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IL QUADRO STORICO : LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE, LE BASI DEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE, E LA POLITICA GIOLITTIANA.

letteratura



IL QUADRO STORICO :

LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE, LE BASI DEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE, E LA POLITICA GIOLITTIANA.


La lunga crisi economica che si era aperta nel 1837,crisi di sovrapproduzione e dei prezzi agricoli, venne superata a partire dagli ultimi due decenni dell'Ottocento. In quest'ultima fase del secolo si assiste, per una serie di fattori-primo fra tutti un più stretto rapporto tra scienza ed industria- ad un salto di qualità nella produzione industriale e quindi alla cosiddetta "seconda rivoluzione industriale", che ebbe conseguenze ben maggiori rispetto alla prima, soprattutto al livello sociale.

L'introduzione nella vita quotid 636c28g iana di "novità" come la lampadina elettrica, il motore a scoppio, la macchina da scrivere ecc., fa si che si avvii un processo di radicale trasformazione della qualità della vita, un ampliamento dei bisogni ed una sempre più complessa trama di rapporti tra la produzione ed il consumo: nasce la società di massa. La massificazione dei consumi porta ad una trasformazione della strutture produttive e delle pratiche imprenditoriali: le prospettive così ampie di un mercato esteso ed internazionale rende impossibile la pratica della libera concorrenza sulla quale ci si era fino ad allora basati; e così per evitare la durezza e la pericolosità di una concorrenza sempre più agguerrita si creano forme di consociazione (holdings) o di concentrazione (trust).



Si passa quindi dal capitalismo concorrenziale al capitalismo monopolistico od oligopolistico. Tutto ciò portò naturalmente anche a cambiamenti nell'ambito della politica statale: innanzitutto il potere pubblico dovette fare i conti con questi nuovi e potenti gruppi economici,   

agendo secondo una logica di difesa degli interessi nazionali .Nasce in questo modo il protezionismo, cioè una politica economica che rende più stretti i legami tra interessi industriali e decisioni governative e che si attua attraverso le commesse statali che riguardano soprattutto gli armamenti, ma anche e sopratutto attraverso l'imposizione di alte tariffe doganali sui prodotti importati allo scopo di difendere la produzione interna e nazionale.

La seconda rivoluzione industriale ed il capitalismo che ne deriva creano fra i vari stati una forte competizione volta alla conquista di nuovi mercati e di materie prime,sempre più necessarie vista la crescita esponenziale della produzione industriale: si alimenta in questo modo il mito della supremazia nazionale, ben diverso da quel concetto di nazione che stato un cardine della cultura e della politica della prima metà dell'Ottocento.

Siamo entrati nell'età dell'imperialismo. A dire il vero in questo fenomeno convergono diversi altri fattori: il trasferimento quantomeno discutibile del principio darwiniano di selezione della specie dal mondo naturale alla sfera sociale, la convinzione della superiorità della razza bianca e dell'europeo rispetto agli abitanti delle altre parti del mondo; e l'idea della missione civilizzatrice. Le vicende che caratterizzarono questo fenomeno portarono alla spartizione di cui i capi di governo, da Giolitti a dell'Africa, all'espansione in Asia da parte delle potenze europee e alla corsa agli armamenti tedesca. Ciò che più è importante sottolineare però, è che si crea in tutta Europa un clima culturale nel quale pericolosamente coesistono culto dell'aggressività, dello   

"stato forte", mitologie nazionalistiche ed entusiasmi per la competitività, la velocità ecc. Strettamente collegato alla diffusione del secondo capitalismo, ma per molti versi antitetico, è lo sviluppo del movimento socialista,con la formazione della Seconda Internazionale nel 1889 e con la creazione di sindacati e partiti Bismarck, dovranno tener conto.

Per quanto riguarda le singole potenze europee, vediamo in questo periodo la Francia che deve lottare per la sopravvivenza della terza repubblica, nata dopo la caduta di Napoleone terzo, che viene ripetutamente messa a dura prova dalle forze reazionarie e monarchico-militaristiche. A partire dal 1903 hanno la prevalenza gli orientamenti laico-democratici;continua l'espansione coloniale.

Anche l'Inghilterra continua l'espansione coloniale ma viene avviata una serie di provvedimenti in ambito sociale e fiscale, e con una serie di accordi diplomatici culminati nella intesa anglo-franco-russa del 1907, esce dal suo splendido isolamento. Nell'Europa centro-orientale l'impero tedesco, creato da Bismarck che aveva fatto protagonista dell'unificazione nazionale la Prussia, si caratterizza per un rigidissimo autoritarismo e conosce una straordinaria crescita economica ed industriale che lo porta ad inserirsi nel gioco imperialistico in Africa, in Asia ed in Medio Oriente.

Ma in questa regione dell'Europa c'è anche l'Austria che è ancora governata da quel Francesco Giuseppe che era salito al trono appena diciottenne nel 1848, anno della dura repressione dei moti nazionali in Italia, a Budapest, ed a Praga. Il regime asburgico continuava a mantenere uno sterminato organismo sovranazionale e solo formalmente unitario, ma che aveva già al suo interno le tensioni ed i conflitti che porteranno di li a poco alla prima guerra mondiale. Ma nel frattempo Vienna, insieme a Parigi vive la sua grande stagione culturale. In queste due città è possibile cogliere più che altrove i segni dello spirito del tempo, cioè di quel decadentismo che possiamo sommariamente definire come una crisi del positivismo e delle sue certezze,  come relativo tentativo di superamento di quella crisi ed infine come cosapevolezza ora malinconica ora angosciosa della fine di una civiltà. E nell'area austro-ungarica i segni di quest'inquietudine sono più evidenti che altrove, nella inquietante scoperta, da parte di Freud, di oscure forze psicologiche che regolano il nostro agire, nell'analisi della solitudine esistenziale che connota le opere di un grande artista come Kafka.

Nel frattempo il giovane stato italiano si trovava a dover far fronte ad una serie di problemi di non poco conto: il pareggio del bilancio, il brigantaggio, la questione meridionale, ma si avvertiva anche l'esigenza di una pratica corretta della democrazia, attraverso il coinvolgimento di quelle masse che erano rimaste estranne al processo di unificazione nazionale. La difficoltà di gestione del nuovo stato in termini democratico-parlamentare, era dovuta innanzitutto all'assenza di una consolidata tradizione, poi ad un accentuato trasformismo politico che vanificava la dialettica di governo tra maggioranza ed opposizione. Tutto ciò creò il fenomeno dell'antiparlamentarismo in cui confluiscono la delusione risorgimentale, il vagheggiamento di uno "stato forte" e la denigrazione delle istituzioni repubblicane. L'antiparlamentarismo era comunque l'espressione di quella vocazione autoritaria che aveva rappresentato una costante della classe dirigente italiana. Si tentò in tutti i modi di porre rimedio a questa situazione: attraverso una forte tassazione il debito pubblico venne parzialmente eliminato e contro i briganti si intraprese una vera e propria guerriglia.

Ma molti rimanevano i problemi e di malessere nella penisola italiana ce n'era veramente tanto. Una decisiva testimonianza riguardo ciò è costituita, oltre che dalle continue rivolte di cui sono piene le cronache del tempo, dall'aumento esponenziale del fenomeno dell'emigrazione: intere famiglie in questo periodo abbandonano le aree maggiormente depresse del Sud per andare a cercare fortuna in America. Si calcola che tra il 1876 ed il 1918 hanno lasciato l'Italia in 14 milioni. Fu propio l'enorme disagio che il "nuovo" popolo italiano doveva sopportare, che portò all'affermazione delle forze socialiste e comuniste. A fine secolo infatti il partito socialista è il principale partito di opposizione alle forze liberali eredi della politica cavouriana. In questo erano confluiti tutti i delusi del Risorgimento: in particolare ex mazziniani, ed anarchici che alle antiche convinzioni libertarie avevano sostituito una lucida coscienza di organizzazione statale. Probabilmente il merito più grande che ebbero le forze di sinistra in questo periodo fu quello di cercare di coinvolgere le masse popolari nei grandi giochi politici, sperando di poter sfruttare a loro vantaggio i forti malcontenti che serpeggiavano tra le classi più umili

La situazione politica in Italia subisce però un netto cambiamento con l'arrivo alla presidenza del parlamento torinese di Giovanni Giolitti, che rimase al potere per i primi quindici anni del Novecento. Il suo ambizioso progetto politico era quello di attuare un conservatorismo illuminato che ribaltasse la tradizione politica repressiva e reazionaria dei governi della "destra storica" precedenti. In sostanza la politica giolittiana delineava un programma di difesa delle istituzioni statali, rafforzandone il contenuto liberale e riformista, e di accelerazione dello sviluppo economico, nella convinzione che il rapporto con il movimento operaio e socialista non si dovesse basare sulla repressione, bensì sulla base del confronto politico e dei giochi parlamentari. Ed in effetti questo progetto politico portò, almeno fino al 1908- 1909 i suoi frutti: venne infatti approvata una legge sul lavoro femminile, venne istituito l'ufficio nazionale del lavoro e vennero nazionalizzate le ferrovie. Inoltre in questo periodo si cominciarono ad avvertire le positive conseguenze della politica protezionista che si attuò sul finire dell'Ottocento: si sviluppa infatti in maniera quasi impensata, vista la situazione precedente, l'industria, in particolare quella siderurgica,chimica e meccanica.

