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John Stuart Mill, (Londra 1806 - Avignone 1873) filosofo ed economista britannico

storia



John Stuart Mill (Londra 1806 - Avignone 1873) filosofo ed economista britannico del XIX secolo,estese alla politica la teoria utilitaristica secondo la quale un'azione è giusta quando procura piacere ed è sbagliata quando genera dolore. Nel suo Saggio sulla libertà (1859), egli sostenne che tutti i membri di una società devono essere liberi, soprattutto di esprimere le proprie opinioni.


Contesto storico

Tra la fine degli anni Quaranta e i tardi anni Sessanta del XIX secolo, il Regno Unito conobbe un periodo di grande prosperità economica, che solo in parte risentì delle guerre sul continente e oltremare. La Grande esposizione del 1851 a Londra divenne l'emblema del primato industriale britannico. Questa età venne chiamata età Vittoriana. Regina Vittoria Regina di Gran Bretagna e Irlanda, successivamente imperatrice delle Indie, Vittoria regnò dal 1837 al 1901. La sua epoca, nota come "età vittoriana", fu contraddistinta dall'ascesa delle classi medie e da una grande austerità dei costumi.

La posizione dominante del paese nel commercio mondiale durante il XVIII e XIX secolo fu dovuta in gran parte all'isolamento geografico delle isole Britanniche rispetto ai conflitti e ai problemi politici che affliggevano il continente. Lo sviluppo delle grandi compagnie mercantili (Compagnia delle Indie Orientali -dove vi ha lavorato Mill-), l'espansione coloniale e il controllo navale dei mari furono fattori conseguenti.




Riallacciandosi alla dottrina del francese Auguste Comte, Mill contribuì a diffondere in Gran Bretagna il positivismo, svolgendo in particolare i temi relativi alla critica della metafisica, al progresso sociale e soprattutto alla metodologia unitaria delle scienze; fra queste egli considerò anche la psicologia, esclusa invece dalla classificazione delle scienze fornita da Comte. Rispetto al suo fondatore, Mill conferì al positivismo una più netta accentuazione empiristica, in accordo con la tradizione filosofica inglese risalente a Locke e a Hume.


L'opera di più ampio respiro filosofico di Mill è il Sistema di logica deduttiva e induttiva (1843), la quale mira a dimostrare come ogni nostra conoscenza derivi da esperienze sensibili e quindi da induzioni. Secondo Mill ogni ragionamento dà luogo 828h76i a una "inferenza", cioè un passaggio da verità già note ad altre che non lo erano. Egli osservava che tradizionalmente si distinguevano due maniere di effettuare un'inferenza: l'induzione, che va dal particolare al generale, e la deduzione, che va dal generale al particolare (come avviene ad esempio nel sillogismo aristotelico).


