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SENECA (Spagna, 5 a.C. - Roma, 65 d.C.)

letteratura latina



SENECA (Spagna, 5 a.C. - Roma, 65 d.C.)


- famiglia ricchissima d'estrazione equestre (padre retore e madre, Elvia, donna di grande cultura)

- a Roma: ottima educazione sia retorica sia filosofica (stoici, neopitagorici; setta dei Sesti --> vegetarismo, ascesi, isolamento dalla vita politica e mondana in vista della libertà interiore)

- va in Egitto per sfuggire alle persecuzioni

- ritorna a Roma e inizia la carriera politica nella quale si distingue come brillante oratore

- viene relegato in Corsica, accusato di adulterio, dove ha modo di mettere in pratica i precetti stoici secondo i quali il bene del saggio non dipende dai luoghi, ma dall'equilibrio interiore

- ritorna a Roma per educare il figlio dell'imperatrice Agrippina (Nerone) e vede questa occasione come la possibilità di realizzare il sogno platonico di uno stato perfetto, illuminato dalla sapienza filosofica, fondato sull'umanità, la generosità, la clemenza

- secondo questo programma l'imperatore sarebbe dovut 737d38h o essere un modello di virtù, un buon padre in grado di condurre alla felicità i sudditi, per cui cerca di temperare la grande vanità di Nerone prospettandogli la gloria derivante da un governo moderato, rispettoso delle prerogative tradizionali dell'aristocrazia senatoria (viste come benigna concessione e non come fondamento costituzionale)



- il programma di S urtava contro il corso della storia, la natura dello stesso Nerone (illiberale, dispotico, di una politica antisenatoria e autocratica) e l'incapacità di S stesso di vivere coerentemente coi precetti enunciati (considerato avaro, ambizioso e usuraio)

- la necessità di preservare l'imperatore dagli intrighi dinastici impone che S abbia parte in delitti che non potevano non ripugnare alla sua coscienza morale e filosofica (uccisi il fratellastro e la madre di Nerone)

- si ritira allo studio e alla vita contemplativa, occupandosi della composizione delle sue opere

- N lo accusa di far parte della congiura dei Pisoni e lo obbliga a tagliarsi le vene, S affronta con grande dignità questa morte alla quale si era lungamente preparato nella riflessione di un'intera vita


OPERE


ricerca di perfezionamento personale: 'Dialogi'

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'De brevitate vita' 'Consolationes'

'De ira' / |

'De otio' 'Ad Marciam' 'Ad Polybium' 'Ad Helviam matrem'

apertura alla politica --> rapporti tra principe e sudditi: 'De beneficiis' 'De clementia'

ricerca dell'interiorità: 'Epistolae ad Lucilium' (124 lettere)


1) opere filosofiche riunite nei 12 libri di 'Dialogi' (trattati brevi di argomento etico e psicologico)

2) altre opere filosofiche tramandate separatamente dai 'Dialogi': 'De beneficiis', 'De clementia'

3) 124 'Epistulae ad Lucilium'

4) 'Naturales quaestiones' (opere di carattere scientifico, dedicate a Lucilio)

5) 9 tragedie greche + 1, 'Octavia', romana

6) 'Apokolohyntosis' (= apoteosi di uno zuccone, opera mista di prosa e versi, feroce parodia del processo di beatificazione dell'imperatore defunto Claudio)

7) di dubbia attribuzione gli 'Epigrammi', svariate le opere perdute


DIALOGI

riflessione continuata con rari interventi del dedicatario o di un interlocutore anonimo; vivacità espressiva, informalità del registro

CONSOLATIONES --> temi: brevità dell'esistenza, ineluttabilità della morte, morte come passaggio a una vita migliore

AD MARCIAM --> alla figlia di Cremuzio Cordo per consolarla della morte di un figlio

AD POLYBIUM --> a Polibio per consolarlo della morte del fratello e per ottenere con adulazioni smaccate la revoca dell'esilio (in Corsica)

AD HELVIAM MATREM --> per convincere la madre che l'esilio non è per lui motivo d'infelicità

DE IRA --> fenomenologia delle passioni umane descritte nella natura e nei meccanismi generativi, di tali passioni, studiate attraverso esempi storici e considerate malattie sociali, si prescrivono i modi per arginarle, sedarle e prevenirle

DE OTIO --> temi dell'autonomia del saggio e del contrasto tra vita attiva a vita contemplativa, preferita in quanto sfrutta la serenità dell'animo

DE BREVITATE VITAE --> tema della durata della vita (lunga per chi sa come impegnarla, brevissima per chi sciupa il tempo)


POLITICA E MORALE

DE CLEMENTIA --> dedicato a N, tratta le virtù del principe ideale, è manifesto del nuovo regime e della teoria politica

DE BENEFICIIS --> tratta del legame tra beneficato e benefattore (chi è + fortunato deve aiutare chi lo è meno in nome di una comune dignità umana che ogni uomo possiede, anche se schiavo)


