della Repubblica è irresponsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni (gode di insindacabilità e tutela penale), salvo i casi di alto tradimento (violazione dell’obbligo di fedeltà allo Stato)e attentato alla Costituzione: in questi casi è messo in stato di accusa dal Parlamento riunito in seduta comune ed è giudicato dalla Corte Costituzionale. Chi attenta alla sua vita è punito con l’ergastolo.


La Corte Costituzionale è un organo costituzionale (artt.134-137) collegiale che ha lo scopo di tutelare la Costituzione, non appartenente alla Magistratura ordinaria e non soggetto alle norme dell’ordinamento giudiziario.

E’composta da 15 giudici, che restano in carica per 9 anni, non rinnovabili, nominati per 1/3 dal Presidente della Repubblica, 1/3 dal Parlamento in seduta comune e 1/3 dalla magistratura ordinaria suprema (Corte dei Conti, Corte di Cassazione e Consiglio di Stato). I giudici della Corte Costituzionale sono scelti tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinarie e amministrative, i professori universitari ordinari in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni di esercizio. Il loro ufficio è incompatibile con la carica di parlamentare, consigliere regionale, avvocato. Il suo Presidente è eletto fra i suoi componenti e resta in carica per 3 anni. I giudici della Corte Costituzionale godono di immunità, insindacabilità, inamovibilità. La loro retribuzione non può essere inferiore a quella del Presidente della Corte di Cassazione.

La Corte Costituzionale gode di autonomia regolamentare, finanziaria e amministrativa.

Ha sede nel Palazzo della Consulta in Roma.

Ai sensi dell’art.134 Cost essa giudica: sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi statali e regionali; sui conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato, fra Stato e Regioni e fra le Regioni; sulle accuse mosse al Presidente della Repubblica (posto in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune) e in tal caso ad essa si aggiungono 16 membri aggregati (tratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore che il Parlamento compila ogni 9 anni); essa inoltre, ai sensi della L 1/1953 giudica sull’ammissibilità delle richieste referendarie.

Il giudizio di legittimità costituzionale può essere di due tipi: in via principale, quando vi è un conflitto di attribuzione con conseguente impugnazione di un atto da parte dello Stato o di una Regione, o in via incidentale quando la questione emerge nel corso di un giudizio ed è rilevata dalle parti o dal giudice (in tal caso il giudizio principale viene sospeso e al giudice a quo compete, con ordinanza motivata, vagliare la fondatezza dell’eccezione di incostituzionalità).

La Corte Costituzionale decide sulle questioni di legittimità con sentenza, che può essere di accoglimento (in tal caso la norma in questione cessa di avere efficacia dal giorno successivo a quello della pubblicazione della decisione e scompare dall’ordinamento), o di rigetto (in tal caso la stessa questione potrà essere ripresentata in futuro).

La Corte Costituzionale emette anche sentenze interpretative (di accoglimento o di rigetto), sentenze manipolatrici (estraggono dalla norma in esame, tramite interpretazione, una nuova norma che prima non era contenuta nella legge ordinaria), sentenze costitutive (o creative), che verificano se e quali omissioni legislative violino la Costituzione, sentenze sostitutive, che cancellano parte della norma sostituendola con una nuova parte.

Le sentenze della Corte Costituzionale sono inappellabili, contro di esse non è ammessa alcuna impugnazione, e non sono mai considerate fonti del diritto, essendo invece la loro funzione quella di adeguare le norme giuridiche al dettato costituzionale.

Nel processo innanzi alla Corte Costituzionale non è obbligatoria lòa costituzione di parte, e in tal caso la decisione è presa in camera di consiglio.


Gli Organi a rilevanza Costituzionale: sono organi che pur essendo previsti dalla Costituzione non caratterizzano l’ordinamento, non sono fondamentali e non partecipano alla funzione politica. Sono di seguito illustrati.

Il Consiglio Superiore della magistratura (CSM): E’ un organo collegiale autonomo e indipendente che garantisce l’indipendenza della funzione giurisdizionale.

E’ disciplinato dall’art.104 Cost.

E’ presieduto dal Presidente della Repubblica ed è composto da 24 membri che restano in carica per 4 anni, eletti per 2/3 da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per 1/3 dal Parlamento in seduta comune tra i professori universitari ordinari in materie giuridiche e avvocati dopo 15 anni di servizio. Ne sono membri di diritto il primo presidente e il procuratore generale della corte di Cassazione.

Il CSM è competente in materia di assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozione dei magistrati[6] e sui provvedimenti disciplinari contro di essi. Ferme le competenze del CSM l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia spettano invece al Ministero della Giustizia.


Il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL): disciplinato dall’art.99 Cost. è un organo collegiale ausiliario rispetto alle Camere e al Governo composto da 121 membri che restano in carica per 5 anni. Essi sono rappresentativi delle varie categorie produttive, 99 di essi sono eletti dai sindacati, 10 sono rappresentanti di associazioni di volontariato e promozione sociale e 12 sono esponenti della cultura sociale, giuridica ed economica.

E’ un organo di consulenza dotato di iniziativa legislativa che può contribuire alla legislazione economica e sociale nei limiti stabiliti dalla legge, ed inoltre compie studi e ricerche.


Il Consiglio di Stato: disciplinato dall’art.100 Cost., è il principale organo consultivo dell’amministrazione centrale dello stato ed è organo supremo della giustizia amministrativa. E’ un organo collegiale e complesso, nonché indipendente. Si articola in 7 sezioni, di cui 4 consultive e 3 giurisdizionali. La 4° sezione consultiva è stata istituita dalla L127/97 (Bassanini-bis) per l’esame degli atti comunitari. Le sezioni consultive si compongono di 2 presidenti e 9 consiglieri, le sezioni giurisdizionali si compongono di 2 presidenti e 12 consiglieri.

La funzione consultiva consiste nel fornire pareri a tutte le amministrazioni centrali che ne facciano richiesta, sia in relazione alla legittimità che al merito. Tali pareri sono in genere facoltativi e in tal caso non sono mai vincolanti.

I pareri obbligatori del Consiglio di Stato sono quelli tassativamente indicati dalla 127/97, ossia:

Atti normativi del Governo e dei Ministri

Emanazione dei testi unici

Decisione dei ricorsi straordinari al Capo dello Stato

Schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposti dai Ministri.

Tali pareri vanno resi entro 45 gg. dalla richiesta, detto termine può essere sospeso una sola volta per ottenere dei chiarimenti, ottenuti i quali il parere deve essere reso entro i 20gg successivi. Decorso infruttuosamente tale termine l’Amministrazione richiedente può procedere prescindendo dal parere.

La funzione giurisdizionale si esplica come giurisdizione di secondo grado rispetto al TAR e come giurisdizione unica in alcuni casi, ossia il giudizio di ottemperanza quando l’autorità tenuta all’esecuzione del giudicato del G.O. sia un organo centrale dello stato o per l’esecuzione delle decisioni del Consiglio stesso che abbiano modificato le decisioni di primo grado del TAR, ed inoltre quando al fine di evitare l’impugnativa successiva il Governo provoca la decisione del Consiglio su un provvedimento non ancora emanato.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale è costituito dalla IV, V e VI sezione, nonché dall’Adunanza Plenaria (quest’ultima si compone di 12 consiglieri, 4 per ciascuna sezione giurisdizionale e dal presidente) che la la funzione di dirimere i contrasti di giurisprudenza che siano insorti o che possano insorgere fra le sezioni, nonchè le questioni di massima importanza.


La Corte dei Conti: istituita con L 800/1862 e oggi disciplinata dall’art. 100 Cost, è il massimo organo di controllo dell’Amministrazione centrale dello Stato, avente lo scopo di assicurare la regolarità dei conti e il rispetto dei fini pubblici ed ha inoltre giurisdizione amministrativa speciale ed esclusiva in materia contabile (suprema magistratura di contabilità pubblica).

E’ un organo ausiliario dello Stato molto antico, istituito nel 1862, attualmente la sua struttura è disciplinata dalle Leggi n 19 e 20 del 1994 ed è così articolata:

Sezione centrale di controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni statali;

Sezione centrale di controllo di gestione;

Sezione Autonomie (sostituisce la sezione Enti Locali)

Sezione di controllo per gli affari comunitari e internazionali;

3 sezioni giurisdizionali centrali (con funzione di giudice di secondo grado rispetto alle sezioni regionali);

Sezioni giurisdizionali regionali

Essa inoltre procede a Sezioni Riunite nei seguenti casi: sui conflitti di competenza, sulle questioni di massima deferite dalle sezioni regionali e centrali, qualora lo richieda il procuratore generale, su alcune materie in sede di controllo individuate dalla deliberazione n 14 del 2000.

Il suo organico si compone di personale amministrativo e personale di magistratura.

La L 45/04 ha introdotto la figura del Presidente aggiunto.

La funzione di controllo sul Governo (essa coadiuva il Parlamento nell’esercizio della funzione ispettiva) ha carattere di legittimità e non di merito, per cui non si riferisce mai ad atti politici, ma mira invece ad appurare la conformità dei decreti alle leggi in vigore. Gli atti soggetti a controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti sono i seguenti (sono tutti atti governativi):

Atti che impattano sulla spesa (provvedimenti adottati a seguito di deliberazione del Consiglio dei ministri; atti normativi dei Ministri; bilanci; atti di nomina dei dirigenti; contratti, attivi tutti, passivi se superiori alle soglie comunitarie).

Atti a rischio (adottati con ordine scritto del Ministro competente)

Atti individuati temporaneamente dal presidente del Consiglio dei Ministri.

Atti temporaneamente assoggettati a controllo individuati dalle sezioni Unite della Corte stessa.

Tale controllo ha luogo in via preventiva e vige la procedura silenzio/assenso, cioè l’atto si considera approvato se entro 30 GG. la Corte dei Conti non ne dichiara la non conformità (visto e registrazione). Se la P.A. vuole ugualmente eseguire un decreto che la Corte abbia dichiarato non conforme questo viene registrato con riserva. Ogni 15 gg. la Corte trasmette al parlamento l’elenco dei decreti registrati con riserva. Non possono essere registrati con riserva gli impegni di spesa che eccedono gli stanziamenti, o quelli imputabili a residui piuttosto che a competenza, gli atti di nomina di personale oltre i limiti degli organici e gli ordini di accreditamento ai funzionari delegati oltre le autorizzazioni.

La Corte dei Conti anche quando agisce in sede di controllo può promuovere questione di legittimità costituzionale.

La Corte dei Conti esercita altresì il controllo successivo di legittimità, sotto forma di richiesta motivata di riesame su: atti degli Enti territoriali, pensioni e pubblico impiego (certificazione dei costi dei contratti collettivi). Esso, detto anche controllo di vigilanza, si esplica su: titoli di spesa relativi al costo del personale del settore pubblico; contratti e relativi atti di esecuzione in materia di sistemi informativi automatizzati; atti di liquidazione dei trattamenti di quiescenza dei pubblici dipendenti; gestione fuori bilancio; legittimità di singoli atti delle amministrazioni statali (controllo incidentale)


Vi è poi il controllo successivo sulla gestione, introdotto dalla L20/94, di portata molto ampia, che investe i bilanci e il patrimonio delle amministrazioni pubbliche (incluse le regioni, le Università, le ASL, ecc), gli atti degli Enti Locali e il rispetto da parte loro degli equilibri di bilancio (Legge La Loggia, 2003) nonchè la gestione fuori bilancio e l’utilizzo dei fondi comunitari. Con tale tipo di controllo la Corte verifica oltre alla legittimità e regolarità delle gestioni, anche il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione, accertando ex post se le procedure ed i mezzi utilizzati siano stati ottimali, per costi, speditezza ed efficienza organizzativa, valutando i rapporti fra input ed output, fra obiettivi prefissati e obiettivi raggiunti, in quello che è a tutti gli effetti un controllo di efficienza, efficacia ed economicità, sulla base di criteri di tipo aziendalistico, e non meramente giuridici. Nell’ambito di tale controllo rientra quello, introdotto dalla L266/2005, sull’affidamento da parte delle PA di incarichi di studio e consulenza di importo superiore a € 5000.

Altra competenza della Corte è il controllo sugli enti sovvenzionati dallo Stato, previsto dalla Costituzione, che si esplica sulla gestione finanziaria degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria.

La Corte dei Conti esercita poi il controllo successivo sul rendiconto annuale dello Stato, entro il 31/5, tramite il giudizio di parificazione, nel quale la Corte interviene a Sezioni Unite nella forma della sua giurisdizione contenziosa con l’intervento del Procuratore generale dello Stato investe di Pubblico Ministero, esercitando un sindacato formale.

La Corte dei Conti svolge anche un’attività di referto, (che secondo alcuni costituisce un’attività autonoma, mentre secondo altri è riconducibile alla funzione di controllo) ossia riferisce al parlamento su una serie di questioni, fra cui: il rendiconto annuale dello stato e le Relazioni su: costo del lavoro pubblico, gestione delle università, scuola elementare, contratti informatici, spese elettorali, fondi pensione e gestioni fuori bilancio.

Per quanto concerne la funzione giurisdizionale, La Corte dei Conti giudica sui conti che devono essere presentati annualmente dai funzionari che maneggiano beni o valori di proprietà dello Stato (giudizi di conto), nei giudizi di responsabilità dei funzionari che causino danni alla PA (giudizi di responsabilità amministrativa e contabile), ed inoltre sui ricorsi in materia di pensioni.

La giurisdizione della Corte dei Conti è una giurisdizione speciale, perché esercitata solo nelle materie tassativamente indicate dalla legge, esclusiva, perché in dette materie comprende sia questioni relative a diritti che questioni relative a interessi, piena, perché si esplica sotto il duplice profilo dell’accertamento dei fatti e dell’applicazione del diritto, sindacatoria, perché la Corte non è vincolata né dalle domande delle parti né dai motivi addotti, quindi vi sono ampi poteri istruttori e decisori, ed inoltre è una giurisdizione obiettiva, non di parte.

I giudizi di conto sono quelli relativi ai conti dei tesorieri, dei ricevitori, dei cassieri e degli agenti incaricati di pagare, conservare e maneggiare denaro pubblico, o di tenere in custodia valori o materiali di una amministrazione pubblica. Tali giudizi si esplicano anche nei confronti dei contabili di fatto, e mirano a verificare la correttezza del conto medesimo, che deve essere presentato entro due mesi dalla chiusura dell’esercizio di riferimento. L’agente viene automaticamente costituito in giudizio all’atto della presentazione del conto, che perciò si definisce conto giudiziale. Tale tipo di giudizio dunque si caratterizza per necessarietà, continuità ed inquisorietà.

I giudizi di responsabilità contabile sono quelli che si esplicano nei confronti di coloro i quali a qualunque titolo hanno il maneggio di denaro pubblico, nonché tutti i magazzinieri e i consegnatari di valori e merci appartenenti alla PA (agenti contabili) qualora si verifichi qualunque irregolarità gestionale nelle riscossioni, nei pagamenti o nella conservazione di denaro o beni. Si parla a riguardo di responsabilità contabile, che è una sottospecie della responsabilità civile, ma se ne distingue perché sorge per la semplice irregolarità gestionale, e non richiede la prova del danno, che è sempre presunto, salvo l’onere del funzionario di provare che l’irregolarità non ha causato danni.

I giudizi di responsabilità amministrativa sono quelli che si svolgono nei confronti dei funzionari che, nell’esercizio delle loro funzioni, per azione od omissione cagionino danno allo Stato o ad una PA (anche diversa da quella di appartenenza).Presupposti della responsabilità amministrativa (che può essere assimilata in senso lato ad una sorta di responsabilità contrattuale discendente dal rapporto di impiego) sono dunque: la qualità di pubblico funzionario, il danno la colpa grave[8] o il dolo e il nesso di causalità. Essa si traduce o direttamente in danno per la PA o in responsabilità diretta di essa verso terzi. In questo tipo di giudizio la Corte ha potere riduttivo in merito alla quantificazione del danno: la quantificazione dell’addebito si rapporta, più che all’entità del danno, alla gravità del comportamento tenuto dal dipendente, tenuto conto di una serie di parametri quali: complessità del lavoro svolto, limitatezza delle risorse umane disponibili, anzianità del dipendente, comportamenti precedenti,, ecc. E’una responsabilità personale e si prescrive in 5 anni.

Per quanto attiene ai giudizi in materia di pensioni, la Corte interviene in composizione monocratica (salvo che in fase cautelare, ove interviene in composizione collegiale) nei ricorsi dei dipendenti pubblici avverso provvedimenti definitivi aventi ad oggetto il diritto alla pensione. La giurisdizione della Corte in detto ambito si estende anche a rivalutazione e interessi per il ritardo nell’erogazione della pensione. Lo svolgimento di tali giudizi è stato oggetto di semplificazione da parte della L.205/00, che ha introdotto la composizione monocratica in primo grado, la possibilità di adottare decisioni in forma semplificata, la perenzione del ricorso trascorsi 10 anni dalla data del deposito, la possibilità anche in tale circostanza del giudizio di ottemperanza.

