La questione della scuola non riguarda soltanto il popoloso
universo di studenti, insegnanti e politici, ma riguarda l'intera comunità
nazionale. Prendersi cura di istituti, licei e università e dei loro problemi
è interesse di ogni cittadino che abbia a cuore le sorti della propria
nazione.
In questi ultimi anni il mondo dell'istruzione è al centro di un intenso
dibattito circa una sua possibile riforma. I governi che si sono succeduti,
pur presentando progetti contraddittori, sono d'accordo su un punto: che la
scuola così com'è non va bene, che deve essere cambiata per rispondere più
adeguatamente ai mutamenti repentini della società.
Esiste uno scollamento sempre più marcato fra preparazione scolastica 535g65f ed
esigenze delle aziende e soprattutto fra le aspirazioni lavorative degli
studenti una volta concluso il proprio ciclo di studi e le offerte del mondo
del lavoro.
Esistono intere regioni italiane, alcune protagoniste di un rapido e
brillante sviluppo economico, che manifestano la propria disaffezione verso
l'organizzazione odierna degli studi, registrando cifre record di abbandoni
ed evasioni dall'obbligo scolastico.
Il numero di laureati e diplomati, in Italia, risulta essere inferiore alla
media dei Paesi economicamente più sviluppati.
Si lamenta da più parti, infine, un presunto declino della qualità
dell'apprendimento.
Il problema di un cambiamento nel mondo della scuola, va detto, non è
avvertito soltanto in Italia, ma è al centro di un dibattito politico e
culturale in pressoché tutti gli stati più evoluti, USA in testa.
E l'impressione è quella che nessuno abbia soluzioni pronte e infallibili,
che nessuno sia sufficientemente sicuro di avere in tasca un modello di
scuola e di educazione perfettamente aderente a quelle che sono le esigenze
di un mondo in cui le trasformazioni si fanno ogni giorno più incalzanti.
Intanto, molti sono dell'avviso sia necessario da un lato elevare l'obbligo
scolastico ai 16-18 anni, dall'altro abbassare l'età in cui lo studente si
diploma e si laurea.
Forse, sentito il parere degli psicologi esperti di età evolutiva, sarebbe
già possibile anticipare l'ingresso dei bambini nel canonico iter scolastico
a 5 anni. Ciò permetterebbe di guadagnare un anno. Il provvedimento sarebbe
ampiamente giustificato dal fatto che i bambini di oggi sembrano molto più
"evoluti" dei bambini di qualche generazione fa. La televisione, i
giornali, gli stimoli culturali molto più vivaci cui vengono esposti, i
modelli educativi familiari più orientati all'apprendimento, ne fanno degli
infanti che entrano in prima elementare sapendo di frequente già leggere e
scrivere e con un bagaglio "culturale" ben più attrezzato di quello
dei coetanei di qualche decennio fa.
Il nucleo centrale della questione scolastica verte, tuttavia, sui contenuti
da trasmettere. E' qui che si assiste allo scontro più duro fra scuole di
pensiero diverse, fra "apocalittici" che vorrebbero un ritorno
all'antico con la trasmissione di saperi "forti" e gli integrati
che auspicano una scuola "più leggera", aperta a nuovi saperi e ai
mutati stili di vita del mondo contemporaneo.
Naturalmente, fra i due opposti, esiste una miriade di posizioni più sfumate.
Personalmente, ritengo che la scuola dovrebbe, per forza di cose, alleggerire
i contenuti e rendersi più aperta al nuovo, mantenendo tuttavia un nucleo forte
di nozioni e discipline, non immediatamente utilizzabili nel mondo del
lavoro, ma necessarie alla formazione culturale dell'individuo.
Secondo me la scuola deve sì preoccuparsi di preparare lo studente a un suo
futuro inserimento nel mondo del lavoro, ma non ritengo sia questo il suo
compito principale: la sua missione precipua, secondo me, detto anche in
termini aziendali, è quella di formare cittadini dotati degli strumenti
culturali idonei a capire (ed, eventualmente, criticare) il mondo moderno.
Il completamento della preparazione professionale può benissimo essere
trasferita alle aziende stesse, con brevi corsi ad hoc, che si innestino su
una acquisita e forte preparazione di base scolastica, o a corsi
specialistici post-diploma (o post-laurea).
I programmi scolastici vanno necessariamente sfoltiti; è meglio concentrarsi
su pochi concetti, ma approfonditi, che coltivare l'idea di fare dello
studente un erudito dalle nozioni enciclopediche.
Va superato il pregiudizio idealistico che la scuola debba fornire contenuti
adatti esclusivamente alla classe dirigente e al lavoro cosiddetto
intellettuale.
La scuola dovrebbe manifestare una maggiore attenzione per il mondo del
lavoro e delle professioni, dovrebbe curare la formazione professionale,
quello che una volta era considerato il lavoro manuale, termine ormai
obsoleto: nella società postindustriale la quasi totalità dei lavori esige
una preparazione teorica e intellettuale e delle nozioni di tutto rispetto. I
precedenti, storici, grandi successi dell'Italia nell'artigianato dovrebbero
stimolare un orientamento più convinto in questa direzione.
Anche l'idea della scuola-azienda non mi lascia scontento. Stabilire degli
obiettivi educativi e formativi precisi, verificare i risultati, mettere le
scuole in competizione, dare maggiore potere agli studenti e ai loro
genitori, senza arrivare all'eccesso di trasformare lo studente in un
tirannico cliente a tutti gli effetti e senza privare l'insegnante dei
necessari strumenti che gli permettano di affermare la sua autorità,
riconoscere il valore dell'insegnamento, premiare gli insegnanti migliori e
dissuadere gli altri dall'assumere comportamenti di disimpegno, mi
sembrerebbe un programma di riforma ragionevole.
Inoltre la scuola dovrebbe garantire l'accesso a tutti, anche ai meno
abbienti, dovrebbe fornire borse di studio ai più meritevoli, un severo
controllo dovrebbe essere esercitato su quegli istituti che rilasciano
diplomi "facili", ciò unicamente per rispondere a importantissime
questioni di giustizia sociale.
E inoltre, si dovrebbe cambiare la mentalità italiana eccessivamente
scuolacentrica, che vede nella scuola l'unica sede in cui imparare e nel
"pezzo di carta" un salvacondotto che esonera da qualsiasi sforzo
conoscitivo successivo.
Se il mondo del lavoro premierà chi fornisce prestazioni migliori, è
giocoforza per gli studenti abituarsi all'idea che la formazione culturale e
professionale non termina con l'esaurirsi degli studi scolastici, ma prosegue
per tutta la vita in forme del tutto autonome ed estranee alla scuola.
Una formazione davvero permanente.
Ecco perché è così importante insegnare ad apprendere e ad acquisire quella
forma mentis che consenta agli individui di reagire positivamente ai
cambiamenti costanti in cui ormai siamo tutti immersi. |