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GIOVANNI VERGA - LA RIVOLUZIONE STILISTICA E TEMATICA DI GIOVANNI VERGA

letteratura



GIOVANNI VERGA


LA RIVOLUZIONE STILISTICA E TEMATICA DI GIOVANNI VERGA


I due più grandi narratori dell'Ottocento sono Manzoni e Verga, vissuto l'uno nell'età romantica, l'altro negli anni della delusione successiva all'unità d'Italia. Senza Manzoni, non ci sarebbe stato il romanzo in Italia; ma senza Verga non si sarebbe sviluppato nel nostro paese il romanzo moderno. Manzoni ricorre ancora al narratore onnisciente, che guida dall'alto la narrazione e conosce passato presente e futuro dei suoi personaggi. Il Verga dei grandi romanzi veristi, I Malavoglia e Mastro - don Gesualdo, rinuncia alla prospettiva onnisciente: il punto di vista narrativo, rigorosamente dal basso, coincide con quello dei personaggi. È questa la rivoluzione stilistica di Verga: per la prima volta nella storia del romanzo italiano si abbandona un atteggiamento di dominio ideologico e di giudizio dall'alto, con la conseguente caduta delle tradizionali gerarchie narrative. L'impersonalità verghiana comporta infatti una radicale rinuncia: l'autore non manifesta più direttamente i propri sentimenti e le proprie ideologie, e assume invece l'ottica narrativa, l'orizzonte culturale, il linguaggio dei suoi stessi personaggi.

Con Verga comincia lo strano ma non certo casuale destino dei maggiori narratori italiani nell'età moderna e contemporanea: come accadrà anche con Svevo, Tozzi e Gadda, i capolavori verghiani avranno scarso successo e limitata fortuna. Per circa quarant'anni, dal 1880 al 1920, Verga sarà noto al grande pubblico come autore di un'opera minore, Storia di una capinera, e quasi sconosciuto per i suoi romanzi maggiori, I Malavoglia e Mastro - don Gesualdo, di lettura meno piacevole è molto più impegnativa, i quanto più nuovi e sperimentali. Le coraggiose scelte narrative di Verga verista nascono da una crisi storica. Verga è uno degli ultimi rappresentanti della generazione romantico - risorgimentale e ne vive drammaticamente le condizioni. Il protagonismo culturale e ideologico degli intellettuali, tipico dell'età romantica, e ancora percepibile nelle prime opere verghiane, si rivela impossibile nella nuova Italia dominata dall'interesse economico e dal potere delle banche e delle imprese industriali. Occorre rinunciarvi, abbassare il tiro, limitarsi a un compito di documentazione scientifica: se talora una denuncia è ancora percepibile, essa tuttavia deverestare del tutto implicita. Di qui l'adesione al Verismo e l'impersonalità. Quest'ultima non è solo un espediente stilistico ma il risultato di tale crisi storica e di tale rinuncia. E se in un primo tempo Verga reagisce cercando ancora una possibilità di valori alternativi nella società arcaico - rurale della Sicilia, poi approda a un conseguente pessimismo materialistico che constata ovunque il trionfo dell'interesse e della roba.



Se nei Malavoglia un filo di simbolismo romantico convive ancora con il pessimismo materialistico ell'autore, in Mastro - don Gesualdo siamo in presenza di un'ottica integralmente critico-negativa, di un realismo duro e corrosivo, che non concede spazi di speranza. Verga d'altronde aderisce al Pos 656d32g itivismo in modo originale: ne valorizza al massimo gli elementi materialistici e deterministici e ne rifiuta gli aspetti fiduciosi e ottimistici.

Le novità formali e tematiche, la capacità di rappresentare, per brevi allusioni, liricamente, lo stato d'animo dei personaggi e di far parlare simbolicamente la natura, la prospettiva di racconto dal basso e la cattiveria rappresentativa hanno fatto di Verga un maestro della narrativa novecentesca. Dopo Verga, la rinuncia a un'ottica ideologica e al narratore onnisciente è diventata d'uso comune, mentre la congiunzione fra realismo e simbolismo raggiunta nei Malavoglia e l'atteggiamento demistificante e critico negativo di Mastro - don Gesualdo hanno ispirato alcuni fra i maggiori scrittori del XX secolo, da Tozzi e Pirandello a Pavese.  