I rimedi avverso le decisioni della Corte sono:

Opposizione di terzo

Opposizione contabile (o contumaciale): serve a rimediare tardivamente alla mancanza di contraddittorio nei giudizi di conto e di responsabilità contabile

Appello: alle sezioni centrali avverso le decisioni delle sezioni regionali, nei giudizi pensionistici è ammesso solo per motivi di diritto

Ricorso per revocazione

Ricorso in Cassazione. Solo in caso di difetto di giurisdizione


Il Consiglio Supremo della Difesa: è un organo collegiale composto da: Presidente della Repubblica che lo presiede (art. 87 Cost), Primo Ministro, alcuni Ministri, Capo di Stato Maggiore della Difesa. Si riunisce due volte l’anno per studiare e risolvere i problemi politici, tecnici e generali relativi alla difesa nazionale.

Altri Organi Ausiliari dello Stato (non disciplinati dalla Costituzione)

Avvocatura dello Stato: è un organo di carattere ausiliario a competenza generale, cui è affidata istituzionalmente la rappresentanza e difesa in giudizio di tutte le Amministrazioni dello Stato, di quelle non statali e di altri enti se autorizzata per legge o regolamento, delle Regioni se deliberato dal Consiglio, delle società private concessionarie dello Stato. Inoltre può difenderei dipendenti pubblici nei giudizi e penali per cause di servizio, su richiesta dell’Amministrazione di appartenenza e sempre che l’Avvocato generale lo reputi opportuno. Difende l’Italia davanti alle giurisdizioni internazionali. E’ competente davanti al GO, al GA, ai giudici speciali e ai collegi arbitrali. Svolge anche funzioni di consulenza, predispone transazioni, cura la tutela legale dei diritti e degli interessi dello Stato, esamina progetti di legge, prepara contratti, previene le liti, esprime pareri.

E’ stata istituita dal RD 3282/1923, la L103/79 l’ha posta alle dirette dipendenze del Presidente del Consiglio dei Ministri, cui è gerarchicamente subordinata, si compone di un corpo di avvocati, reclutati per concorso e assunti con rapporto di pubblico impiego. Per compiere gli atti del loro ufficio essi non hanno bisogno di procura dell’amministrazione, poiché il mandato di rappresentanza è loro attribuito dalla legge per qualsiasi atto processuale.

Si compone di un’Avvocatura Generale, con sede a Roma, e di Avvocature Distrettuali da essa dipendenti, con sedi presso le Corti d’Appello. A capo dell’Avvocatura di Stato è posto l’Avvocato Generale dello Stato, cui la L45/04 ha affiancato l’Avvocato Generale Aggiunto.

Gli Enti Pubblici

Sono persone giuridiche o gruppi organizzati (enti di fatto) che l’ordinamento considera titolari di situazioni giuridiche.

Sono pubbliche le persone giuridiche che un atto giuridico dichiara espressamente tali, quindi la costituzione o il riconoscimento degli enti pubblici deve fondarsi sempre sulla legge, statale o regionale (criterio nominalistico).

L’Ente pubblico si caratterizza per: personalità giuridica di diritto pubblico, fine pubblico e sottoposizione all’influenza pubblica.

L’ente pubblico può trasformarsi in ente privato, o se si estingue, può subentrargliene un altro per successione.

Gli Enti Autarchici si distinguono in:

Enti territoriali: sono enti che vantano una certa popolazione fra i loro elementi costitutivi (es: regione, Provincia, Comune, ecc). Perseguono interessi a rilevanza locale. Per questo motivo non vengono annoverati fra di essi ad esempio le autorità portuali, poiché pur operando in ambito locale perseguono interessi di rilevanza nazionale.

Enti Istituzionali: sono previsti dalla legge, ma non hanno base territoriale. A loro volta si distinguono in:

Enti Strumentali: perseguono interessi propri dello Stato, curando attività molto simili a quelle statali (es. Banca d’Italia, Istat, Università, ecc).

Enti Ausiliari: realizzano fini propri dello stato, ma non esclusivi, perché generalmente non essenziali al concetto stesso di Stato (es: Inps, Inail, ecc)


Gli Enti privati di interesse pubblico sono enti inseriti in ordinamenti settoriali dello Stato e sono soggetti a controlli e vigilanza, si tratta di cooperative, enti culturali, ricreativi, filantropici, o sovvenzionati dallo stato.

Gli Enti pubblici economici (EPE) sono enti a statuto di specie, che operano nel campo della produzione o dello scambio di beni o servizi come degli imprenditori, ma hanno personalità giuridica di diritto pubblico. La contabilità, i bilanci, i rapporti con i dipendenti e con i terzi sono regolati dal diritto privato, mentre il loro rapporto con lo Stato (che esercita su di essi potere di indirizzo e vigilanza) o con l’ente pubblico di riferimento è disciplinato dal diritto pubblico. Sono soggetti a iscrizione nel Registro delle imprese, ma sono sottratti al fallimento. Molti di essi (Iri, Eni, Enel, Ina) con la L359/92 sono stati privatizzati e trasformati in SpA.

Le Corporazioni sono strutture associative nelle quali prevale l’elemento personale, mirano alla realizzazione degli interessi dei consociati. Si distinguono in associazioni (se il loro scopo principale non è di natura economica: es. associazioni culturali) e società, se perseguono uno scopo lucrativo o mutualistico.

Le Fondazioni sono istituzioni nelle quali prevale l’elemento patrimoniale, infatti nel loro atto costitutivo un patrimonio viene vincolato al perseguimento di un certo scopo. Si costituisce mediante un negozio di fondazione che ha come contenuto la volontà del fondatore a che sorga la fondazione. Spesso vengono costituite mortis causa. Accanto al negozio di fondazione si pone l’atto di dotazione, con cui viene assegnato il patrimonio. Vengono regolate da uno statuto. Esse forniscono servizi ai beneficiari, ma non hanno natura associativa. Sono persone4 giuridiche di diritto privato.

La L388/00, art 59, co.3, e il successivo DPR 254/01, hanno autorizzato le Università statali a costituire fondazioni di diritto privato allo scopo di acquistare beni e servizi sul mercato, nonché per lo svolgimento di attività strumentali alla didattica e alla ricerca. Tale norma è stata fortemente criticata, perché costituisce un mezzo per aggirare le normative comunitarie sulle procedure di evidenza per gli acquisti.

Le Amministrazioni Indipendenti: sono enti o organi pubblici dotati di sostanziale indipendenza dal Governo, aventi funzione tutoria di interessi costituzionali, in campo socialmente rilevante.

La funzione tutoria consiste nella regolamentazione e tutela di interessi collettivi in campi in cui il contemperamento dei vari interessi in gioco sia particolarmente delicato, di qui la necessità di porsi in posizione indipendente dal Governo, e quindi scevra da condizionamenti politici.

Esse sono:

Difensori civici Regionali, Provinciali, Comunali: hanno funzione tutoria degli interessi legittimi, semplici e di fatto dei cittadini. Esercitano un controllo facoltativo e sostitutivo in caso di inerzia relativa ad atti per legge obbligatori.

Autorità garante per la Concorrenza e il mercato: (L287/90) ha potere di indagine e denuncia agli organi comunitari. Avverso i suoi atti è esperibile ricorso innanzi al GA.

Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas: L 481/95) irroga sanzioni pecuniarie e amministrative, dispone ispezioni, ha potere di osservazione. Avverso i suoi atti è esperibile ricorso innanzi al GA.

Autorità garante per le comunicazioni: (L 481/95-L249/97) giudica sui reclami degli utenti, irroga sanzioni pecuniarie e amministrative, dispone ispezioni, ha potere di osservazione. Avverso i suoi atti è esperibile ricorso innanzi al GA.

Garante per i dati personali: (L 675/96) è competente in materia di autorizzazione al trattamento di dati sensibili, controllo delle banche dati informatiche, codici di autoregolamentazione.

Commissione di garanzia per l’attuazione della L 146/90(sciopero): ha poteri di controllo, propositivi e decisori sulle controversie sindacali, con efficacia erga omnes.

Autorità per la Vigilanza sui lavori pubblici: (L 109/94):controlla sulla partecipazione, lo svolgimento e l’affidamento degli appalti pubblici, può irrogare sanzioni a chi rifiuta di esibire documenti in materia.

Autorità per l’Informatica nella pubblica amministrazione (AIPA): (D.Lgs 39/93)

CONSOB (Commissione Nazionale per la Società e la Borsa): istituita nel 1974, con la L 281/85 ha acquistato personalità giuridica. Ha funzione di regolamentazione (potere regolamentare esterno) e vigilanza sul mercato mobiliare. Ha poteri di ispezione e controllo sulle società quotate in borsa e ammette essa stessa le società alla quotazione.

ISVAP (Istituto Superiore di Vigilanza sulle Assicurazioni Private): ( L576/82) Ha personalità giuridica.


Le Agenzie Autonome: pur essendo dotate di un’autonomia più o meno ampia, non godono di una vera e propria indipendenza dal Governo (questa è la principale differenza rispetto alle Amministrazioni Indipendenti). Operano in campi spiccatamente tecnici e spesso hanno autonoma personalità giuridica. Esse sono:

ARAN (Agenzia per la rappresentanza negoziale nella PA) (D Lgs 29/93) rappresenta la PA nella contrattazione collettiva, esercita tutte le attività relative alle relazioni sindacali e alla negoziazione dei contratti collettivi, acquisisce i pareri dei comitati di settore in fase di contrattazione, trasmette la quantificazione dei costi contrattuali alla Corte dei Conti, sottoscrive i contratti. Le pubbliche amministrazioni possono avvalersi della sua assistenza anche ai fini della contrattazione integrativa. Essa inoltre interviene nelle vertenze di lavoro allo scopo di assicurare la corretta interpretazione dei contratti.

Autorità garante per la Cinematografia

ANPA (Agenzia Nazionale per la protezione dell’Ambiente)

Agenzia Autonoma per la Gestione dell’Albo dei Segretari Comunali e Provinciali


Aziende e Amministrazioni Autonome rappresentano un fenomeno eterogeneo di soggetti dotati di ampia autonomia ma privi di personalità giuridica:

Monopoli di Stato

Archivi Notarili

Istituto Agronomico dell’Oltremare

Edifici di Culto

Azienda di Stato per le foreste demaniali


Gli Enti Tettitoriali

La materia delle autonomie locali è attualmente disciplinata dal TUEL 267/00 (testo unico degli Enti Locali, che ha finalmente accorpato tutte le normative che si sono succedute a partire dalla L 142/90 che per prima ha riformato in modo radicale la disciplina degli Enti Locali. In tale ambito importantissime sono anche le leggi Costituzionali 1/99 e 3/01, che hanno riscritto il titolo V della Costituzione attuando quello che si può definire federalismo regionale a costituzione invariata.

Gli Enti territoriali si caratterizzano per l’autonomia politica: essi sono infatti titolari di interessi propri, che possono anche essere diversi (come indirizzo politico-amministrativo) da quelli Statali, essendo invece rappresentativi della comunità locale loro associata. L’autonomia politica si configura come libertà di autodeterminazione dei fini da perseguire.

Gli enti territoriali si possono definire anche come enti esponenziali, poiché le popolazioni residenti in un dato territorio trovano nelle comunità organizzate alle quali necessariamente e spontaneamente appartengono (gli enti territoriali), le strutture organizzative e decisionali destinate a farsi carico dei loro bisogni e delle loro esigenze.

A partire dalla L.142/90, essi non sono più visti come strutture decentrate dello stato, ma come Enti autonomi con pari dignità tra di loro e rispetto allo Stato.

Un importante principio ispiratore della riforma è il principio di sussidiarietà, inteso nella duplice accezione di sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale. La sussidiarietà verticale consiste nell’assunto secondo cui il potere deve nascere dal basso, per cui si riservano all’autorità statale solo le competenze che, avendo carattere sovralocale, non possono essere svolte a livello periferico, mentre tutte le altre vengono allocate al livello territoriale di governo il più possibile vicino al cittadino. Nella sua accezione orizzontale il principio di sussidiarietà consiste nell’attribuire, in un certo ambito territoriale, la competenza all’autorità o all’ente più vicino ai bisogni del cittadino e che sia in grado di esercitare il più efficientemente possibile l’attività in questione: tale principio in effetti investe i rapporti fra pubblico e privato, sancendo l’assunto secondo il quale una certa attività di pubblico interesse può essere svolta da soggetti privati tutte le volte che ciò sia più conveniente per il cittadino, sempre che non sia un’attività per legge riservata alla competenza della PA.

Le Regioni:

Nella ns. Repubblica esistono 20 regioni, di cui 5 a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia) e 5 a statuto ordinario.

Sono Enti pubblici costituzionali a fini generali (cioè politici) territoriali, godono di autonomia statutaria, di indirizzo politico, legislativa, amministrativa e finanziaria.

Gli statuto delle Regioni speciali sono stati approvati con legge costituzionale, quelli delle regioni a statuto ordinario con legge regionale[10].

Con la legge cost. 3/01 è stato completamente ribaltato il precedente criterio di attribuzione della competenza legislativa concorrente fra Regioni e Stato. Oggi la Costituzione, all’art.117, individua in maniera esatta le materie di competenza statale, attribuendo tutte le altre alla potestà legislativa delle regioni. La potestà regolamentare segue quella legislativa. E’ stato soppresso il Commissario di Governo e le funzioni da lui esercitate, ma ciò è stato bilanciato dall’introduzione dell’obbligo di motivazione per le leggi statali e regionali, con particolare riferimento alla sussistenza delle condizioni che giustificano l’esercizio della funzione legislativa. E’ poi previsto un potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni in caso di inadempimento degli obblighi scaturenti dalla normativa comunitaria. Lo Stato inoltre esercita nei confronti delle Regioni poteri di coordinamento tecnico, ma mai politico.

Alle Regioni, inoltre, è stata riconosciuta soggettività autonoma di diritto internazionale, infatti possono autonomamente concludere accordi e intese con altri Stati.

Il novellato art.116 Cost introduce il principio del regionalismo differenziato, con riferimento alle Regioni a statuto ordinario: a ciascuna Regione, infatti, viene attribuita la possibilità di negoziare con lo Stato forme e condizioni particolari di autonomia, che incidono, soprattutto, sul piano amministrativo e finanziario, ma che possono estendersi anche al versante legislativo.

Per quanto riguarda l’autonomia finanziaria delle Regioni, essa si concretizza in autonomia di spesa e di bilancio, esse possono contare, per quanto riguarda il versante delle entrate, di una finanza ordinaria e una straordinaria (L 133/99).

Nuove Regioni possono essere istituite con legge costituzionale, e devono avere una popolazione di almeno un milione di abitanti.

Gli organi della Regione sono: il Consiglio Regionale, che dura in carica 5 anni, la Giunta Regionale, organo esecutivo i cui membri sono nominati dal Presidente, e il Presidente della Regione, che presiede anche la Giunta, il quale, è eletto dal corpo elettorale regionale a suffragio universale e diretto, a meno che lo statuto, nella sua autonomia, non disponga diversamente.



Enti Locali: con la legge cost. 3/01 acquisiscono rilievo a livello costituzionale, hanno autonomia statutaria e politica. Sono stati per la prima volta valorizzati e riformati dalla L.142/90, oggi confluita nel TU 267/00. Fra i vari Enti Locali, solo i primi tre di seguito elencati hanno oggi rilievo costituzionale.

Comune: è ente originario per eccellenza, in quanto storicamente preesistente allo Stato, nonché ente territoriale di base. Gli spettano la maggior parte dei compiti amministrativi e dei servizi in favore del cittadino, e, soprattutto, la rappresentanza della propria comunità, la cura dei suoi interessi e la promozione dello sviluppo locale.

L’istituzione di nuovi Comuni avviene con legge regionale e, salvo i casi di fusione fra Comuni preesistenti, non si possono istituire nuovi Comuni con popolazione inferiore ai 10mila abitanti.

Nei Comuni derivanti da fusione di preesistenti Comuni, si possono istituire i Municipi che sono organismi di decentramento e di partecipazione.

Le Circoscrizioni sono istituite obbligatoriamente nei Comuni con più di 100mila abitanti, e facoltativamente in quelli con popolazione compresa fra i 30mila e i 100mila abitanti, esse sono forme di decentramento volte a garantire partecipazione, consultazione e gestione dei servizi di base.

Gli organi del Comune sono: il Consiglio Comunale, organo di indirizzo e controllo politico-amministrativo con competenza esclusiva rispetto ad alcuni atti fondamentali (elegge al suo interno il suo Presidente); la Giunta Comunale, che ha compiti propositivi e di impulso (presieduta dal Sindaco), e il Sindaco, eletto a suffragio universale e diretto con sistema maggioritario nei Comuni con popolazione fino a 15mila abitanti, proporzionale con premio di maggioranza negli altri.