Nascono ora quelli che attualmente sono i grandi colossi dell'industria moderna: la F.I.A.T. nel 1889, la PIRELLI, l'OLIVETTI ed altre. Ma bisogna tener conto che questo processo di sviluppò interessò solo ed esclusivamente il Nord del paese, contribuendo in maniera decisiva all'accentuazione di quel divario tra Settentrione e Meridione di cui purtroppo stiamo ancora pagando le conseguenze. Inoltre questo sviluppo fu in realtà molto inferiore rispetto ai livelli europei, ma non impedì che si creasse negli ambienti intellettuali e produttivi l'illusione che l'Italia fosse una grande potenza europea e che come tale avesse diritto di un posto e di un ruolo adeguati alla nuova situazione.

Fu proprio questa illusione a provocare l'opposizione da destra a Giolitti, alla sua accorta e meditata politica i giovani intellettuali, le riviste fiorentine ed i nazionalisti oppongono la polemica antiparlamentaristica, alimentano il sogno dello stato forte e dell'avventura coloniale, vedendo in Giolitti il simbolo della riottosa e statica mentalità borghese. Non bisogna pensare però che ciò fu solo un aspetto della politica del tempo: le stesse ideologie si ritrovano infatti nella ideologia e nella letteratura del tempo, basta pensare alle opere ed ai manifesti di personaggi come Marinetti e Corradini che esaltano la pazzia, la temerarietà, il coraggio, l'audacia.

Questa situazione in cui convergono spinte sia politiche che letterarie provoca, da parte di Giolitti, l'attuazione di una politica fatta di un dosaggio tra concessioni e mediazioni: alla riforma elettorale del 1912, fece da pendant il patto Gentiloni con il quale i cattolici avrebbero votato i liberali che si fossero astenuti da richieste laiche; le varie iniziative riformatrici ebbero come contrappeso l'impresa libica, voluta da quelle forze che qualche anno dopo alimenteranno l'ala interventista in occasione della prima guerra mondiale. In questo complesso panorama politico e culturale vi è anche una forte opposizione da sinistra che naturalmente osteggia le mire nazionaliste ed imperialiste della destra, e che tuttavia risente anch'essa del clima di aggressività tipico del Decadentismo.

Se infatti le forze di destra miravano a sovvertire l'autorità parlamentare, quelle di sinistra si opponevano allo stato borghese, visto come il "comitato d'affari della borghesia", auspicandone l'eliminazione. vediamo quindi come i nuovi miti di violenza, stato forte, audacia, colonialismo alimentino sia la politica della destra che della sinistra in un'unica e decisa opposizione nei confronti dell' ordine democratico e borghese esistente.

Tuttavia non mancarono posizioni ed orientamenti più moderati : Salvemini, ad esempio nel suo giornale "l'Unità" porta avanti una lucida analisi della vita in Italia di quel periodo, Croce oppone alla correnti irrazionaliste del periodo una concezione dell'uomo e della storia di laica razionalità. Ma si tratta comunque di casi piuttosto isolati e per lo più inascoltati a trionfare furono infatti le nuove idee-mito, e furono proprio queste, di contro al neutralismo di Giolitti e di Croce, che alimentarono l'ala degli interventisti in occasione del primo conflitto mondiale.

Per motivi pur diversi i vari D'Annunzio, Mussolini (ancora di sinistra) incitavano alla guerra; anche appellandosi al sentimento di unità nazionale, visto che Trento e Trieste erano ancora "irridente".



IL CONTESTO FILOSOFICO-SCIENTIFICO E CULTURALE:

LA REAZIONE AL POSITIVISMO E LA RIVOLUZIONE RELATIVISTICA: EINSTEIN, FREUD E NIETZSCHE.


Gli ultimi anni del diciannovesimo secolo e l'inizio del ventesimo, furono caratterizzati da quella che possiamo definire una "reazione" al positivismo. La radicalizzazione di questa corrente filosofica aveva portato ad una illimitata fiducia nel progresso e nella tecnica, per cui filosofia e religione venivano viste come attegiamenti mentali superati: si pensava che lo sviluuppo della scienza bastasse da solo a spirgare il perchè e le problematiche dell'esistenza umana. Ma la stessa ricerca scientifica autentica, con la sua problematicità, bastò da sola a smentire queste prospettive; inoltre i duri conflitti sociali che gli stati borghesi di quel periodo si trovavano ad affrontare, sconfessarono il facile ottimismo dei positivisti illusi della possibilità che bastasse solo la scienza a garantire il progresso alla società. Di qui il ritorno a valori e principi spirituali e metafisici, e la riscoperta delle tendenze religiose ed irrazionalistiche.

L'irrazionalismo è infatti una costante della filosofia di questo periodo, che potremmo definire come filosofia della crisi (di valori, istituzioni e dell'uomo nella sua esperienza storica ed individuale), e che conduce ad una nella negazione della concettualità scientifica.

In altre parole non si ritiene più in grado la scienza di spiegare le molteplici forme del reale con una semplice successione di cause ed effetti: non è possibile ridurre il fenomeno della vita a cause unicamente fisiche ed inorganiche, ed ancor meno è possibile ricondurre il fenomeno storico-sociale umano a cause puramente biologiche. L'individuo è qualcosa di unico ed irripetibile e nessuna causalità chimica o meccanica potrà arrivare a spiegarlo fino in fondo; in esso ci sono elmenti che sfuggono alla fredda logica scientifica, e che forse solo l'arte e la poesia possono spiegare fino in fondo. Da tutta questa serie di riflessioni discese l'idea che la scienza possa dare della realtà soltanto un'idea superficiale, più che rivelare la vera essenza delle cose.

qualcosa di enorme avviene in questo periodo in campo scientifico. Si verifica anche nella scienza un crisidei fondamenti classici e positivisti. Gli episodi più rilevanti sono la creazione di geometrie non euclidee, la discussione sui fondamenti della matematica e della logica ed infine la RIVOLUZIONE RELATIVISTICA inaugurata da Albert Einstein.

Per moltissimo tempo si era ritenuto che le teorie della geometria euclidea esprimessero alla perfezione le propietà dello spazio naturale, ma la nascita di geomotrie diverse da quella euclidea (che per esempio contraddicono il principio che due rette parallele non si incontrano mai), apre la via a ricerche e risultati che poi saranno verificati sperimentalmente, giungendo per esempio alla scoperta di curve non euclidee nello spazio.

Questi stessi presupposti sono alla base della teoria einsteniana della relatività che sconvolge i capisaldi della fisica classica e newtoniana.

Le leggi di questa sono valide per le ditanze e le velocità all'interno del sistema solare; ma per quanto riguarda gli infiniti spazi del resto dell'universo queste perdono la loro efficacia. In questo caso tempo e spazio concorrono a formare una quarta dimensione, sicchè la localizzazione dei fenomeni natirali non è più riferibile ad uno spazio ed ad un tempo assoluti, ma è relativa al punto di vista dell'osservatore.

Assai dibattuta fu inoltre la questione sui principi della matematica e si intrecciò con le ricerche volte alla creazione di una logica rigorosa. Ci si chiedeva se fosse possibile quantificare numericamente il ragionamento umano e se fosse possibile da delle affermazioni di partenza, giungere ad affermazioni rigorosamente vere. Questi interrogativi suscitarono risposte diverse, sia nel tentativo di condurre il ragionamento logico entro schemi matematici, sia nel tentativo di ricondurre la matematica entro alcuni principi logici fondamentali. In questo senso fu importantissima l'opera di Bertrand Russel ed Alfred North Whitehead, coautori di quel capolavoro della logica contemporanea che sono i Principia Mathematica.

Le innvazioni in campo scientifico di questo periodo riguardano anche la psicologia, sino ad allora considerata solo nell'ambito della filosofia e come pura parte di essa, ma che ora rivendica la sua totale autonomia anche in virtù di profonde innovazioni dei suoi contenuti e metodi.

Si aprì un nuvo campo di indagini, con lo studio dei fenomeni patologici, oggetto tradizionale della psichiatria. Fu l'austriaco SIGMUND FREUD ad avviare questo nuovo corso, con la scoperta dei fenomeni della psicologia del profondo o psicoanalisi, rovesciando una tradizione che aveva dato scarso peso ai fenomeni del subconscio, a cominciare per esempio dal sogno. Studiando propio il sogno e le patologie dell'isteria, Freud scoprì l'esistenza di uno strato del soggetto che non perviene alla coscienza, ma che la influenza in vario modo: così la vita appare come un mascheramento di motivi profondi.

Questi Freud li riconduce ad egoistiche pulsioni infantili che al contatto con la realtà dell'uomo adulto vengono "rimosse" e trasformate dalla coscienza; tuttavia dal luogo inconscio della loro rimozione continuano ad influenzare la vita del soggetto.