EPISTULAE AD LUCILIUM

varie per estensione, genere nuovo che permette di trattare separatamente singoli temi etici, esigenza della filosofia intesa come ricerca morale, come quotidiana pratica di saggezza, atteggiamento umile di chi non si considera maestro ma bisognoso di perfezionamento egli stesso, tono colloquiale, registro informale, stile non elaborato e semplice, modello di Epicuro (essere veicolo di consigli utili alla salute dello spirito), uso della quotidianità in funzione morale, temi:

- autonomia del saggio   - serena accettazione della morte

- esortazione all'otium   - capacità di sopportare le avversità

- valore della virtù    - controllo delle passioni

- convinzione dell'uguaglianza naturale degli uomini

- morte vista come consolatoria liberazione e

non come oggetto di paura o segno d'impotenza

nella ricerca del bene S oscilla tra l'esigenza di isolarsi e quella di comunicare i risultati della propria riflessione spirituale agli altri perché possano trarne vantaggio, questo funge spesso da chiarimento per l'autore stesso


STILE

sintassi asimmetrica, spezzata e convulsa, riflesso di un rapporto conflittuale con il mondo, lacerata tra il bisogno d'interiorità e l'esigenza di predicazione, tra la ricerca della libertà dell'io e l'ansia di liberare l'umanità, scrittura animata, incalzante, nervosamente spezzata, che abolisce i rapporti di subordinazione conferendo alla singola frase il rilievo di una sentenza autonoma


stile frantumato, conforme alla problematicità e complessità del reale, ribatte lo stesso pensiero con grande tensione per fissare nella mente un precetto morale











LETTERE A LUCILIO


È TROPPO TARDI PER RISPARMIARE VINO QUANDO SI È ALLA FECCIA


Seneca dà il saluto al suo Lucilio.

[1] Comportati così, Lucilio mio, rivendica il tuo diritto su te stesso e il tempo che fino ad oggi ti veniva portato via o carpito o andava perduto raccoglilo e fanne tesoro. Convinciti che è proprio così, come ti scrivo: certi momenti ci vengono portati via, altri sottratti e altri ancora si perdono nel vento. Ma la cosa più vergognosa è perder tempo per negligenza. Pensaci bene: della nostra esistenza buona parte si dilegua nel fare il male, la maggior parte nel non far niente e tutta quanta nell'agire diversamente dal dovuto. [2] Puoi indicarmi qualcuno che dia un giusto valore al suo tempo, e alla sua giornata, che capisca di morire ogni giorno? Ecco il nostro errore: vediamo la morte davanti a noi e invece gran parte di essa è già alle nostre spalle: appartiene alla morte la vita passata. Dunque, Lucilio caro, fai quel che mi scrivi: metti a frutto ogni minuto; sarai meno schiavo del futuro, se ti impadronirai del presente. Tra un rinvio e l'altro la vita se ne va. [3] Niente ci appartiene, Lucilio, solo il tempo è nostro. La natura ci ha reso padroni di questo solo bene, fuggevole e labile: chiunque voglia può privarcene. Gli uomini sono tanto sciocchi che se ottengono beni insignificanti, di nessun valore e in ogni caso compensabili, accettano che vengano loro messi in conto e, invece, nessuno pensa di dover niente per il tempo che ha ricevuto, quando è proprio l'unica cosa che neppure una persona riconoscente può restituire. [4] Ti chiederai forse come mi comporti io che ti do questi consigli. Te lo dirò francamente: tengo il conto delle mie spese da persona prodiga, ma attenta. Non posso dire che non perdo niente, ma posso dire che cosa perdo e perché e come. Sono in grado di riferirti le ragioni della mia povertà. Purtroppo mi accade come alla maggior parte di quegli uomini caduti in miseria non per colpa loro: tutti sono pronti a scusarli, nessuno a dar loro una mano. [5] E allora? Una persona alla quale basta quel poco che le rimane, non la stimo povera; ma è meglio che tu conservi tutti i tuoi averi e comincerai a tempo utile. Perché, come dice un vecchio adagio: "È troppo tardi essere sobri quando ormai si è al fondo." Al fondo non resta solo il meno, ma il peggio. Stammi bene.


LA MORTE NON VIENE UNA VOLTA SOLA


[20] Moriamo ogni giorno: ogni giorno ci viene tolta una parte della vita e anche quando ancora cresciamo, la vita decresce. Abbiamo perduto l'infanzia, poi la fanciullezza, poi la giovinezza. Tutto il tempo trascorso fino a ieri è ormai perduto; anche questo giorno che stiamo vivendo lo dividiamo con la morte. Come la clessidra non la vuota l'ultima goccia d'acqua, ma tutta quella defluita prima, così l'ora estrema, che mette fine alla nostra vita, non provoca da sola la morte, ma da sola la compie; noi vi giungiamo in quel momento, da tempo, però, vi siamo diretti. [21] Dopo aver delineato questi concetti con il tuo solito linguaggio, sempre sostenuto e tuttavia mai più penetrante di quando metti le parole al servizio della verità, scrivi: la morte non viene una volta sola: quella che ci porta via è l'ultima morte.