Nel Sindaco si realizza un ipotesi di riunione reale di uffici, in quanto egli da una parte è il vertice dell’Amministrazione comunale, e dall’altra è ufficiale di Governo e rappresenta lo Stato all’interno del Comune. Come vertice del Comune il Sindaco rappresenta l’Ente, convoca e presiede la Giunta, sovrintende al funzionamento di uffici e servizi, coordina gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nomina e revoca i rappresentanti del Comune, nomina i responsabili degli uffici e dei servizi, attribuisce e definisce gli incarichi dirigenziali. Come ufficiale di Governo è competente in materia di: stato civile, anagrafe, leva militare, servizi elettorali, statistica, ordine pubblico e, qualora non sia presente un commissariato di polizia, anche pubblica sicurezza. Dura in carica 5 anni e dopo aver ricoperto due mandati consecutivi non è immediatamente rieleggibile, a meno che uno dei due mandati precedenti non abbia avuto durata inferiore a 2 anni, 6 mesi e 1 giorno per causa diversa dalle dimissioni volontarie.

Altro organo del Comune è il Segretario Comunale, che è un funzionario pubblico, dipendente dall’Agenzia nazionale dei Segretari Comunali, iscritto in un apposito Albo nazionale, ha compiti di collaborazione e assistenza giuridico-amministrativa all’Ente Locale, in particolare verifica la conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo Statuto e ai regolamenti, assiste e cura la verbalizzazione delle sedute di Giunte e Consigli, roga i contratti: in sostanza è il garante della legalità e della correttezza amministrativa, nonché il notaio del Comune. Dipende funzionalmente dal Sindaco, che lo sceglie discrezionalmente fra gli iscritti all’Albo. Allo scadere del mandato del Sindaco resta in carica e il successivo Sindaco potrà confermarlo o sceglierne un altro dall’Albo, nel qual caso il primo entra in disponibilità per essere assegnato ad altri Comuni o all’Agenzia stessa. Nei Comuni con più di 15mila abitanti il Sindaco può nominare un Direttore Generale, con funzioni di direzione e coordinamento dei dirigenti, con contratto a tempo determinato ed incarico fiduciario. Tale incarico può essere conferito anche al Segretario Comunale. I Dirigenti Comunali hanno la direzione di uffici e servizi e effettuano gli atti di impegno dell’Amministrazione verso l’esterno; nei comuni privi di dirigenti le relative attribuzioni vengono esercitate dai responsabili degli uffici e dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica.

Lo statuto del Comune può prevedere l’istituzione del Difensore Civico, che interviene d’ufficio o su istanza dei privati, per segnalare abusi, disfunzioni, carenze e ritardi dell’Amministrazione nei confronti dei cittadini.

Provincia: è ente intermedio fra Regione e Comune, coordina la promozione dello sviluppo delle comunità locali e ha quindi importanti compiti di programmazione. In particolare, ai sensi dell’art. 19 del TUEL, essa è competente in materia di tutela e valorizzazione di: suolo e ambiente, risorse idriche ed energetiche, beni culturali, nonche in materia di: viabilità e trasporti, flora e fauna, parchi e riserve naturali, caccia e pesca, acque interne, smaltimento dei rifiuti, servizi sanitari, igiene e profilassi pubblica, istruzione secondaria, formazione professionale, edilizia scolastica, protezione civile, risparmio energetico, autoscuole, industria. In materia urbanistica è competente a predisporre ed adottare il piano territoriale di coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio, quindi verifica altresì la compatibilità con lo stesso degli strumenti di pianificazione territoriale dei Comuni.

La Provincia può istituire dei Circondari, in base all’ampiezza e alle caratteristiche del territorio, alle esigenze della popolazione e alla funzionalità dei servizi. Altre strutture di decentramento sono le Circoscrizioni Provinciali. L’eventuale istituzione di nuove provincie avviene con legge statale, su iniziativa dei Comuni interessati e sentita la Regione competente.

Organi della Provincia sono: il Consiglio Provinciale; la Giunta Provinciale; il Presidente della Provincia, eletto a suffragio universale e diretto, che rappresenta la Provincia e presiede la Giunta; il Segretario Provinciale, il Direttore Generale e il Difensore Civico.

Città Metropolitana: è uno speciale tipo di provincia con poteri notevolmente più ampi e vicini a quelli comunali, istituite a partire dalle Aree metropolitane, su iniziativa dei comuni interessati (la proposta è sottoposta a referendum popolare in ciascun Comune partecipante). La Città Metropolitana, una volta istituita, acquisisce le funzioni della provincia e, se il suo territorio non coincide con quello di una Provincia si procede ad una nuova delimitazione del territorio. Attualmente sono considerate Aree metropolitane (D lgs 267/00) le zone comprendenti i Comuni di: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari e Napoli. La concreta delimitazione delle Aree metropolitane spetta alla Regione.

Comunità Montana: è un’unione di Comuni montani e parzialmente montani, anche appartenenti a Province diverse, costituiti per la valorizzazione delle zone montane per l’esercizio di funzioni proprie, di funzioni delegate e per l’esercizio associato delle funzioni comunali. E’ istituita con decreto del Presidente della Regione. Sono esclusi da essa i Comuni capoluogo di Provincia, e quelli con popolazione superiore a 40mila abitanti. Suoi organi sono. Un organo rappresentativo, un organo esecutivo e il Presidente

Comunità Isolana: è analoga nelle caratteristiche e nella disciplina giuridica alla comunità montana ed è costituita da più Comuni situati su un’unica isola o su più isole di un arcipelago. Sono escluse la Sicilia e la Sardegna.

Unione di Comuni: è un Ente Locale costituito da due o più Comuni, di norma contermini, allo scopo di esercitare congiuntamente una pluralità di funzioni. L’atto costitutivo e lo statuto dell’Unione sono approvati dai Consigli dei Comuni partecipanti con le procedure e le maggioranze previste per le modifiche statutarie.

L’unione può essere tendenzialmente stabile o preliminare ad una fusione fra Comuni.

Il Pubblico Impiego

Quadro normativo di riferimento

: a tale epoca risale la prima disciplina organica della materia e viene sancita la competenza del consiglio di stato in detta materia. Vi era una forte valenza della gerarchia. I dipendenti erano divisi in gruppi cui corrispondevano diversi livelli stipendiali.

Art.51 Cost: sancisce il principio secondo cui tutti i cittadini possono accedere al pubblico impiego

Art.97 Cost: sancisce il principio secondo cui i pubblici uffici sono organizzati secondo la legge, nonché il principio di buon andamento dell’attività amministrativa e l’accesso tramite concorso pubblico.

Art.98Cost: sancisce il principio secondo cui i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, quindi totalmente apolitici ed apartitici.

TU 3/57: (Statuto per gli impiegati civili dello Stato). Prevedeva 4 carriere (direttiva, di concetto, esecutiva, ausiliaria) articolate in qualifiche, alla prima si accedeva per concorso, alle altre per promozione.

L 300/70: (Statuto dei Lavoratori). Inizialmente non si applicava a tutti i dipendenti pubblici, ma solo a quelli degli Enti Pubblici economici, poi è stato esteso a tutti con la L 93/83.

DPR 748/72: disciplina la carriera dirigenziale (scorporandola da quella direttiva), articolandola in 3 livelli: dirigente generale, dirigente superiore, primo dirigente.

L 312/80: introduce le qualifiche funzionali[11], articolate in classi e scatti stipendiali, oggi sostituite, ad opera dei contratti collettivi, dalle aree, articolate in differenti posizioni economiche.

Legge Quadro 93/83: introduce la contrattazione collettiva nel pubblico impiego, prima regolato da atti autoritativi unilaterali della PA. Era però comunque richiesto l’atto di recepimento del contratto collettivo, affinché questo potesse divenire efficace.

L 554/88: introduce il part-time nel pubblico impiego.

L 421/92: delega al Governo per la razionalizzazione e la riduzione del costo del lavoro pubblico. Sancisce il principio secondo il quale “i rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti sono disciplinati dal diritto civile e regolati mediante contratti individuali e collettivi”.

D.lgs.29/93: integra la disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato, tenuto conto della specialità della prima, attuando la cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego. Non si applica a particolari categorie di pubblici dipendenti, quali magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, militari, polizia, diplomatici, dipendenti degli organi costituzionali, e solo in via transitoria, professori universitari. Il contratto collettivo di lavoro diviene fonte diretta del rapporto di lavoro, per cui non è più necessario né l’atto di recepimento né il provvedimento di nomina. Viene istituita l’ARAN. La contrattazione collettiva viene decentralizzata e articolata per settori su 3 livelli: contratto collettivo quadro (che definisce disciplina e durata), contratto collettivo nazionale di comparto e contratto collettivo decentrato (a livello di singola amministrazione). Viene poi sancita la distinzione [12]fra politica e gestione. La carriera dirigenziale viene articolata non più su tre livelli ma su due: dirigente e dirigente generale. Molte materie sono demandate alla competenza giurisdizionale del GO. Il costo del lavoro viene ridotto per uniformarsi agli standard europei.

DPR 487/94: detta norme in tema di svolgimento del pubblico concorso.

DM 31/3/94: introduce il Codice di Comportamento dei pubblici dipendenti, che viene allegato ai contratti e consegnato al dipendente all’atto dell’assunzione. Contiene, fra l’altro , una tipizzazione di comportamenti scorretti che possono dar luogo a responsabilità disciplinare.

L 59/97: (Bassanini) estende il regime di diritto privato anche ai dirigenti, potenzia l’ARAN, prevede maggiore mobilità per i dipendenti pubblici.

L 127/97: (Bassanini bis) disciplina la dirigenza, conferisce immediata esecutività alle determine dirigenziali, rafforza la distinzione fra attività politica e attività amministrativa.

D.Lgs 80/98: individua il GO quale Giudice del Lavoro, nella persona del Pretore, e gli devolve tutte le competenze in materia di comportamento antisindacale della PA. Disciplina la mobilità e le mansioni. Rafforza la distinzione fra politica e gestione definendo le competenze dei Ministri e quelle dei dirigenti (i Ministri non possono più annullare o avocare a sé atti di competenza dei dirigenti).

DPR 150/99: introduce il ruolo unico interministeriale per i dirigenti statali.

D.Lgs 165/01: (Legge generale sul Pubblico Impiego). La prima parte ha funzione di riordino, la seconda funzione demolitivi, poiché fissa le abrogazioni e le disapplicazioni. Prevede due livelli di contrattazione collettiva. Contratto collettivo nazionale di comparto e contratto integrativo a livello di singola amministrazione.

L.145/02: riforma la dirigenza prevedendo maggiori responsabilità e maggiore interscambio fra dirigenza pubblica e privata; introduce la vicedirigenza, cui in futuro si dovrà dedicare un’autonoma area contrattuale. Ripristina ruoli dirigenziali distinti per ciascuna PA.


Il rapporto di pubblico impiego si concretizza in un rapporto di servizio, ossia un rapporto giuridico intersoggettivo che legittima l’inserimento di una persona fisica al servizio di un ente pubblico. Si costituisce normalmente di diritto, ossi sulla base di un regolare atto di assunzione, in alcune ipotesi può costituirsi di fatto.

Il rapporto di pubblico impiego è di norma volontario, in alcune ipotesi si parla anche di rapporto coattivo, come nel caso della leva militare obbligatoria (peraltro oggi abolita), tali ipotesi trovano applicazione solo nei casi tassativamente previsti dalla legge.

Il rapporto di servizio volontario può essere impiegatizio oppure onorario, cioè quando discende da incarico elettivo o onorifico: in tal caso è temporaneo e ha come contropartita non una retribuzione ma un indennizzo.

Il rapporto di pubblico impiego si caratterizza per il fatto  che il datore di lavoro deve essere lo Stato o un Ente Pubblico non economico e i compiti del lavoratore devono essere inerenti ai fini istituzionali dell’Ente, inoltre il rapporto deve essere continuativo. Esso inoltre si distingue per il fatto di essere intuitu personae, bilaterale (vi sono diritti ed obblighi da ambo le parti) e con subordinazione gerarchica del dipendente.

Ogni amministrazione ha la sua pianta organica, che individua il complesso delle posizioni lavorative dell’Ente, mentre la dotazione organica individua il numero complessivo di posti assegnati a ciascuna amministrazione. I ruoli rappresentano i posti caratterizzati da stabilità e permanenza nel tempo presenti in pianta organica. Ogni tre anni si procede a ridefinizione delle dotazioni organiche sulla base della programmazione triennale del fabbisogno di personale.

I dipendenti sono raggruppati in aree (es: area amministrativa-gestionale, area tecnica, ecc), che hanno sostituito le qualifiche funzionali. Le aree, introdotte dai contratti collettivi, rispondono all’esigenza di garantire una maggiore flessibilità operativa. Al loro interno sono articolate in profili professionali e in categorie, a loro volta articolate in posizioni economiche. Il contratto ministeriale prevede tre categorie, A, B e C, quello dell’università quattro: B, C, D, EP.

La progressione economica all’interno della categoria (es. da B1 a B2) è detta progressione orizzontale, quella da una categoria all’altra (es. da B a C) è detta progressione verticale, e avviene per concorso interno.

L’accesso al pubblico impiego avviene, di norma, sulla base di pubblico concorso (art.97 Cost), per il personale di qualifica dirigenziale è previsto un doppio canale di accesso: oltre al concorso vi è infatti anche il corso-concorso presso la Scuola Superiore della PA.

Le procedure concorsuali per l’accesso ai Ministeri di norma sono decentrate a livello regionale. Secondo la sentenza TAR Lazio 536/03 esiste un obbligo a carico dell’amministrazione (per ragioni di economia) di utilizzare per scorrimento le graduatorie concorsuali valide attingendo da esse gli idonei qualora si rendessero vacanti altri posti. Secondo alcuni tali graduatorie non sarebbero invece utilizzabili per coprire nuovi posti discendenti da implementazione della pianta organica.

Il ricorso al concorso non è obbligatorio per profili per i quali sia richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo, in tal caso l’assunzione avviene mediante avviamento degli iscritti alle liste di collocamento.

La L 482/68, poi confluita nel D.Lgs 168/01, prevede l’assunzione obbligatoria tramite collocamento di soggetti disabili nella misura del 7% dei lavoratori occupati se vi sono più di 50 dipendenti, due disabili se vi è un numero di dipendenti compreso fra 36 e 50 e 1 se vi sono meno di 36 dipendenti.

Requisiti di ammissione al pubblico impiego sono: cittadinanza italiana, maggiore età, idoneità fisica all’impiego, godimento dei diritti politici, titolo di studio di volta in volta richiesto. In passato era previsto un limite massimo di età, oggi abolito. Per alcune professioni, come ad es. la magistratura, è richiesto l’ulteriore requisito della condotta e delle qualità morali.

Dopo l’assunzione vi è un periodo di prova variabile fra 3 e 6 mesi, dopo il quale avviene l’immissione in ruolo retrodatata alla data di assunzione.

Ai sensi della L3/03 i pubblici dipendenti devono essere sottoposti a formazione continua e ricorrente, e annualmente deve essere predisposto un piano di formazione del personale.

I doveri del dipendente sono definiti dal Codice di comportamento uniforme adottato dal Dipartimento della Funzione Pubblica, e dai codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni allegati ai contratti integrativi. In sostanza consistono in: dovere di fedeltà alla Repubblica; dovere di diligenza; dovere di obbedienza al superiore gerarchico (in caso di ordine illegittimo il dipendente deve fare presente l’illegittimità ed è tenuto ad eseguire l’ordine qualora questo sia impartito per iscritto, salvo il caso che il fatto costituisca reato); dovere di rispetto del segreto di ufficio; rispetto dell’orario di servizio; divieto di utilizzare a fini personali cose d’ufficio; obbligo di comunicare tempestivamente la malattia; Dovere di imparzialità; obbligo di efficienza; obbligo di semplificazione.

I diritti del dipendente si distinguono in patrimoniali e non patrimoniali. Quelli patrimoniali, a loro volta, si distinguono in contestuali (diritto alla retribuzione a sua volta distinta in periodica come lo stipendio e non periodica come la produttività individuale e collettiva) e successivi (diritto al trattamento di previdenza e quiescenza). Il trattamento economico è definito dai contratti collettivi, l’aggiornamento delle retribuzioni del personale contrattualizzato avviene, soppresso ogni automatismo, con accordi a cadenza biennale.

I diritti non patrimoniali sono: diritto all’ufficio (diritto a non essere rimosso dal proprio ufficio se non nei casi e con le modalità previste dalla legge, tale diritto è stato affievolito[13] per effetto degli artt. 33 e 34 del D.Lgs 165/01 che prevedono la definitiva risoluzione del rapporto di lavoro dei dipendenti in eccedenza dopo che siano invano state tentate, per 2 anni, le procedure di mobilità collettiva); diritto alla funzione (diritto a esercitare le funzioni inerenti alla propria qualifica o mansioni equivalenti ); diritto al trasferimento (non è un vero e proprio diritto, ma un interesse che l’amministrazione può valutare discrezionalmente); diritto di sciopero (la L146/90 regolamenta tale diritto con particolare riferimento ai servizi pubblici essenziali).

