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LA METAFISICA - IL SURREALISMO

storia dell arte




LA METAFISICA


Seconda per importanza tra le avanguardie storiche italiane dopo il Futurismo, nacque a Ferrara intorno al 1916 dall'incontro avvenuto nell'ospedale militare di quella città fra Giorgio de Chirico e Carlo Carrà. Si aggiunsero successivamente il giovane Filippo de Pisis e il fratello di de Chirico, Andrea, più noto col nome di Alberto Savinio. Anche Giorgio Morandi, a Bologna, visse una breve ma significativa esperienza metafisica.

La Metafisica presenta, fin dall'inizio, caratteristiche radicalmente opposte a quelle del Futurismo; alla bellezza della velocità e del rumore, all'ottimismo del progresso tecnico-s 444g68e cientifico dell'industria e della macchina, sostituisce una pittura fatta di silenzio e di attesa, in cui tutto appare avvolto in una strana e ambigua atmosfera di immobilità.

È già dai primi anni Dieci, a Parigi, che cominciano dunque a svilupparsi i primi fermenti movimento, che affonda le sue radici nella conoscenza dei testi di Nietzsche e di Schopenhauer e nell'interesse di de Chirico per il filone più esoterico, simbolista e romantico della pittura francese di fine Ottocento.

Soltanto nel clima un po' straniato e quasi irreale della guerra, tra gli antichi monumenti e le splendide piazze di Ferrara, l'idea della Metafisica giunge a completa maturazione.



Piazze deserte, contornate da edifici e porticati bui e profondi che proiettano ombre scure e minacciose, fanno da scenario a situazioni assolutamente improbabili in cui la presenza umana è quasi inesistente, sostituita da manichini, attori "senza voce, senza occhi, senza volto" frutto di un montaggio composto tra oggetti di diversa origine. Una luce ferma e priva di vibrazione atmosferica illumina queste prospettive false e aberranti, conferendo alla scena un tono di vago mistero.

Numerosi sono anche i soggetti di interni in cui automi e manichini sono nuovamente protagonisti, insieme ad oggetti quotidiani o a solidi geometrici la cui forma pura ed essenziale acquista, grazie alla luce, una più salda definizione plastica.

Per gli artisti della Metafisica, la pittura non è uno strumento di Imitazione e conoscenza del reale; essendo dotata di un linguaggio completamente autonomo, essa costruisce il proprio mondo che vive in uno spazio irreale e fuori dal tempo, nella mente e nell'intelletto umano.


IL SURREALISMO


"E' ancora troppo presto per sapere quale sia stata l'effettiva portata storica di Dada, ha scritto nel 1951 il pittore statunitense Robert Motherwell, ma fin da adesso possiamo affermare che, per il fatto di aver dato l'avvio al Surrealismo, esso ha creato un nuovo clima culturale, di cui l'arte e la poesia non possono più oramai non tenere conto".

Il passaggio di mano tra Tristan Tzara e i poeti francesi Louis Aragon, Philippe Soupault, Paul Eluard e, soprattutto, André Breton, vera guida spirituale e catalizzatore del gruppo surrealista, avvenne a Parigi nei primissimi anni Venti.

Alla negazione totale di Dada, il Surrealismo oppone una decisa volontà di affermazione; al "niente" del Dadaismo, i surrealisti sostituiscono un progetto estetico concreto, un sistema di conoscenza basato sulla psicologia e sulla filosofia.

Il movimento, con un orientamento inizialmente letterario, nacque ufficialmente a Parigi nel 1924, anno di pubblicazione del Primo Manifesto del Surrealismo scritto e firmato da André Breton, ma già alcuni anni prima, nell'ambito delle manifestazioni organizzate dalla rivista "Littérature" (fondata nel 1919 da Aragon, Breton e Soupault), era cominciata la costituzione del gruppo.

Il Surrealismo, termine coniato dal poeta Apollinaire nel 1917, viene definito nel Manifesto come "automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere il funzionamento reale del pensiero con l'assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale". In questa definizione è racchiuso il principio della poetica surrealista e il consapevole superamento della posizione Dada.

Il riscatto totale dell'immaginazione dal controllo razionale può essere attuato secondo i Surrealisti mediante il procedimento dell'automatismo psichico, che permette alle immagini provenienti dall'inconscio di fluire liberamente (flusso di coscienza) senza filtri e di essere registrate dall'artista.

Questo significa privilegiare quella dimensione inconscia sulla quale Freud aveva fatto luce: sogni, pulsioni, atti mancati, lapsus e quant'altro. Dare voce a questo mondo inconscio, mediante la tecnica dell'automatismo, permette all'artista surrealista di costruire di fatto un nuovo modello di realtà: una realtà assoluta, la "surrealtà", come la definisce Breton.

Il processo di trascrizione automatico aveva trovato una diretta anticipazione in Dada. Tuttavia se per Dada tale procedimento aveva lo scopo di scardinare qualsiasi tipo di logica convenzionale, per il Surrealismo si tratta di "rivelare tutto il meraviglioso" che la ragione nasconde.