LA VITA E LE OPERE: LA FORMAZIONE GIOVANILE CATANESE, IL PERIODO FIORENTINO (1869-72), QUELLO MILANESE (1872-93) E IL RITORNO A CATANIA


Personaggio schivo, solitario, malinconico, Verga si è dedicato per trent'anni (1860-1890), con estrema coerenza e continuità, all'attività letteraria. La sua natura riservata non deve tuttavia far pensare a un suo isolamento nella società letteraria: fra il 1873 e il 1890 egli fu al centro dell'attività letteraria dell'ambiente milanese che era all'avanguardia della ricerca artistica in Italia. Solo dopo il 1890, tramontata l'epoca del Verismo e affermatosi, con d'Annunzio, il romanzo decadente, si può parlare di un vero e proprio isolamento di Verga.

Nato a Catania nel 1840 da una famiglia di proprietari terrieri di antica ascendenza nobiliare, Giovanni Verga aveva vent'anni quando Garibaldi guidò in Sicilia l'impresa dei mille.

I maestri e le letture della adolescenza sono caratterizzati in modo chiaro: da ragazzo, va a scuola da un letterato e patriota siciliano, Antonio Abate; si appassiona ai romanzi patriottici dello scrittore catanese Domenico Castorina; assimila le tendenze antispiritualistiche e scientifiche della tradizione culturale catanese. Legge i romanzi di Alexandre Dumas padre, ma anche quelli di Guerrazzi, e si prova a scrivere, a sedici anni, un romanzo dal titolo significativo, Amore e patria, condensato elementare, e non privo di sgrammaticature, della prima formazione romantica, ovviamente qualificata dal valore eccezionale attribuito alla passione amorosa e a quella politica.

La vera storia dell'arte di Verga comincia con il periodo fiorentino (1869-71). Dopo un primo soggiorno a Firenze nel 1865, Verga si stabilisce in questa città, allora capitale d'Italia, nel 1869. qui frequenta lo scrittore romantico Francesco Dall'Ongaro e viene influenzato dalla letteratura filantropico - sociale di Caterina Percoto, nonché, probabilmente, dal clima tardo romantico della poesia di Prati e di Aleardi. Qui compone Storia di una capinera, un romanzo epistolare di grande successo, uscito a Milano nel 1871, e il dramma di Rose caduche. Comincia a profilarsi anche un atteggiamento moralistico e critico e un interesse per situazioni estreme ed esasperate che rivela l'influenza della Scapigliatura. In questo periodo avvia la stesura di Eva.

Alla fine del novembre 1872 Verga si reca a Milano, dove resterà stabilmente sino al 1893, seppure con lunghi soggiorni in Sicilia. Milano era allora la capitale letteraria. Attraverso l'esperienza della Scapigliatura, i letterati milanesi erano in contato con le ricerche più avanzate degli altri paesi, a partire dalla Francia. Qui Verga frequenta i salotti di Clara Maffei e di Vittoria Cima e i caffè dove si ritrovano gli artisti, e diventa amico di diversi scrittori scapigliati, come i fratelli Boito, Praga, Gualdo. Milano era anche la capitale economica del paese: studiando il comportamento della gente e i meccanismi economici, Verga si convince sempre più che l'epoca romantica è finita e che l'arte è diventata ormai un lusso inutile in una società dove dominano unicamente <<Le Banche e le Imprese industriali>>. Nel frattempo, nel 1874, era uscita Nedda, novella che si ispira alla narrativa filantropico - sociale allora di moda, ma in cui emergono per la prima volta le tematiche siciliane che caratterizzeranno l'adesione di Verga al Verismo. Anche  i racconti di Primavera e altri racconti (1876) sono tra Scapigliatura e tardoromanticismo.

Alla fine del 1877 l'arrivo Milano di Luigi Capuana, anche lui siciliano, scrittore e critico letterario, contribuisce alla formazione di un gruppo di narratori e di critici che si propone di creare il "romanzo moderno" attraverso l'adesione al programma naturalistico sostenuto in Francia da Emile Zola. Il primo racconto naturalista o verista di Verga è Rosso Malpelo, scritto nel 1878.