Accanto alle considerazioni logiche, Mill si è anche occupato molto di politica , cercando di organizzare un movimento radicale che coinvolgesse l'ala progressista del partito liberale inglese: egli si fa portavoce di ideali definibili, in senso lato, di "liberalismo radicale". In un'epoca e in uno Stato in cui il liberalismo aveva attenuato ogni punta rivoluzionaria e, anzi, era divenuto la struttura portante del sistema, è significativo che il filosofo inglese ne dia una lettura in chiave progressista: egli separa la politica e l'economia, condannando (da buon liberale) il socialismo, inteso come ingabbiamento del libero corso dell'economia e brutale collettivizzazione dei mezzi di produzione; se Mill non condivide il socialismo, è però un dato di fatto che il socialismo novecentesco condividerà (e farà sue) le teorie politiche di Mill. L'economia, secondo il filosofo inglese, può solo funzionare in una situazione di libero mercato e, pertanto, bisogna riconoscere piena libertà all'economia; ma (e qui sta la novità) altra cosa è la politica e, in particolare, la distribuzione delle ricchezze: si deve, dice Mill, creare una volontà umana tale da creare una maggiore equità sociale. Da ciò ben si intuisce come la politica e l'economia risultino divise: economicamente deve regnare la massima libertà in modo che si produca il più possibile; sul piano politico, però, si deve far sì che si attui una più equa distribuzione dei beni. Proprio da queste considerazioni traspare l' utilitarismo (maggior felicità possibile per il maggior numero possibile di persone) che informa la filosofia milliana: non solo si deve fare una specie di calcolo dei piaceri, ma all'interno di tale calcolo bisogna anche inserire piaceri di tipo spirituale, tra cui l' altruismo , ovvero l'idea che diffondere il piacere ad altre persone crei piacere anche a se stessi. Interessante è il fatto che il liberalismo inglese di ispirazione lockeana aveva insistito sul principio che si dovesse fare di tutto per difendere la libertà dell'individuo dalla potenziale autorità statale, servendosi soprattutto di strutture della società civile: l'idea era che l'individuo, lasciato in balia di se stesso, viene sopraffatto dallo Stato e pertanto deve essere protetto da tali sopraffazioni attraverso organismi intermedi (le corporazioni, gli ordini, la famiglia, i partiti, i sindacati, ecc). Mill, invece, stravolge la tradizione liberale e scopre che la vera minaccia per la libertà dell'individuo non è più lo Stato, ma è quella società civile che i liberali classici vedevano come strumento di difesa: in particolare, il vero pericolo è rappresentato dalla pressione sociale verso il conformismo, pressione che tende ad uniformare la società intera. La libertà dell'individuo, dice Mill, deve assolutamente essere garantita non solo perché è un principio della morale liberale, ma anche perché la libertà di non essere conformisti, oltre ad essere un vantaggio per l'individuo, è anche un bene per la società. Una società condannata ad essere omogenea, infatti, non potrebbe sperimentare nulla di nuovo e ciò nuocerebbe sia ai singoli sia alla società nel suo complesso. E così lo Stato, non solo cessa di rappresentare una minaccia per la libertà degli individui, ma anzi ne diventa il garante; è infatti lo Stato che garantisce la libertà contro le pressioni sociali. Se del resto ci chiediamo da che cosa è garantita la parità dei sessi al giorno d'oggi non possiamo certo rispondere che è garantita dalla società: è lo Stato ad assicurarla. Per quel che riguarda la religione , la filosofia milliana, così impegnata in ambito politico e sociale, riprende la remota idea, di ascendenza platonica, di Dio come puro e semplice artigiano che si limita a plasmare e ad ordinare il mondo. Il Dio di Mill, dunque, non è onnipotente, poiché si limita ad ordinare un materiale che non è stato da lui creato: e dalla non-onnipotenza divina, Mill deduce l'idea secondo la quale Dio ci chiama tutti a collaborare con lui per rendere migliore il mondo. Del resto, se Dio fosse onnipotente, non si spiegherebbe perché il mondo non è perfetto e ogni nostra azione perderebbe di significato. Questa riflessione religiosa è il coronamento generale di una filosofia orientata in tutto e per tutto all'azione utile.