Ben presto aderirono al movimento numerosi artisti: Giorgio de Chirico (la cui pittura può essere considerata una importante anticipazione al Surrealismo), Picabia, Duchamp, Picasso, Man Ray, Max Ernst, André Masson e Paul Klee. Anche lo spagnolo Joan Mirò era entrato in contatto con Breton piuttosto presto, fin dal 1923. Nel 1925 a Parigi venne allestita la prima collettiva ufficiale surrealista alla quale prese parte, oltre a molti degli artisti già citati, il pittore e scultore Hans Arp. L'anno successivo si unirono al gruppo René Magritte e Yves Tanguy e nel 1929 lo spagnolo Salvador Dalì.

Verso la metà degli anni Trenta, dopo che Breton nel Secondo Manifesto del Surrealismo, pubblicato nel 1930, aveva dichiarato con fermezza le posizioni politiche del movimento, il Surrealismo giunse ad una esplicita posizione marxista.

I Surrealisti si trovarono così divisi tra l'impegno politico da una parte e la libera esplorazione delle coscienze individuali dall'altra. Ciò generò crisi, sconfessioni e fughe; eppure, nonostante i dissensi, l'orientamento generale del movimento non mutò.

Solo la seconda guerra mondiale e la conseguente dispersione degli artisti (soprattutto verso l'America) segnarono la reale disgregazione del gruppo.


LA POP ART

A partire dal 1959-60 si afferma - soprattutto negli Stati Uniti e immediatamente dopo in Europa - un nuovo fenomeno artistico e culturale ormai universalmente noto come Pop-Art. Un celebre critico d'arte, Lucy Lippard, ha osservato che l'arte Pop, "è nata due volte: la prima volta in Inghilterra, e poi, indipendentemente, a New York".

Il termine Pop Art, abbreviazione di Popular Art (arte popolare), viene in effetti coniato verso il 1955 da due studiosi inglesi, Leslie Fiedler e Reyner Banham, e le prime manifestazioni di questa nuova tendenza hanno origine in Inghilterra.

Mostre dedicate alla Pop-Art, vengono allestite fin dai primissimi anni Sessanta, come la celebre esposizione "The Popular Image" inaugurata nell'aprile del 1966 a Washington, alla quale partecipano praticamente tutti i massimi protagonisti del movimento: Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Jim Dine, Roy Lichtenstein, Claes Oldenburg e Andy Warhol.

Al di là delle mostre collettive allestite sia in America sia in Europa, gli artisti pop non sono un gruppo omogeneo; non hanno un programma artistico o ideologico comune, non redigono manifesti. La Pop-Art, quindi, più che una corrente dai definiti contorni, va considerata soprattutto un "fenomeno" strettamente legato allo spirito dell'epoca.

Per comprendere a fondo la Pop-Art occorre prendere in considerazione il contesto in cui nasce, che è quello del boom economico. I consumi sono aumentati grazie all'accresciuto potere d'acquisto delle masse: si diffondono gli elettrodomestici, l'automobile e la televisione, forse il più potente fra i mezzi di comunicazione. Le regole di mercato impongono ora un ricambio di prodotti frenetico.

Anche la creatività diventa un lavoro per la massa: la grafica pubblicitaria, il design o gli spot  televisivi sottraggono agli artisti un campo fino a quel momento di loro esclusiva competenza quello cioè della produzione delle immagini. Se la società è una civiltà del consumo - pensano alcuni dei maggiori artisti Pop - allora anche l'arte, come qualsiasi altro prodotto per la massa, uguale a tutti e fruibile da tutti, deve diventare oggetto di consumo, e in quanto tale deve seguire le medesime leggi di mercato. Gli artisti pop attingono letteralmente le loro immagini dalle forme commerciali e dai mass-media, ricorrendo però a tecniche diverse tutte tese a estraniare gli oggetti dal loro ambito consueto, costringendo la folla a vederli sotto una nuova luce critica e con più attenzione.

Gli artisti pop scelgono quindi di misurarsi con i meccanismi della società e di raffigurare, e talvolta di utilizzare, tutto ciò che prima era considerato indegno di attenzione, e tanto meno artistico: barattoli di salsa, bottiglie di bibita, confezioni di detersivo pin-up della televisione, cartoni animati, pubblicità, cibi preconfezionati e standardizzati; insomma, tutte le immagini offerte dai mass-media e alle quali viene ora riconosciuta una validità espressiva. Sono oggetti e ossessioni della vita moderna, veri e propri simboli di un'epoca che, nel convulso e frenetico ritmo quotidiano, rischiano di passare inosservati se non addirittura di scomparire.

Non c'è in queste operazioni nessuna volontà di nobilitare la realtà, ma piuttosto l'intenzione di sottolineare gli aspetti più grotteschi, banali e volgari della società dei consumi, con la sua irritante pubblicità e la mediocrità dei suoi prodotti. Per Johns e Rauschenberg, ad esempio, tanto la bandiera, simbolo dell'America per eccellenza, quanto gli oggetti tratti dal contesto urbano, diventano arte.

Un'ulteriore riflessione sui devastanti meccanismi di una società portata a consumare di tutto, e fatalmente anche l'arte, è offerta da Lichtenstein e Oldenburg, che ingigantiscono fumetti, panini, jeans o tubetti di dentifricio, e da Warhol che, provenendo non a caso proprio dal mondo della pubblicità richiama ironicamente l'attenzione sulla glorificazione dei prodotti e degli oggetti standardizzati, ripetendo ossessivamente lo stesso oggetto.






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