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Hannah Arendt - Sulla rivoluzione

politica



Hannah Arendt

Sulla rivoluzione


Capitolo primo.

Il significato di rivoluzione.


Le rivoluzioni moderne sono ben diverse da quelle avvenute nell'antichità, quando né i mutamenti politici né le violenze che li accompagnavano apparivano portatori di qualcosa di nuovo; però gli antichi, in particolare Aristotele, si erano già accorti di un aspetto importante: il potere politico è una conseguenza di quello economico, l'interesse è la forza motrice che spinge ai conflitti politici. Tuttavia questi conflitti si basavano su una distinzione tra ricchi e poveri che sembrava insita nella natura delle cose: quando gli uomini, in età moderna, iniziarono a mettere in dubbio che la povertà non fosse intrinseca alla natura umana, la questione sociale iniziò ad avere un ruolo rivoluzionario; questa convinzione scaturì dall'esperienza coloniale americana, la quale mise in luce che il lavoro e la fatica erano la fonte di ogni ricchezza! L'America divenne dunque il simbolo di una società senza povertà, grazie alla quale venne spezzato quel ciclo di ricorsi che si era basato su una presunta distinzione naturale tra ricchi e poveri. Si può quindi dire che, non la rivoluzione americana, ma la società creatasi in America nutrì lo slancio rivoluzionario europeo; fu l'America stessa che rivoluzionò lo spirito degli uomini, prima in Europa e poi in tutto il mondo, al punto che ai rivoluzionari europei parve più importante cambiare la struttura della società (come era avvenuto in America) che non cambiare la struttura delle istituzioni politiche.




La secolarizzazione (ovvero la separazione della religione dalla politica e il sorgere di uno stato laico) ha sicuramente un'importanza fondamentale nel fenomeno della rivoluzione, ne è forse addirittura l'origine, come se ciò che noi chiamiamo rivoluzione fosse quella fase transitoria che porta alla nascita di uno stato nuovo.

Non si può però affermare che le rivoluzioni moderne siano cristiane: nessuna rivoluzione è stata mai fatta in nome del cristianesimo e lo spirito ribelle, che sembra così manifesto in alcuni movimenti religiosi dell'età moderna, finì sempre in qualche revivalismo che rimase politicamente senza conseguenze e storicamente futile. Inoltre il concetto cristiano di storia poteva concepire un nuovo inizio solo come un evento ultraterreno che sopraggiungesse a interrompere il corso normale della storia terrena; questo discorda con la definizione stessa di rivoluzione, cioè l'inizio di q 454d36e ualcosa di nuovo. Che il mutamento incomba su tutti gli eventi terrestri non è una nozione cristiana, ma che, invece, presenta più affinità con le interpretazioni filosofiche della Grecia classica; in Grecia l'instabilità era insita in tutte le cose ma, anche se le vicende umane mutavano continuamente, non producevano mai qualcosa di nuovo.

Il concetto moderno di storia, secondo cui il corso storico poteva ricominciare improvvisamente dal principio, era sconosciuto prima delle grandi rivoluzioni del XVIII secolo.


Il fine delle rivoluzioni moderne è senza dubbio la libertà, per la creazione di un mondo in cui si giudichi secondo il criterio supremo della libertà.

La libertà ha sempre svolto un ruolo di gran peso nella storia del pensiero filosofico e religioso, per tutti quei secoli in cui la libertà politica non esisteva, quindi ormai si intende con libertà politica l'insieme delle attività politiche che uno stato è disposto a garantire.

La libertà come fenomeno politico nasce col sorgere delle città-stato greche, intendendo un'organizzazione politica in cui i cittadini vivevano in condizioni di non-governo, perché il concetto di governo non esisteva; la polis era vista come isonomia (eguaglianza di tutti, poiché gli uomini per natura erano disuguali e occorreva dunque un istituzione artificiale che garantisse uguaglianza tra tutti; gli uomini ricevevano la loro eguaglianza in virtù della loro cittadinanza, concetto opposto a quello moderno che vede gli uomini nascere uguali e divenire disuguali in virtù di istituzioni sociali e politiche). La vita di un uomo libero era inconcepibile senza la presenza degli altri, perciò la libertà stessa aveva bisogno di un luogo in cui gli uomini potessero incontrarsi (agorà o polis).

Quindi il fine delle rivoluzioni è la libertà e l'avvento della libertà porta con se la nascita di un mondo totalmente nuovo! In realtà la rivoluzione ha sempre mirato tanto alla libertà quanto alla liberazione (assenza di costrizione); quest'ultima però la si poteva ottenere anche sotto un governo monarchico, mentre la libertà richiedeva la nascita di un nuovo tipo di governo, la repubblica. Le rivoluzioni fecero emergere l'esperienza di essere liberi, esperienza nuova che era allo stesso tempo esperienza della capacità umana di cominciare qualcosa di nuovo: queste due cose insieme (esperienza nuova che rivelava capacità umana di novità) sono alla base del pathos che accompagnò le rivoluzioni americana e francese! Ed è solo quando questo pathos della novità è connesso all'idea di libertà che si può parlare di rivoluzione; tutti gli altri colpi di stato e guerre civili hanno in comune con le rivoluzioni solo il fatto che si compiano in modo violento. Ma solo quando il cambiamento è inteso come inizio nuovo e solo quando la violenza è usata per costituire una nuova forma di governo, si può parlare di rivoluzione.


Machiavelli non fu il primo a usare il termine rivoluzione, ma nei suoi scritti troviamo alcune idee e teorie che lo rendono il precursore della storia della rivoluzione: egli fu il primo a intravedere un mondo in cui chiesa e stato fossero effettivamente separati, quindi un mondo nuovo; inoltre egli insistette molto sull'importanza della violenza nella vita politica, concetto caratteristico del pensiero politico settecentesco: questo insistere sulla violenza deriva dalla perplessità del compito di dover fondare uno stato nuovo e di porne le leggi; si doveva imporre agli uomini un nuovo tipo di autorità, che non derivasse da Dio, e per far questo era necessaria la violenza, con la speranza, forse, di trovare in certi uomini delle qualità che di solito appartenevano all'idea di divino. Ciò che lo distingue dagli uomini della rivoluzione è che il pathos rivoluzionario dell'assolutamente nuovo gli era sconosciuto.

Machiavelli probabilmente non parlò mai di rivoluzione perché le lotte civili tra le città-stato italiane a cui egli assistette, non erano così radicali da suggerire l'inizio di qualcosa di totalmente nuovo.

In origine il termine "rivoluzione" era astronomico e significava il moto regolare degli astri, dunque un movimento ricorrente e ciclico; se applicato alla politica, significherebbe  che le forme di governo note si ripresentano fra i mortali in eterni ricorsi e questo è molto lontano dall'idea di tutti i rivoluzionari di operare per la caduta di un vecchio ordine e l'instaurazione di uno completamente nuovo. Troviamo per la prima volta il termine "rivoluzione" usato nella sfera politica nel diciassettesimo secolo, a indicare quando, nel 1660, in Inghilterra fu restaurata la monarchia dopo che fu rovesciata la dittatura di Cromwell; quindi, appena il termine entrò nella sfera politica, significò restaurazione. Il momento in cui la rivoluzione assunse una forma definitiva e fece la sua comparsa concreta è in occasione della rivoluzione francese e americana, anche se entrambe sono iniziate sotto la guida di uomini che credevano che il loro compito fosse restaurare un antico ordine! Solo nel corso delle rivoluzioni del diciottesimo secolo gli uomini si resero conto che un nuovo inizio poteva essere un fenomeno politico, che potesse essere il risultato di ciò che gli uomini stessi avevano fatto.


Esiste una connotazione del termine rivoluzione che è strettamente connessa al suo significato originario astronomico: l'irresistibilità, cioè che il movimento rivoluzionario non è arrestabile dagli uomini e perciò esso diviene legge per se stesso. Per la prima volta fu messo in luce questo aspetto il 14-7-1789 quando il re di Francia apprese della caduta della Pastiglia e si rese conto che era impossibile e non in suo potere fermare questo evento. Ciò che da quel momento è stato irrevocabile è che il campo della vita pubblica doveva aprire i suoi spazi all'immensa maggioranza di uomini che fino ad allora non era stata libera. Dunque la rivoluzione venne vista come un processo inarrestabile, non come opera di uomini, quegli uomini che prima furono autori di imprese gloriose e poi trascinati a perire insieme ai loro nemici; la metafora della fiumana e della corrente incontrollabile fu molto usata nei decenni successivi alla rivoluzione francese. Dopo la rivoluzione del 1789 ogni fenomeno rivoluzionario è stato inteso come una continuazione della rivoluzione francese ed i momenti di quiete e restaurazione sembravano solo delle pause, durante le quali la corrente rivoluzionaria riprendeva forza per la successiva esplosione.