Nell'ambito della direzione irrazionalistica che caratterizza il primo Novecento, fondamentale è l'apporto dato dal filosofo tedesco Friedrich  Nietzsche. Infatti fu la sua opera che denunciò con toni aspri l'avvento della nuova età di crisi, parlando spesso in opere singolari e spesso anche di carattere poetico come "Così parlò Zarathustra", che si potrebbe definire un poema in prosa.

Ed in effetti Nietzche non influì soltanto nell'ambito dell'universo filosofico, ma anche sulla letteratura novecentesca; in particolare suul'opera narrativa di Thomas Mann, e sulla poetica di Gabriele D'Annunzio. Al centro della rifllessione di Nietzche sta l'annuncio della morte di Dio, che rappresenta la fine di quel sistema di valori che fino ad allora aveva caratterizzato la civiltà europea ed in particolare cristiana.

Egli fu il primo ad intuire la vicinanza immediata di uno scontro non solo tra le varie potenze ma, anche tra le varie classi sociali all'interno degli stati, che avrebbe distrutto la supremazia spirituale dell'Europa.

L'esito ultimo verso il quale precipitava la civiltà europea fu chiamato da Nietzche "nichilismo". L'età del nichilismo, che secondo il filosofo noi tutti stiamo ancora vivendo, si caratterizza per il venir meno di qualsiasi valore capace di orientare la nostra vita in maniera positiva. Gli uomini sono sempre più fatti schiavi di ragioni materiali ed utilitaristiche e coltivano l'illusione che il progresso scientifico e tecnologico possa da solo soddisfare tutte le esigenze umane. Tuttavia quel progresso non fa altro che diffondere sulla terra un universale conformismo di gusti e di costumi che determina la nascita dell'uomo "DECADENTE" e dell'uomo di massa.

Al di là della produzione dei beni di consumo, l'esistenza concreta degli individui non ha e non può avere alcun senso, venendo a perdere ogni scopo autenticamente vitale. Dalle ceneri della società e della cultura europee che Nietzsche ha delineato nelle sue opere deve nascere un uomo nuovo -Ubermensch "superuomo"- capace di operare una trasmutazione dei valori collocandosi al di la del bene e del male, accettando integralmente la propia natura mondana, instintuale, dicendo si alla vita ed alla volontà di potenza , espansione di energia e di forza che ne costituisce l'essenza.(questo quanto il filosofo afferma in Così parlò Zaratustra). Visto tutto ciò sono innegabili le responsabilità che il filosofo tedesco ha nel diffondersi di quel clima di violenza che di li a poco sconvolgerà i delicati equilibri della situazione politica europea. 

Per quanto riguarda la situazione italiana possiamo dire che il superamento del Positivismo assunse caratteristiche particolari, in gran parte estranne dall'irrazionalismo dilagante. Contro lo scientismo ottocentesco si BENEDETTO CROCE e GIOVANNI GENTILE rivendicano la concretezza della storia e promuovono un ritorno all'idealismo di Hegel. Croce soprattutto, la cui produzione fu vastissima, elaborò un sistema filosofico di laica razionalità , estranea alle mitologie attivistiche ed alla vaga spiritualità del periodo. L'influenza di questo straordinario uomo di cultura sarà vastissima e occuperà quasi tutta la metà del secolo scorso.


Storia del termine e periodizzazione


Il termine decadentismo sta ad indicare un complesso movimento spirituale, artistico, letterario, culturale che nasce in europa nella seconda metà del diciannovesimo secolo, in particolare in Francia nel decennio che va dal 1880 al 1890. Si  può definire il termine "decadentismo" un'acquisizione prettamente moderna e critica e pertanto posteriore al movimento stesso poiché quelli che noi chiamiamo decadenti non si definirono così se non in minima parte. Inoltre il termine decadentismo entra in relazione con quello di "simbolismo" adottato da molti studiosi per indicare fenomeni simili a quelli decadenti o molto affini.

Ci troviamo di fronte quindi ad un concetto, un'accezione dai confini piuttosto vaghi: la nozione di decadentismo può indicare infatti più fenomeni contemporaneamente. Inizialmente il termine "decadente" assunse una connotazione negativa e fu usato ironicamente contro gli stessi poeti da parte dei detrattori della nuova corrente. Comunque sia, nell'accezione più ristretta e storicamente più rigorosa il termine Decadentismo indica un gruppo di letterati francesi sostanzialmente facenti capo a Paul Verlaine che nel periodo che va dal 1880 al 1886, animarono il dibattito culturale e letterario parigino e che trovarono il loro organo ufficiale nella rivista "Le Dècadent" di Anatole Baju. Questo gruppo ebbe come padre spirituale Baudelaire, morto nel 1867, ed esprime quella situazione di stanchezza, di crisi di fiducie (quelle positivistiche), che contrassegnò l'ultimo Ottocento. L'accezione negativa del termine continua fino a Croce, dopo cui il termine assumerà una connotazione neutra e starà ad indicare obbiettivamente il movimento. Per quanto riguarda la periodizzazione, due sono le correnti ideologiche al riguardo: la prima propensa a far terminare l'area di sviluppo decadentistica ai primi decenni del '900 ; la seconda asserisce addirittura che il movimento iniziato da Verlaine riesca ad inglobare tutto il secolo.


Il rapporto con i movimenti precedenti (verismo, romanticismo)

Il decadentismo può essere inteso anche come una reazione al verismo ottocentesco, sia sul piano stilistico, col rifiuto delle linee architettoniche della poesia carducciana ad esempio, che su quello morale, con la negazione totale di ogni moralità e l' impossibilità di aderire ad un saldo sistema di ideali. 

Nel verismo erano frequenti situazioni prettamente materiali e a volte popolari come i delitti, i tumulti, la follia, mentre con questa nuova corrente si viene a porre in primo piano l'aspetto psicologico del poeta e si arriva spesso ad un'analisi di quest'ultimo e quindi ciò che interessa al decadente sono i travagli psicologici, le passioni, le perversioni, le paure, le ansie e i mali oscuri. Ne deriva una poesia nuova che non si basa più su un periodare normale, retto da una sintassi lineare, bensì sull'analogia e sul simbolo.Mentre viene del tutto reciso il legame col verismo sono ancora ben visibili i legami con la cultura romantica che sono tali e tanto profondi da far discutere sull'entità della frattura operata dal Decadentismo rispetto al Romanticismo; tante espressioni e convinzioni della poetica e della cultura decadente sembrano infatti avere notevoli anticipazioni, o sono addirittura rintracciabili, nelle opere di alcuni precursori romantici. Ci si è dunque chiesti se il decacentismo sia un'estrema propagine del romanticismo e se ci sia soluzione di continuità tra i due fenomeni letterari. Gli studiosi concordano oggi nell'individuare legami molto forti tra le due epoche e civiltà letterarie, ma non si possono certo negare gli elementi innovativi ed omogenei della letteratura e della età di fine secolo. Non tutti sono però concordi nel definire questa "decadente", e chi lo fa usa l'aggettivo in una accezione neutra, liberandolo da quel significato negativo di decadenza dell'arte e delle ideologie che esso aveva assunto all' inizio e che continuò a mantenere per molto tempo nel corso della storia della critica. Abbiamo già detto che il decadentismo trova le sua premesse nei fenomeni e nella cultura del tardo romanticismo. Tuttavia molti aspetti del contesto socio-economico sono cambiati.Sul piano socio economico,ad esempio, la borghesia trascorre dalla sua fase rivoluzionaria a quella imperialistica, dalla conquista alla gestione spesso autoritaria del potere: se quindi il romanticismo può essere considerato come un movimento culturale solidale con lo slancio progressivo della borghesia; il decadentismo, modificando profondamente lo spirito ribellista del romanticismo,romanticismo espressamente appare come un rifiuto della normalità borghese, ovvero del "grigio diluvio democratico odierno", come diceva D'Annunzio. In Italia poi, tramite il tramite la mediazione della Scapigliatura, il nuovo movimento fermenta il clima di delusione postrisorgimentale. Sul piano più culturale cominciava a dare segni di stanchezza e rischiava di cadere nel manierismo: nel tardo-romanticismo molte tematiche si erano illanguidite ;e spesso alla rivendicazione della sensibilità dell'arte si era sostituito uno scialbo sentimentalismo. Del resto a quest'ormai stanca corrente culturale si affiancò il positivismo che, con la sua esaltazione della razionalità e con le sue tematiche sociali si propose come negatore di molte delle esperienze di punta della stagione precedente. Il decadentismo nasce allora in parte come moto di reazione al positivismo-naturalismo e come ripresa e richiamo di molte delle esperienze di segno irrazionalistico , spiritualistico e soggettivo del mondo romantico. Questa, tralaltro, erano state tenute vive, proprio negli anni cruciali della genesi della cultura positivista da Baudelaire, che si era fatto traduttore di un altro dei padri spirituali dei decadenti: Edgar Allan Poe, diffondendone sopratutto le riflessioni di estetica, terreno da cui germoglieranno molte delle poetiche successive.


