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Il Contratto Sociale - Jean-Jacques Rousseau:"L'uomo è nato libero ma ovunque si trova in catene"

storia



Il Contratto Sociale

Jean-Jacques Rousseau


LIBRO I


"L'uomo è nato libero ma ovunque si trova in catene"


Come lo si può liberare da queste catene senza che ritorni ad una vita guidata dall'istinto primitivo? Il problema sta nel trovare una forma sociale che garantisca sicurezza collettiva e libertà individuale allo stesso tempo. L'unico modo per creare una società armonica è limitare le libertà individuali in favore di un contratto sociale condiviso da tutti gli uomini. Rousseau propone, dunque, uno stato in cui l'uomo non è sottoposto ad un'autorità, ma deve cambiare nel suo essere, cioè, deve superare l'egoismo proprio degli individui a dimenticare la proprietà privata, espressione di volontà egocentrica, adeguandosi a scelte collettive, in nome della VOLONTÀ GENERALE, che è un patto che gli uomini stringono fra di loro, in piena libertà e uguaglianza, è la volontà di tutti i cittadini, visti come corpo comune. Deve essere un cambiamento di atteggiamento condiviso da tutta la comunità: solo così la società umana avrà modo di fondarsi su più giusti valori.




Le prime società


La società più antica è quella della famiglia, in cui i figli sono legati al padre dal bisogno di mantenimento. Quando questo bisogno cessa, il legame naturale si scioglie:

i figli sono esonerati dall'obbedienza al padre;

il padre è esonerato dalle cure verso i figli.

Così, entrambi rientrano nell'indipendenza, che è conseguenza della natura dell'uomo in cui, la sua prima legge, è quella di preoccuparsi della propria sopravvivenza e le prime cure che deve, sono quelle rivolte a sé; appena giunge all'età della ragione, diventa il solo giudice dei mezzi per la propria conservazione e, per questo, diviene padrone di sé.


La famiglia è, dunque, il primo modello di società politiche,

dove il capo è l'immagine del padre e il popolo quella dei figli

e dove tutti sono nati uguali e liberi.


La differenza sta nel fatto che, mentre nella famiglia l'amore del padre per i figli lo ricompensa delle cure che ha loro rivolto, nello Stato, invece, il piacere di comandare colma l'amore che il capo non nutre per il suo popolo.


Il diritto del più forte


"Il più forte non è mai tanto forte da essere sempre il padrone, se non trasforma la sua forza in diritto e l'obbedienza in dovere". Noi, però, vediamo che dalla forza non deriva alcun tipo di moralità. Per cui non si può parlare di "diritto del più forte" proprio perché questo non è un diritto. Infatti, se obbedire al potere vuol dire cedere alla forza, è come dire:

"Supponiamo che un brigante mi sorprenda nel passaggio di un bosco: non solo bisogna per forza che gli dia la borsa, ma, nell'eventualità che potessi sottrargliela, sarei comunque obbligato a dargliela ugualmente? Perché, in ultima analisi, la pistola che ha in pugno è anch'essa un potere". Vediamo, quindi, come la forza non sia in grado di fare il diritto e che l'obbedienza è da mettere in atto solo in presenza di poteri legittimi.


La schiavitù


Visto che, per natura, nessun uomo ha diritto di autorità su un suo simile, e visto che la forza non crea alcun diritto, restano le convenzioni, come base alle autorità legittime fra gli uomini.

Grozio dice: "Se un uomo può alienare la sua libertà per ridursi in schiavitù di un padrone, allora perché un popolo intero non potrebbe alienare la sua e ridursi suddito di un re?". Innanzitutto fermiamoci ad analizzare il significato di alienare. Alienare vuol dire donare o vendere. Dire che un uomo si dona senza motivo è una cosa assurda: infatti, questo è un atto privo di valore, poiché chi lo compie non è nel pieno delle sue facoltà mentali. Parlare di "donarsi gratuitamente" per un popolo intero significa ipotizzare un popolo di pazzi. E la pazzia non fa il diritto.

Inoltre, rinunciare alla propria libertà significa rinunciare ai diritti dell'umanità e alla propria qualità di uomo. Non c'è risarcimento per chi rinuncia a tutto.