Il decennio che va dal 1880 al 1889 è quello dei capolavori: dopo Vita dei campi e I Malavoglia escono Novelle rusticane (1883), per le vie(1883), di ambientazione siciliana le prime e milanese le seconde, il dramma scenico Cavalleria rusticana, che, grazie anche alla recitazione della Duse, conosce nel 1884 un grande successo, le novelle Vagabondaggio (1887), la prima edizione (1888) e la seconda (1889) di Mastro - don Gesualdo. Mentre escono le sue opere più impegnate, Verga continua a coltivare anche un filone narrativo minore, destinato al grande pubblico che preferiva le opere di argomento mondano e aveva infatti accolto con indifferenza i capolavori veristi.

Sul piano politico nel periodo 1878-1882 appare vicino agli ambienti della Destra storica, che propongono un'alternativa agraria al predominio del grande capitale industriale del Nord: tale alternativa avrebbe ridotto il potere degli industriali settentrionali a vantaggio dei proprietari terrieri meridionali. Per ciò collabora alla rivista <<Rassegna settimanale>> di Fianchetti e Sonnino, sociologi e uomini politici che avevano un ruolo di spicco nel gruppo dirigente della Destra. Dopo il 1882, Verga si allontana da qualsiasi prospettiva politica assumendo atteggiamenti sempre più conservatori e talora addirittura reazionari, di tipo nazionalista e antisocialista.



Dopo l'uscita di Mastro - don Gesualdo, Verga non riesce a completare il progetto dei <<Vinti>>, che doveva indurlo a descrivere, attraverso cinque romanzi, la fisionomia dell'Italia moderna. Lavorerà a lungo al terzo romanzo del ciclo, La duchessa di Leyra, senza finirlo. Contemporaneamente pubblica i racconti I ricordi del capitano d'Arce (1891) e Don Candeloro e C.i (1894).

Dal 1893 Verga torna a risiedere a Catania. Il suo pessimismo scettico sfiora ormai il cinismo, anche nei rapporti privati. Questa situazione di interesse pessimistico spiega perché non riesce a completare il ciclo dei <<Vinti>>. Cerca di lavorare all'opera per il teatro, approntando per le scene La Lupa e qualche anno dopo scrivendo il dramma Dal tuo al mio (1903), in cui rappresenta la lotta di classe nelle zolfatare da una prospettiva antisocialista. Scrive anche una novella di grande asciuttezza e crudeltà, La caccia al lupo. A varie riprese ha litigi, anche giudiziari, con il musicista Ma scagni relativi all'opera musicale Cavalleria rusticana. Nel 1920 è nominato senatore e assiste a Catania alle celebrazioni in suo onore, per i suoi ottant'anni, in cui Pirandello tiene un famoso discorso in cui lo contrappone a d'Annunzio. Proprio quando comincia un momento più favorevole per la sua fortuna di scrittore, Verga muore (1922).


LA FASE ROMANTICA DELL'APPRENDISTATO CATANESE: DAL ROMANZO PATRIOTTICO AL ROMANZO D'AMORE


La formazione giovanile di Verga è provinciale e attardata, ancora tutta interna al clima romantico. Il suo primo romanzo pubblicato, I carbonari della montagna, è proposto come <<un romanzo storico>>, quando la stagione di questo tipo di romanzi era già tramontata da vent'anni e la narrativa si stava ormai orientando verso il romanzo di storia contemporanea o il romanzo - confessione. Inoltre è tutto romantico il binomio amore e patria che caratterizza la prima produzione catanese, sino a Sulle lagune (1863). Anche quest'ultimo romanzo ambienta la storia d'amore veneziana fra un ufficiale ungherese e una ragazza veneziana sullo sfondo delle guerre d'indipendenza e delle imprese garibaldine.