La responsabilità del pubblico dipendente può essere penale, civile e amministrativa e si concretizza, in ogni caso, in responsabilità disciplinare. Affinché sorga è necessario che il comportamento del dipendente sia stato doloso o colposo, e in ogni caso è esclusa la responsabilità per colpa lieve. La colpa grave si concretizza in: imprudenza, imperizia e negligenza.

Si ha responsabilità penale quando la trasgressione dei doveri d’ufficio integra gli estremi di un reato. I reati propri sono quelli commessi dai pubblici ufficiali o dagli incaricati di pubblici servizi. Ne sono esempi la corruzione (offrire denaro o altra utilità per ottenere qualcosa,), la concussione (pretendere denaro o altra utilità per assolvere ad un obbligo di servizio o, al contrario per ometterlo, ad esempio non fare un controllo che per legge sarebbe obbligatorio), il peculato (appropriazione indebita di denaro pubblico di cui si dispone per ragioni d’ufficio) e il peculato d’uso (es. il vigile urbano che utilizza a fini personali l’autovettura di servizio).

Si ha responsabilità civile quando la trasgressione dei doveri d’ufficio provoca un danno per l’ente pubblico o per un terzo che poi la PA debba ristorare (responsabilità patrimoniale) con conseguente obbligo di risarcire il danno, è una forma di responsabilità contrattuale.

Si ha responsabilità amministrativa[15] quando la trasgressione dei doveri d’ufficio comporti un danno patrimoniale per l’ente pubblico. In tale ambito si inquadra anche la responsabilità contabile, che sorge in caso di violazione di norme sui procedimenti di spesa e sulla custodia del denaro pubblico da parte di chi ne sia abilitato al maneggio. I relativi giudizi si svolgono innanzi alla Corte dei Conti.

La responsabilità disciplinare consiste in qualsiasi violazione del dovere di ufficio ed è inquadrabile nell’ambito della responsabilità contrattuale.

Per il personale non contrattualizzato le sanzioni sono quelle previste dal TU 3/57, ossia: censura, riduzione dello stipendio, sospensione dalla qualifica, destituzione.

Per il personale contrattualizzato, invece, la tipologia delle infrazioni e le relative sanzioni sono individuate dai contratti collettivi. Le sanzioni attualmente previste dagli stessi sono: rimprovero verbale, rimprovero scritto, multa con importo variabile fino a 4 ore di retribuzione, sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino a 10 giorni, sospensione dal lavoro e dalla retribuzione da 11 giorni a 6 mesi, licenziamento con preavviso, licenziamento senza preavviso.

Ad eccezione del rimprovero verbale, le contestazioni devono essere fatte per iscritto entro 20 gg. dal momento in cui l’ufficio istruttore è venuto a conoscenza del fatto e dopo aver ascoltato il dipendente, che può farsi assistere da un procuratore o da un sindacalista. Nell’irrogazione della sanzione si tiene conto di fattori quali. Intenzionalità del comportamento, sussistenza di aggravanti o attenuanti, comportamento complessivo del lavoratore, ecc. Con il consenso del dipendente si può procedere ad un patteggiamento, che consiste nella riduzione della sanzione con contestuale rinuncia all’impugnazione. Se non si procede a patteggiamento il dipendente entro 20 giorni può impugnare la sanzione innanzi al Collegio Arbitrale di Disciplina dell’amministrazione presso cui lavora (composto da 2 rappresentanti dell’Amministrazione e 2 rappresentanti dei dipendenti, più un Presidente esterno), che a sua volta emette la decisione entro 90 gg.

Per i dirigenti è previsto che in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi o di inosservanza di direttive degli organi politici, vi sia la sanzione dell’impossibilitàà di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale, o, nei casi più gravi, la revoca dell’incarico e il recesso dal rapporto di lavoro.

Qualora oltre alla responsabilità disciplinare si configuri anche quella penale il contratto collettivo prevede che il procedimento disciplinare resti sospeso durante il processo penale; qualora vi sia una misura restrittiva della libertà personale è prevista obbligatoriamente la sospensione del dipendente dal servizio, in ogni caso la sospensione dal servizio può essere facoltativamente disposta, anche al di fuori del processo penale, per le infrazioni che se accertate comportino il licenziamento qualora vi siano fondati motivi che la presenza in ufficio del dipendente possa arrecare danni all’Amministrazione. In tal caso si parla di sospensione cautelare in corso di procedimento disciplinare. Al dipendente sospeso in corso di procedimento penale è corrisposta un’indennità pari al 50% della retribuzione fissa mensile esclusi i compensi accessori e gli assegni per il nucleo familiare. Al dipendente facoltativamente sospeso in corso di procedimento disciplinare compete invece l’intera retribuzione, e la sospensione non può superare i 30 gg.

Le modificazioni del rapporto di pubblico impiego si distinguono in soggettive, quando investono i soggetti del rapporto, e oggettive, quando investono il contenuto dello stesso.

Per quanto riguarda le prime attengono alla sola PA (successione di un ente all’altro, accorpamento di più enti, trasferimento delle funzioni di un ente ad altro ente, ecc), essendo il rapporto di pubblico impiego intuitu personae.

Per quanto riguarda le seconde, possono riguardare il contenuto del diritto patrimoniale (progressione economica) o della prestazione lavorativa (mutamento di mansioni), oppure possono determinare una sospensione dell’obbligo di rendere la prestazione lavorativa (aspettativa e collocamento in disponibilità) o l’obbligo di renderla ad altro ente (comando, distacco, collocamento fuori ruolo, temporaneo servizio all’estero).

L’aspettativa può essere concessa per: servizio militare; motivi personali (massimo 2 anni in tutta la vita lavorativa); mandato parlamentare, amministrativo o sindacale, studio, ecc. Tale istituto comporta la sospensione dell’obbligo di rendere la prestazione lavorativa e nella maggior parte dei casi la privazione della retribuzione e del maturare dell’anzianità di servizio[16].

Il collocamento in disponibilità può essere attivato quando venga ridotto o soppresso il ruolo organico di un ufficio e dopo conclusione infruttuosa delle procedure di mobilità collettiva, o immediatamente in caso di eccedenze per un numero inferiore a 10 unità.

Il comando si ha quando il dipendente viene chiamato a prestare servizio presso un’amministrazione diversa da quella di appartenenza, è un istituto eccezionale che può essere disposto per un periodo determinato di tempo per riconosciute esigenze di servizio o qualora sia richiesta una specifica competenza.

Il distacco si verifica qualora il dipendente presti servizio presso un ufficio diverso da quello di appartenenza per sopperire ad esigenze temporanee o in attesa del provvedimento d trasferimento.

Il collocamento fuori ruolo, istituto eccezionale che deve sempre essere autorizzato per legge, si verifica quando il dipendente viene destinato a svolgere, presso una struttura amministrativa diversa da quella di appartenenza, funzioni attinenti agli interessi della propria amministrazione, ma che non rientrano nei compiti istituzionali ad essa attribuiti. Il trattamento economico può essere di volta in volta a carico dell’amministrazione di provenienza o di destinazione, o ripartito fra di esse.

Per quanto riguarda l’estinzione del rapporto di pubblico impiego, essa può avvenire per motivi inerenti alla disciplina patrizia (superamento del periodo massimo di malattia; licenziamento disciplinare; compimento del limite di età; dimissioni; decesso; annullamento della procedura di reclutamento; dispensa per inidoneità fisica o psichica); e motivi inerenti alla disciplina pubblicistica (decadenza per: perdita della cittadinanza, avvenuta accettazione di missione o altro incarico da parte di un’autorità straniera senza autorizzazione del Ministero competente; sussistere di una causa di incompatibilità).

Le recenti innovazioni normative hanno introdotto anche nella PA forme flessibili di lavoro, quali il lavoro a tempo determinato (per massimo 2 anni, previo concorso), il lavoro part-time (si possono prevedere sia assunzioni part-time, sia la trasformazione volontaria e reversibile, su richiesta del dipendente, di lavoro a tempo pieno in lavoro part-time, entro il limite massimo del 25% del personale a tempo pieno; il part-time può essere orizzontale o verticale, a seconda che la prestazione lavorativa venga resa tutti i giorni per un numero minore di ore, o solo in alcuni giorni della settimana), il telelavoro (flessibilità tecnico-organizzativa), il contratto di formazione e lavoro e il lavoro interinale. Altre forme di lavoro flessibile, peraltro oggi molto poco diffuse, sono il job sharing (lavoro ripartito, lo stesso rapporto di lavoro subordinato, corrispondente a un posto a tempo pieno, viene condiviso da due persone con responsabilità solidale), il job splitting (suddivisione di un posto di lavoro a tempo pieno in due distinti posti di lavoro a tempo parziale), il flexi-time (regolamentazione particolarmente flessibile dell’orario di lavoro).

I dirigenti sono distinti in due fasce: dirigente e dirigente generale. Anche il loro rapporto di lavoro è stato privatizzato e contrattualizzato, ed essi costituiscono un autonomo comparto contrattuale. Essi sono titolari della potestà provvedimentale e hanno la responsabilità in via esclusiva della gestione e dei risultati della stessa, nel pieno rispetto della distinzione fra politica e gestione, infatti i Ministri non possono revocare, riformare o avocare a sé atti di competenza dirigenziale, in caso di inerzia o di grave inosservanza di direttive possono nominare un commissario ad acta che agisca in via sostitutiva. Inoltre non è ammesso ricorso gerarchico al Ministro avverso gli atti dirigenziali. Residua solamente il potere ministeriale di annullamento di atti dirigenziali, ma solo nell’ipotesi di vizio di legittimità. Gli incarichi dirigenziali sono di norma conferiti a tempo determinato con provvedimento amministrativo, mentre la retribuzione è fissata dal contratto individuale che accede al provvedimento medesimo. I dirigenti sono pienamente responsabili della loro attività, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi o di inosservanza di direttive degli organi politici, vi è la sanzione dell’impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale, o, nei casi più gravi, la revoca dell’incarico e il recesso dal rapporto di lavoro. La responsabilità dirigenziale, salvo il caso di inosservanza di direttive, prescinde dalla colpa, poiché discende dalla particolare autonomia gestionale loro attribuita. La valutazione dell’attività dei dirigenti è effettuata dai nuclei di valutazione, sulla base di parametri oggettivi. L’accesso alla qualifica di dirigente avviene per concorso pubblico o per corso concorso presso la Scuola Superiore della PA.

La contrattazione collettiva, introdotta dalla Legge quadro 93/83 e potenziata dal Dlgs29/93, e oggi articolata su due livelli: contratto collettivo nazionale di comparto e contratto integrativo a livello di singola amministrazione. I comparti costituiscono l’unità fondamentale della contrattazione collettiva, e individuano settori omogenei o affini. Gli attuali comparti sono stati definiti con appositi contratti collettivi nazionali quadro. I dirigenti costituiscono un’area contrattuale autonoma, e in futuro lo sarà previsto anche per i vicedirigenti. Continua a sussistere un livello di contrattazione intercompartimentale, sia pure in misura estremamente ridimensionata rispetto a prima, che si esplica con riferimento a istituti comuni a più comparti.

L’ARAN rappresenta la PA nella contrattazione collettiva, esercita tutte le attività relative alle relazioni sindacali e alla negoziazione dei contratti collettivi, acquisisce i pareri dei comitati di settore in fase di contrattazione, trasmette la quantificazione dei costi contrattuali alla Corte dei Conti, sottoscrive i contratti. Le pubbliche amministrazioni possono avvalersi della sua assistenza anche ai fini della contrattazione integrativa. Essa inoltre interviene nelle vertenze di lavoro allo scopo di assicurare la corretta interpretazione dei contratti.

I rappresentanti dei lavoratori nella stipula dei contratti sono le organizzazioni sindacali che abbiano nel comparto o nell’area una rappresentatività non inferiore al 5% come media fra il dato associativo e il dato elettorale. LARAN sottoscrive i contratti collettivi verificando che le organizzazioni sindacali aderenti all’ipotesi di accordo rappresentino nel loro complesso almeno il 51% come media fra dato associativo e dato elettorale o almeno il 60% del solo dato elettorale. L’ARAN procede sulla base degli indirizzi impartiti dai comitati di settore delle PA, una volta acquisita l’ipotesi di accordo e il parere favorevole di detti comitati, trasmette alla Corte dei Conti la quantificazione dei costi contrattuali, ed essa entro 15 gg ne certifica la compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio, in catodi riscontro negativo si procede ad una riapertura delle trattative. I contratti collettivi sono pubblicati sulla gazzetta Ufficiale, quelli integrativi sul Bollettino Ufficiale del Ministro di riferimento.

Tutte le controversie in materia di pubblico impiego sono state devolute al GO (D.Lgs 80/98) in qualità di Giudice del Lavoro, comprese le controversie in materia di comportamento antisindacale della PA. Restano di competenza del GA le controversie relative al personale non privatizzato e le controversie relative alla fase concorsuale, ossia dall’indizione del concorso fino all’approvazione della graduatoria degli idonei e dei vincitori. Tale competenza del GA è, sia pure con alcuni dubbi, riconosciuta anche con riferimento ai concorsi interni.



L’Attività Amministrativa


L’attività amministrativa è l’attività mediante cui gli organi statali all’uopo preposti provvedono alla cura degli interessi pubblici loro affidati.

In sede di indirizzo politico se ne determina il fine da perseguire, essa concretizza un’attività pratica, mentre la politica concretizza un’attività teorica.

I principi costituzionali dell’attività amministrativa sono da ricercarsi nell’art.97 Cost “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”. Possono dunque così schematizzarsi:

Principio di indipendenza e neutralità della PA

Principio di legalità (la PA deve attenersi in tutte le sue attività alle prescrizioni della legge.

Principio di imparzialità: la PA deve garantire il rispetto della giustizia; tutti devono essere ammessi al godimento dei pubblici servizi; è fatto divieto di qualsiasi favoritismo ed è previsto l’obbligo di astensione nelle situazioni in cui si abbia uno specifico interesse personale.

Principio di trasparenza: l’azione amministrativa deve essere tale da garantire la facile e immediata controllabilità di tutti i momenti e i passaggi in cui si esplica l’attività della PA onde garantirne l’imparzialità. Da esso discende il diritto di accesso dei cittadini agli atti e ai documenti della PA, la pubblicità dei procedimenti, l’introduzione degli URP (uffici relazione con il pubblico).

Principio di tipicità: i provvedimenti e gli atti amministrativi sono tutti tipici e nominati

Principio di buona amministrazione: si concretizza in rapidità, miglior contemperamento degli ineressi coinvolti, minor sacrificio possibile di interessi, nonché, ai sensi della l241/90, economicità, efficacia (rapporto fra risultati conseguiti e obiettivi prefissati) ed efficienza (rapporto fra risorse impiegate e risultati ottenuti).

Principio di necessità e continuità

Principio di semplificazione: divieto di aggravamento del procedimento amministrativo, introduzione del silenzio significativo.

I criteri che la informano, soprattutto alla luce della riforma operata con la L241/90, sono:

Procedimentalizzazione: l’attività amministrativa non si svolge attraverso singoli atti, bensì attraverso una serie di atti concatenati e coordinati, ciascuno dei quali è presupposto di legittimità o di efficacia dei successivi. Il procedimento sfocia in un provvedimento.

Pianificazione e programmazione: fase in cui si fissano obiettivi e criteri direttivi, utilizzando piani, progetti e bilanci.

Utilizzazione del diritto privato: soprattutto con riferimento ai rapporti economici, uso di contratti e strumenti privatistici anche per la gestione di servizi pubblici.

Contrattualizzazione: uso di forme contrattuali (convenzioni, accordi, intese, concordati) e di accordi di vario genere in ottica pluralista.

Tecnicizzazione e informatizzazione: la L39/93 ha istituito l’AIPA (Autorità per l’Informatica nella PA) presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.


La PA nello svolgimento della sua attività incontra una serie di limiti, che si distinguono in limiti negativi, volti a garantirne la liceità, e limiti positivi, volti a mantenerla nell’ambito dei fini pubblici. Qualora i limiti positivi siano fissati in modo preciso e puntuale, danno luogo ad un’attività vincolata, mentre qualora siano fissati in modo ampio ed elastico danno luogo ad un’attività discrezionale.

La discrezionalità amministrativa è la facoltà di scelta fra più comportamenti giuridicamente leciti per il soddisfacimento dell’interesse pubblico e il raggiungimento di un fine rispondente alla causa del potere esercitato (la causa in diritto amministrativo è l’elemento di caratterizzazione del potere che è alla base dell’atto). Essa è definita anche (Giannini) come ponderazione comparativa fra più interessi secondari rispetto ad un interesse primario (le scelte della PA infatti comportano sempre un contemperamento fra più interessi in gioco, pubblici e privati). La discrezionalità si esplica nell’an, nel quid, nel quando e nel quomodo. Qualora coinvolga contemporaneamente tutti e 4 gli aspetti connota un’attività politica anziché amministrativa.