Il concetto moderno di storia vede la storia come processo necessario e l'idea di necessità storica è sopravvissuta anche dopo che si è smesso di considerare la storia come movimento ciclico (è inevitabile che ogni processo ciclico sia necessario!).




Capitolo secondo.

La questione sociale.


Non solo i processi storici vanno considerati necessari, ma anche la vita umana è soggetta costantemente alla necessità: solo quando i poveri, spinti dalle loro necessità biologiche, irruppero sulla scena della rivoluzione francese, si giunse a definire la questione sociale e l'esistenza della povertà, cioè uno stato di costante bisogno e di acuta miseria che costringe gli uomini a sottostare ai dettami assoluti della necessità; quando i poveri comparvero sulla scena politica, comparve anche la necessità, che andò a sostituire l'obiettivo della libertà. Dunque la rivoluzione non mirava più alla libertà, ma al benessere del popolo. Secondo Marx, il motivo per cui la rivoluzione francese non era riuscita a instaurare la libertà era perché non era riuscita a risolvere la questione sociale, concludendo che libertà e povertà erano incompatibili!

In un primo momento Marx affermò che la povertà non era una necessità storica, ma bensì un fenomeno politico, il risultato di violenza e violazione piuttosto che di scarsità di beni; in seguito, dietro ad ogni violenza e sopruso scorse l'intervento della necessità storica. Egli identificava la necessità con le esigenze impellenti del processo vitale e quindi arrivò a dire che il ruolo della rivoluzione era di liberare il processo vitale della società dai ceppi della miseria e il suo obiettivo diveniva cos' l'abbondanza. Egli iniziò a considerare la violenza come un fenomeno superficiale di una necessità più profonda.

Secondo Lenin la rivoluzione d'ottobre produsse, da una parte, la soluzione alla questione sociale con l'elettrificazione (dunque la liberazione dalla maledizione della povertà attraverso la tecnologia) e, dall'altra, il sistema dei soviet come nuova struttura politica che avrebbe portato al sorgere della libertà. In seguito a questo, decise che l'unica forza motrice di tali processi poteva essere solo il partito bolscevico, facendolo così divenire onnipotente!


La rivoluzione americana ebbe successo perché dal suolo americano mancava la miseria e il bisogno e dunque si poneva solo un problema politico e non sociale: i rivoluzionari americani si concentrarono sul cambiamento della forma di governo. Non mancavano i poveri, ma il loro lavoro continuo li escludeva automaticamente dalla vita politica, cosa che però non gli impediva di essere rappresentati; quando tali poveri divennero ricchi non entrarono nella vita politica ma ostentarono la loro ricchezza attraverso il consumismo. Non esisteva la miseria ma esisteva la schiavitù, alla quale però gli americano erano indifferenti e quindi non veniva considerata come questione sociale.

Diversamente, nel caso della rivoluzione francese, era difficile distogliere gli occhi dalla miseria e dalla povertà delle masse francesi e inglesi del diciottesimo secolo. Questo provocò che i governi instaurati dopo la rivoluzione fossero simili a quelli che li avevano preceduti, in quanto emerse la clamorosa differenza di condizioni sociali dopo la fine della rivoluzione; la verità era che la liberazione dalla tirannide e dalla monarchia aveva dato la libertà solo a pochi, escludendo la massa che rimaneva schiacciata dalla povertà. Gli uomini della rivoluzione e il popolo che essi rappresentavano non erano più uniti da una causa comune, allora i rappresentanti avrebbero dovuto fare uno sforzo in più che mirasse al benessere del popolo e che identificasse la propria volontà con quella del popolo; dunque era necessaria una volontà generale, la cui caratteristica fosse quella di essere unanime, concependo così la nazione come un corpo mosso da un'unica volontà, ponendo uno solo al posto di una moltitudine (Rousseau). In quest'ottica, l'unità nazionale si può affermare solo nel campo estero: due interessi in conflitto si alleano contro un nemico comune. Lo stesso Rousseau si propose però di trovare un principio che fosse unificante anche nella politica interna: il nemico da combattere in questo caso era la somma totale degli interessi dei cittadini, se non ci fossero interessi diversi, l'interesse comune avrebbe poco senso!


È pensiero diffuso che la forza che doveva unificare le diverse classi della società per farne una sola era la compassione delle classi alte per quelle basse. Ciò che ostacolava questo processo, secondo Rousseau e Robespierre, era la ragione: essa rende gli uomini egoisti e impedisce di identificarsi con l'uomo che soffre. Dove terminava la compassione, cioè la capacità di soffrire con gli altri, cominciava il vizio, il peggiore dei quali è l'egoismo; Rousseau introdusse la compassione nella teoria politica, Robespierre la portò sulla pubblica piazza.

La passione della compassione era invece assente dalle menti degli uomini della rivoluzione americana.

Compassione e pietà non sono però la stessa cosa: la prima è esser colpiti dalle sofferenze altrui come se fossero le proprie, la seconda invece è esser dispiaciuti senza essere però colpiti nella propria carne; la prima non può essere suscitata da un'intera classe o da una moltitudine di persone, non può andare oltre le sofferenze di un singolo, può investire solo il particolare e non ha nozione del generale. La compassione abolisce le distanze, cioè quello spazio terreno tra gli uomini in cui si svolgono le attività politiche, e quindi resta senza conseguenze sul piano politico.

Correlata alla compassione, la solidarietà: essa partecipa della ragione e quindi della capacità di generalizzare ed è in grado di comprendere concettualmente una moltitudine, addirittura l'intera umanità. Anche la pietà può arrivare alla moltitudine, perché, mantenendo le distanze perché non colpita nella propria carne, riesce dove la compassione fallisce: protendersi verso la massa. La pietà, però, a differenza della solidarietà, non guarda tutti con occhi uguali ed ha bisogno della sfortuna e dei deboli, senza i quali non potrebbe esistere.

Dunque, la solidarietà è un principio che può ispirare le azioni, la compassione è una passione e la pietà è un sentimento.


Quando la rivoluzione aveva aperto le porte ai poveri, il mondo politico era divenuto sociale e sovraccarico di problemi che in realtà appartenevano alla sfera economica e che non si potevano quindi risolvere con mezzi politici. In realtà il popolo irruppe nel mondo politico e portò con se i bisogni e la violenza che li accompagnava. Di fronte a questo, il problema della forma di governo divenne un problema di politica estera.

Fu questo il momento in cui la rivoluzione degenerò in guerra, civile all'interno e di difesa all'esterno, il momento in cui il potere recentemente acquisito dal popolo si trasformò in un caos di violenza.

Mentre in America questo non accadde, perché i rivoluzionari americani rimasero sempre orientati verso l'instaurazione della libertà e la fondazione di istituzioni durature; davanti a loro non c'erano sofferenze che suscitassero le loro passioni, né urgenti bisogni che li spingessero a piegarsi alla necessità, né pietà che li distogliesse dai loro obiettivi. In Francia invece i rivoluzionari deviarono da tale orientamento perché spinti dalle urgenze del popolo, c'era un'esigenza di liberazione dalle necessità prima che dalla tirannide; quindi la rivoluzione francese fu realizzata dall'immensità della miseria del popolo e dalla pietà che questa miseria ispirava.

Inoltre in America avevano un diverso concetto di popolo, che veniva identificato in una pluralità di voci: essi sapevano che la vita pubblica repubblicana era caratterizzata da uno scambio di opinioni fra uguali e, qualora questo scambio fosse cessato, la vita pubblica sarebbe cessata perché tutti avrebbero avuto la stessa opinione; quindi i rivoluzionari americani erano concordi nello scagliarsi contro la pubblica opinione, cioè l'unanimità di tutti. In Francia, invece, il concetto di popolo portava la connotazione di mostro dalle mille teste, massa che si muove come un corpo solo e che agisce come animata da una sola volontà.


Altro motivo che portò alla rovina la rivoluzione francese fu la fatale tendenza al sospetto presente durante tutta la rivoluzione, che scaturiva da una malposta esaltazione del cuore come fonte di virtù politica; come se Robespierre avesse portato i conflitti dell'anima sulla scena politica, dove divennero agenti di morte poiché insolubili.

Fu questa lotta all'ipocrisia e alla corruzione che portò la dittatura di Robespierre a divenire regno del terrore, anche se il terrore come strumento istituzionale era sconosciuto prima della rivoluzione russa. Il terrore del diciottesimo secolo era ancora in buona fede e superò ogni limite solo perché la caccia agli ipocriti è, per sua natura, senza limiti; l'interazione tra terrore e ideologia era invece manifesta durante gli anni del partito bolscevico e ne sono una prova le epurazioni motivate soprattutto da differenze ideologiche.