Grozio, poi, afferma che la guerra è da considerarsi come un'altra origine del diritto di schiavitù: infatti, secondo lui, il vincitore ha il diritto di uccidere il vinto. Ciò, però, non è ammissibile: infatti, gli uomini non sono nemici per natura, visto che, nello Stato di Natura vige una condizione pacifica e felice in cui, sì, possono esserci liti, ma non guerre. La guerra è una realtà politica, dello Stato Civile che presuppone una relazione fra Stato e Stato, non fra uomo e uomo.

Dunque, da qualsiasi parte venga esaminato, il diritto di schiavitù è nullo perché è illegittimo, assurdo e privo di significato.


Il patto sociale


Ipotizziamo che l'uomo, nello stato di natura, sia giunto a quel punto in cui gli ostacoli che minano la sua sopravvivenza abbiano la meglio sulle forze di cui ogni uomo dispone per conservarsi: così, il genere umano sparirebbe se non cambiasse modo di vita.

Per questo è necessario unire le forze e aggregarsi, così da avere la meglio su quegli ostacoli. Rousseau dice: "Bisogna trovare una forma di associazione che difenda e protegga, mediante tutta la forza comune, la persona e i beni di ogni associato e per mezzo della quale ognuno, unendosi a tutti, non obbedisca, tuttavia, che a se stesso e rimanga libero come prima": assicura, dunque, la salvaguardia degli interessi individuali e la loro tendenza all'interesse generale. La formula del contratto sociale proposta da Rousseau può essere definita in questi termini: nel patto sociale, ogni individuo deve cedere tutto se stesso e tutti i suoi diritti (come afferma Hobbes) ma, al contrario di ciò che dice Hobbes, il destinatario di questa alienazione (=trasferimento, messa in comune) non è un singolo individuo, ma l'intero "corpo politico". Ognuno, dunque, cede i propri diritti e i propri beni per poi riprenderli come collettività. Le note di questo contratto si riducono a una sola: l'alienazione totale di ogni associato con tutti i suoi diritti a tutta la comunità. Una volta messa in atto quest'alienazione, l'unione diventa perfetta e nessun associato ha più nulla da reclamare.

Il patto sociale, dunque, si riduce a queste parole: "Ciascuno di noi mette in comune la sua persona e tutto il suo potere sotto la suprema direzione della volontà generale e noi riceviamo ogni membro come parte indivisibile del tutto". Quest'associazione produce un corpo collettivo, una persona pubblica che si crea dall'unione di tutte le altre e si chiama Repubblica o corpo politico, che viene chiamato Stato, quando è passivo, Sovrano quando è attivo, Potenza quando lo si pone a confronto con altre entità politiche.

Gli associati, invece, prendono il nome di popolo e, in particolare:

cittadini, come partecipi dell'autorità sovrana;

sudditi, come soggetti alle leggi dello Stato.



LIBRO II


La sovranità è inalienabile


La conseguenza più importante che deriva da quanto finora esposto è che solo la volontà generale, intesa non come "volontà di tutti", cioè la semplice somma delle singole volontà, ma come "volontà collettiva", è in grado di dirigere le forze dello Stato secondo il bene comune. L'esercizio della volontà generale è affidato alla sovranità, in cui risiede il potere legislativo, cioè quello di approvare leggi di carattere generale che promuovano obiettivi comuni all'intero corpo sociale. Il sovrano può essere rappresentato solo da se stesso e la volontà generale, con la sovranità del popolo, esiste solo quando il popolo è interamente riunito in un'assemblea.


La sovranità è indivisibile


Per lo stesso motivo per cui la sovranità è inalienabile, è anche indivisibile: solo se la volontà è generale ed è quella del corpo del popolo, si può chiamare atto di sovranità (convenzione tra il corpo politico e ciascuno dei suoi membri) e fa legge.


I limiti del potere sovrano


La sovranità è il potere assoluto che lo Stato esercita sui membri che ne fanno parte ed è un potere diretto dalla volontà generale.

Tutti i servizi che i sudditi devono al Sovrano, glieli devono nel momento in cui questo glieli chiede; ma il Sovrano non può imporre nessun obbligo privo di senso ai suoi sudditi perché, sotto la legge di ragione, nulla avviene senza motivo.

Il potere sovrano, per quanto assoluto e inviolabile sia, non può andare oltre i limiti delle convenzioni generali e il Sovrano non ha diritto di opprimere un suddito invece che un altro, altrimenti il suo potere diventerebbe di natura particolare, quindi non sarebbe più valido.