Nella produzione catanese si avverte nondimeno una chiara linea di sviluppo. Mentre nei primi due romanzi (Amore e patria e I carbonari della montagna) l'elemento patriottico è determinante, in Sulle lagune costituisce lo sfondo della storia dell'amore più che il suo vero nucleo narrativo. Infine, nel romanzo successivo, Una peccatrice (1865), l'aspetto storico patriottico lasciato cadere e il romanzo s'impernia tutto su una storia d'amore passionale: quella fra il giovane artista Pietro Brusio e una bellissima nobildonna Narcisa Valdesi. Desiderio di gloria artistica e volontà di conquista della donna portano il giovane al successo come commediografo, e allora la donna, che prima lo aveva ignorato, s'innamora di lui.

Quanto alle soluzioni formali, l'impianto del racconto è ancora elementare, fondato sulla schematica contrapposizione fra "buoni" e "cattivi" nei romanzi patriottici e sul semplice rovesciamento della situazione nel rapporto fra uomo e donna in Una peccatrice. L'autore si atteggia a scrittore raffinato ma usa le tecniche narrative, il linguaggio approssimativo e la scrittura enfatica ed esclamativa del feuilleton e del romanzo d'appendice.


I ROMANZI FIORENTINI E DEL PRIMO PERIODO MILANESE: LA FASE TARDOROMANTICA E SCAPIGLIATA


Il passaggio dalla preistoria alla storia dell'arte verghiana avviene con il primo romanzo fiorentino, Storia di una capinera (1871). Esso risente di un ambiente in cui grande autorità aveva lo scrittore romantico Francesco Dall'Ongaro e in cui Caterina Percoto, con i suoi racconti campagnoli di tendenza filantropico - sociale, costituiva un punto di riferimento obbligato. E in effetti anche il romanzo verghiano sembra ispirarsi a una letteratura di tipo filantropico volta, in questo caso, a documentare un'ingiustizia sociale: la monacazione coatta di cui erano vittime le ragazze povere. Tuttavia il romanzo non si esaurisce affatto in una denuncia sociale. Anzi esso vuole essere soprattutto una <<storia intima>>, lo studio di una vicenda interiore ed esistenziale. Vi si narra di una educanda, Maria, orfana di madre, vissuta sempre in un collegio di monache. Prima di prendere i voti, in occasione di un'epidemia di colera, ella trascorre qualche mese in campagna nella casa del padre e della matrigna, e dunque ha la possibilità, per la prima volta, di conoscere il mondo.

Il romanzo presenta i seguenti punti di interesse: 1) per la prima volta Verga compie una scelta antiretorica e si sforza di assumere in punto di vista di un personaggio semplice e il suo linguaggio ingenuo ed elementare: la scelta del romanzo epistolare va appunto in tal senso; 2) come soluzione linguistica viene adottato il fiorentino, secondo i dettami del manzonismo allora dominante: e se a volte il linguaggio risulta lezioso, troppo aggraziato e artificioso, esso appare però meno enfatico di quello dei precedenti romanzi; 3) nell'opera compare il tema dell'orfano e dell'escluso, che poi tornerà in Nedda, in Rosso Malpelo e nei Malavoglia; 4) il motivo dell'esclusione sociale e della vittima si congiunge a quello economico: a prevalere, come nei romanzi veristi, è sempre la legge della roba e del denaro, mentre i sentimenti risultano impotenti.

È importante notare però che il romanticismo di Verga è ancora ben vivo: anche qui, come in Una peccatrice, la donna rappresenta l'ideale romantico dell'amore - passione come forza inarrestabile e invincibile contrapposta alla società, non conosce la rinuncia e resta fedele ai propri sentimenti sino a morire. Elaborato in buona misura a Firenze, ma rivisto e completato a Milano, è il successivo romanzo Eva, uscito da Treves, a Milano, nel 1873. E' un romanzo di svolta, certamente il più interessante e riuscito prima dei Malavoglia. Esso risente fortemente dell'ambiente milanese, dell'impatto con la realtà sociale ed economica più avanzata del paese e con la cultura europea che vi circolava. In esso per la prima volta Verga persegue una poetica del vero e assume atteggiamenti d'avanguardia letteraria: mostra, anzi, d'aver assimilato la lezione della Scapigliatura milanese, evidente, fra l'altro, anche nell'atteggiamento di protesta e di denuncia che emerge dalla prefazione e da diverse pagine dell'opera.