Un nuovo culto della non-ragione e le funzioni della poesia:


Il decadentismo è un rinnovato atto di sfiducia nella ragione e più in particolare un atto di sfiducia nei metodi positivi di conoscienza ed indzgine del reale elaborati nella seconda metà dell'Ottocento dalla scienza e dalla filosofia. L realtà appare ora molto più complessa, stratificata e misteriosa di quanto non potesse apparire ai naturalisti; anzi, la realtà vera non è quella tangibile, ma quella che si cela dietro le apparenze.

L' uomo non può conoscere con i suoi mezzi tutto ciò che lo circonda, e quindi un rinnovato e potenziato senso del mistero avvolge la natura e l'uomo stesso ed i loro comuni destini. Se i positivisti erano in grado di ridurre i processi psicologici a semplici equazioni (del tipo: abbiente + eredità + esperienze individuali = comportamento e psicologia dei personaggi), la nuova generazione di letterati concepisce e descrive l'interiorità come un abisso misterioso ed insondabile:in ciò è evidente il richiamo alle teorie romantiche, riproposte però alla luce delle nuove suggestioni ideologiche e filosofiche di fine secolo (esistenzialismo ed irrazionalismo). Dell'interiorità l'artista di questo periodo mette a nudo gli aspetti più gretti, le debolezze, le perversioni, le componenti anomale e patologiche , senza però la volontà di programmatica dei naturalisti di analizzarle per contribuire a curarle, senza le loro pretese di scientificità. Le analisi dei naturalisti erano condotte su sogetti diversi dallo scrivente, mentre quelle dei decadenti riguardano innanzitutto l'interiorità, la psicologia, l'anima e le esperienze del poeta stesso, con evidentissime implicazioni autobiografiche. Di li a poco inoltre, la nuova scienza psicologica avrebbe fornito ai letterati decadenti nuovi e più approfonditi strumenti di indagine e nuovi referenti culturali: in particolare Freud e la scoperta dell'inconscio, peraltro anticipata nel clima romantico-decadente da numerose intuizioni e altrettante opere letterarie. Del resto la letteratura europea di tutto il Novecento trarrà infinite suggestioni dalla psicanalisi.

Ma il senso del mistero si spinge ben oltre il l'intuizione dell'inconscio e degli abissi dell'animo umano: la realtà tutta appare all'uomo decadente incomprensibile, e spesso l'unico mezzo per risolvere, appurare, il mistero che la circonda è l'intuizione, le doti divinatrici ed interpretative che soltanto alcuni individui posseggono, addirittura lo slancio mistico. Secondo Angelo Conti ad esempio "l'artista è un'anima la qualr più intimamente di ogni altra può mettersi in relazione con l'anima delle cose. Diremo anzi con maggiore esattezza che l'artista, durante la contemplazione estetica, è un'anima singola la quale graduatamente si perde nell'anima universale." Ancora Baudelaire dice: "è un tempio la natura ove viventi \ pilastri a volte confuse parole \ mandano fuori; la attraversa l'uomo \ tra foreste di simboli dagli occhi \ familiari..."

Il linguaggio della natura appare dunque come un linguaggio misterioso che il poeta e l'artista devono saper interpretare: ciò è la premessa del simbolismo letterario sviluppato dai poeti successivi.

Dai passi sovracitati possiamo renderci conto della importanza che viene attribuita alla poesia, dotata di uno statuto nuovo e di una precisa dimensione conoscitiva. Il poeta, anima di per se particolarmente sensibile può e deve farsi visionario della realtà: per molti decadenti ciò significherà attingere il senso profondo, svelare il mistero del reale, guardare e vedere dove gli uomini non sanno e non possono guardare, o dove, anche guardando, non possono capire alcunchè. Ancora Angelo Conti scrive: "Per mezzo del genio la misteriosa volontà della natura diventa oggetto della conoscenza umana...che non ha nulla in comune con le analisi e le classificazioni scientifiche..." Ancora, con evidenti suggestioni leopardiane Pascoli dice, in un suo celebre scritto programmatico, che nel poeta c'è, particolarmente vivo un fanciullo che gli fa vedere con infantile stupore la realtà, scoprendone gli aspetti più segreti ed irrazionali, inaccessibili alla sensibilità dell'adulto e dell'uomo comune.(vedi antologia)


Una nuova concezione dell'arte e della vita: l'Estetismo:


L'arte, in tutte le sue forme, non è più vista come una delle tante attività umane, ma ne è la suprema, o una delle supreme. Le sue conquiste conoscitive, ma anche l'importanza estrema attribuita al bello, giustificano eventuali violazioni della morale corrente: l'arte rivedica così la sua totale autonomia rispetto alla morale. Scrive ad esempio Oscar Wilde nella prefazione al "Ritratto di Dorian Gray": "Eletti sono gli uomini ai quali lr belle cose richiamano soltanto la bellezza. Non esistono libri morali o immorali come la maggioranza crede. I librei sono scritti bene, o scritti male. Questo è tutto". Tale principio viene poi applicato anche alla vita pratica: alla morale corrente e a coloro che se ne ritengono depositari non è consentito giudicare il comportamento degli artisti e dei poeti (malati, maledetti, visionari...), che in alcuni casi potrà farsi estremo, provocatorio anche per altre ragioni di contestazione politica e culturale, oltre che come via alla conoscienza. Anche per quest'ulteriore aspetto degli attegiamenti dei poeti decadenti è necessario rifarsi al loro padre fondatore: Boudelaire era stato traduttore del "mangiatore d'oppio" De Quincey. L'esperienza della droga era concepita, tramite questo mediatore, come conoscitiva; nonstante andasse al di là dell'eticamente corretto. Ma già lo stesso pensavano poeti come Novalis, ed altri romantici tedeschi ed inglesi che, per gli infiniti esempi di eccesso e di sregolatezza che ci hanno lasciato sono stati definiti poeti "maledetti".

La vita quindi si mette al servizio di un'arte che diviene valore assoluto e, contemporaneamente l'arte si assoggetta ad una vita che dell'eccesso fa spesso una regola: tra arte e vita si instaura spesso una sorta di oamosi e di torbida confusione. Fare della propèia vita un'opera d'arte diventa l'obiettivo, addirittura un credo per i nuovi artisti decadenti: questa è sostanzialmente la genesi di quel complesso fenomeno che prende il nome di estetismo che ritroviamo in personaggi come Dorian Gray o, da noi, Andrea Sperelli (vedi antologia). Nell'estetismo si intrecciani diversi motivi: la dedizione alla bellezza ed all'arte come supremo fine della vita è

un ideale di schifiltosa raffinatezza di personaggi che rifiutano la realtà della nuova società borghese che si avvia semprepiù verso una totale massificazione. Per questo i personaggi di questo periodo si ritirano in un universo tutto loro, anacronisticamente proiettandosi in un'età di aristocratica raffinatezza. In altri casi però, è l'estetismo diviene anche un modo per sottolineare le nuove virtù, i nuovi compiti della poesia e dell'arte, la sua capacità di svelare i segreti del reale, di farsi il fulcro dell'esperienza conoscitiva dell'individuo.  

Rispetto al naturalismo c'è polemica non solo sul versante propiamente teorico e conoscitivo, ma anche su quello pratico: domina ora la sfiducia nelle possibilità di intervenire amodificare positivamente il reale. All'arte, e quindi all'artista non è affidata nessuna funzione sociale, se non di mera protesta. La poesia non può in nessun modo contribuire a cambiare la realtà, contravvenendo in questo modo ai principali presupposti dei naturalisti: rivendicare l'autonomia della poesia vuol dire anche rivendicazione della sua inutilità pratica. Riguardo ciò ancora Wilde afferma che "tutta l'arte è completamente inutile".

Tornando per un attimo al rapporto con il romanticismo ci accorgiamo come, per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, il decadentismo segni uno stacco piuttosto profondo rispetto quello: importa ai decadenti molto più il propio destino individuale ed il destino individuale dell'uomo di fronte ai grandi problemi esistenziali e conoscitivi. Non più quindi poesia e darte subordinata a qualsivoglia fine pratico, ma poesia ed arte per se stesse, per    scandagliare la coscienza e la realtà. Se questo è l'orientamento principale, esiste anche l'eccezione, ad esempio dannunziana del poeta trascinatore di follee politicamente impegnato. Accanto al ripiegamento intimistico, autointrospettivo, in aristocratica polemica contro il mondo, dalla cultura di fine secolo nasce un altro orientamento apparentemente del tutto opposto: lo slancio avventuristico, il vitalismo esaaperato, la ricerca del gesto memorabile e l'esaltazione del rischio per il rischio. Questo esasperato vitalismo può tradursi spesso in una negazione della vita stessa, se nel rischio, nel gesto eroico vi si possa trovare qualcosa che basti da sola a dare un senso ed una spiegazione alla vita stessa. Spesso, almeno in letteratura, alle radici di tale attegiamento c'è ancora una volta l'estetismo, la volontà di costruire la propia vita come un'opera d'arte: propio per questo l'azione grandiosa e memorabile assume un significato estetico; anche se sotto sono chiari gli influssi del superuomismo nietzscheano, della teoria cioè di un uomo superiore che con le sue doti possa dominare la realtà e le masse e giungere fino a sfiorare l'immortalità.