Le leggi


Sono norme che stabiliscono i diritti e i doveri dei cittadini e, in generale, le "condizioni dell'associazione civile". Devono essere emanate dal Popolo, poiché solo coloro che si associano possono stabilire le regole della società. Questo è ciò che il principio democratico (o della sovranità popolare) enuncia. Rousseau definisce "Repubblica" ogni Stato governato con le leggi, attraverso le quali il sovrano esprime la propria volontà.


Il legislatore


Il legislatore è colui che, interagendo con un popolo "appena nato", "costituisce la repubblica". Egli è il fautore della legislazione e si occupa degli aspetti fondamentali della convivenza, cioè dei costumi del popolo, in cui sta la "vera costituzione dello Stato". Rousseau afferma che, grazie alla saggezza del legislatore, il patto sociale vivrà più duraturo così come le istituzioni. Egli dice che la figura del legislatore è tanto importante non solo per ciò che riguarda i suoi poteri, ma soprattutto per quel che concerne le sue qualità personali: tanto rare da far dire a Rousseau che "occorrerebbero degli Dei per dare leggi agli uomini".


Il popolo


Un saggio legislatore è colui che, inizialmente, analizza il popolo per il quale deve comporre le leggi per vedere se esso è in grado o no di sopportarle.

Come per gli uomini, anche per le Nazioni c'è un tempo più maturo per essere sottomesse a delle leggi: se si agisce troppo in fretta, l'impresa fallisce. Il popolo adatto a ricevere una legislazione è quello che non ha costumi o tradizioni radicate; quello che non teme un'improvvisa invasione del territorio; che può fare a meno degli altri popoli per mantenersi e di cui gli stessi altri popoli possano fare a meno; che può essere autosufficiente.



LIBRO III


Il governo


Nel corpo politico vediamo la distinzione tra:

volontà, sotto il nome di potere legislativo;

forza, sotto il nome di potere esecutivo.

Il potere legislativo, come abbiamo visto, è in mano al popolo. Quello esecutivo, dunque, spetta al Governo, che si impegna per fare operare la forza pubblica secondo le norme della volontà generale e favorisce la comunicazione fra Stato e Sovrano. Il Governo, dunque, è un intermediario tra i sudditi e il Sovrano, e si occupa dell'esecuzione delle leggi e della conservazione della libertà.

I singoli membri del Governo si chiamano Governatori, mentre l'intero corpo si chiama Principe.

Il Governo riceve dal Sovrano gli ordini che dovrà, poi, trasmettere al popolo.

Il Governo è l'esercizio legittimo del potere esecutivo; il Magistrato è colui che è incaricato dell'amministrazione del potere esecutivo.


Diverse forme di governo


Il governo può essere:

democratico, in cui il governo è in mano a tutto il popolo o alla maggior parte di esso;

aristocratico, in cui il governo è posto nelle mani di una minoranza;

monarchico, in cui il governo spetta ad un solo magistrato.





La democrazia


Essa viene vista come forma di governo insufficiente, poiché non è mai esistita realmente in nessun luogo. Col termine democrazia si indica quella forma di governo in cui è il popolo ad applicare le leggi. C'è un'unione tra potere legislativo ed esecutivo: ciò viene visto in maniera negativa perché il popolo distoglie il proprio interesse dalle idee generali per applicarlo alle necessità particolari, in quanto la distinzione fra sovrano e popolo viene meno. I due poteri devono, quindi, restare separati.


L'aristocrazia


Esistono tre tipi di aristocrazia:

naturale;

elettiva;

ereditaria.

La prima conviene ai popoli semplici, rozzi; la seconda è considerata la migliore, mentre la terza come la peggiore forma governativa che ci sia. È, dunque, preferibile la forma elettiva, in cui i migliori sono messi alla guida del potere esecutivo, avendo come obiettivo primario l'interesse comune. L'aspetto negativo di tale forma di governo sta nel fatto che la volontà generale può sembrare repressa a vantaggio dei governanti.


La monarchia


Colui nelle cui mani è accentrato il potere, si chiama Monarca o Re. Essendo che tutto è nelle mani di un singolo, tutto va verso lo stesso scopo che, però, non è il bene comune. I Re vogliono essere assoluti e loro interesse è l'indebolimento del popolo, così che non gli possa resistere. Inoltre, un altro difetto del governo monarchico, rispetto a quello repubblicano, è che, in quest'ultimo, il voto del popolo promuove uomini capaci; i Monarchi, invece, sono spesso coloro che ingannano per ottenere qualcosa e che sono incapaci di sostenere uno Stato.