Ecco la vicenda. Un giovane siciliano, Enrico Lanti, è andato a Firenze a cercare fortuna come artista e qui conosce una ballerina di varietà, Eva, e se ne innamora. Eva, ragazza sincera e matura, sa bene che il suo fascino è legato agli orpelli e alla seduzione del palcoscenico, agli artifici dello sfarzo e dello spettacolo teatrale e vorrebbe intrecciare con lui solo una storia breve e senza impegni. Ma Lanti crede ancora all'ideale romantico dell'amore eterno e la convince a lasciare il teatro e a vivere con lui in miseria in una soffitta. A poco a poco, i bisogni materiali della vita quotidiana sopraffanno l'amore, rivelando la vanità dell'idealismo romantico. Eva lascia Enrico, il quale raggiunge il successo artistico solo adeguandosi al gusto falso e volgare del pubblico. Quando Enrico incontra nuovamente Eva, vorrebbe indurla a riprendere la relazione d'amore, ma ella si rifiuta. Allora side e uccide l'amante di lei. Poi, ammalato di tisi, torna a morire in Sicilia, dove l'attendono i genitori e la sorella. La sconfitta del protagonista è duplice: riguarda sia l'amore sia l'arte. Non solo infatti fallisce la sua storia d'amore con Eva, ma finisce frustato anche il suo tentativo di restare fedele agli ideali artistici della giovinezza.

Il romanzo si fonda sull'intreccio di quattro temi: 1) lo studio del rapporto fra arte e modernità, fra sentimenti e artificio, fra valori romantici e trionfo dell'inautenticità prodotta dallo sviluppo economico e dalla alienante vita cittadina; 2) l'esame di coscienza dell'artista in crisi che, nella realtà moderna, vede ormai irrealizzabili gli ideali romantici e deve aderire a un mondo dove dominano solo gli interessi materiali; 3) la storia d'amore, che in questo quadro assume un chiaro valore simbolico, di un giovane romantico costretto a verificare il fallimento dei propri ideali e alla fine a tornare sconfitto e morente alla famiglia siciliana; 4) il contrasto fra modernità, rappresentata dalla metropoli e dalla prevalente <<atmosfera di Banche e Imprese industriali>>, e il mondo premoderno, rappresentato invece dal paese siciliano e dai valori della famiglia.

In Eva compare inoltre il tema della ballerina. Esso, come quello della prostituta e del saltimbanco, è un topos della letteratura e della pittura moderna, da Bàudelaire agli espressionisti e da Degas a Picasso.

In Eva il romanticismo giovanile di Verga appare ormai in crisi ma non ancora del tutto superato. Il mondo arcaico - rurale della Siciliani si presenta infatti come un'alternativa alla modernità: in esso i valori dell'idealismo romantico, i sentimenti, l'autenticità sembrano ancora possibili. Alla ballerina, che incarna la civiltà moderna e i compromessi a cui deve giungere l'artista per affermarvisi, si contrappongono la famiglia e la Sicilia. Per Verga si profila così una contraddizione: da un lato egli percepisce che il destino dell'artista può realizzarsi solo nella modernità, a contatto con i problemi suscitati dal progresso e dalla vita metropolitana, e avverte il mondo idealistico - romantico come un residuo del passato, un anacronismo; dall'altro rimpiange però la realtà autentica dei valori del passato, proiettandoli nella Sicilia rurale e premoderna.

Questa tematica torna nel successivo romanzo, Tigre reale, dove la figura femminile è ancora contrapposta alla realtà della famiglia e della campagna siciliana. Mentre però Eva impersonava il buon senso borghese, Nata è una nobile russa, divorata dalla tisi e dalla passione erotica, che incarna ancora l'ideale romantico dell'amore assoluto identificato con la morte. E in effetti nella rappresentazione della donna e soprattutto della sua ultima e <<orribile>> notte d'amore con il protagonista, fortissima è l'influenza scapigliata, evidente nei toni esasperati e violenti. Impersona invece gli autentici valori familiari la moglie del protagonista, la dolce Erminia, che, per senso del dovere, rinuncia all'amore del cugino Carlo.