È meglio che tu legga te stesso invece della mia lettera; capirai che questa da noi temuta, è la morte estrema, non la sola.


LA SAGGEZZA È L'UNICA VERA LIBERTÀ


[3] "E come me la caverò?" chiedi. Non puoi sfuggire al destino, puoi solo vincerlo. Ci si apre la strada con la forza, e questa strada te la indicherà la filosofia. Volgiti a essa, se vuoi essere salvo, sereno, felice, e infine, se vuoi essere, e questo è il massimo, libero; non si può diventarlo in altro modo. [4] La stoltezza è cosa meschina, ignobile, sordida, da schiavi, soggetta a molte, violentissime passioni. La saggezza, l'unica vera libertà, allontana da te dei padroni tanto gravosi, che comandano un po' alternativamente, un po' tutti insieme. E alla saggezza porta un'unica via e diritta; non puoi sbagliare; avanza con passo sicuro. Se vuoi sottomettere a te ogni cosa, sottomettiti alla ragione; farai da guida a molti se la ragione farà da guida a te. Da essa imparerai che cosa devi intraprendere e in che modo; non ti imbatterai inaspettatamente negli eventi. [5] Tu non puoi citarmi nessuno che sappia come ha cominciato a volere le cose che vuole: non vi è giunto di proposito, vi è capitato seguendo un impulso. La fortuna ci viene incontro tanto spesso quanto noi andiamo incontro a lei. È vergognoso non avanzare, ma essere trascinati e, trovandosi improvvisamente in mezzo alla tempesta degli eventi, chiedersi stupiti: "Come sono arrivato a questo punto?" Stammi bene.


LA VERA LIBERTÀ È LA PADRONANZA DI SE STESSI


[1] Mente chi sostiene che la mole dei suoi affari gli impedisce di dedicarsi agli studi: finge impegni, li aumenta e si tormenta da sé. Io sono libero, Lucilio, sono libero e dovunque mi trovi sono padrone di me stesso. Non mi abbandono alle cose, mi presto ad esse e non cerco scuse per perdere tempo; dovunque mi fermi, mi immergo nei miei pensieri e medito su qualcosa di utile. [2] Quando mi dedico agli amici, non mi distolgo da me stesso; e non mi intrattengo con quelli ai quali mi hanno legato le circostanze o gli obblighi derivanti da pubblici uffici, ma sto con i migliori; rivolgo a loro il mio pensiero dovunque e in qualunque periodo siano vissuti. [3] Porto sempre con me Demetrio, uomo stimabilissimo e, lasciati da parte i porporati, parlo con lui benché vestito poveramente e lo ammiro. Perché non dovrei? Mi sono accorto che non gli manca nulla. C'è qualcuno capace di disprezzare tutto, ma nessuno può avere tutto: la via più breve per arrivare alla ricchezza è una: il disprezzo. Il nostro Demetrio vive così: non disprezza tutto, ma ne ha lasciato il possesso agli altri. Stammi bene.


GLI SCHIAVI


[1] Ho sentito con piacere da persone provenienti da Siracusa che tratti familiarmente i tuoi servi: questo comportamento si confà alla tua saggezza e alla tua istruzione. "Sono schiavi." No, sono uomini. "Sono schiavi". No, vivono nella tua stessa casa. "Sono schiavi". No, umili amici. "Sono schiavi." No, compagni di schiavitù, se pensi che la sorte ha uguale potere su noi e su loro. [2] Perciò rido di chi giudica disonorevole cenare in compagnia del proprio schiavo; e per quale motivo, poi, se non perché è una consuetudine dettata dalla più grande superbia che intorno al padrone, mentre mangia, ci sia una turba di servi in piedi? Egli mangia oltre la capacità del suo stomaco e con grande avidità riempie il ventre rigonfio ormai disavvezzo alle sue funzioni: è più affaticato a vomitare il cibo che a ingerirlo. [3] Ma a quegli schiavi infelici non è permesso neppure muovere le labbra per parlare: ogni bisbiglio è represso col bastone e non sfuggono alle percosse neppure i rumori casuali, la tosse, gli starnuti, il singhiozzo: interrompere il silenzio con una parola si sconta a caro prezzo; devono stare tutta la notte in piedi digiuni e zitti. [4] Così accade che costoro, che non possono parlare in presenza del padrone, ne parlino male. Invece quei servi che potevano parlare non solo in presenza del padrone, ma anche col padrone stesso, quelli che non avevano la bocca cucita, erano pronti a offrire la testa per lui e a stornare su di sé un pericolo che lo minacciasse; parlavano durante i banchetti, ma tacevano sotto tortura. [5] Inoltre, viene spesso ripetuto quel proverbio frutto della medesima arroganza: "Tanti nemici, quanti schiavi": loro non ci sono nemici, ce li rendiamo tali noi. Tralascio per ora maltrattamenti crudeli e disumani: abusiamo di loro quasi non fossero uomini, ma bestie.





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