La guerra all'ipocrisia significava quindi guerra alla corte di Versailles, che, vista dall'esterno, era caratterizzata da una spietata insensibilità, ma, vista dall'interno, era la scena di corruzione e ipocrisia. Questo confronto tra la miserabile vita dei poveri e la corrotta vita dei ricchi è visto, nella teoria di Rousseau, come la conferma che gli uomini sono buoni per natura e divengono corrotti al contatto con la società. Ma dopo che l'ipocrisia fu smascherata e la sofferenza emerse alla luce del giorno, ciò che ne scaturì fu rabbia: la rabbia della nuda miseria contro la rabbia della corruzione smascherata, che produsse, inevitabilmente, violenza. La sofferenza esplode in rabbia quando non può sopportare più a lungo: quando la rivoluzione smise di preoccuparsi dell'instaurazione della libertà e prese come obiettivo la liberazione dell'uomo dalla sofferenza e dalla miseria, rovesciò le barriere della sopportazione e liberò le forze devastatrici dell'infelicità e della miseria.

In realtà, nessuna rivoluzione è mai riuscita a eliminare miseria e povertà, ma tutte le rivoluzioni si sono svolte sulla scia di quella francese e hanno usato e abusato delle forze della miseria e dell'indigenza nella loro lotta contro l'oppressione. Quindi appare chiaro che è quasi impossibile risolvere la questione sociale con la politica perché questo conduce al terrore, il quale porta le rivoluzioni al fallimento; si deve però ammettere che è quasi impossibile evitare questo errore quando la rivoluzione scoppia in condizioni di miseria di massa. Il motivo per cui le rivoluzioni hanno preso a esempio quella francese è, innanzitutto, perché la liberazione dalle necessità, dato il suo carattere di urgenza, avrà sempre la precedenza sull'instaurazione della libertà; in secondo luogo, perché la rivolta dei poveri contro i ricchi ha molta più potenza e forza devastatrice della rivolta degli oppressi contro gli oppressori, perché è spinta dall'odio e dalle necessità della vita biologica, ed è inarrestabile, come un torrente in piena. Quindi ritroviamo l'elemento di irresistibilità connesso con quello di necessità ed entrambi connessi con la rivoluzione: le masse dei poveri portavano con sé la necessità, insieme alla violenza che era stata sempre impiegata per superare le necessità; necessità e violenza li fecero apparire irresistibili.




Il nuovo stato in Francia doveva essere basato sui diritti naturali dell'uomo, sui suoi diritti in quanto l'uomo è un essere naturale; quindi la dichiarazione dei diritti dell'uomo doveva costituire la fonte di ogni potere politico, doveva stabilire il fondamento dello stato. Infatti gli uomini che sopravvissero alla rivoluzione e salirono al potere, furono quelli che si appellarono alle leggi naturali a cui le masse obbedivano. Invece in America il Bill of Rights mirava a istituire controlli permanenti su ogni potere politico, presupponendo l'esistenza di uno stato e il funzionamento di un potere politico.


Capitolo terzo.

La ricerca della felicità.


Necessità e violenza sono dunque due aspetti presenti nel concetto di rivoluzione: violenza giustificata perché operante per la causa della necessità.


Nessuna rivoluzione è mai iniziata dove l'autorità dello stato fosse veramente intatta. Le rivoluzioni sembrano sempre riuscire con molta facilità nella loro fase iniziale, questo perché i loro artefici non fanno altro che strappare il potere ad un'autorità in disintegrazione; le rivoluzioni sono quindi la conseguenza e non la causa del crollo dell'autorità politica.

È giusto dire però che anche dove la perdita di autorità è manifesta ed evidente, ci vuole comunque un certo numero di uomini che abbiano le stesse intenzioni per far scoppiare una rivoluzione.

La perdita di autorità da parte dello stato era un fenomeno noto alle popolazioni fin dal diciassettesimo secolo: i popoli d'Europa non si sentivano più a loro agio politicamente, non avevano più fiducia nelle leggi sotto cui vivevano, non credevano più nell'autorità di coloro che li governavano. Questo crollo di autorità politica fu preceduto dalla perdita della tradizione e dall'indebolirsi delle credenze religiose: fu quindi il declino dell'autorità tradizionale e religiosa a minare all'interno anche l'autorità politica e a preannunciarne la rovina.


Gli americani sapevano che la libertà pubblica consiste nel partecipare agli affari pubblici e che le attività connesse con questi affari davano a quelli che le svolgevano un senso di felicità; sapevano che la gente affluiva alle assemblee cittadine, non solo per adempiere a un dovere, ma soprattutto perché provava piacere nel prendere decisioni; ciò che spingeva i cittadini a riunirsi era l'interesse pubblico per la libertà, chiamato da Jhon Adams il "desiderio di eccellere sugli altri". È proprio questo desiderio che induce gli uomini ad amare il genere umano e a godere della compagnia dei loro simili e a spingerli a occuparsi della vita politica.

Paragonata a quella americana, la preparazione dei rivoluzionari francesi era estremamente teorica: essi non avevano esperienza a cui rifarsi, ma solo, per guidarli e ispirarli, principi e idee non ancora mai comprovati nella realtà ma concepiti prima della rivoluzione; essi dipendevano dai ricordi dell'antichità ed i loro pensieri e parole tornavano spesso al linguaggio romano (ad esempio fu usata la parola repubblica, ripresa dal latino e che da forte rilievo alle istituzioni oggettive, fino al 1794, quando fu scelto il termine democrazia, che sottolinea il ruolo del popolo nel governo).


Nel diciottesimo secolo, gli uomini che avevano studiato per prepararsi all'esercizio del potere erano chiamati in Francia hommes de lettres, differenti dagli intellettuali: i primi rifiutavano il servizio governativo e si allontanavano dalla società per coltivare le proprie menti in solitudine, per poi trovarli a metà del diciottesimo secolo in aperta rivolta contro la società; gli altri erano una parte della società, a cui come gruppo devono la propria esistenza ed importanza, tutti i governi prerivoluzionari ne hanno avuto bisogno alla loro corte.

Gli hommes de lettres, a qualunque classe appartenessero, erano liberi dal fardello della povertà. Come nell'antichità romana, prima i loro ozi erano un'attività forzata e poi iniziarono ad usarli nell'interesse dello stato. Essi si volsero quindi allo studio degli antichi greci e romani, alla ricerca della libertà politica e per imparare qualcosa sulle antiche istituzioni politiche.

Fu quindi la libertà pubblica e la felicità pubblica i principi ispiratori che prepararono le menti degli uomini rivoluzionari: in particolare, gli uomini che in Francia prepararono le menti e formularono i principi della futura rivoluzione sono noti come filosofi dell'Illuminismo. La loro importanza sta nel fatto che usarono il termine libertà con un accento nuovo sulla libertà pubblica: la loro libertà pubblica non era una sfera interiore degli uomini e nemmeno il libero arbitrio, ma significava che la libertà, secondo loro, poteva esistere solo nel campo pubblico, come cosa creata dagli uomini per gli uomini, come spazio pubblico in cui la libertà si manifestasse e fosse visibile a tutti. Secondo questa definizione, la libertà politica negata sotto l'assolutismo illuminato consisteva nel fatto che il mondo degli affari pubblici era per la maggior parte della popolazione, popolo e hommes de lettres, praticamente invisibile!

Da qui l'idea centrale di rivoluzione, come processo che porti all'instaurazione della libertà, ossia alla fondazione di uno stato che garantisca uno spazio in cui può manifestarsi la libertà. Nel mondo moderno, tale atto di fondazione si identifica con la stesura di una costituzione. In Francia la costituzione del 1791 non trovò l'appoggio di nessuno e rimase un pezzo di carta; la sua autorità fu fatta a pezzi ancor prima che si fosse imposta ed essa fu seguita da una costituzione dopo l'altra, finché l'atto di formulare costituzioni perse importanza e significato. Nonostante questi fallimenti, pert gli uomini del diciottesimo secolo era importante una costituzione che delineasse i confini del nuovo mondo politico.

Anche in America, questo passo fu quasi fallimentare. Jefferson inserì nella Dichiarazione d'Indipendenza, il termine di "ricerca della felicità" accanto a "vita, libertà". Non si parla però di felicità pubblica e questo provoca un po' di confusione nella distinzione tra benessere privato e felicità pubblica. Secondo Jefferson la felicità sta al di fuori della sfera pubblica, cioè il campo del governo, ma il governo era inteso come un mezzo per promuovere la felicità nella società. È stata una costante della teoria politica distinguere tra tirannide e stato di diritto: la tirannide è la forma di governo in cui un uomo esercita il proprio dominio secondo la propria volontà; durante le rivoluzioni la monarchia venne identificata con la tirannide, perché, se anche il signore governava secondo le leggi del paese, monopolizzava per sé il diritto d'azione, confinando i cittadini al di fuori della vita pubblica. Quindi la tirannide privava i cittadini della felicità pubblica, anche se non necessariamente del benessere privato ed è per questo che tale felicità pubblica divenne il principio ispiratore degli uomini rivoluzionari, perché le masse non ne avevano mai beneficiato.