Sia in Tigre reale, sia in Eva la narrazione è affidata a un narratore testimone delle vicende e confidente del protagonista. Questo tipo di struttura narrativa viene abbandonato a partire dall'opera successiva, Eros, ambientata nella nobiltà e nell'alta società e scritta dopo Tigre reale, ma uscita qualche mese prima, nel dicembre 1874. la lettura di Madame Bovary di Flaubert, avvenuta far la fine del 1873 e l'inizio del 1874, induce infatti Verga a un cambiamento di impostazione, e cioè a una narrazione tutta oggettiva e impassibile, condotta da una voce narrante estranea al narrato, superiore e giudicante. Protagonista di Eros è il marchese Alberti, un personaggio del tutto cinico e disincantato. Solo alla fine della propria vita si rende conto che avrebbe potuto salvarsi dall'aridità  e dalla disperazione se fosse riuscito a restare fedele all'amore della moglie; ma è troppo tardi: la donna muore per i dolori che egli le ha procurato e lui stesso, allora decide di suicidarsi.

Con Eros la parabola della delusione romantica è completata. Verga è ormai approdato a un realismo freddamente oggettivo, ma un po' squallido e scolorito. Solo conquistando l'impersonalità del Verismo poteva fare un ulteriore passo in avanti. 


ROSSO MALPELO E LE ALTRE NOVELLE DI VITA DEI CAMPI


La prima opera verista di Verga è la raccolta di otto novelle con il titolo complessivo di Vita dei campi, uscita nel 1880. Essa riunisce racconti scritti fra il 1878 e il 1880. Protagonisti sono contadini, pastori, minatori di una società premoderna, quella delle campagne siciliane, in cui domina il latifondo. La novità non sta tanto nel fatto che gli attori di questi drammi siano di umile estrazione sociale, quanto nella scelta di assumere la loro prospettiva culturale e linguistica: la voce narrante non è più quella dell'autore, ma quella degli stessi personaggi popolari.

L'adesione alla nuove poetica è dichiarata esplicitamente nella lettera dedicatoria a Farina premessa alla novella L'amante di Gramigna, ma è evidente anche in un altro racconto programmatico, Fantasticheria, che illustra la genesi dei Malavoglia.



Proprio questa novella mostra come, alla base di questi racconti e poi anche dei Malavoglia, agisca una spinta ideologicamente contraddittoria. Da un lato Verga intende mostrare come, a ogni livello della scala sociale, agisca la molla dell'interesse individuale e dei bisogni materiali; dall'altro egli continua a immaginare il mondo arcaico - rurale in una luce romantica e talora persino idillica, vedendolo come una realtà capace di conservare certi valori.

La presenza di un elemento romantico è confermata da alcuni aspetti stilistici e dalla presenza di alcuni temi. Sul piano stilistico, il tono di alcuni racconti è  epico - lirico, con una forte componente simbolica che sottolinea la corrispondenza fra anima e paesaggio. Sul paino tematico, è di natura romantica il forte rilievo che assume in Vita nei campi il tema dell'amore - passione. Fra questi racconti spicca La Lupa, in cui campeggia un personaggio femminile che sfida tutte le regole sociali per affermare i diritti della passione erotica. È però significativo che il trasgressore finisca sempre sconfitto: in genere l'amante è ucciso dal marito, oppure i due amanti chiudono la loro vita nell'emarginazione: nell'Amante di Gramigna, la donna, che ha lasciato il fidanzato per seguire un bandito, sarà condannata a vivere nella miseria e nella desolazione vicino alla prigione in cui è chiuso l'amante.

La prevalenza del motivo economico sull'amore è evidente in racconti come Jeli il pastore e Cavalleria rusticana, dove la donna tradisce accentando la corte di uomini più ricchi.