La discrezionalità amministrativa si distingue dalla discrezionalità tecnica, in cui la scelta avviene sulla base dei criteri della scienza e della tecnica, manca quindi l’elemento della volontà, e per questo motivo secondo la più moderna dottrina e secondo la Cassazione civile non sarebbe una vera e propria forma di discrezionalità.

Il merito amministrativo individua un concetto più ampio rispetto a quello della discrezionalità amministrativa, in quanto consente libertà di scelta nel rispetto di norme extragiuridiche di opportunità e convenienza, non attiene alla legittimità, ma all’aspetto effettivo della scelta, ed è possibile nei soli casi previsti dalla legge.




L’Atto Amministrativo: è l’atto con cui i pubblici uffici provvedono materialmente alla cura degli interessi pubblici loro affidati[17]. Deve essere tipico, formale, obbligatoriamente motivato, obbligatoriamente comunicato agli interessati, ragionevole.

Gli atti amministrativi si distinguono in due grosse categorie: i provvedimenti e gli atti amministrativi non provvedimentali.

Il provvedimento amministrativo è una manifestazione di volontà avente rilevanza esterna, proveniente da una PA nell’esercizio dell’attività amministrativa, indirizzato a soggetti determinati o determinabili, in grado di apportare una modificazione unilaterale nella loro sfera giuridica.

Può essere definito anche come atto conclusivo della serie procedimentale attraverso cui la PA dà concreta attuazione agli interessi pubblici.

Il provvedimento è dotato di autoritarietà ed esecutività, in quanto prescinde dalla volontà adesiva del destinatario, nonché dall’accertamento del giudice ed è immediatamente efficace. Solo se previsto per legge, il provvedimento può essere dotato anche di esecutorietà, che è il potere della PA di dare esecuzione all’atto contro il volere del destinatario e senza l’intervento del giudice.

Decorsi i termini per l’impugnazione, diviene inoppugnabile, cioè non più suscettibile di annullamento o revoca.

I provvedimenti sono tipici e nominati, ciascuno di essi è preordinato alla tutela di uno specifico interesse pubblico ed è espressione di specifici poteri previsti da una legge.

I principali tipi di provvedimenti sono i seguenti:

Ammissioni: sono provvedimenti con cui la PA conferisce un particolare status (es. cittadinanza, ammissione a concorso, ecc)

Iscrizioni: sono ammissioni vincolate, cioè prive di apprezzamento discrezionale, la PA si limita ad accertare la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge (es. iscrizione nelle liste elettorali)

Autorizzazioni: sono provvedimenti mediante cui la PA, nell’esercizio dell’attività discrezionale, rimuove in via preventiva un limite legale posto all’esercizio di un diritto soggettivo o di una potestà pubblica. Possono essere espresse o tacite, modali (in tal caso la PA disciplina il modo di svolgimento dell’attività autorizzata) o non modali, personali (in tal caso sono intrasmissibili) e reali (es. carta di circolazione dei veicoli). Hanno funzione di controllo e di programmazione in taluni settori ritenuti delicati.

Abilitazioni: sono autorizzazioni in cui la discrezionalità è tecnica anziché amministrativa (es. patente di guida, esercizio della libera professione, ecc).

Approvazioni: sono provvedimenti permissivi con cui la PA rende efficaci ed eseguibili atti giuridici già compiuti, quindi intervengono aposteriori, non condizionano la legittimità ma l’operatività, pertanto si possono collocare fra gli atti di controllo.

Atti di Assenso: possono precedere o seguire l’atto principale (es. assenso all’atto di donazione).

Nulla Osta: sono provvedimenti con cui la PA attesta l’assenza di circostanze ostative allo svolgimento di una certa attività.

Licenze: sono provvedimenti dalla natura giuridica piuttosto controversa. Secondo la dottrina più tradizionale sono autorizzazioni che consentono l’esercizio di un diritto soggettivo, secondo Sandulli sono invece autorizzazioni che consentono l’esercizio di un interesse legittimo.

Registrazioni: sono autorizzazioni vincolate rilasciate sulla base dell’accertamento dei requisiti previsti dalla legge (es. registrazione delle specialità medicinali).

Dispense: sono provvedimenti con cui la PA con potere discrezionale consente l’esercizio di un’attività in deroga a un divieto, ovvero esonera dall’adempimento di un obbligo. Sono provvedimenti a carattere eccezionale, che possono essere rilasciati solo nei casi previsti dalla legge, hanno carattere costitutivo.

Deleghe: sono provvedimenti con cui la PA attribuisce la facoltà di esercitare poteri suoi propri, dei quali comunque viene trasferito soltanto l’esercizio, non la titolarità. Possono essere rilasciati solo nei casi previsti dalla legge e solo per iscritto.

Ordini: sono provvedimenti restrittivi della sfera giuridica del destinatario, cui impongono determinati comportamenti. La potestà ordinatoria può essere generale (nei riguardi di tutti, es ordini di polizia) o speciale (presuppone un determinato rapporto, es. ordini rivolti ai dipendenti di un certo Ministero). Sono provvedimenti a carattere eccezionale, che possibili solo nei casi previsti dalla legge

Atti Ablativi: sono provvedimenti con cui la PA priva il titolare di un diritto reale, estinguendolo o trasferendolo coattivamente. Appartengono a questa categoria: espropriazione, requisizione, prelazione e occupazione.

Concessioni: sono provvedimenti ampliativi della sfera giuridica del destinatario, con cui la PA conferisce ex novo posizioni giuridiche attive, in tal caso si parla di concessioni costitutive, (es. diritto all’esercizio di professioni a numero limitato, come le farmacie) o trasferisce al destinatario posizioni giuridiche attive proprie, in tal caso si parla di concessioni traslative (es. concessione di suolo pubblico). Le concessioni traslative si distinguono in: concessioni reali, concessioni di servizi, concessioni di potestà pubbliche e concessioni-contratto.

Le concessioni reali, (o concessioni su beni) hanno la funzione di verificare la compatibilità dell’uso individuale di untene pubblico, nonché l’effettivo incremento della potenzialità economica del bene. Si distinguono in concessioni di beni demaniali e concessioni di beni patrimoniali indisponibili.

Le concessioni di servizi verificano l’opportunità di esternalizzare la gestione di un servizio per la cui gestione diretta emerga difficoltà organizzativa della PA.

Per quanto riguarda la disciplina giuridica, al concessionario è riconosciuto il diritto di insistenza e di esclusiva. Esso è sottoposto a controlli da parte della PA; agisce in proprio ed è pienamente responsabile dell’attività svolta. In caso di riscatto della concessione da parte della PA, il concessionario ha diritto all’indennizzo, contrariamente al caso della revoca della concessione.

Un discorso particolare va fatto con riferimento alla concessione edilizia: nel 1942 vi era la licenza edilizia, rilasciata dal Sindaco, poi la Legge Bucalossi (L10/77) introdusse la concessione edilizia (sempre rilasciata dal Sindaco), postulando una scissione fra diritto di proprietà del suolo e ius aedificandi, ossia diritto di costruire. La sentenza della Corte Costituzionale 5/1980 affermò la natura autorizzatoria della concessione edilizia, sostenendo che con detto provvedimento la PA non conferiva un potere nuovo, ma si limitava a rimuovere il limite legale posto al diritto di costruire per garantire un armonioso sviluppo urbanistico. La Legge Nicolozzi (L94/82) semplificò la procedura di rilascio. La L662/96 introdusse la DIA (denuncia in luogo di autorizzazione) per gli interventi edilizi minori e attribuì la competenza per il rilascio della concessione edilizia non più al Sindaco, ma al dirigente responsabile dell’UTC. Il TU 380/01 in materia di edilizia e urbanistica ha istituito lo Sportello Unico per L’Edilizia, ha ampliato i casi in cui è possibile far uso della DIA, ed ha introdotto il Permesso di Costruire in luogo della Concessione edilizia.


Gli atti amministrativi che non costituiscono provvedimenti si distinguono a loro volta in due grosse categorie: atti che costituiscono manifestazioni di volontà e atti che non costituiscono manifestazioni di volontà. In entrambi i casi sono privi sia dell’autoritarietà, sia dell’esecutorietà, che caratterizzano invece i provvedimenti, e per lo più hanno carattere infraprocedimentale.

Gli Atti che costituiscono manifestazioni di volontà (Atti Volitivi) si distinguono in:

Atti paritetici: sono atti con cui la PA, tenuta per legge all’adempimento di un obbligo, determina unilateralmente il contenuto dell’obbligo stesso.

Atti preparatori: richieste, designazioni, deliberazioni e accordi preliminari.

Atti di Controllo: si distinguono in preventivi (visto, approvazione, omologazione), successivi (revoca, annullamento, sospensione) e sostitutivi.

Gli Atti che non costituiscono manifestazioni di volontà si distinguono in:

Manifestazioni di Conoscenza (Atti Ricognitivi): sono atti a carattere strumentale o autonomo che si caratterizzano perché dotati di una particolare autoritarietà, che si sostanzia nella “certezza legale privilegiata”, cioè fanno piena prova fino a sentenza di falso. Fra di essi vi sono: attestazioni, documentazioni, verbali, partecipazioni, notificazioni, pubblicazioni. Si distinguono in recettivi e non recettivi, a seconda che debbano o meno essere necessariamente notificati all’interessato.

Manifestazioni di Giudizio (Atti di Valutazione): sono atti che implicano un’attività discrezionale. Fra di essi rientrano i giudizi di idoneità su candidati, le relazioni delle commissioni di inchiesta, i pareri e le proposte.

Intimazioni (Atti Propulsivi): sono formali avvertimenti a soggetti già tenuti in base ad un precedente titolo all’osservanza di un obbligo, ad ottemperare all’obbligo stesso.


I Pareri sono manifestazioni di giudizio con cui gli organi di amministrazione consultiva forniscono delucidazioni e consigli agli organi di amministrazione attiva. Si distinguono in facoltativi, quando l’amministrazione attiva può richiederli o meno (quindi facoltativa è l’attivazione della funzione consultiva, non il suo esercizio) e obbligatori, quando gli organi di amministrazione attiva sono obbligati per legge a richiederli. In tal caso, si distinguono ulteriormente in vincolanti, non vincolanti , parzialmente vincolanti (sono pareri dai quali ci si può discostare solo in un certo senso, ad es. o con certe forme procedimentali)[18] e conformi (in tal caso l’amministrazione richiedente può anche non provvedere secondo quanto suggerito dal parere, ma se lo fa deve conformarvisi integralmente).

I pareri sono atti infraprocedimentali, ausiliari e preparatori del procedimento e sono condizionati da una richiesta, mentre le proposte sono spontanee e sono atti con cui si dà avvio ad un nuovo procedimento. I pareri consistono in una valutazione di interessi già assunti nel procedimento, con funzione di supporto all’attività discrezionale dell’organo di amministrazione attiva. Essendo atti infraprocedimentali non sono autonomamente impugnabili, ma solo contestualmente al provvedimento finale, solo i pareri vincolanti negativi sono autonomamente impugnabili, poiché impediscono il formarsi del provvedimento finale, che non viene ad esistenza per effetto del veto da essi imposto. L’eventuale vizio di parere si riflette sul provvedimento finale, inficiandolo.

La materia dei pareri è attualmente disciplinata dalla L241/90, come modificata dalle leggi n.15 e n.80 del 2005. Essa stabilisce a riguardo, in ossequio al principio di rapidità e speditezza dell’azione amministrativa, che i pareri devono essere obbligatoriamente resi entro 45 gg. dalla richiesta (il termine può essere sospeso una sola volta, massimo per 15 gg, per ottenere dei chiarimenti), in caso contrario l’amministrazione richiedente procede indipendentemente dall’acquisizione del parere. Detta disposizione non si applica nel caso di pareri rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini, che devono necessariamente essere acquisiti. Tutti i pareri devono essere motivati.


La struttura formale dell’atto amministrativo si articola in:

Intestazione: indicazione dell’autorità da cui l’atto promana e denominazione dell’atto

Preambolo: indicazione delle norme di legge e di regolamento in base a cui l’atto viene adottato, nonché attestazioni relative agli atti preparatori

Motivazione: indica le motivazioni di fatto e di diritto in base a cui l’atto è stato adottato e consiste in due parti, una descrittiva, (in cui vengono illustrati gli interessi coinvolti nel procedimento) e una valutativa (in cui la PA valuta comparativamente gli interessi motivando le ragioni in base a cui ha deciso di soddisfare un interesse piuttosto che un altro.

Dispositivo: parte precettiva dell’atto, che costituisce la dichiarazione di volontà vera e propria.

Luogo

Data

Sottoscrizione


In relazione ai destinatari gli atti amministrativi si distinguono in:

Atti particolari: sono rivolti ad un solo soggetto.

Atti plurimi: sono formalmente unici, ma scindibili in tanti provvedimenti autonomi e indipendenti quanti sono i destinatari (es. decreto di nomina dei vincitori di un concorso).

Atti collettivi: manifestazione di volontà rivolta in modo unitario e inscindibile verso un complesso di individui unitariamente considerata (es. provvedimento di scioglimento di un Consiglio comunale).

Atti generali: atti rivolti a soggetti non determinati, ma determinabili successivamente in sede di esecuzione del provvedimento (es. bandi di concorso e di gara)


In relazione alla reciproca interdipendenza gli atti amministrativi si distinguono in:

Atti composti: sono formati da più manifestazioni di volontà che si fondono dando vita ad un unico atto (es. accordo, con cui si compongono interessi contrapposti).

Atti complessi: con cui si compongono interessi paralleli.

Atti continuati: singole determinazioni poste in essere in momenti differenti dallo stesso agente (es. le tre intimazioni della carica).

Atti contestuali: riunione di più atti autonomi, si distinguono ulteriormente in atti simultanei (manifestazione unica che comprende più atti dello stesso genere rivolti in più direzioni, come un ordine dato a più Ministri) e atti plurimi (più manifestazioni, rivolte in un’unica direzione, es. ordine dato da più Ministri ad un certo dirigente).


Gli atti amministrativi, inoltre, si distinguono in:

Atti espressi: consistono in una manifestazione di volontà adeguatamente esternalizzata, sono la norma.

Atti impliciti: sono comunque delle manifestazioni espresse di volontà, che anziché essere autonomamente esplicitate, si desumono da un altro atto a o da un comportamento esplicito.

Atti taciti: manca qualsiasi forma di esternazione della volontà, ma sono desumibili da un comportamento cui apriori la legge attribuisce un determinato valore giuridico: in sostanza sono riconducibili alle figure di silenzio significativo (silenzio assenso e silenzio rifiuto).


Gli elementi dell’atto amministrativo si distinguono in:

Essenziali necessari a livello giuridico per dare vita all’atto, la loro mancanza comporta nullità. Sono[19]:

Agente: è il centro di imputazione giuridica che pone in essere   l’atto. Sandulli lo chiama “soggetto”.

Oggetto: è la cosa su cui l’atto incide, può essere un comportamento, un fatto o un bene. Deve essere possibile, determinato e lecito. Per Sandulli comprende anche il destinatario.

Forma: è il modo di esternazione della determinazione volitiva del soggetto. Vige il principio della libertà della forma, infatti anche se in genere gli atti amministrativi sono scritti, vi sono anche esempi di atti orali, come le deliberazioni di un organo collegiale, o anche manuali, come gli ordini impartiti da un vigile urbano.

Destinatario: è il soggetto nei cui confronti si producono gli effetti dell’atto. Deve essere determinato o determinabile.

Volontà:è una volontà non psichica, ma procedimentale. Si distingue in. Volontà dell’atto, volontà del contenuto e volontà della dichiarazione.

Accidentali: eventuali, ampliano o restringono il contenuto naturale dell’atto, senza modificarne la natura, possono essere apposti solo agli atti discrezionali. La loro mancanza, se previsti, dà luogo ad annullabilità. Sono:

termine

condizione

onere

riserva

Naturali: sono previsti dalla legge per il tipo astratto dell’atto, quindi sono sempre presenti, anche se in modo implicito.


I requisiti dell’atto amministrativo, invece, possono essere:

di legittimità: consistono in: compatibilità, legittimazione e competenza dell’agente, la loro mancanza rende l’atto annullabile;

di efficacia: di esecutività (atti di controllo e verificarsi di condizioni sospensive) o di obbligatorietà (comunicazione, notificazione, pubblicazione, trasmissione).