Comunque, nonostante la Dichiarazione d'Indipendenza ci rende confusa la distinzione tra felicità pubblica e benessere privato, almeno la formula "ricerca della felicità" ha un duplice significato: ricerca del benessere e insieme diritto a essere partecipi dei pubblici affari. In realtà la formula perse ben presto il suo duplice significato e venne intesa come diritto dei cittadini a curare i loro interessi personali e così agire secondo le norme del loro interesse privato.

In conclusione, questo conflitto tra interessi privati e affari pubblici fu presente in entrambe le rivoluzioni, e tutti gli uomini delle rivoluzioni pensarono e agirono con tenace coerenza in considerazioni degli affari pubblici, probabilmente per il loro genuino amore per la libertà e la felicità pubblica.


Per la rivoluzione americana si trattava di decidere se il nuovo governo doveva costituire uno spazio particolare per la felicità pubblica, o solo garantire la ricerca della felicità privata ai suoi cittadini più efficacemente.

Per la rivoluzione francese si trattava invece di decidere se il fine del governo rivoluzionario dovesse essere l'instaurazione di un governo costituzionale che garantisse libertà e diritti civili, oppure se, per amore della libertà pubblica, la rivoluzione dovesse essere dichiarata permanente.

Entrambe le rivoluzioni però arrivarono ad affermare l'esigenza di un governo repubblicano e questa esigenza emerse in modo evidente durante le rivoluzioni stesse.

Comunque, gli uomini delle rivoluzioni avevano fatto conoscenza con la felicità pubblica e questo li portò tutti a preferire la libertà pubblica alla libertà civile o la felicità pubblica al benessere privato.


(Il risultato della rivoluzione americana fu ben distinto dai propositi che le dettero avvio e quindi è sempre stato ambiguo: per esempio non è risolto il problema se il fine del governo dovesse essere la libertà o la prosperità. Questa alternativa non si poneva però in termini chiari nelle menti degli uomini rivoluzionari e da qui deriva il carattere ambiguo di entrambe le rivoluzioni.)



Capitolo quarto.

Fondazione I: consitutio libertatis.

Nonostante le differenze tra le due esperienze rivoluzionarie, americani e francesi si sarebbero trovati d'accordo su due punti: il fine della rivoluzione doveva essere l'instaurazione della libertà e il governo rivoluzionario aveva il compito pratico di fondare una repubblica.

In America i processi di rivoluzione, Dichiarazione d'Indipendenza e fiorire di costituzioni in tutte le tredici colonie esistenti, furono consecutivi l'uno all'altro e avvennero senza soluzione di continuità: prima la guerra di liberazione, poi la lotta per l'indipendenza e poi il costituirsi di nuovi stati. Dunque la vittoria della guerra di liberazione ebbe delle immediate conseguenze; cosa che non avvenne invece in Francia, dove la ribellione non fu seguita da altri avvenimenti, non si trasformò quindi in una vera rivoluzione. Differenza fondamentale tra ribellione e rivoluzione è che il fine della prima è la liberazione e non la libertà. In Francia ci si fermò alla prima fase, quella della violenza e della ribellione, senza procedere alla seconda più importante: la rivoluzione e la costituzione. Ciò dimostra che non c'è nulla di più inutile di una ribellione e di una liberazione se non sono poi seguite dalla costituzione della libertà acquistata.


Anche allora con governo costituzionale si intendeva un governo limitato, ossia una monarchia con poteri limitati dalle leggi. Le libertà civili, come il benessere privato, rientrano nell'ambito del governo limitato e la loro salvaguardia non dipende dalla forma di governo. Tuttavia le libertà garantite dalle leggi del governo costituzionale  sono tutte in senso negativo, cioè sono una difesa dagli abusi del governo, offrono una difesa contro il governo.


Esistono due tipi di rivoluzioni: quelle che divengono permanenti senza mai realizzare il loro fine, e quelle in cui, alla fine, si crea un governo costituzionale che garantisca qualche libertà civile.


Vi è un'enorme differenza tra una costituzione imposta da un governo a un popolo e la costituzione con la quale un popolo costituisce il proprio governo. Una costituzione è un modello quando è compresa e amata, dunque nel secondo caso; senza questa comprensione e amore potrebbe anche non esistere.


In America, si proclamava la necessità di un governo civile per tutta la razza umana, mentre in Francia si proclamava l'esistenza di diritti che l'uomo possiede indipendentemente dallo stato e quindi si giungeva ad equiparare i diritti dell'uomo in quanto uomo ai diritti del cittadino.

Lo scopo delle costituzioni dei vari stati americani, era quello di cerare nuovi centri di potere dopo che era stato abolito il potere della corona e del parlamento; per far questo, uomini della rivoluzione e padri fondatori si impegnarono insieme per comprendere la scienza politica e per costituire un potere pubblico.


Secondo Montesquieu, il potere non può essere frenato nemmeno dalla legge, perché il cosiddetto potere dell'uomo di governo, che viene controllato dalle leggi, non è in realtà potere ma violenza: è la forza moltiplicata del singolo individuo che ha monopolizzato il potere di molti. La legge è sempre esposta al pericolo di essere abolita dalla volontà di molti e, in un conflitto tra legge e potere, di solito è il potere ad uscirne vincitore. Tuttavia, anche se riteniamo la legge capace di controllare e tenere a freno il potere, tali limiti imposti dalla legge possono solo ottenere una diminuzione della sua efficacia. Dunque il potere può essere fermato solo dal potere: sotto questo punto di vista, la divisione dei poteri offre una garanzia contro la monopolizzazione del potere a opera di una parte del governo, ma crea anche un meccanismo, all'interno del governo, per il quale si genera sempre nuovo potere senza tuttavia che possa crescere troppo o espandersi a detrimento di altri centri o fonti di potere.

Allora, dato che il compito dei rivoluzionari americani era fondare una repubblica federale, si trattava di creare un  sistema di poteri capace di controllare ed equilibrare in modo tale che né il potere dell'Unione, né quello delle repubbliche costituite, potessero espandersi troppo o distruggersi a vicenda. In America, fu Jhon Adams a difendere le intuizioni di Montesquieu, che si rivelarono molto utili nel periodo della fondazione della repubblica federale americana.

Per quel che riguarda la pratica e la creazione delle istituzioni, si deve pensare invece al contributo di Madison sulla proporzione e l'equilibrio di poteri tra il governo federale e i governi dei vari stati: il governo centrale dovrebbe essere istituito come organo di controllo sull'esercizio, da parte dei governi degli stati, dei considerevoli poteri che ad essi spettano.


I fondatori, comunque temevano l'impotenza, timore rafforzato dalle teorie di Montequieu secondo cui il governo repubblicano poteva essere efficace solo in territori di piccole dimensioni. La soluzione poteva essere un confederazione di repubbliche, a condizione che gli stati federati, cioè le piccole repubbliche, fossero capaci di costituire un nuovo organismo politico e non una semplice alleanza. Quindi l'obiettivo americano era creare un centro di potere interamente nuovo, destinato a compensare la repubblica federale del potere perduto con la separazione dall'Inghilterra. Questo complicato e delicato sistema fu uno dei prodotti della rivoluzione americana.


In realtà tutte le rivoluzioni sono incominciate come restaurazioni e il loro intento originario era recuperare i diritti e le libertà  del governo costituzionale, che mancavano sotto la monarchia. Quindi era naturale che, quando si trovarono a costruire un nuovo governo rivoluzionario, parlassero della libertà nata durante la rivoluzione intermini di libertà antiche. Inoltre, nessuna rivoluzione ebbe successo dove l'autorità era solida; quindi il recupero delle libertà antiche fu accompagnato dalla reintegrazione dell'autorità perduta.


Dal punto di vista storico, la differenza tra rivoluzione francese e americana è che in Francia c'era un assolutismo che risaliva agli ultimi secoli dell'impero romano, mentre in America c'era una monarchia costituzionale.

Per questo in Francia erano tutti d'accordo sul concetto di una volontà generale che dirigesse la nazione, come se tutti fossero una sola persona, come sostituto teoretico della volontà sovrana di un monarca assoluto. Tale monarca assoluto non solo rappresentava la vita perenne della nazione, ma incarnava sulla terra un'entità di origine divina in cui potere e legge coesistevano; la sua volontà era la fonte della legge e del potere: fu questa origine identica che rese la legge potente e il potere legittimo! I francesi posero il popolo sul trono del re, vedendo quindi in esso la fonte del potere e di qualsiasi legge.

In America invece avvenne un processo diverso: la sede del potere per essi era il popolo, ma fonte della legge doveva divenire la costituzione, un documento scritto, oggettivo e permanente.