Non ogni forma di governo è adatta ad ogni Paese


Visto che nessuna di queste è una forma di governo perfetta, come si deve scegliere quale sistema governativo un popolo debba adottare? Si devono prendere in considerazione le dimensioni dello Stato: per gli stati piccoli sono più adatti governi democratici; per gli stati medi quelli aristocratici; per gli stati grandi quelli monarchici. Questo perché, più c'è distanza tra Governo e Popolo, più le tasse sono gravose: dunque, nella democrazia il popolo è meno appesantito, nell'aristocrazia lo è di più e nella monarchia ancora di più.

Il segno della presenza di un buon governo sussiste quando il popolo aumenta senza necessitare di interventi esterni.

La ricerca della migliore forma di governo deve essere attuata seguendo il principio per cui la libertà si garantisce meglio quando la comunità è composta da un basso numero di individui, perché, altrimenti, si assiste ad un progressivo allontanamento delle volontà particolari dalla volontà generale.


La degenerazione del governo


Esistono due vie, attraverso cui il governo tende a degenerare:

A)     quando si restringe;

B)      quando lo Stato si dissolve.

A. "Il governo si restringe quando passa dalla maggioranza alla minoranza, cioè dalla democrazia all'aristocrazia, e dall'aristocrazia alla monarchia".

B. "La dissoluzione dello Stato può avvenire in due modi: prima di tutto, quando il principe non amministra più lo Stato legittimamente e si impadronisce del potere sovrano; a questo punto il patto sociale è infranto, tutti i cittadini rientrano di diritto nella loro libertà naturale e non sono tenuti a obbedire, ma vengono forzati a ciò".

Quando lo Stato si dissolve, la prima forma di degenerazione prende il nome di anarchia, la quale si distingue ulteriormente in:

degenerazione all'interno della democrazia: oclocrazia ("governo della folla");

degenerazione all'interno dell'aristocrazia: oligarchia;

degenerazione all'interno della monarchia: tirannide.

Riguardo la tirannide, occorre una precisazione. Rousseau dice: "definisco Tiranno l'usurpatore dell'autorità regia, e Despota l'usurpatore del potere sovrano. Il tiranno è colui che interviene contro le leggi per governare secondo le leggi; il despota è colui che si mette al di sopra delle leggi stesse. Così il tiranno può non essere despota, ma il despota è sempre tiranno".


Mezzo per prevenire le usurpazioni del governo


Per evitare le usurpazioni dl governo, Rousseau propone la convocazione periodica di assemblee del popolo che, come scopo essenziale, hanno quello di mantenere il patto sociale. Durante queste assemblee, il popolo si deve esprimere su due argomenti principali:

se sono tutti d'accordo nel mantenere la presente forma di governo;

se acconsentono a lasciare che l'amministrazione di questa sia sempre affidata a coloro che ne sono attualmente incaricati.

Solo così si possono prevenire e anche evitare risvolti che potrebbero essere dannosi per lo Stato e per gli stessi cittadini.


LIBRO IV


La volontà generale è indistruttibile


Dal momento in cui gli uomini si uniscono in un solo corpo, la volontà che li guida è quella volta al bene comune, vale a dire la volontà generale. Solo così, dunque, lo Stato si mantiene saldo, senza intrighi o contraddizioni e il bene comune si mostra dappertutto. Ma, quando il patto sociale si indebolisce e gli interessi particolari superano l'interesse generale, allora non sussistono più né l'unanimità nelle votazioni, né la volontà generale: nascono, dunque, dei contrasti. La volontà generale, dunque, smette di sussistere quando il legame sociale s'infrange in tutti gli animi, quando l'uomo è accecato dalle passioni. Essa, però, in quanto voce della natura, come la coscienza, non può essere distrutta.


I suffragi


L'unica legge che, per natura, esige un consenso unanime è il patto sociale. Se ci sono individui che si oppongono al patto, essi ne vengono esclusi, ma non lo annullano.