John Stuart Mill: sociologia, psicologia e politica



L'uniformità delle leggi della natura ha come conseguenza immediata la possibilità di prevedere eventi futuri in base a quelli passati. "Noi crediamo" egli scrive nel Sistema di logica "che lo stato dell'intero universo, ad ogni istante sia la conseguenza dello stato di esso all'istante precedente, cosicchè uno che conosca tutti gli agenti che esistono al momento presente, la loro collocazione nello spazio e tutte le loro proprietà - in altre parole le leggi della loro azione - potrebbe predire l'intera storia seguente dell'universo". Accogliendo pienamente l'assimilazione positivistica delle scienze dell'uomo a quelle della natura Mill estende il principio delle prevedibilità degli eventi futuri dall'ambito dei fenomeni naturali a quello delle azioni umane. Conoscendo il carattere dell'individuo e gli specifici moventi che agiscono in lui, è possibile determinare con certezza quale sarà la sua condotta futura. La scienza cui è affidato questo compito di previsione delle azioni umane, che dovrebbero poter essere determinate con la stessa precisione con cui l'astronomia predice i movimenti celesti è la psicologia . L'affermazione della necessità e della conseguente prevedibilità delle azioni future non va tuttavia confusa con l'affermazione della loro fatalità. La necessità delle azioni umane implica esclusivamente che tra determinati moventi e determinate azioni ci sia una correlazione costante, la quale, dati i primi, rende possibile prevedere le seconde. La fatalità provocherebbe invece che alla radice delle azioni umane ci fossero cause che agissero coercitivamente , costringendo l'uomo ad obbedire ad una legge a lui estranea. In altri termini Mill ritiene che l'affermazione della necessità filosofica dei comportamenti umani cioè la loro prevedibilità in base a leggi universali, sia pienamente conciliabile con quella della libertà dell'uomo. Se la psicologia si occupa della previsione delle azioni individuali la sociologia concerne la determinazione delle regolarità nei comportamenti collettivi e, di conseguenza, la previsione degli eventi sociali futuri. Da Comte Mill mutua la concezione della scienza sociologica in termini di fisica sociale, nonché il concetto di progresso come criterio dell'evoluzione della società anche da lui studiata nel suo aspetto dinamico oltre che in quello storico. Una volta determinata la legge del progresso storico sarà possibile determinare la serie degli eventi futuri, così come nell'algebra è possibile sviluppare l'intera serie dei termini in base alla conoscenza del rapporto intercorrente tra alcuni di essi. La posizione di Mill diverge invece nettamente da quella di Comte per quanto riguarda la concezione dell' economia e della politica , analizzata nei Principi di economia politica . Egli distingue tra le leggi della produzione economica che, come tutti gli altri fatti sociali obbediscono al principio della necessità naturale e le leggi della distribuzione che dipendono dalla volontà umana. Il diritto e il costume possono quindi modificare le regole distributive promuovendo una più equa allocazione dei beni e delle ricchezze. Mill auspica infatti una serie di riforme che si ispirino al criterio utilitaristico del maggior benessere possibile e per il maggior numero di individui. Tra l'altro egli è fautore di una maggiore parificazione sociale dei sessi, della partecipazione dei lavoratori all'impresa, dell'allargamento del diritto di voto, nonché della fondazione di cooperative di produzione. L'utilitarismo si sposa in lui con l'altruismo - e in questo ritorna un suggerimento comtiano -dal momento che egli ritiene faccia parte della felicità di un individuo la promozione di quella degli altri: incrementare la felicità altrui è infatti una delle maggiori causa del proprio piacere. Se l'esigenza di giustizia consente a Mill di apprezzare qualche merito del socialismo, il riconoscimento del valore intangibile della libertà fa di lui un radicale oppositore di questa dottrina. In politica come in economia, M è attestato su posizioni di liberalismo radicale . Il suo pensiero economico-politico è sempre inteso alla valorizzazione dell'individuo e alla difesa degli spazi di libertà senza i quali nessuna iniziativa individuale può fiorire. Nel Saggio sulla libertà egli pone alla base dell'ordinamento dello Stato la libertà civile che si distingue in tre determinazioni: 1) la libertà di coscienza, di pensiero e d'espressione ; 2) la libertà di perseguire la felicità secondo il proprio gusto; 3) la libertà di associazione. Di conseguenza, Mill è assolutamente contrario ad ogni intervento dello Stato nella vita economica e sociale della nazione. Le intromissioni dell' autorità pubblica nella sfera privata possono essere ammesse soltanto laddove si tratti di difendere la lesione dei diritti di un individuo da parte degli altri. Il suo liberalismo non gli impedì tuttavia - come si è appena detto - di nutrire un forte sentimento sociale e di adoperarsi, sia pure su base individualistica, per una maggiore cooperazione e solidarietà tra le diverse componenti della società.

John Stuart Mill: morale e religione


L' etica di John Stuart Mill é basata sull' utilitarismo (Dottrina etico-politica secondo cui il fine di ogni attività morale consiste nel conseguire la maggiore felicità possibile per il maggior numero di persone possibili) mutuato da Bentham attraverso la mediazione del padre James Mill. A fondamento della morale sta, anche per lui, il principio dell'utilità, cioè della massima felicità per il maggior numero possibile di persone. Mill rivendica come propria l'invenzione del termino 'utilitaristico', che però in realtà era già stato impiegato, anche se con un'accezione lievemente diversa, da Shaftesbury. Rispetto alle formulazioni di Bentham e del padre James, John apporta alcune importanti modifiche, insistendo in particolare sulla necessità di una determinazione qualitativa dei piaceri , in opposizione al calcolo puramente quantitativo di Bentham, in modo da garantire la superiorità dei piaceri intellettuali e morali su quelli puramente sensibili. Per quel che concerne la religione , Mill sostiene che essa sia riconducibile all'ambito dell'esperienza ed é perfettamente conciliabile con la conoscenza scientifica del mondo. L'ordine cosmico rinvenibile nel mondo, anche in base a considerazione scientifiche, presuppone infatti una causa intelligente che agisce in vista di uno scopo. Questo non vuol dire però che il fautore del mondo sia onnipotente: la presenza di un disegno nella creazione presuppone anzi la commisurazione dei mezzi al fine, e il necessario ricorso ai mezzi rivela, a sua volta, una limitazione della capacità creatrice. L' Essere da cui il mondo dipende deve essere piuttosto concepito come un Demiurgo finito: la sua potenza é limitate dalle sue intrinseche possibilità e dalla materia, da sempre esistente, sulla quale egli opera; già in Platone era presente l'idea che la materia fosse l'origine dell'imperfezione. Di conseguenza, gli uomini non possono attendersi ogni cosa dalla provvidenza divina, ma devono piuttosto collaborare con la divinità per il perfezionamento del mondo.