Siccome l'antecedente di quasi tutte le rivoluzioni è stato l'assolutismo (non di quella americana), lo sbocco finale di gran parte delle rivoluzioni è stata la dittatura rivoluzionaria. Comunque, l'assolutismo europeo era stata la prima conseguenza della secolarizzazione; però, l'emancipazione del regno secolare dalla tutela della Chiesa, poneva il problema di come fondare una nuova autorità. A causa della natura terrena del nuovo potere assoluto, divenne impensabile un'autorità senza fonti religiose: il problema che si trovarono ad affrontare le rivoluzioni fu proprio quello della fonte della legge, che doveva conferire legalità alle leggi positive, e dell'origine del potere, che doveva conferire legalità ai poteri futuri. Questa enorme difficoltà di reperire un assoluto da cui derivare autorità per la legge e il potere, assalì sia i rivoluzionari che i monarchi.




La grande sfortuna della rivoluzione francese fu che nessuna delle assemblee costituenti ebbe abbastanza autorità da redigere le leggi del paese, poiché erano per definizione incostituzionali. La fortuna della rivoluzione americana fu invece che gli uomini delle colonie si autogovernavano in corpi autonomi; quello che Madison proponeva per la costituzione americana era di far derivare il potere generale dalle autorità subordinate. In america, inoltre, coloro che ricevettero il potere di redigere la costituzione erano delegati eletti da corpi debitamente costituiti, cioè ricevettero la loro autorità dal basso.


Il potere, come lo intendevano gli uomini della rivoluzione americana, era precedente alla colonizzazione del continente: il patto del mayflower fu redatto e firmato sulla nave prima dello sbarco; i padri fondatori temevano lo stato di natura, selvaggio e senza regole; il fatto sorprendente è che questa paura era accompagnata dall'enorme fiducia nelle proprie capacità. Gli emigranti britannici affermarono dall'inizio di costituirsi in corpi politici civili: questi erano delle vere società politiche e la loro importanza consisteva nella creazione di uno spazio pubblico che possedeva potere. Di qui si arrivò alla grande scoperta di Madison: la forma di governo repubblicana, se basata su principio federale, era adatta anche a grandi territori in espansione. Secondo Locke in America avvenne un vero contratto sociale: un accordo in cui l'individuo cede il suo potere a una qualche autorità più alta e consente di essere governato in cambio di protezione della sua vita e dei suoi beni.

Tuttavia si deve ricordare che esistono due tipi di contratto sociale: uno veniva concluso tra i singoli individui e dava origine alla società; l'altro veniva concluso tra un popolo e il suo signore e dava orgine al governo legittimo. Il primo si basa sulla reciprocità e presuppone uguaglianza; il suo contenuto pratico è una promessa e il suo risultato è una società, ossia un'alleanza. Il secondo è una somma totale delle forze dei singoli individui che essi hanno incanalato nel sovrano e che vengono monopolizzate dal governo per un beneficio di tutti i sudditi. Il primo contiene il principio repubblicano, secondo cui il potere risiede nel popolo, e il principio federale, secondo cui corpi politici possono combinarsi e contrarre alleanze permanenti senza perdere la propria identità.  Il secondo contiene il principio del governo assoluto del governo assoluto, di un monopolio assoluto del potere, e il principio nazionale secondo cui deve esserci solo un rappresentante della nazione, cioè che il governo incarna la volontà dei cittadini.


La posizione teorica che influì sui patti nei primi secoli della storia americana, fu il Vecchio Testamento. I coloni, prima di imbarcarsi, avevano considerato che la loro avventura si basava sulla reciproca fiducia e fedeltà. Non fu nessuna teoria politica o religiosa, comunque, che li spinse a una serie di atti e avvenimenti in cui avrebbero potuto morire; fu solo la loro determinazione a lasciarsi il vecchio mondo alle spalle. Quindi l'esperienza americana insegnò che l'azione, anche se può essere avviata isolatamente, può essere portata a termine solo con uno sforzo di gruppo; i coloni sapevano che, qualunque fosse la natura dei singoli, essi potevano unirsi in una comunità che, anche se composta da peccatori, non doveva per forza riflettere questo aspetto peccaminoso.


Teoria sulla natura del potere umano: il potere si realizza solo quando gli uomini si uniscono allo scopo di agire e scompare quando tali uomini si separano o si disperdono; perciò vincolare e promettere sono i mezzi con cui si mantiene vivo il potere: quando gli uomini riescono a mantenere vivo il potere, hanno già le basi per il processo di fondazione di una stabile struttura terrena.

Infatti, ciò che era successo in America prima della rivoluzione era che l'azione aveva portato alla formazione di potere e il potere era mantenuto in vita con i mezzi delle promesse e dei patti. Questa fu l'esperienza che guidò gli uomini della rivoluzione e che gli insegnò a stabilire e fondare corpi pubblici. Inoltre l'esperienza insegnò ai coloni che la monarchia è la forma di governo adatta a degli schiavi e che invece il potere deve risiedere nel popolo; però sapevano anche che il principio del potere del popolo può esistere solo se vi si aggiunge, come fecero i romani, che l'autorità risiede nel senato: quindi il governo consiste di potere e autorità.


Capitolo quinto.

Fondazione II: Novus ordo saeclorum.


Ciò che gli uomini delle rivoluzioni del diciottesimo secolo ebbero in comune, fu che la fonte e l'origine del potere politico risiedessero nel popolo. Quello che non ebbero in comune, fu la concezione di popolo.

Il popolo di Francia non era organizzato né dotato di costituzione: tutti i corpi politici che esistevano nel vecchio mondo si basavano su privilegi e nascita; tutti questi corpi rappresentavano i propri interessi privati, ma lasciavano l'interesse pubblico al monarca, dunque nessuno dei parlamenti europei era un corpo legislativo. Di conseguenza, la rottura tra re e parlamento, in Francia gettava la nazione in uno "stato di natura" poiché dissolveva immediatamente la struttura politica del paese.

In America, invece, il conflitto tra le colonie americane e la madrepatria inglese non dissolveva altro che gli statuti concessi ai coloni e quei privilegi di cui essi godevano perché erano inglesi.


Quando gli uomini della rivoluzione parlavano di potere, intendevano una forza naturale, che nella sua violenza era stata scatenata dalla rivoluzione, era il risultato della violenza accumulata da una moltitudine che esplodeva; questo tipo di forza però era prepolitico e per questo era destinata a morire. Gli uomini della rivoluzione francese erano quindi incapaci di distinguere tra potere e violenza; ciò di cui erano convinti era che ogni potere dovesse venire dal popolo e quindi aprirono il campo politico a questa forza naturale e pre politica della moltitudine.

Per i coloni americani, invece, il potere si concretizzava quando gli uomini si univano e si legavano con reciproche promesse; soltanto questo tipo di potere era legittimo e reale, quello basato su promesse e su una fiducia che sorgeva da tali promesse reciproche. Il problema era che tale potere vincolato da promesse reciproche, era sufficiente per uscire vittoriosi da una rivoluzione, ma non lo era per fondare una nuova autorità.


Il problema di istituire una legge da cui tutte le altre potessero derivare la loro legittimità, riportava in primo piano, sia in America che in Francia, la necessità di un assoluto. In America però erano un passo avanti, poiché distinguevano che l'origine del potere doveva scaturire dal basso (dal popolo), ma la sede del potere dovesse essere in alto. In Francia invece tentarono di far derivare sia la legge che il potere dalla stessa fonte; i rivoluzionari francesi credevano ancora in una volontà generale, a cui basta volere per produrre una legge. Il guaio era che per porre la legge al di sopra dell'uomo servirebbero proprio degli dei; Robespierre, alla disperazione, fondò il culto dell'Essere Supremo, che fallì completamente! Ben presto i francesi si resero conto che serviva una fonte trascendente di autorità, in modo che una sovranità assoluta potesse conferire sovranità alla nazione, che un assoluta immortalità potesse garantire una certa stabilità alla repubblica , che qualche autorità assoluta potesse servire da sorgente di giustizia da cui tutte le leggi potessero derivare la loro legittimità. Questo ultimo punto era il più urgente.

Sembra paradossale che proprio le rivoluzioni spinsero gli uomini illuminati a invocare una sanzione religiosa e proprio nel momento in cui si stava emancipando il mondo politico da quello della chiesa!

In realtà, né il nomos greco né la lex romana erano di origine divina. Infatti, la nozione stessa di legislazione divina, implica che il legislatore sia al di sopra delle proprie leggi e questo non era presente nell'antichità. In Grecia il redigere una legge era atto prepolitico e, anche se il legislatore era fuori dallo stato, non ne era al di sopra. Nemmeno a Roma si cercava una fonte trascendente di autorità, però la legislazione romana non fu prepolitica come in Grecia; le leggi, a Roma, erano trattati con cui si costituiva una nuova alleanza, una nuova unità tra due entità che si associavano: una guerra si concludeva in modo soddisfacente solo quando gli antichi nemici diventavano alleati di Roma. La stessa repubblica romana era basata sull'alleanza tra patrizi e plebei; si usava lo strumento delle leggi per stipulare trattati e governare le province che appartenevano al sistema di alleanze romano.

