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Reggio Emilia - Rituali della città rinascimentale, Lo stile di vita della Reggio rinascimentale

architettura



Reggio Emilia


Rituali della città rinascimentale

Nell'estate del 1452 l'imperatore Federico III, che aveva conferito a Borso d'Este il titolo di duca, fu accompagnato da Borso a visitare la città, di cui aveva concesso investitura a casa d'Este. Una parata di cavalieri accolse l'imperatore alle porte della città, innalzando rami d'olivo e portando in dono all'illustre visitatore vasi d'oro e d'argento. I nobili Feltrino Boiardo, Guido Bebbio e Federico Pallavicini facevano a gara ad invitarlo nei loro castelli. In quell'occasione Borso confermò a Reggio i patti di dedizione con cui la città si era consegnata a casa d'Este nel 1409; regolò i confini del "maggior magistrato" cittadino; restaurò la Cittadella. Gli splendori di quella visita da parte di un imperatore e di un duca rimasero a lungo nella memoria dei cittadini. Possiamo ora assumere queste occorrenze dell'anno 1452 come data d'inizio per un disegno degli eventi e delle strutture della Reggio rinascimentale, fissando poi come data terminale quella della prima visita che Alfon 131c22b so II fece alla città nel 1561, dopo la successione ad Ercole II nel 1559.

In quell'occasione la città rappresentò se stessa nelle proprie articolazioni sociali e nei propri rapporti col potere ducale, in forme che compendiavano l'immaginario socio-politico della città rinascimentale: il percorso del signore da porta S. Pietro alla piazza della Cattedrale fu scandito con l'oltrepassamento di una sequenza di archi trionfali, che simboleggiavano variamente il ruolo del principe e il ruolo della città.



Il primo arco, in pietra e con colonne doriche, fuori porta S. Pietro, celebrava il quinto duca d'Este attribuendogli i tratti mitici del giovane, salvatore ed iniziatore di un'era nuova.

Il secondo, che sorgeva presso il palazzo Ruini sulla via Regia, adorna di fiori e di tappeti, illustrava il "genio del Principe", nato sotto il segno dello Scorpione: era un vero compendio di simbologia astrologica, cui conferivano un ulteriore fascino misterioso le scritte in caratteri ebraici. Il significato complessivo era un'esaltazione delle virtù militari del principe.

Il terzo arco, innalzato a spese dell'arte dei lavoratori del cuoio, celebrava, con la simbologia delle sue statue in gesso, la prudenza e la pietà del principe: virtù che lo rendevano capace di accrescere la Felicità e la Letizia del popolo.

Il quarto arco era una complessa struttura lignea, innalzata a spese e secondo progetto della potente arte dei notai: celebrava la "Nobilitas Estensis", attraverso le statue dei grandi duchi a partire da Ercole I, caratterizzati ognuno da una scritta che ne sintetizzava i meriti individuali.

Il quinto arco, le cui colonne erano intrecciate di verde ginepro, inalberava assieme le insegne di casa d'Este e della città di Reggio, celebrando la fruttuosa concordia tra principe e comunità.

Oltre il quinto arco si apriva la piazza, al centro della quale spiccava la statue di M. Emilio Lepido, fondatore di Reggio, opera del grande scultore cittadino Prospero Clemente.

Un sesto arco, intrecciato di bosso e pino, sostenuto da colonne in forma di Flora e Pomona, introduceva alla Cittadella: esso esibiva un Nicolò d'Este a cavallo, che schiacciava Ottobono Terzi; le scritte spiegavano che così era finita la tirannide ed iniziata la prosperità cittadina. Ninfe che spargevano fiori, fanciulli che effondevano profumi da una cornucopia, enfatizzavano il simbolo. Sulla piazza dinanzi alla Cittadella un giovane Perseo uccideva il drago per liberare un'implorante Andromeda: mentre un giovane esplicitava l'intenzione allegorica cantando le lodi di Alfonso e di casa d'Este.

Oltre la porta della Cittadella, il duca incontrava infine il settimo arco, innalzato a spese e secondo progetto del governatore Alfonso Tassoni, che aveva scelto simboli enfatizzanti la Fedeltà congiunta alla Fermezza: un grande diamante, un cane fedele, ma anche Mercurio e Marte; e la Vittoria, la Fama, la Forza, la Prudenza.