La patologia dell’atto amministrativo si articola in:

Nullità: l’atto è nullo quando difetta degli elementi essenziali o quando è stato adottato in carenza di potere, in violazione del giudicato e nei casi di incompetenza assoluta. La nullità opera ex tunc (con effetto retroattivo), è imprescrittibile, può essere fatta valere da chiunque, può essere accertata con sentenza dichiarativa sia dal GA che dal GO; l’atto nullo non può essere sanato o convalidato in alcun modo. La nullità, per molti anni figura di elaborazione esclusivamente dottrinale, è stata disciplinata dal legislatore per la prima volta con la L15/05, che modificato la L241/90 aggiungendovi il comma 21 septies.

Annullabilità: l’atto è annullabile quando difetta dei requisiti accidentali o quando presenta un vizio di legittimità, ossia:

Violazione di legge: si concretizza in un contrasto fra l’atto e l’ordinamento, consistente in una mancata o falsa applicazione della legge. Attiene ad una violazione di norme primarie, secondarie o comunitarie (mentre la violazione di norme interne genera il vizio di eccesso di potere), durante il procedimento o in una fase successiva.

Eccesso di potere: è un vizio su cui si è ampiamente discusso in dottrina, dalla natura piuttosto controversa che si colloca sul confine fra il vizio di legittimità e il vizio di merito. Suoi presupposti sono: l’esistenza di un potere discrezionale (infatti è definito come vizio della discrezionalità amministrativa), lo sviamento da tale potere e la prova di detto sviamento. Si ha sviamento di potere qualora un atto venga utilizzato per un fine diverso da quello previsto dal legislatore. La dottrina ha elaborato diverse figure sintomatiche di eccesso di potere.: travisazione ed erronea valutazione dei fatti, illogicità e contraddittorietà della motivazione, inosservanza di circolari, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta, violazione di pareri, ecc.

Incompetenza relativa: per materia o per grado (quella assoluta è causa di nullità). Riguarda sia il difetto di legittimazione dell’agente, sia l’irregolare composizione dell’organo collegiale.

L’annullabilità, prevista per la prima volta dal RD 1054 del 1924, è oggi disciplinata dalla L241/90. art 21 opties. Essa opera con efficacia ex tunc (retroattiva), può essere fatta valere solo da chi vi ha interesse, è soggetta ai termini ordinari di prescrizione, può essere pronunciata dalla PA stessa o dal GA, il GO non può annullare l’atto illegittimo, ma solo disapplicarlo.


Accanto alla nullità e all’annullabilità, alcuni autori individuano la figura dell’inesistenza, che secondo altri va invece ricompressa nella nullità.

L’inesistenza si verifica nel caso di un atto che non ha neanche la parvenza di manifestazione di atto amministrativo, è un non-atto la cui invalidità è talmente manifesta da farlo apparire come inesistente (es. atto adottato da un soggetto non pubblico). E’ in effetti riconducibile alla carenza di potere in astratto, ossia all’inesistenza della norma attributiva del potere. Darebbe invece luogo alla figura intermedia della nullità-inesistenza, la cosiddetta carenza di potere in concreto, che si verifica quando pur sussistendo la norma attributiva del potere, l’atto non ne è espressione(es provvedimento di polizia adottato dal ministro dell’università).

Altri stati patologici dell’atto amministrativo sono:

Imperfezione: quando non si è ancora concluso il ciclo di formazione dell’atto.

Inefficacia: quando il ciclo di formazione dell’atto si è concluso, ma esso non è ancora idoneo a spiegare i suoi effetti, ad es.quando l’atto non è stato ancora sottoposto a controllo, o non lo h superato, o non è stato pubblicato o notificato.

Irregolarità: si verifica quando l’atto presenta un difetto (generalmente formale) cui la legge non ricollega effetti negativi per l’atto, che resta valido e spiega i suoi effetti, ma prevede invece sanzioni amministrative a carico dell’agente che lo ha posto in essere.

Ineseguibilità: si verifica qualora vi sia un sopravvenuto atto ostativo che privi temporaneamente di efficacia l’atto.

Con il termine invalidità si intendono i casi di nullità e annullabilità.


Gli Atti di Ritiro sono atti spontanei con cui la PA ritira atti illegittimi, sono espressione dell’autotutela decisoria (mirano ad evitare ricorsi) e concretizzano la funzione di riesame, con cui la PA rivede il proprio operato. Sono atti amministrativi di secondo grado, poichè incidono su precedenti provvedimenti, sono discrezionali nell’an, nel quando e nel quid, e devono essere obbligatoriamente motivati. Essi sono:

Annullamento d’ufficio opera con efficacia ex tunc (retroattiva) in riferimento ad atti affetti da invalidità originaria. Connota un potere generale della PA e non occorre espressa previsione di legge per il suo esercizio. Si distingue in:

Gerarchico: da parte dell’autorità gerarchicamente superiore a quella che ha emanato l’atto

Governativo: per atti affetti da vizi di legittimità

Autoannullamento: da parte della stessa autorità che ha emanato l’atto. E’ doveroso qualora l’illegittimità sia stata rilevata dal GO o da altra autorità che non ha il potere di annullare l’atto.

Revoca opera con efficacia ex nunc (non retroattiva)nei confronti di atti discrezionali inficiati da vizi di merito, in base ad una nuova valutazione di interessi concreti. Risponde all’esigenza che l’azione amministrativa si adegui all’interesse pubblico allorché esso muti. E’ esercizio di un potere di amministrazione attiva. Si distingue in:

Autorevoca

Revoca gerarchica

Abrogazione: opera con efficacia ex nunc (non retroattiva) per il sopravvenire di nuove circostanze di fatto che rendono l’atto non più rispondente al pubblico interesse. Secondo Sandulli è un istituto privo di rilievo autonomo, inquadrabile nell’ambito della revoca.

Pronuncia di decadenza: opera con efficacia ex nunc (non retroattiva) e si concretizza nel ritiro di un precedente atto ampliativo delle facoltà dei privati, divenuto illegittimo successivamente alla sua emanazione pe.r inadempimento di obblighi ed oneri posti a carico del privato, per mancato esercizio di facoltà o per venir meno dei requisiti di idoneità.

Mero ritiro: si esplica su atti non ancora efficaci. Non ha effetti esterni, è un atto puramente interno alla PA.

Atti affini agli atti di ritiro sono:

Sospensione: si preclude all’atto di spiegare i suoi effetti per un certo lasso di tempo

Riforma: modifica parziale di un atto precedente

Diniego di Rinnovo: non si riconosce il diritto di insistenza del concessionario

Proroga: si differisce il termine di efficacia di un precedente atto

Nell’ambito dell’autotutela decisoria si inquadrano anche una serie di provvedimenti che pure si rivolgono verso atti amministrativi precedenti, non per caducarli, ma per modificarli eliminandone dei difetti così che essi possano continuare ad esistere. Essi sono:

Convalescenza: sono provvedimenti volti ad eliminare i vizi di legittimità di un atto attraverso l’emanazione di un atto nuovo. Fra di essi si collocano:

Convalida: è un provvedimento nuovo, autonomo, costitutivo, che, operando con efficacia ex nunc,  elimina i vizi di legittimità di un atto invalido precedente della stessa autorità. Ne sono esempi l’eliminazione o la modifica di clausole illegittime, la modifica della motivazione, ecc.

Ratifica: è un provvedimento nuovo, autonomo, costitutivo, che, operando con efficacia ex nunc, elimina il vizio di incompetenza relativa da parte dell’autorità astrattamente competente che si appropria di un atto emesso da autorità incompetente dello stesso ramo.

Sanatoria: un atto o un presupposto di validità del procedimento, mancante al momento dell’emanazione dell’atto, viene emesso successivamente in modo da perfezionare ex post l’atto in questione. Non p un provvedimento nuovo, identificandosi con l’atto stesso.

Conservazione: è un principio di carattere generale, mutuato dal diritto civile, che consente la conservazione dell’atto illegittimo per vizi di forma, laddove risulti ugualmente perseguito l’interesse pubblico (principio del raggiungimento dello scopo). I provvedimenti di conservazione sono:

Consolidazione: è una causa di conservazione oggettiva dell’atto amministrativo, che discende dal decorso del termine perentorio oltre cui l’interessato avrebbe potuto esperire ricorso, per cui l’atto diviene inoppugnabile, cioè inattaccabile dall’esterno.

Acquiescenza: è una causa di conservazione soggettiva: il privato dimostra con manifestazioni espresse o fatti concludenti di concordare con l’operato della PA (ad es. dando spontanea esecuzione all’atto), precludendosi quindi la possibilità di impugnare l’atto.

Conversione: consiste nel considerare un atto invalido come appartenente ad altra tipologia di atto, di cui presenta i requisiti di sostanza e di forma.

Conferma: è una manifestazione di volontà non innovativa con cui la PA ribadisce una sua precedente determinazione.


Il Procedimento Amministrativo

Il procedimento amministrativo è definito come un insieme di atti e operazioni eterogenei strutturalmente e funzionalmente coordinati per il raggiungimento di un certo risultato e sfocianti in un provvedimento. Suoi elementi di caratterizzazione sono dunque: eterogeneità degli atti, relativa autonomia dei singoli atti; loro coordinamento ad un unico fine.

Il procedimento consta di differenti fasi:

fase preparatoria: si divide a sua volta i vari stadi: iniziativa (può avvenire d’ufficio o su istanza di parte, sulla base di: istanze, richieste, proposte); istruttoria (libera e informale valutazione degli interessi in gioco); predecisoria (pareri e altri atti di valutazione); audizione degli interessati; partecipazione funzionale (intervento di enti e associazioni di categoria); determinazione del contenuto del provvedimento;

fase costitutiva: emanazione dell’atto con efficacia costitutiva degli effetti;

fase integrativa di efficacia: si articola nei due stadi del controllo e della comunicazione (notificazione o pubblicazione) che costituiscono condizioni di efficacia necessarie affinché l’atto possa spiegare i suoi effetti.

Il procedimento amministrativo ha ricevuto un’organica disciplina dalla L241/90, come modificata dalle leggi 15/05 e 80/05. I principi cui esso deve atteneresi sono sostanzialmente quelli illustrati a proposito dell’attività amministrativa, ossia:

principio del giusto procedimento: deve essere garantita la partecipazione degli interessati allo scopo di ottenere la migliore composizione di tutti gli interessi in gioco, pubblici e privati, da esso discendono il diritto di partecipazione al procedimento e il diritto di accesso agli atti;

principio di trasparenza: obbligo di identificazione del responsabile del procedimento, obbligo di comunicazione agli interessati dell’avvio del procedimento, obbligo di comunicazione preventiva delle ragioni ostative all’adozione del provvedimento, diritto di accesso;

principio di semplificazione: introduzione del silenzio-assenso, della dichiarazione di inizio attività (DIA) in luogo di autorizzazione, autocertificazione, conferenza di servizi, riduzione del numero di procedimenti e delle fasi procedimentali (in molti procedimenti è stata abolita la fase integrativa di efficacia, infatti molti controlli sono stati eliminati);

principio del divieto di aggravamento del procedimento

obbligo di conclusione esplicita del procedimento: entro 90 gg. se la pA non indichi un termine diverso

principio dell’uso del diritto privato: uso di strumenti propri del diritto privato, opportunamente adattati alla peculiarità dell’agire amministrativo, come gli accordi procedimentali e sostitutivi, gli accordi di programma, ecc.


Il responsabile del procedimento, individuato dal dirigente, è il dipendente responsabile dell’istruttoria e di ogni altra fase procedimentale, compresa l’eventuale indizione di una conferenza di servizi. Esso può o meno essere competente anche dell’adozione del provvedimento finale, spesso comunque cura solo gli adempimenti procedimentali, mentre il provvedimento finale è adottato dal dirigente.

La Conferenza di Servizi, disciplinata dall’art.14 e segg. Della L214/90, è l’incontro fra più amministrazioni pubbliche per l’esame contestuale di più interessi pubblici coinvolti in un procedimento o in più procedimenti connessi fra loro. Può essere istruttoria o decisoria, a seconda che abbia o meno la competenza anche all’adozione del provvedimento finale, che resta comunque formalmente imputato all’amministrazione competente (la conferenza di servizi non assurge a nuovo soggetto giuridico). La conferenza di servizi può essere indetta anche per l’acquisizione di intese, concerti, nulla osta o assensi, per cui le determinazioni della conferenza stessa sostituiscono a tutti gli effetti detti atti. La conferenza è indetta dall’amministrazione procedente, ossia quella portatrice dell’interesse primario. L’indizione della conferenza è obbligatoria in materia di programmazione, progettazione e localizzazione di opere pubbliche, inoltre per opere di particolare complessità si può facoltativamente ricorrere ad una conferenza di servizi preliminare per la realizzazione della fase di progettazione. I lavori della conferenza devono concludersi entro 90 gg, termini più lunghi sono previsti solo qualora si debba effettuare una VIA (valutazione di impatto ambientale).

Gli accordi procedimentali (integrativi), introdotti dall’art.11 della l241/90, sono accordi fra la PA e gli interessati con cui si determina il contenuto discrezionale del provvedimento (es. accordo sulla determinazione dell’indennità di esproprio).

Gli accordi sostitutivi, anch’essi disciplinati dall’art.11 della l241/90, sono accordi fra la PA e gli interessati che sostituiscono integralmente il provvedimento.

Sia gli uni che gli altri devono essere preceduti da un provvedimento amministrativo che li autorizzi, devono essere stipulati per iscritto, in caso di recesso unilaterale della PA è dovuto un indennizzo, e tutte le eventuali controversie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del GA.

La DIA (dichiarazione di inizio attività), disciplinata dall’art. 19 della L241/90, si colloca fra gli istituti di semplificazione, infatti essa sostituisce ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta, comprese le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda elusivamente dall’accertamento dei requisiti e presupposti di legge e non sia previsto alcun limite e contingente o alcuno strumento di programmazione settoriale. La dichiarazione dell’interessato deve contenere, anche a mezzo di autocertificazione, le attestazioni richieste. L’attività può essere iniziata decorsi 30 gg. dalla presentazione della DIA, la PA se riscontri delle irregolarità entro i successivi 30 gg interdice la prosecuzione dell’attività. Le relative controversie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del GA.

Il silenzio-assenso, disciplinata dall’art. 20 della L241/90, si colloca fra gli istituti di semplificazione, ed è oggi un istituto a carattere generale, infatti la norma in questione stabilisce che in tutti i procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, a meno che l’amministrazione non comunichi entro 30 gg. il provvedimento di diniego o indica una conferenza di servizi sull’argomento.

Sia le norme sulla DIA sia quelle sul silenzio-assenso non si applicano alle amministrazioni che operano in materia di ambiente, salute, pubblica sicurezza, difesa, immigrazione, giustizia.

Il diritto di accesso agli atti e documenti amministrativi, è stato per la prima volta disciplinato dalla L142/90 in materia di accesso dei cittadini atti atti comunali, e poi, come istituto a carattere generale, dalla L 241/90 agli artt. 10 e 22, rispettivamente come accesso endoprocedimentale e accesso in generale, anche al di fuori di uno specifico procedimento.

Il diritto di accesso, che attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali in tema di imparzialità e trasparenza, consiste nel diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi. Per interessati si intendono tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici e diffusi, che abbiano un interesse concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento in questione: si tratta dunque di un interesse differenziato e personale, che ha natura giuridica di diritto soggettivo (come affermato, nonostante qualche precedente dubbio sull’argomento, dalla sentenza n.2938 del 27/5/2003 del Consiglio di Stato)

Per documento amministrativo si intende qualunque rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti anche interni, detenuti a qualunque titolo da una PA o da un soggetto privato gestore di pubblici servizi,  e concernenti attività di pubblico interesse. L’accesso può esplicarsi su tutto il patrimonio documentale detenuto dalla PA, ma non può ad essa essere richiesta alcuna attività di elaborazione, quindi deve trattarsi di documenti già formati, ed inoltre è escluso l’accesso quando preordinato ad un controllo generalizzato sull’operato delle pubbliche amministrazioni.

Il diritto di accesso è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato e per i casi di divieto di divulgazione espressamente stabiliti dalla legge, nei procedimenti tributari, nei procedimenti selettivi con riferimento alle informazioni di carattere psicoattitudinale dei concorrenti. Il Governo può prevedere casi di esclusione qualora l’accesso possa pregiudicare la sicurezza e la difesa nazionale, la politica monetaria e valutaria, l’ordine pubblico, la repressione della criminalità, la vita privata e la riservatezza di persone fisiche, l’attività in corso di contrattazione collettiva di lavoro.

Per quanto riguarda i rapporti fra diritto di accesso e diritto alla riservatezza, la L675/96, poi confluita nel DLgs196/03 (Codice sulla Privacy), afferma che l’accesso prevale sulla riservatezza qualora sia strumentale alla tutela di interessi rilevanti: occorre quindi una valutazione comparativa caso per caso.

Con la richiesta di accesso[20], che deve essere adeguatamente motivata, si inaugura un nuovo procedimento, decorsi 30 gg. dalla richiesta, questa si intende respinta (silenzio-rigetto). Per le controversie in materia è sancita la competenza esclusiva del GA. E le parti possono stare in giudizio personalmente senza l’assistenza del difensore.