Nemmeno Montesquieu ritenne mai necessario un elemento divino e assoluto nella sfera politica ed egli usava il termine legge ad indicare una relazione che sussiste tra diverse entità. Una legge è semplicemente una relazione tra cose e quindi non c'era bisogno di nessuna fonte assoluta di autorità.


L'intero problema dell'assoluto, davanti a cui si trovarono gli uomini delle rivoluzioni, era un'eredità dell'Assolutismo, a sua volta erede dei lunghi secoli in cui politica e religione erano strettamente connesse. Ma solo quando si intende con legge un comandamento che l'uomo deve rispettare, si avrà bisogno di una fonte trascendente di autorità; ed è proprio questo il modello, di origine ebraica, su cui l'umanità occidentale ha costruito tutte le sue leggi, finché la legge naturale non si sostituì alla divinità. Tale legge naturale non aveva autore, era una forza sovraumana che vincolava gli uomini qualunque cosa facessero; il problema era che la legge naturale ha sempre avuto bisogno della sanzione divina per risultare vincolante presso gli uomini.


Per quanto riguarda l'America, il preambolo della Costituzione è l'unica fonte di autorità da cui la Costituzione deriva la sua legittimità. In esso, Jefferson promuove a rango di legge superiore, una ragione ispirata alla volontà divina, che illuminava le coscienze degli uomini in modo da renderli capaci di cogliere una voce interiore che gli suggerisse come comportarsi.


I colonizzatori del nuovo mondo erano sfuggiti al peso della tradizione del Vecchio Mondo e avevano così creato un nuovo inizio; però la novità dell'evoluzione politica non fu mai accompagnata da un'evoluzione del pensiero e quindi non fu possibile evitare il problema dell'assoluto nemmeno in America, perché l'assoluto era insito nel concetto di legge.

I rivoluzionari guardavano spesso all'antichità romana, alla ricerca di un inizio da cui far derivare la stabilità e l'autorità di un determinato corpo politico. I fondatori americani trovarono il loro inizio nell'atto di fondazione nel nuovo mondo e per questo trovarono un'autorità completamente diversa da quell'assoluto che in Francia cercavano cos' disperatamente e molto simile a quella romana: a Roma l'autorità si incarnava in un'istituzione politica, il senato. Nell'esperienza americana, ciò che rimase vicino ai romani fu l'esigenza di un'istituzione politica e concreta la quale era espressamente destinata a detenere l'autorità; ciò che è diverso è la sede di questa autorità, che fu spostata dal senato al potere giudiziario del governo. Sembrava però che l'autorità del potere giudiziario lo rendesse inadatto al potere, e che il potere della legislatura rendeva inadatto il senato a esercitare l'autorità.

Il concetto di autorità però cambia molto da Roma all'America: a Roma, la funzione dell'autorità era politica e consisteva nell'attività consultiva, mentre in America la funzione di autorità è giuridica e consiste nell'interpretazione; la corte suprema deriva la sua autorità dalla Costituzione come documento scritto, mentre il senato romano deteneva l'autorità perché rappresentava i progenitori che avevano fondato lo stato e che solo per questo avevano diritto all'autorità.

A Roma, ciò che era considerato sede della più alta virtù era fondare e accrescere nuovi stati; questo portava alla coincidenza di autorità, religione e tradizione, tutte e tre scaturite dall'atto di fondazione e che furono alla base della storia romana; l'autorità significava accrescere le fondazioni. Questa concezione di fondazione, accrescimento e conservazione fu assimilata dai padri fondatori quando arrivarono alla nozione di Commonwealth.


Ciò che sembrò urgente agli uomini della rivoluzione era come dare permanenza alla loro fondazione: questo problema fu risolto alla luce dell'esperienza romana, che l'atto di fondazione implica automaticamente la sua propria stabilità e permanenza. Gli americani, dunque, si consideravano fondatori perché si erano consapevolmente impegnati a imitare il modello romano, secondo cui l'atto stesso della fondazione sarebbe divenuto la fonte di autorità del nuovo stato: è inutile quindi cercare un assoluto perché questo è insito nell'atto stesso di cominciare.

La rivoluzione sembrò lo iato tra una fine e un inizio, il quale porta con sé un certo grado di completo arbitrio e che non è legato in una catena fissa di cause ed effetto. Il problema dell'inizio fu affrontato già nelle speculazioni sull'origine dell'universo (risolto con l'introduzione di un iniziatore): gli uomini delle rivoluzioni furono influenzati dalla tradizione, secondo cui ogni cominciamento completamente nuovo ha bisogno di un assoluto da cui uscire.

Purtroppo, durante le rivoluzioni, accanto al nuovo inizio comparve la violenza, che non fece più nascere qualcosa di nuovo ma sommerse gli inizi e gli iniziatori nel torrente rivoluzionario.

La rivoluzione americana non fu solo la fondazione di un nuovo stato, ma anche l'inizio di una specifica storia nazionale, poiché la sua storia come entità nazionale indipendente comincia solo con la rivoluzione e con la fondazione della repubblica. Inoltre, la rivoluzione americana non scoppiò da sola ma fu voluta da uomini per comune deliberazione e sulla base di reciproci impegni; e il principio che venne alla luce in quegli anni fu quello della mutua promessa e della comune deliberazione, dimostrando che gli uomini sono realmente capaci di darsi un buon governo e che non sono condannati a far dipendere dal caso e dalla violenza le proprie istituzioni politiche.


NB: La parola costituzione ha doppio significato: atto costitutivo con cui un popolo si costituisce in corpo politico; oppure il risultato di questo atto, la costituzione come documento scritto.


Capitolo sesto.

La tradizione rivoluzionaria e il suo tesoro perduto.


L'evento che ha quasi cancellato la linea di demarcazione tra il nuovo e il vecchio mondo è stato la rivoluzione francese, creando una vera e propria frattura. Questo estraniarsi dei due continenti dopo le rivoluzioni del diciottesimo secolo, è stato pieno di conseguenze, prima tra tutte il fatto che l'America cessò di essere il paese degli uomini liberi e divenne la terra promessa dei poveri. Inoltre, la tradizione rivoluzionaria europea, a causa di questa cesura, dimostrò nel diciannovesimo secolo un interesse solo superficiale per la rivoluzione americana; anche il pensiero politico degli ultimi due secoli procedette come se una rivoluzione americana non ci fosse mai stata o comunque che in America non fosse mai accaduto nulla degno di riflessione politica. Da questa ignoranza mondiale, derivò anche l'ignoranza degli americani stessi, che dimenticarono che era stata una rivoluzione a dar vita agli Stati Uniti e che la loro repubblica era nata in virtù di un atto preciso: la fondazione della libertà. Questa incapacità di ricordare è in gran parte la causa della paura delle rivoluzioni in America, col risultato che del potere e del prestigio americani si è abusato per sostenere governi obsoleti e corrotti in ogni parte del mondo.

Non è semplice però analizzare le condizioni storiche che hanno generato questo oblio e questa ignoranza. Secondo la tesi di Boorstin, la rivoluzione americana fu il risultato di esperienze pratiche nel regno coloniale, non di un sapere libresco o illuministico; in realtà gli americani consultavano gli stessi libri che circolavano in Europa, anche se compresero prima dei loro colleghi francesi quant'era importante l'esperienza pratica di essere partecipi del governo. Quel che è certo è che sia in America che in Francia, pressappoco nello stesso momento, furono fondate delle repubbliche e rovesciate delle monarchie. Dunque, è indiscutibile che la struttura della repubblica americana fu fondata sulla base di un sapere libresco e concettuale, però questo interesse al pensiero politico e alla teoria politica si inaridì quasi completamente dopo la rivoluzione ed è questo il motivo per cui la rivoluzione americana è rimasta sterile in termini di politica mondiale. A contrario, l'enorme interesse teorico e concettuale profuso nella rivoluzione francese da intellettuali e filosofi, contribuì al suo enorme successo mondiale, malgrado la sua disastrosa fine. In conclusione, la mancanza di ricordo degli americani può esser fatta risalire a questa mancanza di pensiero post-rivoluzionario.

Ciò che andò perduto in questa incapacità di ricordo fu lo spirito rivoluzionario, cioè i principi che ispirarono in origine gli uomini delle rivoluzioni: la libertà pubblica, le felicità pubblica, lo spirito pubblico. Ciò che rimase furono le libertà civili, il benessere individuale del maggior numero di persone, l'opinione pubblica come la maggior forza che regge una democrazia; come se i principi si fossero trasformati in valori sociali. Questa trasformazione non fu invece possibile nei paesi influenzati dalla rivoluzione francese, i quali furono sopraffatti dal bisogno e dalla necessità urgente e convinti che i principi elencati sopra fossero solo un mucchio di fandonie piccolo-borghesi. Se i rivoluzionari francesi avessero ammesso che il terrore era solo il mezzo con cui mandare in rovina le loro azioni, avrebbero anche dovuto ammettere che non poteva esistere rivoluzione dove le masse erano schiacciate dalla miseria.