Al di fuori di questo contratto, è la decisione della maggioranza che prevale. Ma, ci si chiede come possa un uomo che si è opposto, sottomettersi a leggi cui non ha dato il suo consenso. Rousseau risponde che quando l'assemblea del Popolo viene convocata, è chiamata a decidere se la legge proposta rispecchi o no la volontà generale, non se essi l'approvino oppure no. Ognuno, con il proprio voto, esprime il suo parere; in seguito, si compie il calcolo dei voti e si ricava l'enunciazione della volontà generale. Dunque, è la maggioranza a decidere legittimamente e "le sue deliberazioni assumono diritto di legge se in essa risiedono tutti i caratteri della volontà generale". Se ciò non avviene, non c'è più libertà.


Le elezioni


Ci sono due modi per eleggere il Principe e i Magistrati, vale a dire la scelta e il sorteggio. La prima serve per occupare i posti che richiedono competenze specifiche (ad esempio, le funzioni militari); la seconda è adatta per le occupazioni in cui è necessario il solo buon senso (ad esempio, la giustizia).

Il sorteggio è tipico della democrazia poiché la scelta risulterebbe indifferente, vigendo, nel sistema democratico, una totale uguaglianza nei costumi  e nelle capacità. Al contrario, nell'aristocrazia vige il metodo della scelta, in cui il Principe sceglie il Principe. Nella monarchia non sussiste. Invece, né il metodo del sorteggio, né quello della scelta, poiché è il monarca da solo a scegliere i propri funzionari.


Il tribunato


Quando i rapporti tra le parti costitutive dello Stato sono ostacolati, allora è necessaria l'istituzione di una magistratura speciale, distinta dalle altre, che funga da legame tra quelle parti: essa è il Tribunato, che ha il compito di mediare e preservare l'equilibrio tra sovrano e governo, conservando le leggi e il potere legislativo. Degenera in tirannia quando:

si impadronisce del potere esecutivo, di cui deve essere soltanto il coordinatore;

vuole dare le leggi, che è tenuto solo a proteggere.

Per prevenire le usurpazioni del tribunato, bisognerebbe renderlo temporaneo. Gli intervalli che si vengono, così, a creare, devono essere brevi per impedire la formazione di abusi.

La dittatura


Prima di tutto, bisogna essere consapevoli che non si può prevedere ogni cosa e che, quindi, è possibile l'insorgere di pericoli che non erano stati previsti. Si deve, allora, provvedere alla sicurezza pubblica affidandone la responsabilità a colui che è ritenuto il più degno. Questo incarico viene conferito a seconda del genere di pericolo:

se è sufficiente aumentare l'attività del governo, lo si concentra in uno o due dei suoi membri, alterando, dunque, solo la forma della loro amministrazione;

se la minaccia è tale che tutto l'apparato governativo è di ostacolo alla difesa contro quel pericolo, bisogna nominare un capo supremo che sospenda, temporaneamente, l'autorità sovrana.

La dittatura è il mezzo con cui salvare lo Stato in situazione di pericolo. La sua durata deve essere, però, stabilita entro un certo limite di tempo, per evitare che il dittatore abbia la tentazione di prolungarla, impadronendosi via via dell'intero potere e sottomettendo tutto lo Stato, illegittimamente. Esso, dunque, ha solo il tempo per preoccuparsi del bisogno che lo ha fatto eleggere, senza pensare ad altro.


La censura


Essa riguarda l'opinione pubblica. Per censura Rousseau intende il giudizio di disapprovazione sulla condotta individuale. "La censura preserva i costumi e impedisce alle opinioni di corrompersi, conservando la loro rettitudine attraverso sagge applicazioni, fissandole quando sono incerte". Abbiamo, qui, un esempio tangibile dello scetticismo di Rousseau riguardo le capacità del popolo di mantenersi in piena autonomia: infatti, egli considera necessario l'appoggio a forme di difesa che stiano al di fuori della costituzione.


La religione civile


Rousseau propone la suddivisione della Religione in:

religione dell'uomo: è limitata al culto puramente interiore del Dio Supremo;

religione del cittadino: questi tipo di religione ha i suoi principi e i suoi riti, stabiliti dalle leggi. È circoscritta ad una sola nazione, agli occhi della quale, tutte le altre sono infedeli, barbare.