Sostanzialmente quindi, ci troviamo di fronte a due attegiamenti apparentemente opposti dell'introversione totale e dell'estremo vitalismo; tuttavia entrambi sono motivati da un estremo disagio, da una scontentezza nei rapporti normali dell'uomo con la società, ed in ultima analisi da una solitudine interiore: D'Annunzio è il caso forse più tipico di oscillazioe di un medesimo personaggio tra le due manifestazioni estreme.


L'incapacità di vivere e la ricerca dell'assoluto:  


In sostanza però, l'eroe, o meglio l'antieroe decadente, è spesso ripiegato su se stesso, avulso dalla realtà sociale, deluso dal mondo ed ostile alla dominante società borghese ed ai suoi valori; è incapace di vivere bene, spesso malato, debole, inetto, capace di svelare le propie e le altrui più basse meschinità. Con diverse implicazioni sociali e culturali, le analisi o le autoanalisi che egli compie si traducono spesso in una denuncia del negativo che impera nel mondo. Queste si fanno inquieta e spesso estrema ricerca di una realizzazione esistenziale, di un assoluto esistenziale o religioso che si nega all'esperienza normale. Il mistero che si percepisce nell'interiorità, nella natura, nel mondo è spesso emblema di una tensione sempre forte verso un assoluto idealizzato e sfuggente, della ricerca di una totalità perduta, e della consapevolezza del'impossibilità di ricostruirla.

Molto spesso, specialmente negli anni a cavallo del secolo, questa visione negativa della realtà presente, questo rifiuto del mondo borghese, significa lucida consapevolezza storico- culturale della crisi di un'intera civiltà; ma nonostante questo si vagheggiava regressivamente un mondo aristocratico e raffinato, da molto tempo definitivamente tramontato. Quindi è propio tale consapevolezza della decadenza che porta al gusto dell'eccentrico, del raffinato ed al recupero ed al vagheggiamento di epoche altrettanto raffinate e decadenti (dalla cultura alessandrina alla tarda latinità, dalla crisi del rinascimento ad alcuni aspetti del barocco).


Il Simbolismo:


Il letterato francese Jean Morèas, affermava nel 1885 che "il principio della poesia moderna stava in un modo d'interpretare il reale per mezzo dei simboli"; l'anno successivo egli stesso fonderà la rivista "Le Simboliste", ed a parteire da allora i poeti decadenti furono chiamati simbolisti.

La svalutazione della realtà empirica e la concezione della realtà come mistero da svelare porta ad importanti conseguenze sul piano della concezione tecnica dell'arte e della poesia, nell'ambito di quel simbolismo che possiamo definire come un aspetto particolare ed importante della poetica decadente. Per quanto riguarda l'Italia, il suo maggior teorico- più che D'Annunzio e Pascoli- fu Gian Pietro Lucini; e a descriverlo come nuova acquisizione letteraria fu Mario Morrasso.

Se la realtà è mistero, e se la natura si presenta sotto forma di simboli che il poeta deva saper interpretare con un atto intuitivo, il linguaggio della poesia in particolare dovrà rinunciare ai classici attributi di referenzialità, ed alla tradizionale logicità: deva viceversa ricorrere a tecniche come il simbolo, l'allegoria, la metafora ricercata, l'analogia, la sinistesia, gli accostamenti imprevisti e misteriosi, l'uso sapiente degli spazi bianchi e degli artifici tipografici, una musicalità intensa e raffinata, in grado di dare significati al di là del semplice significante ed al di là della semantica tradizionale e di uso comune. Insomma, la poesia dovrà comunicare anche e sopratutto in forme non razionali, che nel linguaggio evocativo della musica trovano il loro grande modello. Non potendo nè dovendo comunicare razionalmente, vista l'insufficienza conoscitiva della ragione, la poesia dovrà evocare irrazionalmente, suggerire la realtà con tutti i suoi palpiti ed i suoi misteri. Per alcuni addirittura, come ad esempio Mallarmè, la parola poetica dovrà ricreare, o addirittura creare magicamente la realtà : realtà vera, non quella che cade sotto gli ocche degli uomini comuni. D'Annunzio dice: "il verso è tutto e può tutto. Può rendere i minimi moti del sentimento e i minimi moti della sensazione; può definire l'indefinibile e dire l'ineffabile,; può abracciare l'illimitato e penetrare l'abisso; può avere dimensioni d'eternità; può rappresentare il sopraumano, il soprannaturale, l'oltremirabile; può inebriare come un vino, rapire come un'estasi; può nel tempomedesimo possedere il nostro intelletto, il nostro spirito, il nostro corpo; può, infine, raggiungere l'assoluto".

L'arte cessa di essere con il decadentismo questione di pura e semplice mimesi, imitazione e rappresentazione della realtà, come la intendevano tutti gli artisti prima del romanticismo e buona parte dei romantici: vi saranno compromessi con il tradizionale realismo, e vi saranno riprese dal realismo stesso come pratica d'arte; ma si è totalmente consumata una definitiva frattura che autorizzerà qualsiasi forma espressiva, qualsiasi sperimentazione sia verbale che pittorica, plastica o musicale.

A partire da questa frattura si potrannocomprendere anche le esperienze delle avanguardie. Logicamente una poesia concepita come evocazione analogica ed irrazionale, o addirittura come creazione di una realtà che si nega all'uomo comune, sarà spesso oscura per le ricercate combinazioni lessicali , e si proporrà come atto di pura ricerca espressiva senza la minima preoccupazione di chiarezza e di concreta comunicabilità. Viene meno anche il presupposto romantico dell'arte di fruizione popolare ed estesa: se il poeta deve farsi vate e tramite di una realtà complessa, al lettore è richiesta una cultura piuttosto elvata in rapporto alla difficoltà della materia; egli deve essere in grado di lasciarsi coinvolgere in un'esperienza di lettura che va al di là di ogni normale atto di comunicazione, di tendere i suoi sensi e la sua sensibilità per cogliere i segni e gli indizi dell'esperienza sovrarazionale compiuta dal poeta.

Da qui sono nate le accuse di oscurità, di incomprensibilità rivolte a questa poesia;e da qui deriva anche la coniazione del termine ermetismo, che indica però una corrente letteraria che si diffonde tra le due guerre e che avrà particolare fortuna in Italia. Non si pensi però che queste accuse turbassero troppo gli scrittori ed ipoeti decadenti, poichè loro stessi, come già detto non intendevano rivolgersi ad un pubblico variegato, ma soltanto a pochi eletti ed idonei alla comprensione della loro arte; ecco quanto dice il poeta Mallarmè a proposito: "ogni cosa sacra -e che voglia restare sacra- si avvolge nel mistero. Le religioni si trincerano in arcani misteri che si svelano soltanto a chi è predestinato. Anche l'arte ha i suoi arcani...Io mi sono chiesto spesso perchè questa caratteristica indispensabile è stata negata ad una sola arte, alla più grande,cioè alla poesia...I primi venuti entrano tranquillamente in un capolavoro, e da quando ci sono i poeti non sono state inventate una lingua immacolata, delle formule sacre ed ieratiche, il cui studio ufficiale, arido, acciechi il profano."

Chiaramente non tutti potranno mantenere i livelle di sacralità ed ermetismo così come li ha teorizzati Mallarmè, tuttavia la polemica, spesso violenta, contro il pubblico medioborghese sarà un motivo portante della letteratura e della cultura di questo periodo.  


Temi e forme letterarie del Decadentismo:



La lirica ed il suo sviluppo tra Ottocento e Novecento:



l'importanza di Baudelaire:



La trasformazione che il genere lirico subisce a cavallo tra ottocento e novecento è essenzialmente riconducibile alla già grande rivoluzione apportata in questo settore dal romanticismo: in maniera piuttosto riduttiva possiamo dire che la poetica decadente-simbolista porta alle estreme conseguenze un discorso in parte già avviato dai romantici. Riassumendo, nel corso dell'Ottocento i cambiamenti cui fu soggetto il genere lirico,che rientravano nel complesso dibattito tra classicisti e romantici, riguardarono principalmente la destrutturazione dei modelli classici, in particolare: si  giunge ad una tensione, quindi alla dissoluzione delle forme sintattiche e della struttura logica del discorso e delle forme metriche chiuse; all'assunzione di enunciati dissociati , disgregati tra loro e desemantizzazione degli enunciati .

Anche se non è l'unico, questo processo è il più evidente ai fini della creazione del linguaggio poetico moderno, ed è chiaro che a seconda delle personalità assume caratterizzazioni diverse; tuttavia è nella poesia di Baudelaire, Rimbaud e Verlaine e nella corrente del simbolismo francese che va individuato il momento chiave di questo processo, con l'elaborazione del concetto di corrispondenza simbolica, la commistione degli stili, la teoria e la pratica di del simbolismo , la ricerca del linguaggio fondamentalmente analogico, intensamente musicale e fondato su procedimenti simbolici.

Fondamentale è soffermarsi sull'importanza di Charles Baudelaire; il critico Giovanni Macchia afferma che la "nostra epoca feroce è divenuta sempre più baudelairiana": con le sue opere, il poeta francese apre un nuovo capitolo nella storia della letteratura non soltanto francese ma europea, permettendo di comprendere degli atteggiamenti che, vistosi ed arditi nei decenni che viviamo, trovano in lui la loro prima radice.