Il motivo per cui i rivoluzionari scelsero la forma repubblicana, fu per la sua promessa di maggiore durata.


I padri fondatori identificavano il governo basato sull'opinione pubblica con la tirannia, poiché tale opinione pubblica provoca un'opposizione unanime e così uccide ovunque le vere opinioni; era come se la democrazia diventasse una nuova tirannia e quindi l'avversione per la democrazia era dovuta al fatto che un governo privo di spirito pubblico e in preda a passioni unanimi potesse anche risultare privo di stabilità. L'istituzione destinata a difendere il paese dal dominio dell'opinione pubblica era il senato, composto da una camera bassa, in cui era rappresentata la molteplicità di interessi, e una camera alta destinata a rappresentare l'opinione: la limitazione a un piccolo corpo scelto di cittadini doveva servire a depurare l'interesse e l'opinione, come difesa contro una confusione della moltitudine. Politicamente gli interessi hanno peso solo come interessi di gruppo, mentre le opinioni appartengono esclusivamente a singoli individuo.

Dal punto di vista storico, l'opinione fu scoperta solo nel corso delle rivoluzioni, cioè nel momento in cui un rifiuto universale di obbedire dà origine a ciò che diverrà una rivoluzione. L'opinione fu scoperta sia nella rivoluzione americana che francese, ma solo la prima seppe costruire un'istituzione durevole per la formazione di idee e pareri nella struttura della repubblica; in Francia invece si creò un tale caos di opinioni non rappresentate e non depurate.


Ciò che stava alla base dell'esigenza di stabilità e durata dei governi era il desiderio profondamente sentito di creare una Città Eterna sulla terra. Un segno della mentalità laica dell'epoca fu che le persone cominciarono a desiderare un governo che li lasciasse liberi di provvedere alla salvezza della loro anima e che fosse più consono alla natura umana e che potesse essere trasmesso alla posterità con i mezzi per conservarlo e difenderlo per sempre.


Inoltre in America fu scoperto il controllo giudiziario, rappresentato nell'istituto della corte suprema.

Questi due organi istituzionali completamente nuovi, il senato e la corte suprema, furono i fattori più conservatori dello stato; ma questo, pur favorendo la stabilità e rispondendo al desiderio di stabilità, non era sufficiente a conservare lo spirito manifestato durante la rivoluzione stessa.

Questa incapacità del pensiero post-rivoluzionario di conservare lo spirito rivoluzionario fu preceduta dall'incapacità della rivoluzione di offrire a quello spirito un'istituzione duratura; se anche fu creata una repubblica non rimase nessuno spazio per esercitare quelle qualità che erano servite a istituirla.

Il problema era che, se la fondazione era lo scopo e la fine della rivoluzione, allora lo spirito rivoluzionario non era più solo lo spirito con cui si comincia qualcosa di nuovo, ma lo spirito con cui si crea qualcosa di duraturo. Questo porta al dubbio tremendo che forse il principio della libertà pubblica restasse privilegio della generazione dei fondatori.

Jefferson, dopo aver assistito alla catastrofica impresa francese, in cui la violenza aveva frustrato ogni tentativo di fondare uno spazio per la libertà pubblica, si allontanò dalla sua posizione primitiva, secondo cui identificava l'azione con la ribellione, e iniziò ad associare l'azione con la fondazione e la costruzione di una struttura nuova. Così egli propose di munire la costituzione di una clausola per una revisione a tempi determinati, che dovevano corrispondere alle nuove generazioni; questo sembrò il tentativo di assicurare ad ogni generazione la possibilità di trovare nuovi spazi in cui le opinioni di tutti potessero essere discusse. In altre parole, egli voleva un'esatta ripetizione dell'intero processo di azione che aveva accompagnato alla rivoluzione. Questo perché Jefferson, intimamente sapeva che la rivoluzione non era stata capace di dare uno spazio in cui la libertà conquistata potesse essere esercitata; infatti, solo i rappresentanti dei cittadini avevano la possibilità di svolgere le attività della libertà. Quando i fondatori si trovarono davanti allo spinoso problema della rappresentanza, erano d'accordo che una democrazia non poteva funzionare ed essi intendevano la rappresentanza come un semplice surrogato dell'azione politica diretta dai cittadini stessi e si supponeva che i rappresentanti da loro eletti agissero in accordo con le istruzioni ricevute dai loro elettori. Questa teoria, però, era ben lontana dalla realtà e i fondatori si resero conto ben presto che, benché tutto il potere derivi dal popolo, esso lo possiede solo nei giorni delle elezioni!

L'alternativa tra rappresentanza come sostituto dell'azione diretta del popolo e la rappresentanza come governo controllato dal popolo dei rappresentanti del popolo stesso, è dilemma senza soluzione. Nel primo caso, quando i rappresentanti servono solo a tradurre in atto la volontà degli elettori, si presume che gli interessi dell'elettorato siano i più impellenti; nel secondo caso, i rappresentanti hanno, per un periodo limitato, il compito di governare su chi li ha eletti e quindi il popolo rinuncia al suo potere, ed è questo il caso più vicino alla realtà in cui si riafferma la vecchia distinzione tra governanti e governati che la rivoluzione aveva cercato di abolire. A questo problema non c'è rimedio, anche perché la rotazione delle cariche non poteva certo consentire a tutti di divenire temporaneamente partecipi del governo.


Dunque, mentre in America fu la Costituzione e il meccanismo di governo che gettarono il popolo nel disinteresse per gli affari pubblici visto che non esisteva uno spazio per la libertà pubblica, in Francia avvenne il contrario. Si presentò ben presto il conflitto tra governo e popolo, tra quelli che detenevano il potere e quelli che li avevano aiutati a conquistarlo, tra governanti e governati. Inoltre, in Francia non credevano nel principio di rappresentanza, perché, come insegnava Rousseau, la volontà non può essere rappresentata. Una conseguenza di questo conflitto furono le società in cui si organizzavano i cittadini, che però furono condannate a morte quando Saint-Just dichiarò che la libertà dei cittadini sta nella loro vita privata. Queste organizzazioni sono importanti perché contenevano i primi elementi di un nuovo tipo di organizzazione politica.

Il conflitto tra il movimento delle comuni e il governo rivoluzionario può essere inteso come conflitto tra piazza e stato o come conflitto tra popolo e un apparato di potere accentrato che in realtà privava il popolo di ogni suo potere, e quindi doveva perseguitare tutti quegli organi spontanei di potere generati dalla rivoluzione.

Per definizione, queste società erano non partitiche.

Il motivo principale per cui Robespierre volle eliminare tutte queste società era per il suo progetto di accentramento di potere, minato quindi da queste piccole unità che avevano vita propria.

Il conflitto tra governo giacobino e società rivoluzionarie fu combattuto su tre fronti: la lotta della repubblica per la propria sopravvivenza contro il sanculottismo; la lotta della fazione giacobina per il potere assoluto contro lo spirito pubblico delle società; la lotta del monopolio del potere, detenuto dal governo, contro il principio federale con la sua divisione dei poteri, ossia la lotta dello stato nazionale contro il primo formarsi di una vera repubblica. Questo scontro, su tutti e tre i fronti, rivelava una frattura tra gli uomini che avevano fatto la rivoluzione ed erano poi apparsi sulla scena pubblica, e la concezione che i cittadini avevano su ciò che doveva fare la rivoluzione.

In conclusione, questi primi organi di una repubblica mai realizzata furono schiacciati sotto il governo centrale e accentrato perché, per il solo fatto di esistere, entravano in conflitto col potere pubblico. Il governo del terrore di Robespierre fu il tentativo di organizzare il popolo francese in un unico meccanismo di partito,mediante il quale i giacobini potevano stendere una rete di cellule in tutta la Francia, il cui compito fosse quello di fare la spia e denunciare membri e non membri. Questo tipo di azioni si sono ripetute nella rivoluzione russa, quando il partito bolscevico eliminò il sistema rivoluzionario dei soviet con gli stessi mezzi; questo conflitto rappresenta in realtà lo scontro tra il parlamento, fonte e sede del potere, e i cittadini che hanno ceduto il loro potere ai rappresentanti.


Jefferson era convinto che una divisione del paese in circoscrizioni territoriali fosse necessaria, senza la quale era a rischio l'esistenza stessa della repubblica. Egli si aspettava dal sistema delle circoscrizioni che consentisse ai cittadini di continuare ad agire di propria iniziativa e partecipare agli affari pubblici giorno per giorno, come era avvenuto durante la rivoluzione. In realtà in America esisteva un governo federale, i cui affari interni erano trattati dai governi degli stati, divisi in contee: in tutte queste istituzioni erano i delegati del popolo, piuttosto che il popolo a costituire la sfera della vita pubblica e a parteciparvi.