Oltre il settimo arco l'ingresso del palazzo esibiva le statue del Tempo e dell'Eternità con la scritta imperium sine fine dedi, "ti ho concesso un dominio che non avrà fine".




Lo stile di vita della Reggio rinascimentale

Gli uomini che la veloce circolazione delle "mute" portava al governo della città, e gli uomini cui gli anziani assegnavano poi gli uffici, costituivano l'ossatura reale della civitas ed erano i portatori dell'ideologia dello spirito civico o, se vogliamo, della permanenza, ancora forte in pieno Cinquecento, della tradizione comunale in veste principesca. Purtroppo, non sono disponibili ricerche adeguate su questo forte strato della borghesia amministrativa in Reggio: l'Archivio comunale conserva le fonti che le rendono possibili, a cominciare dalla splendida serie degli Atti consiliari, che racchiudono una completa prosopografia dell'élite di governo cittadino della Reggio rinascimentale. Ma finchè non si sia proceduto agli spogli necessari, la storia cittadina rischia di rimanere sbilanciata nel senso di un'attenzione privilegiata alla suprema signoria estense in Reggio, o magari al potere del principe-vescovo in Reggio.

Eppure il ruolo che svolge l'Anzianato nell'ultimo Quattrocento e, almeno sin'oltre la metà del Cinquecento, pare un ruolo di grande rilevanza politica: esso tutela la superiorità dei ceti urbani rispetto al contado e rispetto ai feudatari; gioca la carta della lealtà al principe per averlo alleato nello scopo costante di assoggettamento di distretto e contado; mantiene in vita una forma di religione cittadina che schiera i santi Prospero e Venerio, Grisante e Daria a difesa della supremazia urbana; e, infine, svolge all'interno delle mura il compito di compattamento dell'anarchico notabilato dei clan familiari in duro contrasto, che continuano a chiamarsi guelfi e ghibellini, o con nomi locali e bonariamente feroci di Tvaja e Cuséina. E' questo il ceto da cui sono usciti uomini come Guido Panciroli o come Gasparo Scaruffi, il quale disegnò il progetto per una moneta valida in tutto l'orbe cristiano e commissionò a Prospero Clemente le grandi statue di Ercole e di Lepido, fondatore di Reggio.

Queste, dunque, erano le strutture di governo che reggevano Reggio nel Cinquecento: la città, con un numero di abitanti che non superava i 14mila, abbracciava 24 parrocchie, ed esercitava dominio diretto sul distretto, che comprendeva 34 ville confinanti a sud coi feudi di Scandiano, Borzano, Albinea e Bianello; a ovest con Montecchio e Cavriago; a nord con Castelnovosotto e Bagnolo; ad est con S. Martino, Correggio e Rubiera.

Accampata in un territorio a forte economia agricola, la città doveva risolvere il problema del regolamento delle acque, in particolare quelle della bassa pianura: il che portava a frizioni continue coi signori che detenevano parte del corso dei fiumi, come i Gonzaga di Novellara, i Boiardi, i da Correggio.

La rendita agraria relativamente alta era rafforzata dall'allevamento del bestiame, principal membro delle entrate dei cittadini, che alimentava le grandi fiere annuali di S. Prospero e i mercati del martedì e del sabato.

Le arti furono assai attive almeno sino agli anni Cinquanta: lana, cuoio, lavorazione dei metalli e seta, la cui lavorazione e commercio raggiunse appunto l'apice a metà del Cinquecento per entrare in crisi dopo il 1580.

Queste erano le basi economiche su cui la città si sosteneva: finanziando il grande rinnovamento edilizio di fine Quattrocento; alimentando le spese cospicue assorbite dalle sue innumerevoli fabbriche sacre e profane e dal numeroso terziario di governo e di chiesa; sostenendo anche quelle istituzioni culturali che conferiscono il nuovo tono umanistico all'educazione cittadina, con i lettori di lettere latine e greche, stipendiati dalla comunità; o fondando addirittura una scuola di Istituzioni del diritto, riconosciuta da Carlo V nel 1532.

Anche il gusto del vivere era alto, in una città che adoperava lo scalpello degli Spani per dare visi classici ai suoi santi o nobile statua al suo mitico fondatore romano.

Insomma, questa Reggio rinascimentale era una città dignitosa e, per molti versi, amabile.




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