John Stuart Mill: utilitarismo delle norme

Influenzato dall'utilitarismo di Jeremy Bentham, Mill è convinto che, accanto ai piaceri di natura fisica, ne esistano altri, spirituali e intellettuali: questi, almeno per il dotto, hanno intensità decisamente superiore rispetto ai primi. In questo modo, Mill abbandona la "quantificazione del piacere" (il piacere è quantificabile soltanto se riferito alla sensibilità) e arriva a sostenere apertamente la natura qualitativa dei piaceri. Anch'egli, come gli altri utilitaristi, è convinto che il motore dell'agire umano sia il piacere, inteso però in maniera qualitativa: viene così a cadere l'accusa di quanti liquidavano l'utilitarismo come mera riproposizione dell'etica epicurea. Su questa scia, Mill distingue attentamente tra "soddisfazione" (della quale si accontentano gli animali) e "felicità", tipica degli uomini e caratterizzata da un senso di realizzazione implicante la soddisfazione di piaceri intellettuali. Mill critica Bentham accusandolo di non aver considerato i piaceri intrinsecamente, ma sempre solo per le loro conseguenze contingenti. L'introduzione dell'elemento qualitativo fa sì che la matematizzazione dei piaceri operata da Bentham sia impossibile: la conseguenza è che la valutazione dei piaceri qualitativamente intesi sfugge alla calcolabilità e al cognitivismo etico; l'utilitarismo dell'azione di Bentham cede il passo ad un utilitarismo della norma. Quest'ultimo mantiene il principio per cui le azioni devono essere valutate in base alle conseguenze, ma nella consapevolezza che, perché ciò sia possibile, si debbano impiegare regole accumulate tramite esperienze pregresse. Questa mossa teorica permette a Mill di difendersi dall'accusa tradizionalmente mossa all'utilitarismo, accusa secondo la quale esso sarebbe inapplicabile perché destinato a rimanere in un'insuperabile condizione di attesa di verifica delle conseguenze di ogni azione. Le norme con cui secondo Mill deve operare l'utilitarismo gli permettono di evitare le secche dell'attesa inattiva e, al tempo stesso, gli forniscono criteri operativi alternativi all'algebra dei piaceri. Queste norme sono, in definitiva, il risultato dell'esperienza che l'uomo ha storicamente fatto a partire dalla preistoria per arrivare fino ad oggi. Con l'utilitarismo delle norme diventa però difficile riconoscere quali siano le azioni positive, nella misura in cui il piano del piacere è passato al piano qualitativo e soggettivo e investe tutta un'esperienza storica. A questo punto, Mill introduce il senso del dovere come componente interna all'uomo che lo esorta ad agire in un determinato modo: è infatti il senso del dovere che fa sì che io valuti come positiva un'azione sulla base del patrimonio storico sedimentato nella mia coscienza. Tale senso del dovere non deve essere confuso con l'imperativo categorico kantiano, che prescinde dalle determinazioni storiche e ha un valore assolutamente aprioristico: il senso del dovere di cui dice Mill ha una sua storia, si basa sull'utile, proviene da un sentimento poggiante su tutte le esperienze passate tradottesi in dimensione coscienziale. In questo modo, Mill si sta avvicinando inaspettatamente al "sentimento morale" di Hutcheson, secondo il quale vi sono azioni che dispiacciono immediatamente al mio sentimento morale e vanno perciò incontro a una condanna morale.







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