Ciò che accadde in questa organizzazione fu la corruzione e la perversione degli organi rappresentativi, quando gli interessi provati invasero la sfera pubblica. La corruzione dei cittadini avvenne sotto un governo che garantiva loro una certa partecipazione al potere pubblico. Jefferson aveva intuito i pericoli che si potevano presentare se al popolo fosse stato consentito di partecipare alla vita pubblica, senza lasciargli uno spazio pubblico ampio: il pericolo era che si era lasciato loro tutto il potere nella vita privata e nessuno spazio per poter essere cittadini. La soluzione ed il vero principio del governo repubblicano doveva essere dividere il paese in circoscrizioni, attraverso le quali ogni uomo nello stato potesse divenire un membro attivo del governo comune; senza questo, il principio repubblicano non avrebbe mai potuto realizzarsi. Un punto oscuro è quali fossero le funzioni specifiche di queste circoscrizioni.

Concludendo, se il fine ultimo delle rivoluzioni era la fondazione della libertà e queste circoscrizioni rappresentavano le uniche sedi in cui ciascuno poteva essere libero, le stesse circoscrizioni erano in realtà il fine ultimo della repubblica, il cui scopo principale doveva essere offrire ai cittadini sedi di libertà.


Durante le rivoluzioni moderne, si è assistito al regolare emergere di una nuova forma di governo molto simile al sistema delle circoscrizioni di Jefferson e che sembrava ripetere le società rivoluzionarie diffuse in Francia dopo il 1789. Questo fu il fenomeno che impressionò maggiormente Marx e Lenin, i quali avevano sempre considerato le sezioni della prima comune di Parigi come semplici strumenti da abbandonare quando fosse terminata la rivoluzione; si trovarono però davanti a organismi popolari che volevano invece sopravvivere alla rivoluzione. Marx e Lenin concepivano la rivoluzione come un processo per impadronirsi del potere, ma ciò che accadde fu una disgregazione del vecchio potere e la formazione di una nuova struttura di potere che doveva la propria esistenza solo agli impulsi organizzativi dei cittadini.

Lenin venne due volte a trovarsi a contatto con questi spontanei corpi organizzativi, però, tra gli anni che divisero le due rivoluzioni in Russia, non fece nulla per incorporare i nuovi organi in un programma di partito; anzi, quando divennero incompatibili col sistema di partito, egli decise di schiacciarli perché minacciavano il monopolio del potere bolscevico. Lo slogan che lanciò "tutto il potere ai soviet" era in stridente contraddizione con gli scopi rivoluzionari proclamati dal partito bolscevico, di prendere il potere, cioè di sostituire il meccanismo statale con l'apparato di partito. Ciò che i soviet mettevano in pericolo era il sistema partitico in quanto tale.


Sostanzialmente c'è stata un'incapacità della tradizione rivoluzionaria di dedicare una riflessione a questa unica forma di governo nata durante la rivoluzione.

I rivoluzionari di professione comparvero dopo la rivoluzione francese, e dedicavano la propria vita allo studio e alle riflessioni sulla rivoluzione, anche se ma il loro ruolo fu preparativo di una rivoluzione. Prima accadeva il contrario: la rivoluzione scoppiava e liberava i rivoluzionari di professione, facendoli uscire da dovunque si trovassero. La parte di queste figure consiste nel salire al potere dopo che la rivoluzione è scoppiata, perché essi hanno il vantaggio di essere gli unici nomi conosciuti al pubblico! È strano, quindi, che vista la presenza di questi personaggi durante tutta l'età moderna, essi non si siano mai soffermati su l'unica istituzione interamente nuova e spontanea nella storia rivoluzionaria.


Le principali date in cui comparvero questi organi di azione, sono: il 1870, quando la capitale francese assediata dall'esercito prussiano, si riorganizzò spontaneamente in un corpo federale in miniatura; il 1905, quando l'ondata di scioperi in Russia elaborò una propria direzione politica e i lavoratori nelle fabbriche si organizzarono in soviet; la rivoluzione russa del 1917; il 1918 e il 1919, in Germania, quando soldati e operai si unirono; il 1956 quando la rivoluzione ungherese creò il sistema dei consigli.

La caratteristica principale che hanno in comune questi consigli, è la spontaneità con cui nascono. Inoltre i membri dei consigli appartenevano a partiti diversi, e questo non aveva alcuna importanza. I consigli, erano evidentemente spazi di libertà, il cui scopo era l'instaurazione della vera repubblica. I consigli, gelosi della loro facoltà di agire e di formare opinioni, erano destinati a scoprire la divisibilità del potere e, con essa, la separazione dei poteri nel governo.

Il modello che i rivoluzionari di professione avevano in mente per i processi rivoluzionari, non contemplava questi organismi, con i quali, quindi, si trovarono in conflitto perché volevano degradarli a semplici organi esecutivi dell'attività rivoluzionaria; naturalmente i membri dei consigli pretendevano la partecipazione diretta di ogni cittadino agli affari pubblici del paese.


È frequente pensiero che Stati Uniti e Gran Bretagna sono tra i pochi paesi ad avere un sistema partitico funzionante e stabile. Questo perché si basano sulla divisione dei poteri tra i diversi settori del governo e perché riconoscono nell'opposizione un'istituzione di governo. Quindi, solo il sistema bipartitico si è dimostrato praticabile e capace di garantire libertà costituzionali, anche se non ha dato mai ai cittadini la possibilità di divenire partecipi degli affari pubblici; il massimo che un cittadino può aspettarsi è di essere rappresentato, per cui è ovvio che l'unica cosa che può essere rappresentata è l'interesse o il benessere degli elettori, ma non l'opinione. Le opinioni si formano in un processo di discussione aperta e di pubblico dibattito. Quindi, il meglio che può fare un rappresentante è agire come agirebbero i suoi elettori.

I partiti, non possono essere considerati organi popolari, anzi sono efficaci strumenti per controllare e ridurre il potere dei cittadini. Ciò che noi oggi chiamiamo democrazia, è il governo in cui pochi comandano nell'interesse di molti: questo governo è democratico perché i suoi scopi sono il benessere popolare e la felicità privata; ma è anche oligarchico perché la felicità pubblica e la libertà pubblica diventano privilegio di pochi.

Comunque, il sistema dei partiti e dei consigli sono quasi coevi: entrambi erano sconosciuti prima delle rivoluzioni e sono conseguenze del dogma moderno che gli abitanti di un territorio debbano essere ammessi alla vita pubblica. Però mentre i consigli sono emersi nel corso delle rivoluzioni dal seno del popolo come organi spontanei di azione e di ordine, i partiti sono nati prima o dopo le rivoluzioni e sono quindi istituzioni destinate a fornire al governo il necessario sostegno del popolo (cioè che il popolo forniva sostegno attraverso le votazioni e poi l'azione era prerogativa del governo). Quindi la funzione primaria dei partiti è la rappresentanza, mentre quella dei consigli era l'azione e il conflitto tra partiti e consigli si è ripresentato durante tutto il ventesimo secolo: da una parte la rappresentanza, dall'altra l'azione e la partecipazione, organi di rappresentanza o organi di azione.

I fattori che spinsero i rivoluzionari di professione contro i consigli furono le convinzioni che il fine del governo era il benessere del popolo e che, soprattutto, la sostanza della politica non era l'azione ma l'amministrazione. L'errore fatale dei consigli, infatti, è sempre stato quello di non distinguere tra partecipazione alla vita pubblica e gestione delle cose nel pubblico interesse: gli uomini scelti dai consigli erano selezionati in base a caratteristiche politiche, ma, se anche erano perfettamente capaci di operare in campo politico, sicuramente non lo sarebbero stati se incaricati di compiti amministrativi. I consigli di fabbrica portavano un elemento di azione nella gestione delle cose e questo creava inevitabilmente caos: furono questi tentativi falliti che diedero cattiva fama al sistema dei consigli.


Il termine elitè applicato alla sfera politica, implica una forma di governo oligarchica, cioè il dominio dei molti attraverso il governo di pochi. Quindi la comunicazione, in politica, non è mai stata tra eguali ma fra coloro che aspirano a governare e coloro che accettano di essere governati; anche se è vero che il partito, caratteristico dello stato moderno democratico, corrisponde alla tendenza di instaurare in seno alla società un eguaglianza sempre crescente. Nonostante ciò, il rapporto tra i pochi che costituiscono uno spazio pubblico e i molti che ne rimangono esclusi, è rimasto pressoché inalterato.

Anzi, ormai la politica è diventata una professione e quindi l'elité viene scelta in base a criteri che non sono politici.


La libertà politica andò perduta quando lo spirito rivoluzionario non trovò un'istituzione appropriata ad accoglierlo.










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