L’attività contrattuale della PA

In passato l’attività contrattuale della PA era del tutto residuale ed era utilizzata solo nell’ambito dell’attività di tipo privatistico per il perseguimento di fini privatistici (es.attività commerciale di un dipartimento) mentre oggi è largamente adoperata, anche per perseguire fini pubblici della collettività.

Essa si svolge nell’ambito dei rapporti paritetici fra PA e cittadino, quindi la agisce iure privatorum anziché iure imperii. Le tipologie contrattuali da essa utilizzate sono:

Contratti ordinari: (di diritto comune)

Contratti speciali: (di diritto speciale:es. trasporto ferroviario)

Contratti ad oggetto pubblico: caratterizzati dalla commistione fra lo strumento privatistico del contratto e quello autoritativo del provvedimento, che rimuove gli ostacoli che impediscono alla PA di contrattare col privato e si caratterizzano per la mancanza di parità fra le parti (es. concessione-contratto, concessione di lottizzazione). Si distinguono in:

Contratti accessivi ai provvedimenti: sono quelli in cui il provvedimento dà luogo di per sé ad obbligazioni che vengono poi disciplinate da un contratto. Possono essere semplici o complessi, a seconda che le obbligazioni siano per una o per ambo le parti

Contratti ausiliari di provvedimenti: disciplinano gli aspetti patrimoniali di un procedimento in corso (compravendita dell’area espropriando in corso di espropriazione.

Contratti sostitutivi di procedimenti: es.convenzione urbanistica


I contratti di evidenza pubblica, invece, non costituiscono un’autonoma forma contrattuale, ma una formula procedimentale che si presta ad essere adottata per ogni contratto della PA, introdotta dalla legge di contabilità generale dello stato (RD 2440/1923), e oggi disciplinata dal Codice dei Contratti pubblici, adottato con DLgs 163/06. L’evidenza pubblica si articola in diverse fasi:

deliberazione a contrarre: consiste nel provvedimento amministrativo con cui la PA decide di voler contrattare, indicando fine e oggetto del contratto, nonché la modalità di scelta del contraente. In tale fase si inseriscono la progettazione (articolata in preliminare, definitiva ed esecutiva), l’eventuale acquisizione di pareri, la redazione dei capitolati d’oneri, articolati in generali (che riguardano la generalità dei contratti di un certo tipo) e speciali (che fissano la disciplina del singolo rapporto concreto).

conclusione (aggiudicazione): per quanto riguarda la modalità di scelta del contraente, il Dlgs 163/06, che recepisce la normativa comunitaria in materia, individua tre diverse tipologie: procedura aperta, procedura ristretta e procedura negoziata, sostanzialmente coincidenti con: asta pubblica (aperta a tutti), licitazione privata (cui sono ammesse solo le ditte convocate con lettera-invito o con offerta-contratto) e trattativa privata(sistema eccezionale con cui la PA decide dopo aver interpellato separatamente più ditte, possibile solo: quando le gare siano andate deserte, quando si debbano acquistare strumenti di precisione, per l’acquisto di cose prodotte con la garanzia della privativa industriale, nei contratti di locazione di uffici statali, in casi di urgenza, in speciali e motivate circostanze)[21]. L’appalto-concorso è una tipologia particolare cui si ricorre quando la PA predispone solo un progetto preliminare, lasciando al privato il compito di proporre il progetto definitivo ed esecutivo, quindi vi sono diversi modi di rendere la prestazione, fra cui la PA sceglie, usufruendo dell’iniziativa progettuale del privato. L’aggiudicazione può avvenire secondo il criterio del prezzo più basso o secondo quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ove si fa una comparazione fra prezzo e validità tecnica dell’offerta. La stipulazione,che deve avvenire entro 60 gg dall’aggiudicazione, può avvenire in 3 modi: forma pubblica(notaio), forma pubblico amministrativa (è la forma più usata, in cui il contratto è rogato da un funzionario della stessa PA, setto funzionario rogante, che è diverso dal funzionario stipulante, che è quello che firma il contratto per conto della PA), forma privatistica.

approvazione: è un atto amministrativo autonomo di controllo che rende eseguibile il contratto; ha natura giuridica di condizione sospensiva e retroagisce al giorno della stipulazione. I decreti di approvazione dei contratti devono essere inviati agli Uffici centrali di Bilancio, e, in alcuni casi, essere sottoposti a controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti (contratti attivi di qualunque importo, e passivi se superiori alle soglie comunitarie)

esecuzione: è sostanzialmente disciplinata dal diritto privato, ma con le seguenti peculiarietà: obbligatorietà della figura del direttore dei lavori (che vigila sulla puntuale esecuzione del contratto e sul rispetto dell’interesse pubblico);eccezionalità dello ius variandi (possibile solo nei casi tassativamente stabiliti dalla legge, cioè:sopraggiungere di nuove leggi che impongano differenti standard, imprevisti geologici ed idrici, scoperta di nuovi materiali, errori nel progetto esecutivo nei limiti di 1/5); limitatezza della possibilità di procedere a revisione dei prezzi(sulla base di un decreto annuale del Ministero); obbligatorietà del collaudo.

Per quanto riguarda la competenza giurisdizionale in materia di contratti, per la fase dell’aggiudicazione e di scelta del contraente, è sancita la competenza esclusiva del GA, mentre per la fase di esecuzione è competente il GO.

Le soglie di rilevanza comunitaria, al di sopra delle quali sono previsti procedimenti più complessi e maggiori adempimenti pubblicitari, sono: €5.278.000 per gli appalti di lavori pubblici, mentre per gli appalti di servizi pubblici e forniture pubbliche è previsto il limite di €37.000 per gli acquisti effettuati dai Ministeri e dalla Consip, ed €211.000 per gli acquisti effettuati da altre PA.



I Beni Pubblici

I beni pubblici sono beni appartenenti ad un ente pubblico (profilo soggettivo) e destinati a soddisfare un interesse pubblico (profilo oggettivo). Si distinguono in beni demaniali e beni patrimoniali indisponibili.

I Beni Demaniali (art.822CC) sono beni immobili o universalità di mobili (pluralità di cose mobili che appartengono a una stessa persona e hanno una destinazione unitaria, es.i libri di una biblioteca) e appartengono necessariamente allo Stato o ad un ente territoriale.

I beni demaniali sono inalienabili, imprescrittibili, non soggetti ad usucapione, non suscettibili di espropriazione forzata.

Il demanio si distingue in demanio necessario e demanio accidentale.

Il demanio necessario è costituito da beni che devono necessariamente appartenere ad un ante territoriale. Si articola in demanio naturale (marittimo e idrico) e demanio artificiale, cioè il demanio militare (opere permanenti destinate alla difesa nazionale).

Il demanio accidentale comprende beni che possono ipoteticamente appartenere anche ad enti non territoriali, ma che divengono demaniali proprio perché appartenenti ad uno di essi, perciò si parla a riguardo di demanio eventuale. Si articola in demanio stradale, ferroviario, aeronautico, culturale. Il demanio regionale è costituito dai beni del demanio accidentale che appartengono alla regione, dai porti lacuali e dai diritti reali della Regione sui beni altrui. Il demanio comunale specifico è costituito da cimiteri e mercati.

I Beni Patrimoniali Indisponibili possono appartenere a qualsiasi ente pubblico e possono essere sia beni immobili sia beni mobili. Si caratterizzano per il fatto di essere vincolati ad una destinazione di pubblica utilità, per cui vige nei loro riguardi il regime di inalienabilità relativa: possono essere alienati ma non distratti dalla loro destinazione economica, salvo casi e modi stabiliti dalla legge. Non sono suscettibili di usucapione (fatti salvi i diritti dei terzi in buona fede) né di espropriazione forzata.

Fra di essi sono da annoverarsi: foreste, miniere, acque termali, cave, torbiere, beni di interesse storico, archeologico e artistico, beni militari, beni costituenti la dotazione del Presidente della Repubblica, arredi dei pubblici uffici, fauna selvatica, parchi nazionali.

I Beni Patrimoniali Disponibili, invece, non sono beni pubblici, ma semplicemente beni di proprietà di un ente pubblico, costituenti il suo patrimonio e sottoposti in tutto al regime giuridico di diritto privato.

I Beni Privati di Interesse Pubblico sono invece beni appartenenti a soggetti privati ma che soddisfano un interesse pubblico, perciò sono sottoposti a un particolare regime giuridico che si concretizza nell’imposizione di un vincolo (beni vincolati: es. beni di interesse archeologico, su cui insiste il vincolo storico-ambientale, che impedisce di modificare il bene) o di un onere (beni onerati: es. cave, vi è l’obbligo di coltivarla e sfruttarla, se il proprietario non lo fa gli viene sottratta).

La PA sovente è titolare di Diritti Reali su beni altrui: è il caso ad es. delle strade vicinali (strade private su cui il Comune regola la circolazione e provvede alla manutenzione), delle servitù prediali pubbliche,ecc.


Gli Atti Ablativi

Gli atti ablativi sono provvedimenti con cui la PA per un vantaggio della collettività sacrifica un interesse ad untene della vita di un privato. Hanno sempre un effetto privativo per il destinatario, cui talvolta corrisponde un effetto acquisitivo per la PA. Si distinguono in:

Provvedimenti Ablatori Personali: sacrificano un diritto di natura personale, limitando la libertà personale, rientrano in questa categoria i provvedimenti di polizia e quelli dell’autorità sanitaria.

Provvedimenti Ablatori Reali: sacrificano in maniera totale (estinguendolo) o parziale (comprimendolo) un diritto reale. Sono:

Espropriazione: è il provvedimento in base al quale un soggetto, previo giusto indennizzo, viene privato in tutto o in parte di un immobile per ragioni di pubblico interesse (art.834 CC). Il procedimento espropriativi (TU 327/01)si articola in: apposizione del vincolo (sulla base degli strumenti di pianificazione urbanistica, entro 5 anni deve seguire il decreto di esproprio), dichiarazione di pubblica utilità (discende tacitamente dall’approvazione dello strumento urbanistico o del progetto), determinazione dell’indennizzo, decreto di esproprio. La competenza giurisdizionale è attribuita in via esclusiva al GA, eccezion fatta per le controversie in tema di indennizzo, che invece competono al GO.

Requisizione: è un provvedimento eccezionale e necessitato cui si ricorre in genere per esigenze militari. Può avere ad oggetto solo beni mobili, in genere mezzi di trasporto. E’ previsto un indennizzo. La requisizione d’urgenza, in caso di grave necessità pubblica, invece, può avere ad oggetto sia beni mobili che immobili, pertanto si distingue in requisizione in proprietà e requisizione in uso.

Occupazione: si distingue in occupazione d’urgenza, che è un atto necessitato, e occupazione preliminare all’espropriazione, cui deve seguire entro 5 anni il decreto di esproprio, o diviene illegittima. Si ha parla poi di occupazione appropriativa, detta anche accessione invertita, quando la PA, occupando sine titolo un bene, lo trasformi radicalmente. In tal caso ne diviene proprietaria e il privato può solo agire per il risarcimento del danno, ma non può esperire le azioni possessorie per riottenere il bene.

Sequestro: è un provvedimento cautelare discrezionale con cui si priva temporaneamente un soggetto della disponibilità di un bene

Confisca: è un provvedimento cautelare discrezionale con cui si priva definitivamente un soggetto di un bene in quanto pericoloso per la collettività. Comporta l’acquisto del bene da parte dello stato a titolo originario e senza indennizzo.


La Responsabilità della PA

La responsabilità della PA può essere civile o amministrativa, mai penale. In caso di responsabilità della PA in virtù del rapporto di immedesimazione organica fra funzionario e PA vi è fra di essi una responsabilità solidale, per cui il danneggiato potrà agire indifferentemente verso l’uno o verso l’altra. La responsabilità della PA si configura come responsabilità diretta, e non, come era stato affermato in passato, come responsabilità per fatto altrui.

La responsabilità civile consiste nell’obbligo di risarcire il danno prodotto ad un soggetto la cui sfera giuridica sia stata lesa. Può essere contrattuale (se collegata ad un preesistente rapporto obbligatori) o extracontrattuale (se discendente dalla violazione del principio generale del neminem laedere, ex art.2043 CC, è detta anche “responsabilità aquiliana).Quest’ultima è costituita dai seguenti elementi: condotta antigiuridica riferibile alla PA, colpevolezza dell’agente (dolo o colpa grave), evento dannoso e nesso di causalità.

La PA è tenuta a risarcire i danni anche in caso di reato compiuto da un suo dipendente (sebbene la responsabilità penale, essendo personale, resta imputata al solo dipendente), compresi i danni non patrimoniali (danno morale), ed inoltre, secondo i nuovi orientamenti, è tenuta a risarcire i danni derivanti non solo dalla lesione di diritti soggettivi, ma anche dalla lesione di interessi legittimi. La competenza giurisdizionale in materia di controversie risarcitorie è attribuita al GA sia nei casi di giurisdizione esclusiva, sia in quelli di giurisdizione di legittimità (L205/00).

Vi sono poi alcuni casi di responsabilità oggettiva della PA, quali ad es. la responsabilità per fatto altrui in caso di danni derivanti dalla circolazione di veicoli di proprietà della PA, la responsabilità per fatto proprio incolpevole derivante dall’esercizio di attività pericolose, ecc.


Compiti e servizi della PA

I fini propri dello Stato-Amministrazione, nel cui ambito l’attività della PA si esplica, mutano col variare delle esigenze storiche di ciascuna Nazione. Vi sono tuttavia dei fini naturali e imprescindibili, ossia il mantenimento dell’ordine interno e della sicurezza esterna, anche detti compiti di conservazione, nei quali si esplica l’attività giuridica della PA, insieme ai compiti di organizzazione, propulsione economica e benessere sociale, nei quali si esplica l’attività sociale della PA e che hanno acquisito via via maggiore importanza con il passare del tempo. I compiti della PA possono dunque così schematizzarsi.

Compiti primari:

Compiti di Conservazione

Difesa Esterna (attività militare e diplomatica)

Sicurezza Interna (ordine pubblico e pubblica sicurezza)

Compiti di Organizzazione

Riconoscimento delle persone giuridiche (ha luogo con DPR)

Conferimento della Cittadinanza (con DPR)

Censimenti (della popolazione, dell’industria e dell’agricoltura; sono svolti dall’ISTAT con cadenza decennale)

Gestione finanziaria dello Stato:si articola sulla base del DPEF, del Bilancio di previsione annuale e pluriennale, della legge finanziaria, del rendiconto, ecc. Il bilancio dello Stato è un bilancio preventivo misto di competenza e di cassa, predisposto dal Governo e approvato dal Parlamento con legge formale. Suoi principi di redazione sono: integrità, veridicità, universalità, pubblicità, chiarezza, unità, specificazione, pareggio.

Compiti secondari

Compiti di Benessere: mirano a tutelare e migliorare le condizioni di vita materiali (fisiche ed economiche, morali e intellettuali.

Sanità Pubblica: tutela individuale e collettiva della salute (prevenzione, vigilanza, assistenza e cura degli ammalati)

Tutela Ambientale

Scuola, Università e Istruzione in genere

Tutela del lavoro

Assistenza e Protezione Sociale

Servizi Pubblici: sono prestazioni aventi ad oggetto beni o attività accessibili a chiunque ne faccia richiesta a parità di condizioni e dietro corrispettivo. Possono essere svolti direttamente dalla PA o da soggetti privati sottoposti a vigilanza e controllo da parte della PA.

La Giustizia Amministrativa




E’ costituita da complesso di rimedi offerto al privato per far valere le proprie ragioni contro l’operato illegittimo o inopportuno della PA. Si distingue in tutela giustiziale (innanzi alla stessa PA) e tutela giurisdizionale (innanzi al giudice).

La Tutela Giustiziale si fonda sull’istituto del Ricorso Amministrativo, con cui il privato chiede alla PA di rivedere il proprio operato. I ricorsi possono essere impugnatori e non impugnatori, a seconda che si rivolgano avverso un atto amministrativo, di cui si chiede l’annullamento o la modifica, o avverso un comportamento. I ricorsi impugnatori, inoltre, si distinguono in ordinari e straordinari, a seconda che si rivolgano avverso un provvedimento non ancora definitivo o già definitivo.

Ricorsi ordinari:(avverso provvedimenti non definitivi), con termine decadenziale di 30 gg

Ricorso gerarchico proprio: il privato si rivolge all’autorità amministrativa gerarchicamente superiore a quella che ha emanato l’atto. Se questa non si pronuncia entro 90 gg. il ricorso si intende rigettato.