Un altro tema costante è quello dell'esclusione dalla società: il più povero è anche il più emarginato. Cosi Jeli, un pastore, si sente a proprio agio soltanto quando è solo in campagna; sperimenta invece l'isolamento e l'esclusione all'interno della società, non solo quando, licenziato, resta senza lavoro e senza casa, ma anche quando ha finalmente un proprio gregge, un tetto e una moglie, ma continua a essere troppo ingenuo, troppo spontaneo e primitivo per non essere lo zimbello di una comunità di uomini furbi e cinici.

Infine con Rosso Malpelo, protagonista della novella che da lui prende il titolo, Verga trova un personaggio addirittura emblematico della "diversità": non solo egli è un orfano, e dunque più debole e indifeso dei suoi coetanei, ma ha anche i capelli rossi, che simboleggiano la sua estraneità e sembrano legittimare la persecuzione sociale di cui è vittima.

Capolavoro di Vita dei campi è appunto Rosso Malpelo. Qui la voce narrante è quella malevola della comunità di contadini e di minatori che si accanisce contro il protagonista perché ha i capelli rossi e dunque sarebbe, di per sé, cattivo. Per la prima volta Verga esperimenta quell'artificio di straniamento che userà poi largamente nei Malavoglia. Infatti il punto di vista del narratore popolare interpreta sempre come strano qualsiasi gesto compia il personaggio. Ma il punto di vista dell'autore, per quanto programmaticamente taciuto e nascosto, finisce per emergere comunque dalla regia del racconto facendo capire che Rosso non è così cattivo come parrebbe.

Rosso Malpelo è un racconto terribile, perché mostra una realtà rovesciata, in cui è strano ciò che dovrebbe essere normale e in cui domina, a ogni livello sociale, la violenza del più forte sui più deboli. Questa violenza si abbatte sul protagonista due volte: anzitutto materialmente, attraverso la persecuzione della comunità; in secondo luogo psicologicamente e culturalmente inducendo la vittima a sentirsi in colpa e ad assumere la prospettiva stessa di chi lo tortura. Terribile è poi lo stesso protagonista, e non tanto perché sia effettivamente malvagio, quanto perché assimila l'ottica degli aguzzini. A differenza di loro, però, egli ha il coraggio di guardare in faccia la realtà violenta in cui vive e di riconoscerne e di dichiararne apertamente le leggi spietate che invece l'ipocrisia dominante preferisce far finta di ignorare. Da tale punto di vista il materialismo verghiano ha una intensità morale e una carica critica che possono far pensare a Machiavelli. 


I MALAVOGLIA: TITOLO E COMPOSIZIONE


Nel settembre 1875 Verga, in una lettera all'editore Treves. Lo informa di stare lavorando a un <<bozzetto marinaresco>> intitolato Padron 'Ntoni. Probabilmente il successo di Nedda, novella uscita l'anno prima e definita dall'autore a riproporne le soluzioni stilistiche e ideologiche in un altro racconto d'argomento ancora siciliano ma, ora, marinaresco.

Quando però Verga, all'inizio del 1878, aderisce al Verismo, abbandona il modello del <<bozzetto>>, cioè il racconto campagnolo ispirato alla narrativa filantropico - sociale cara a Caterina Percoto. In una lettera a Capuana del maggio 1878, egli dichiara di aver distrutto il bozzetto e di lavorare allo stesso tema in un modo radicalmente nuovo, con il progetto di un romanzo intitolato I Malavoglia. Titolo è una ingiuria, cioè un soprannome scherzoso, sull'uso di quelli impiegati nel linguaggio popolare siciliano. Già nel titolo si compie dunque una scelta di poetica: con esso, infatti, si assume l'ottica culturale e linguistica dei personaggi che sono protagonisti del romanzo. Nello stesso tempo, in una lettera a Verdura, l'autore progetta il ciclo chiamato dapprima della <<Marea>>, poi dei <<Vinti>>, composto di cinque romanzi.

Verga lavora al romanzo dalla primavera del 1878 al luglio 1880, quando annuncia a Capuana di averlo terminato. In realtà continuerà a correggerlo anche nei mesi successivi, aggiungendo, le decisive pagine dall'addio di 'Ntoni, che furono inserite solo durante la revisione delle bozze. Il romanzo uscì dall'editore Treves di Milano nel febbraio del 1881 











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