Inoltre il grande critico tedesco Erich Auerbach, scopre l'originalità della lirica baudelairiana nell'immissione di scelte stilistiche triviali, dimesse, al limite dello spregevole e del ripugnante, in un registro tonale che tende al sostenuto ed al sublime: un originalità che consiste quindi nel recupero disarmonico e quasi stonato di quella grigia realtà quotidiana e banale che prima era stata sempre respinta. Questa contraddittoria ambivalenza si risolve sul piano del linguaggio in scelte precise, affidate a strumenti tecnici precisi ma variamente significanti. Il poeta, nella concezione di Baudelaire e decadente, coglie le segrete corrispondenze del mondo, ne legge il cifrato messaggio e ne interpreta i misteriosi geroglifici.

Il suo capolavoro è sicuramente l'opera "Le fleurs du mal": essi, censurati nel 1857 perchè ritenuti lesivi della morale, sono costruiti su un continuo conflitto tra satanismo ed idealità, e presentano un ossessivo catalogo di temi negativi, cotrastati da un'idealità vuota, dalla tensione verso un infinito ed un altro inafferrabile. Vizi, sesso, alcool noia, fascino del distruttivo e dell'abnorme, rivolta anti cristiana e discesa verso il regno di satana, sono gli assi sui quali Boudelaire costruisce la sua inquieta ricerca di qualcosa di nuovo ed alternativo, sviluppando tra l'altro una nozione chiave dell'estetica moderna: il fascino del brutto e del grottesco.

Inoltre il filosofo tedesco Walter Benjamin ha messo in luce come le tragiche e consapevoli disarmonie della modernità, il rapporto disorganico ed alterato con il reale conducano a creare visioni allegoriche prive di coincidenza con i fenomeni rappresentati. Le tendenze della lirica baudelairiana verranno riprese e sviluppate nel periodo tra fine Ottocento ed inizio novecento, vediamo come.


Successivi sviluppi del genere lirico:


Successivamente, nel clima del decadentismo, la convinzione dell'insufficienza delle scienze a spiegare la realtà e la convinzione dell'esistenza di una realtà nascosta, inarrivabile per l'uomo comune, spingono poeti ed intellettuali ad affidare alla poesia un alta e quasi sacrale funzione conoscitiva: STHEPHANE MALLARME' è propio colui che teorizza più limpidamente questa funzione conoscitiva e sacrale della poesia. Egli attribuisce alla poesia una sorta di potere magico-incantatorio, la fa creatrice di universi immaginari che, di fronte alla frustrante negatività del presente appaiono la sola, unica realtà che davvero conti. Tutta la poesia di Mallarme nasce dunque da un moto psicologico che lo induce ad evadere dal presente, a ricercare nuovi orizzonti: ma l'esperienza della fuga è soltanto immaginata, mai attuata; edun inevitabile scontro con la dura realtà potrebbe condurre il poeta alla frustrazione.

Ciò in realtà non avviene poichè Lallarme fa si che l'evasione avvenga tutta allo stato mentale, poichè egli dà all'universo alternativo che si è creato lo statuto di realtà alternativae compensatrice, perciò di una realtà perfetta, priva di ogni scoria di contingenza. Tuttavia il pericolodella frustrazione appare solo apparentemente superato e si riaffaccia nei termini dell'aridità creativa e di insufficienza delle forze del poeta a dar vita ad una realtà immaginaria, assoluta e perfetta. questo è il cosidetto dramma della pagina bianca, che è di fondamentale importanza per comprendere la poetica di Mallarme: la negazione dell'ispirazione diventa negazione dell'assoluto, genera il tedio più assoluto e la frustrazione più grande. Viceversa quando l'ispirazione non si nega e la poesia vince la pagina bianca, il poeta può gioire sentendosi addirittura superiore a Dio, è creatore di un universo senza alcun limite spazio temporale: di qui la sacralità della poesia, la sua funzione vitale e conoscitiva.

Ma da ciò deriva il linguaggio estremamente rarefatto , lontano da quello della quotidianità: il suo simbolismo si fa arduo, criptico e viene esaltata la possibilità polisemica delle parole.

Sulla stessa scia di una poesia conosctrice degli aspetti più segreti della realtà o addirittura di una poesia creatrice di una nuova realtà si pone un poeta della generazione successiva a quella di Mallarme: PAUL VALERY. In comune con il maestr egli ha una concezione della poesia come esercizio aristocratico e come dimensione di una realtà superiore a quella fisica, perchè purificata da ogni contingenza. Tuttavia, rispetto a Mallarmé, Valéry accentua l'elemento intellettuale e raziocinante della poesia, perdendo forse qualcosa nella slancio mistico: per il poeta la poesia è un puro slancio dell'intelletto, un razionale e controllatissimo processo intellettivo in cui tutto è perfettamente congeniato. Il linguaggio della poesia è reale, la poesia è reale: ancora una volta viene però esclusa la realtà contingente, che può soltanto offrire materiali e spunti che, nella lucida razionalità di Valéry, diverranno tuttaltro. Il fine dunque della sua arte è raggiungere una poesia assoluta, pura e libera da qualsiasi contingenza e, sul piano stilistico, liberare il propio linguaggio da tutte le incrostazioni e le scorie del linguaggio comune. Pecuriale di Valèry è l'oscurità di un linguaggio che ha ormai completamente tagliato ogni legame con la tradizione poetica ottocentesca, con il mondo delle cose reali ed empiriche e che si è fatto allusivo, affascinante e misterioso; eppure ricco di riferimenti alle cose sensibili, ma che sembrano parlare in un linguaggio quasi cifrato ed ancora più criptico di quello di Mallarmè.

Siamo ora in grado di comprendere come le esperienze poetiche tra Mallarmè e Valéry hanno segnato un definitivo distacco dalle prospettive liriche ottocentesche, anche da quella più avanzata di Baudelaire e di Verlaine: l'idea di poesia si è purificata, smaterializzata, la poesia ha sciolto ogni legame con la realtà ed è divenuta pura vicenda interiore, astratta tensione spirituale e metafisica.


Linee generali del panorama europeo


Il fenomeno del simbolismo si diffonde in tutta Europa, muovendo dai modelli francesi e caratterizzando tutta un'epoca con varie sfumature. In Germania ed in Austria, per esempio occupano una posizione di tutto rilievo STEFAN GEORGE, RAINER MARIA RILKE; in Gran Bretagna, dopo gli importanti precursori ROBERT BROWNING e GERARD MANLEY HOPKINS, si segnala sopratutto l'irlandese WILLIAM BUTLER YEATS; in spagna, dove un analogo simbolismo prende il nome di "modernismo", ricorderemo RUBEN DARIO, ANTONIO MACHADO e JUAN RAMON JIMENEZ.

Tutti questi poeti, sia pure in diverso grado, si accostano ad un'idea di poesia fortemente interiorizzata, metafisica, e con componenti talora mistiche. Particolare importanza nel campo europeo viene ad assumere Yeats, che concepisce l'artista come guida dell'uomo verso l'eterno, ed un netto rifiuto del contingente per l'ideale e l'assoluto: possiamo vedere ciò in particolar modo nel suo capolavoro "Verso Bisanzio". Con alcuni dei poeti sopracitati si travalica il confine ideale di questa parte della letteratura e ci si avvia verso il periodo tra le due guerre mondiali: il fenomeno poetico del simbolismo non è infatti facilmente determinabile dal punto di vista cronologico, poichè costituisce una delle linee portanti della lirica dell'intero novecento


La situazione italiana: Pascoli, D'Annunzio, Lucini e Pirandello



In Italia il decadentismo non ha conosciuto un facile sviluppo per via della scarsa propensione italiana al cambiamento radicale e della "dittatura lirica" istituita dal vate Carducci. In questo stato di cose fu fondamentale l'irrazionalismo crociano, pur avverso al decadentismo, che decretava la fine del positivismo. I prodromi del movimento in Italia furono rappresentati dalla cosiddetta Scapigliatura milanese che rifiutarono il modello narrativo manzoniano e il sentimentalismo di Prati e Aleardi, adottando un modello di poesia totalmente nuovo improntato su uno stile nuovo ed irregolare e sulla concezione di poesia autonoma priva di finalismo e vista come espressione immediata, tumultuosa e sincera. Gli esponenti maggiori della Scapigliatura furono Praga e Boito accompagnati da altri autori esterni al movimento milanese ma comunque importanti per l'introduzione della poetica decadente, citiamo Oriani, Graf e Fogazzaro .