Ricorso gerarchico improprio: è un rimedio a carattere eccezionale, in quanto il privato si rivolge ad un ente che non è posto in rapporto di gerarchia diretta con quello che ha emanato l’atto (es. impugnazione delle graduatorie scolastiche davanti ai Provveditorati)

Ricorso in opposizione: il privato si rivolge alla stessa autorità che ha emanato l’atto, ha carattere eccezionale ed è possibile nei soli casi tassativamente indicati dalla legge (es. ricorso dell’impiegato contro i ruoli di anzianità pubblicati annualmente dai Ministeri).

I ricorsi ordinari sono facoltativi e non preliminari (come in passato) rispetto a quelli giurisdizionali, che hanno comunque preminenza su di essi (la successiva proposizione di un ricorso giurisdizionale estingue il ricorso amministrativo pendente sulla stessa questione). I ricorsi amministrativi ordinari possono essere proposti sia per questioni di legittimità, sia per questioni di merito.

L’unico tipo di ricorso straordinario è invece il Ricorso straordinario al Capo dello Stato, rimedio alternativo a quello giurisdizionale, che può essere utilizzato avverso atti già definitivi nel termine decadenziale di 120 gg., per soli motivi di legittimità. Ha natura mista amministrativa e giurisdizionale, poiché è previsto il parere obbligatorio del Consiglio di Stato e viene deciso con DPR.



La Tutela Giurisdizionale si articola in giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa.

Il Giudice Ordinario è competente quando si lamenti la lesione di un diritto soggettivo, in tutte le questioni inerenti i diritti civili e politici; per le contravvenzioni (violazioni della legge penale); in caso di incidente di falso; nelle questioni inerenti stato e capacità delle persone fisiche; come giudice del lavoro; in materia di TFR; per la determinazione dell’indennità di esproprio.

Il GO non può annullare l’atto amministrativo illegittimo, ma solo disapplicarlo.

Le azioni ammissibili innanzi al GO nei confronti della PA sono: azioni costitutive (volte ad ottenere una sentenza che costituisca, modifichi o estingua un determinato rapporto giuridico), azioni dichiarative (volte ad accertare uno stato di fatto o di diritto), azioni di condanna (risarcitorie e reintegratorie, queste ultime possibili solo quando la PA agisca senza titolo).


Il Giudice Amministrativo è competente quando si lamenti la lesione di un interesse legittimo e nei casi di giurisdizione esclusiva (in tal caso alcune materie, tassativamente indicate dalla legge, sono integralmente attribuite alla sua cognizione).

Si possono individuare tre tipi di giurisdizione del GA:

Giurisdizione di legittimità: ha carattere generale e si concretizza nell’annullamento di atti amministrativi definitivi o non definitivi che presentino vizi di legittimità e nel regolamento delle relative questioni patrimoniali consequenziali[22]. E’ una giurisdizione simmetrica rispetto a quella del GO, poiché il GA conosce degli interessi, e il GO dei diritti.

Giurisdizione di merito: ha carattere di eccezionalità e si esplica solo nei casi previsti dalla legge (es: giudizio di ottemperanza, controversie in materia elettorale, classificazione delle strade comunali e provinciali, confini di Comuni e Province, ordinanze con tingibili e urgenti del Sindaco, ecc). In tali ipotesi il sindacato del giudice si estende anche all’opportunità dell’atto, che può essere non solo annullato, ma anche modificato.

Giurisdizione esclusiva: nelle materie tassativamente individuate dalla legge (es: passaporti, pubblici servizi, edilizia e urbanistica, accordi procedimentali e sostitutivi, vigilanza su credito, assicurazione e mercato mobiliare; ecc), il GA ha cognizione non solo delle questioni inerenti gli interessi legittimi, ma anche di quelle relative a diritti soggettivi.

Gli Organi della giurisdizione amministrativa sono:

TAR: (Tribunali Amministrativi Regionali) sono giudici di primo grado, istituiti dalla L1034/1971, sono 20, uno per ogni Regione, con sede nel capoluogo. Ognuno di essi si compone di un presidente e almeno 5 magistrati

Consiglio di Stato:è giudice di secondo grado, nonché giudice unico in alcuni casi (es: giudizio di ottemperanza relativo a organi centrali dello Stato). Si compone della IV, V e VI Sezione nonché dell’Adunanza Plenaria.

Poi vi sono le Giurisdizioni Amministrative Speciali, competenti in specifiche materie, ossia:

Corte dei Conti

Tribunali delle Acque Pubbliche: sono competenti relativamente alle controversie sul demanio idrico, compreso il risarcimento e le espropriazioni. Si articolano in: Tribunali Regionali delle acque pubbliche, che sono sezioni specializzate del GO, e Tribunale Superiore delle acque pubbliche, che, quando agisce come giudice di secondo grado, è GO ed è composto da 5 votanti, mentre quando agisce come giudice unico (es. diritti di pesca) è GA ed è composto da 7 votanti.

Commissioni Tributarie: sono competenti nelle controversie relative ad: accertamento e liquidazione dei tributi e applicazione delle sanzioni tributarie. Si articolano in Commissioni tributarie Regionali e Commissioni Tributarie Provinciali

Il giudizio amministrativo può essere di tre tipi:

Giudizio di cognizione: volto a stabilire la fondatezza del ricorso, si configura come giudizio di impugnazione diretto all’annullamento dell’atto illegittimo.

Giudizio cautelare: ha funzione accessoria e strumentale, è volto generalmente a sospendere l’esecuzione dell’atto impugnato (ma sono possibili anche altre misure cautelari, che sono atipiche, come stabilito dalla L205/00,) per evitare che da esso possano derivare danni durante lo svolgimento del giudizio principale. Presupposti del giudizio cautelare sono il fumus boni iuris (presunta fondatezza del ricorso principale) e periculum in mora (danno irreparabile).

Giudizio di esecuzione: è diretto ad eseguire coattivamente la sentenza di cui al giudizio principale.

Vi è poi un’ulteriore tipologia, il giudizio di ottemperanza, che è un giudizio misto di cognizione e di esecuzione con cui il giudice provvede ad adeguare la situazione astratta fissata nel giudizio principale (ordinario o amministrativo) al caso concreto qualora la PA non ottemperi all’obbligo di conformarsi ad una sentenza passata in giudicato del GO o del GA o anche di un giudice speciale.. In tal caso il giudice dell’ottemperanza, dopo aver assegnato infruttuosamente un congruo termine alla PA per adeguarsi, nomina un commissario ad acta che agisca in via sostitutiva.

Le azioni esperibili innanzi al GA sono:

Azione costitutiva: consiste nell’impugnazione dell’atto amministrativo.

Azione di accertamento: mira all’accertamento di un rapporto giuridico intercorrente fra l’interessato e la PA

Azione di condanna: al pagamento di una somma di denaro di cui la PA è debitrice


Il ricorso amministrativo è soggetto a termini decadenziali di 60 gg., deve essere motivato e notificato a tutti gli interessati, per salvaguardare le esigenze del contraddittorio. Eventuali questioni di competenza e di giurisdizione sono demandate alle sezioni Unite della Cassazione.

La questione viene trattata in Camera di Consiglio, anziché in pubblica udienza, nei seguenti casi: giudizio di ottemperanza, accesso ai documenti amministrativi, silenzio-rifiuto, ecc.

La L205/00 ha previsto dei riti speciali semplificati per alcuni casi. In particolare è previsto un rito accelerato, detto “giudizio abbreviato” con dimezzamento dei tempi processuali (ad eccezione del termine di 60 gg per la presentazione del ricorso, che resta invariato) nei seguenti casi: affidamento di incarichi di progettazione; affidamento, aggiudicazione ed esecuzione di opere pubbliche, servizi pubblici e forniture pubbliche; provvedimenti delle autorità indipendenti; scioglimento dei consigli Comunali; dismissione di beni pubblici.

Si parla invece di “giudizio immediato” quando la questione principale viene trattata contestualmente al giudizio cautelare.

Il processo amministrativo viene sospeso obbligatoriamente in caso di: questioni di stato o capacità delle persone fisiche; quando sia proposto un regolamento preventivo di giurisdizione; quando sia proposta querela di falso; quando sia stata sollevata una questione di legittimità costituzionale; nei casi di questioni pregiudiziali rientranti nella competenza della Corte di Giustizia comunitaria. Sono invece ipotesi di sospensione facoltativa: la pendenza di questioni pregiudiziali in un giudizio innanzi al GO e la pendenza di un giudizio amministrativo su una questione connessa.

Il processo amministrativo viene interrotto in caso di questioni inerenti alle parti o ai procuratori (morte, perdita della capacità di agire, cessazione della procura). In questi casi il processo deve essere riassunto a cura di una delle parti entro 6 mesi, o si estingue.

Si parla di riassunzione a seguito di: interruzione, cancellazione dal ruolo per inerzia delle parti, sospensione a seguito regolamento di competenza o di giurisdizione. Si sostanzia nella comparsa, nel ricorso o nella citazione e serve a determinare la ripresa dello svolgimento ordinario del processo.

Il processo amministrativo si estingue per: pronuncia della decisione; rinuncia; cessazione della materia del contendere; sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere; perenzione (inerzia protratta per 2 anni); decadenza per mancata riassunzione (entro 6 mesi).

La decisione nel processo amministrativo può essere interlocutoria o definitiva. La decisione interlocutoria è quella rivolta a risolvere un incidente del processo, o ad ordinare l’esibizione di un documento o la formazione di un mezzo istruttorio. Può essere preparatoria, istruttoria o preliminare. La decisione definitiva può essere di diritto (inammissibilità per mancanza delle condizioni dell’azione; irricevibilità per scadenza dei termini; improponibilità perche vi è già un ricorso straordinario al capo dello stato sullo stesso argomento; nullità per mancanza di elementi essenziali; decadenza) o di merito (di rigetto o di accoglimento).

I rimedi avverso le sentenze di primo grado del GA sono: revocazione (quando vi sono circostanze che se fossero state conosciute dal giudice al momento della sentenza lo avrebbero indotto a decidere diversamente); appello (da proporsi entro 60gg al Consiglio di Stato); opposizione di terzo.

I rimedi avverso le sentenze di secondo grado del GA sono invece: revocazione; ricorso in Cassazione per motivi di giurisdizione.

I Conflitti di Competenza si distinguono in conflitti di giurisdizione (fra diversi ordini giurisdizionali, sono decisi dalla Cassazione a Sezioni Unite) e conflitti di attribuzione (fra poteri dello Stato, fra Stato e Regioni, fra regioni, sono decisi dalla Corte Costituzionale).
























La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, per la Camera dei Deputati, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, risultante dall’ultimo censimento, per 618, e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

La ripartizione dei seggi tra le Regioni, per il Senato, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, risultante dall’ultimo censimento, per 618, e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni Regione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.


Il rapporto che intercorre fra gli eletti e il corpo elettorale non è una rappresentanza di natura privatistica, ma un rapporto fiduciario pubblicistico, per cui ciascun parlamentare rappresenta gli interessi generali, e non solo quelli dei suoi elettori.

In precedenza vi era un sistema misto, al 75% maggioritario e al 25% proporzionale disciplinato dalla L276/93, nel 1993 inoltre fu fatto un referendum per l’abolizione della quota proporzionale, ma non fu raggiunto il quorum di validità dello stesso.

Attualmente i Ministeri sono i seguenti.Affari esteri; Interno; Giustizia; Difesa; Economia e Finanze; Sviluppo economico; Commercio Internazionale; Comunicazioni; Politiche agricole alimentari e forestali; Ambiente e tutela del territorio; Infrastrutture; Trasporti; Lavoro e Previdenza Sociale; Salute, Istruzione; Università e Ricerca; Attività culturali; Solidarietà sociale.

Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso. Essi sono inamovibili e indipendenti e si distinguono fra loro solo per diversità di funzioni

Su tale questione le Regioni a statuto speciale (il cui sistema di controlli è delineato dallo Statuto), hanno sollevato questione di legittimità costituzionale, giudicata infondata con la sentenza 29/1/1995 della Corte costituzionale.

Nel caso di deliberazioni di organi collegiali la responsabilità si imputa solo a coloro i quali abbiano espresso voto favorevole

Il relativo debito si trasmette agli eredi

E’ stata la Legge costituzionale 1/99 a stabilire che lo statuto delle regioni ordinarie fosse approvato con legge regionale, in passato erano deliberati dal Consiglio regionale, ma aprrovati con legge statale.

Le qualifiche funzionali erano 8, cui il DL 3/86 aveva aggiunto la 9°

Distinzione non separazione

Alcune categorie di dipendenti sono invece inamovibili, ossia godono di un diritto incondizionato all’impiego, come ad es. i magistrati e i professori universitari, che possono essere rimossi dall’impiego solo su parere conforme di un corpo collegiale eletto dagli stessi impiegati.

Non si applica ai dipendenti pubblici l’art 13 dello Statuto dei lavoratori, che prevede che in caso di esercizio di fatto di mansioni proprie della categoria superiore per un certo periodo di tempo, si può ottenere il definitivo inquadramento in detta qualifica: tale concetto infatti è incompatibile con il principio del pubblico concorso, che vale anche per le progressioni verticali. In caso di esercizio di mansioni superiori, peraltro possibile solo per esigenze straordinarie, al dipendente compete solo l’integrazione della retribuzione.

I giudizi di responsabilità contabile sono quelli che si esplicano, innanzi alla Corte dei Conti, nei confronti di coloro i quali a qualunque titolo hanno il maneggio di denaro pubblico, nonché tutti i magazzinieri e i consegnatari di valori e merci appartenenti alla PA (agenti contabili) qualora si verifichi qualunque irregolarità gestionale nelle riscossioni, nei pagamenti o nella conservazione di denaro o beni. Si parla a riguardo di responsabilità contabile, che è una sottospecie della responsabilità civile, ma se ne distingue perché sorge per la semplice irregolarità gestionale, e non richiede la prova del danno, che è sempre presunto, salvo l’onere del funzionario di provare che l’irregolarità non ha causato danni.

I giudizi di responsabilità amministrativa sono quelli che si svolgono, innanzi alla Corte dei Conti, nei confronti dei funzionari che, nell’esercizio delle loro funzioni, per azione od omissione cagionino danno allo Stato o ad una PA (anche diversa da quella di appartenenza).Presupposti della responsabilità amministrativa (che può essere assimilata in senso lato ad una sorta di responsabilità contrattuale discendente dal rapporto di impiego) sono dunque: la qualità di pubblico funzionario, il danno la colpa grave[15] o il dolo e il nesso di causalità. Essa si traduce o direttamente in danno per la PA o in responsabilità diretta di essa verso terzi. In questo tipo di giudizio la Corte ha potere riduttivo in merito alla quantificazione del danno: la quantificazione dell’addebito si rapporta, più che all’entità del danno, alla gravità del comportamento tenuto dal dipendente, tenuto conto di una serie di parametri quali: complessità del lavoro svolto, limitatezza delle risorse umane disponibili, anzianità del dipendente, comportamenti precedenti,, ecc. E’una responsabilità personale e si prescrive in 5 anni.


In alcuni casi, ad esempio in caso di dottorato di ricerca, è invece considerata come servizio utile a tutti gli effetti con retribuzione

L’atto politico invece è espressione della volontà delle forze politiche di maggioranza e di minoranza o degli organi costituzionali super partes (Parlamento e Corte Costituzionale). Gli atti politici costituiscono un numerus clausus, sono tipici, sono liberi nei fini, e pertanto non sono suscettibili di impugnazione e non sono soggetti ad obbligo motivazionale.

Essi constano di un elemento formale (provenienza da un’autorità di governo)e un elemento materiale (emanazione nell’esercizio del potere politico).


Ad es. nel corso di un procedimento disciplinare il Ministro può discostarsi dal parere della Commissione disciplinare ma solo adottando un parere più favorevole al dipendente.

L’elencazione esposta fa capo alla dottrina tradizionale, in particolare al Virga e alla teoria negoziale. Secondo Sandulli, invece (che fa capo alla teoria funzional-procedimentale), gli elementi essenziali dell’atto sono: soggetto, oggetto, forma, contenuto e finalità(scopo perseguito dall’atto).

Il regolamento di ciascuna PA, che disciplina l’esercizio del diritto di accesso, può anche prevedere casi di accesso informale, in cui l’accesso viene consentito immediatamente contestualmente alla richiesta.

L’appalto-concorso è una tipologia particolare cui si ricorre quando la PA predispone solo un progetto preliminare, lasciando al privato il compito di proporre il progetto definitivo ed esecutivo, quindi vi sono diversi modi di rendere la prestazione, fra cui la PA sceglie, usufruendo dell’iniziativa progettuale del privato. Altre tipologie di gara introdotte dalla normativa comunitaria sono gli accordi-quadro(l’appaltante definisce apriori le clausole da applicare agli appalti che aggiudicherà in un lasso di tempo predefinito) e il dialogo competitivo (per appalti particolarmente complessi in cui la PA non è in grado di definire e quantificare preliminarmente i propri bisogni)

Prima della riforma operata con le L80/98 e 205/00, le questioni patrimoniali consequenziali erano riservate al GO.




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