La seconda è buona perché unisce il culto divino con l'amore per le leggi e fa della patria il solo oggetto di adorazione del cittadino. Essa è, però, cattiva perché si basa sull'errore e sulla menzogna, per cui inganna gli uomini, rendendoli superstiziosi e ingenui. È cattiva anche quando diventa tirannica, facendo diventare il popolo spietato e intollerante verso coloro che non ammettono i suoi stessi dèi, facendogli credere di compiere un'azione santa eliminando quei popoli. L'unica religione giusta è quella dell'uomo: attraverso questa, gli uomini, che sono tutti figli dello stesso Dio, si riconoscono tutti come fratelli e la società che li lega non si dividerà mai. Anch'essa, però, comporta aspetti negativi: infatti, dice Rousseau, tende a distogliere l'uomo dallo Stato, poichè limita le forze dell'uomo all'ambito interiore, lasciando indifeso il piano dei rapporti sociali e terreni. Mancando, dunque, una forma di tutela a questo, il cristianesimo ha concesso alla tirannia e all'egoismo di subentrare nella società. Rousseau dice, infatti: "Il Cristianesimo è una religione tutta spirituale, intenta esclusivamente ai beni celesti: la patria del cristiano non è di questo mondo. Egli adempie al suo dovere, è vero, ma lo fa con una profonda indifferenza per il buono o il cattivo esito dei suoi sforzi. [.] Essere vincitori o vinti, che cosa importa? La provvidenza non sa meglio di loro ciò di cui hanno bisogno? [.] Il Cristianesimo non predica altro che servitù e sottomissione. Il suo spirito è troppo favorevole alla tirannia perché questa non ne tragga sempre vantaggio. I veri Cristiani sono fatti per essere schiavi; lo sanno e non ne provano turbamento; questa breve vita vale troppo poco ai loro occhi".

Il Cristianesimo è, dunque, visto come fonte dell'indebolimento dello Stato, come esercizio della tirannide sui sudditi che si espone alle aggressioni da parte di altri stati: "Se sopravviene qualche guerra esterna, i cittadini vanno facilmente a combattere; nessuno di loro medita la fuga, fanno il loro dovere, ma senza passione per la vittoria; sanno piuttosto morire che vincere". Secondo il punto di vista di Rousseau, dunque, i cristiani non hanno alcun interesse nei confronti dello Stato e perciò non se ne curano, lasciandolo andare alla degenerazione e al conseguente fallimento. La vita politica, invece, ha bisogno di una religione che ne garantisca la stabilità. Per questo, dice Rousseau, occorre presentare un tipo di religione puramente civile, di cui il sovrano dovrà fissare i princìpi, intesi come "sentimenti di socialità", che "dovranno essere pochi, semplici ed enunciati con precisione". I dogmi positivi della Religione Civile sono:

esistenza della divinità onnipotente, previdente, intelligente;

felicità dei giusti;

castigo dei malvagi;

santità del Contratto Sociale e delle leggi.

Tali princìpi sono, dunque, i medesimi della religione dell'uomo, ma con l'aggiunta di un dogma negativo, vale a dire, l'intolleranza: essa comporta che "si devono tollerare tutte le religioni che tollerano le altre, a condizione che i loro dogmi non contengano nulla che contrasti con i doveri del cittadino. Chiunque si azzardi a dire che fuori della Chiesa non c'è salvezza, deve essere cacciato dallo Stato". Infatti, lo Stato, non la Chiesa, rappresenta il solo strumento per la salvezza individuale e collettiva, perché esso è il luogo in cui si sviluppano le virtù umane.




CONCLUSIONI FINALI


Da quest'opera possono essere tratte quattro conclusioni fondamentali:


NESSUN UOMO HA DIRITTO DI AUTORITÀ SU UN SUO SIMILE, quindi la libertà e l'uguaglianza sono principi fondamentali che devono essere sempre rispettati;

LA SOVRANITÀ RISIEDE NEL POPOLO ed è inalienabile, quindi il suo esercizio non può essere affidato a nessun altro;

IL GOVERNO È SUBORDINATO AL POTERE SOVRANO e quando cerca sostituire la sua volontà con quella del popolo, allora il patto sociale s'infrange e lo Stato si disgrega e i cittadini sono sciolti dall'obbligo di obbedire, ma vi sono forzati.

LA VOLONTÀ GENERALE È IL PRINCIPIO FONDAMENTALE SU CUI SI BASA TUTTO IL PATTO SOCIALE e senza la quale la società non potrebbe esistere se non fondata sul disordine, i contrasti e la disuguaglianza.




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