In ogni modo, il decadentismo si fa più consapevole in PASCOLI e D'ANNUNZIO, ma anche nel meno conosciuto e studiato GIAN PIETRO LUCINI, che fu il teorizzatore del verso libero, ma tuttavia di cultura ancora troppo illuministica e improntata all'impegno ed al risentimento sociale, per poter essere affiancato ai grandi del simbolismo europeo. Egli però fu teorico di un particolare simbolismo razionalistico ed il primo sperimentatore letterario di tutta l'avanguardia europea di fine secolo. Per quanto riguarda invece Pascoli e D'Annunzio, non si può negare l'importanza che essi hanno avuto nella sprovincializzazione della nostra cultura e nel rinnovamento delle forme poetiche tradizionali. Ad essi in questo senso potrà essere affiancato anche Lucini, propio in quanto teorico del verso libero che, nell'ambito della rottura delle forme chiuse ha una particolare importanza ed è un obiettivo cui approderanno successivamente tutti gli autori novecenteschi. Dal punto di vista più strettamente ideologico, il decadentismo dei due autori italiani,come anche di tutti gli altri, non raggiunge i punti estremi della letteratura europea, palesandosi in modo frammentario e mai apertamente polemico nei confronti della realtà contemporanea e della tradizione. In particolare la coscienza polemica di un'arte nuova, e di una lacerante frattura, il fascino negativo della distruzione, l'indagine degli abissi interiori ,sono tutti temi che Pascoli e D'Annunzio affronteranno solo sporadicamente. La lezione di Baudelaire, e del simbolismo francese penetra nei due poeti nella tecnica delle corrispondenze simboliche con cui è spiegato il reale. Anche se con caratteristiche diverse dai loro colleghi europei, i nostri due poeti, si fanno portavoci esemplari del disagio storico e culturale dell'epoca; l'uno, Pascoli, detentore di una poesia tenuta quasi sempre sottotono e chiuso nella ristrettezza del suo nucleo familiare difeso con morbosa attenzione, e l'altro declamatore e magniloquente, cultore del superuomismo di marca nietzschiana ostentato anche nella biografia: espressioni quasi antitetiche, insomma di un medesimo travaglio ideologico.

L'arte di Giovanni Pascoli è caratterizzata da elementi di forte contraddizione tra loro sia sul piano ideologico sia sul piano delle strutture formali , in consonanza con un'epoca di trasformazioni e di crisi. Socialista rivoluzionario in giovinezza, resta poi detentore di un ambiguo socialismo umanitario che lo porta nel 1911 alla celebre orazione La grande Proletaria si è mossa, a sostegno della guerra libica, dunque aderendo di fatto alla propaganda colonialista, bellicista e nazionalista, dunque in evidente dissidio con le posizioni socialiste. Sua è inoltre l'ideologia difensiva della "siepe", affidata alla serie "la Siepe" , a vibrante tutela degli interessi della piccola propietà agraria in funzione anticapitalista. Poeta-fanciullo (la poetica del "fanciullino",1897, mette l'accento sulla ingenuità puerile del dono poetico, inteso come capacità di guardare al mondo con gli occhi dell'infanzia), Pascoli neppure rinuncia occasionalmente a coprire l'ambizioso ruolo del poeta-vate, lui erede di Carducci e concorrente dell'amico-nemico D'Annunzio. In generale si può consentire con il sanguineti, il quale sostiene che Pascoli elabori ad uso del pubblico, e spartendosi il campo con il magniloquente abruzzese che predilige un "sublime alto" , un sublime medio destinato alla fruizione pubblico-borghese.

Entrando poi più da vicino nell'arte poetica pascoliana vediamo come questo poeta dallo stile facile, questo apparente collezionista di bozzetti naturali, impressionistici e frammentari , è di continuo intento a trasferire nel reale la sua interiorità, approdando in questo modo ad una scrittura allusiva, sognante, carica di segreta forza, simbolica e spesso allegorica, quindi posta in un rapporto difficile ed incrinato con il reale rappresentato. Pascoli utilizza- con il gusto tipicamente decadente di toccare registri inesplorati ed incontaminati- più lingue estranee alla normale soglia linguistica: la "pregrammaticalità" (Contini) delle onomatopee, la "post-grammaticalità" dei gerghi e delle espressioni dialettali, ed ancora, congrande capacità di modulazione, la lingua morta del latino. Oltre alla raffinatezza dei singoli usi, importa il sostrato decadente che si avverte sotto questa pratica pascoliana: l'uso di lingue diverse, alternative è un modo per cogliere della realtà gli aspetti più misteriosi celati dietro le apparenze.

Al livello metrico Contini definisce Pascoli un rivoluzionario nella tradizione, molto accorto nel conservare metri tradizionali innovandoli però nell'internoed in particolare provocando un suo tipico doppio ritmo-uno palese, l'altro segreto.Circa i registri adottati Pascoli va dall'impressionismo naturale, alla riesumazione del classicismo e dell'epoca medievale.

Se sperimentatore dietro la timida apparenza è Pascoli, nelle forme, nei linguaggi, nei metri-nonostante un repertorio tematico esiguo e spesso ripetitivo- altrettanto, e più, lo è D'Annunzio che si confronta con tutti i generi possibili: poesia, romanzo, racconto, tragedia, prosa politica ed oratoria, prosa memoriale ed introspettiva. Ma ciò che distingue D'Annunzio e che ne fa un acuto decifratore della moderna società di massa, è la capacità di percepire le attese del pubblico e di adeguarvisi con prontezza. basti osservare il suo operato in campo politico, dove conquista lo spicco di leader, precocemente consapevole della fine del liberalismo, come dimostra la violenta campagna onterventista del 1915, il ruolo attivo esercitato durante la guerra, e poi l'occupazione e la reggenza di Fiume: mentre in epoca fascista vivrà relegato nella villa "Il Vittoriale" sul lago di Garda, concorrente sconfitto ed oppositore prudente di Mussolini, lui che con le sue opere aveva contribuito non poco alla diffusione dell'ideologia fascista. Sul piano del costume, D'Annunzio è altrettanto abile nel congiungere la vita all'arte, conducendo un'esistenza d'eccezione, mondana, galante, sportiva, e all'occorrenza eroica, costantemente esibita agli sguardi del pubblico e congegnata con la stessa attenzione che merita un'opera d'arte.

Quando giovanissimo esordisce, D'Annunzio è, secondo i canoni, verista in prosa e carducciano in poesia, cambia successivamente, adeguandosi, anzi anticipando, i gusti imperanti in Italia, recependo le più aggiornate esperienze culturali europee al motto di "rinnovarsi o morire". Egli è il primo per ciò ad introdurre nella letteratura italiana le tematiche del decadentismo europeo, sin dal romanzo iniziale Il Piacere, dal gusto decisamente estetizzante ; via via sviluppa una sempre più spiccata tendenza alla decifrazione di un'universo simbolico nascosto sotto quello reale. D'Annunzio diffonde in Italia, attraverso le sue letture, l'evangelismo degli scrittori russi, il già citato nietzschianesimo; e per quanto riguarda le tematiche boudelairiane e decadenti è un accanito perlustratore di erotismo, con venature sadiche e morbose, e con una compiaciuta congiunzione amore-morte.Questi vari attegiamenti D'Annunzio li sperimenta in poesia ed anche in prosa - nei romanzi sempre più musicali e destrutturati - fino ad arrivare all'apice stilistico rappresentato dalle Laudi. Dopo l'affinamento poetico di Alcyone, gli esiti maggiori e più moderni di D'Annunzio si registrano nelle prose cosidette notturne dall'opera più famosa (Il Notturno), antinarrative, liriche memoriali ed allucinate. Artista sapientissimo D'Annunzio è particolarmente attento al linguaggio che vuole sempre prezioso ed erudito, ed alle ricerche ritmiche perseguite anche nel campo della prosa. La ricercatezza oratoria delsuo stile, gli atteggiamenti superuomisti, il vitalismo e la continua influenza delle teorie nazionaliste sono aspetti ingombranti e centrali del suo lavoro che in un certo senso limitano la sua modernità, che andrà piuttosto ricercata nella continua sperimentazione formale. Particolari aspetti assunse il decadentismo in Pirandello. Al centro della sua opera sta l'analisi introspettiva dell'animo umano, lo studio del cosciente e del subcosciente. Il suo merito è quello i aver riprodotto la frattura, la crisi, il dramma dell' inquietitudine moderna senza mai ricorrere ad una soluzione metafisica per superarla.Volendo fissare in breve i quattro punti cardine della poetica pirandelliana si possono citare i seguenti aspetti dell'opera dell'autore siciliano: il contrasto fra illusione e realtà; il sentimento del contrario; il sentimento della casualità; l'atteggiamento antiretorico. Oltre a questi aspetti è interessante notare il rapporto mutevole che Pirandello ha con la tradizione verista, le prime opere infatti, lo inscrivono di diritto nella cerchia di autori veristi ancora attivi in quell'epoca; andando avanti però, appare chiaro come l'aderenza al canone naturalistico sia da rintracciare solo in qualche particolare esterno, mentre all'interno è notevole l'estraneità alle forme narrative veriste, estraneità che si concretizza nella rottura della continuità narrativa e l'inserimento di introspezione e riflessione sulla genesi degli avvenimenti e sui comportamenti degli stessi personaggi. Proprio la riflessione si pone come movente primo dell'arte e da essa scaturisce la rappresentazione del reale e quindi l'opera stessa (da notare la netta contrapposizione nei riguardi dell'irrazionalismo crociano). La riflessione da vita anche a quello che uno degli aspetti più originali e significativi della produzione pirandelliana e cioè il già citato sentimento del contrario; per spiegare cosa rappresenti questo sentimento del contrario è sufficiente riportare il passo del trattato "L' Umorismo" in cui Pirandello esemplifica la spiegazione del principio con un esempio: ".Vedo dunque una vecchia signora ,coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d' abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s'inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare al sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico. 


Suggestioni veristiche ed Antonio Fogazzaro:


Anche per quanto riguarda la narrativa si assiste ad un insieme di trasformazioni che si riscontrano nello stesso tempo nella poesia e che sono da ricondurre alla diffusione della nuova poetica decadente; tuttavia questo passaggio non avvenne in maniera omogenea, ma si vrificò in tempi e modi spesso diversi. Nell'ambito della narrativa italiana, ad esempio, accanto a D'Annunzio che, con il Piacere è già esporessione della narrativa decadente sia dal punto di vista stilistico che tematico, troviamo ancora testi legati alle forme veristiche: si sviluppa una produzione che contamina impianti e moduli della tradizione veristica con tematiche decadenti. Si pensi a Senilità di Svevo o all' Esclusa di Pirandello, nel quale l'autore si serviva di una storia apparentemente veristica a significazione dell'assurdo del vivere. Esemplare del trascolorare del verismo, cui si assiste in questo periodo, è Antonio Fogazzaro: la nuova realtà che appare in Malombra, il primo dei suoi romanzi e contemporaneo dei Malavoglia, è esaminata con una disposizione che non è più quella di un verista; egli sente quella realtà in un atteggiamento più riflessivo che descrittivo, mirando a cogliere le suggestioni, suggestioni corrispondenze tra i suoi elementi o tra i suoi elementi e l'animo dei personaggi. Un contesto paesistico di questo tipo è dunque l'ideale per le inquietudini ed i conflitti interiori dei personaggi, che derivano dallo scontro tra esigenze spiritualistico religiose e sensualità, o dalla conflittualità fra sentimento religioso e sollecitazioni filosofiche e sociali dei tempi. Momigliano sostiene che è propio nei romanzi di Fogazzaro che viene a delinearsi per la prima volta un tipo di personaggio che avrà vasta fortuna letteraria: l'eroe decadente, ambiguo, incerto macerato in un'inclemente autoanalisi; malato nella volontà per il tentativo di neutralizzare le opposte suggestioni di erotismo e misticismo, ideale e reale; cosciente della sua particolare sensibilità. 


L'eroe decadente:


A partire da Antonio Fogazzaro dunque, si possono individuare unn serie di opere che, pur appartenendo a contesti nazionali differenti, sono pressochè contemporanee e tutte centrate sulla rappresentazione di un personaggio che in maniera esemplare incarna la sensibilità, le aspirazioni, i comportamenti che la cultura del decadentismo via via codificava. in opere rimaste giustamente famose come il Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, A ritroso di Huysmans, Il Piacere di D'Annunzio si incarna quella che possiamo senza dubbi definire come l'oggettivazione fisica del decadentismo. il capostipite di una lunga generazione di eroi decadenti è Des Esseintes, il personaggio che Huysmans delinea in A ritroso, a lungo definito la "bibbia del decadentismo". Egli, come tutti i suoi discenddenti, vive in aperta opposizione con il mondo e la vita di tutti i giorni, angustiato ed ostile nei confronti della normaità borghese, Des Esseintes è un ribelle freddo, a cui manca la forza interiore per ribellarsi. i personaggi dei romanzi di questo periodo avvertono un intellettualistico disprezzo delle regole, e partendo propio da ciò arriva a vivere nell' assoluta, calcolata e programmata indifferenza delle regole, conducendo una vita nella sregolatezza, perseguendo l'artificioso, l'innaturale e l'irregolare. coerentemente ai canoni di estetismo, egli, sostituendo il ricercato al naturale realizza un vera e propia arte della depravazione: vede l'arte e la bellezza come ideale supremo da raggiungere e da opporre come schermo alla cruda e volgare realtà di tutti i giorni, costituita anche e soprattutto da quelle regole che egli tenta di evadere. Ma è significativo che il romanzo di Huysmans si concluda con la confessione di una sconfitta: la fuga dal reale che tenta di intrapendere l'eroe non supera lo scoglio finale e viene irrimediabilmente a cozzare con quella stessa realtà che assurdamente cercava di fuggire; di qui l'angoscia, la frustrazione immensa di questi personaggi. Viene avviato in questi romanzi quel processo destinato ad avere grande importanza in tutta la produzione novecentesca, di crescente lacerazione tra personaggio e società, con l'aggiunta dell'enfatizzazione della sua magmatica interiorità. Si tratta comunque di un processo che era già stato avviato dalla narrativa del Romanticismo, viene poi approfondito dai grandi realisti come Balzac e Sthendal e viene poi variamente ripreso fino a Zola e Verga. Ma la rappresentazione di questo conflitto comporta anche la creazione di personaggi che agiscono, lottano contro la società, ma che tuttavia sentono una irrefrenabile vocazione alla sconfitta, alla fuga, alla passività ed all'inettitudine. Sono tutti attegiamenti che naturalmente hanno origine dal clima di crisi di valori e certezze che caratterizza il primo novecento e che determina uno spostamento degli orizzonti letterari dal mondo oggettivo a quello soggettivo; clima testimoniato propio dagli eroi decadenti che cercano un'irrazionale fuga dal reale nel tentativo di esorcizzare la vita attraverso l'arte. Si sentono smarriti, "come un isetto che si è smarrito in un campo di cui non conosce i colori di richiamo" (Ulrich,"l'uomo senza qualità"): vivono la loro riconosciuta inettitudine con angoscia e sofferenza o con consapevole ed ironico distacco, giungendo a denunziare la loro estraneità al reale. Emblematico, in questo senso è l'opera dell'inglese Oscar Wilde: la chiave di lettura del Ritratto di Dorian Gray è offerta dalla introduzione al romanzo in cui si presenta una vita concepibile solo in funzione dell'arte, solo se si realizza in forma estetica. Alla base del romanzo c'è un edonismo che cerca in tutti i modi di scandalizzare il perbenismo vittoriano dell'Inghilterra di quel periodo, ma ancora una volta è il protasgonista ad essere sconfitto: l'evolversi della vicenda testimonia che il culto esclusivo della bellezza e l'estromissione della vita perseguiti con tanto puntiglio sono destinati al fallimento. In Italia importante è la già citata esperienza di D'Annunzio che, con il suo Piacere delinea la figura di Andrea Sperelli, "legittimo campione di una stirpe di gentiluomini e di artisti eleganti, l'ultimo discendente di una razza intellettuale" (da Il Piacere)

ma il caso forse più significativo, nell'ambito della narrativa italiana, è sicuramente Luigi Pirandello che crea un romanzo nuovo, anche con le riflessioni teoriche affidate al saggio sull'umorsmo, superando definitivamente le prospettive dell'arte ottocentesca. Ma non si possono dimenticare le figure di Sibilla Aleramo, Palazzeschi e Papini 


Trasformazioni delle tecniche narrative:


Naturalmente la perplessità di fronte al reale ed il conseguente arroccamento nell'interiorità del personaggio novecentesco, portano ad una trasformazione delle tecniche narrative: più che sugli accadimenti e sui fatti appare necessario concentrarsi sulle rifrazioni e sugli echi che essi hanno nell'interiorità del personaggio, sulla problematicità del reale, sulla luce di volta in volta che il soggetto proietta sullo stesso evento rivivendolo memorialmente.

Appare dunque chiara la decisiva importanza che, nello sviluppo di queste tecniche hanno avuto la psicanalisi, la nuova fisica ecc. Ha scritto Claudio Magris: "Dopo Freud la letteratura e specialmente la narrativa non sono più le stesse. La psicanalisi scopre nuove zone dell'umano e nuove funzioni del linguaggio, il mondo dell'inconscio e la duplice natura , rivelatrice e mascheratrice, del linguaggio quale soggetto ed oggetto del conoscere..Dopo la psicanalisi, lo spazio della narrativa sarà l'immenso e tortuoso fondale dell'inconscio e del preconscio"

Inoltre anche le acquisizioni della fisica moderna ed ainsteniana hanno portato ad una trasformazione del genere romanzo: la relatività ha prodotto quella che Debenedetti definisce la morte del "personaggio uomo"; ora la sua figura è analizzata in base ad una varietà spesso immensa di prospettive, così come la realtà che viene descritta non è più unitaria ma spesso poliedrica. Collegata a tutto ciò, ad un concetto di realtà sempre più indefinibile, è anche la trasformazione della figura e della funzione del narratore. Egli non è più l'autore onniscente e demiurgo della tradizione precedente, che anticipa e commenta la narrazione inserendola in una solida e rassicurante visione del mondo. Assumendo sempre più spesso i panni di un narratore interno, presenta un universo circoscritto alla figura dell'io narrante di cui vengono registrati conflitti e lacerazioni, contaminazioni memoriali fra presente epassato e valutazioni contrastanti di uno stesso argomento. L'ordinata successione logico causale, generalmente rispettata nel romanzo ottocentesco, va in frantumi grazie al frequente ricorso alla tecnica del flash back e dei flussi di memoria offerti dai personaggi.





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