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SECESSIONE - A CHI CONVIENE DIVIDERE - L'ITALIA IN DUE?

diritto



SECESSIONE


A CHI CONVIENE DIVIDERE
L'ITALIA IN DUE?


Il problema della secessione sollevato da Bossi ha dato all'Italia, paese emotivo e quindi incapace di analizzare pragmaticamente i problemi politici, sociali ed economici, un nuovo motivo di lite. Sul tema non si discute, ci si accapiglia, si viene alle mani, si agitano i servizi segreti, i "patrioti" mettono in scena la rappresentazione di un'Italia passata al tritatutto, i "secessionisti" vedono nello strappo la soluzione di tutti i mali. Ragionamenti e controragionamenti hanno la solita impostazione infantil-viscerale a causa della quale l'elettorato italiano va al voto con idee chiarissimamente confuse. Sul problema della secessione queste idee sono ancora più nebulose. Per contribuire a chiarirle pubblichiamo questa intervista al professor Ettore A. Albertoni, professore ordinario di Storia delle dottrine politiche e delle istituzioni, autore di "Il federalismo nel pensiero politico e nelle istituzioni", testo notevole, anche dal punto di vista storico, per conoscere e capire un tema del quale molto si chiacchiera ma poco si conosce.

Professor Albertoni, da qualche mese i politici dei partiti centralisti hanno iniziato una preconcetta opera di "demolizione comunicativa" che ha per oggetto la Padania: il sociologo Ilvo Diamanti continua a ripetere, nei suoi interventi su il Sole 24 Ore che "la Padania é un'invenzione di Bossi"; il parlamentare ulivista Furio Colombo ha detto in aula "La Padania non esiste!"; ultimi in ordine di tempo i Presidenti di Camera e Senato, Luciano Violante e Nicola Mancino, hanno ufficialmente bandito il termine "Padania" dai verbali delle sedute, vietandone la trascrizione.
Tuttavia risulta evidente che tali interventi sono la dimostrazione di una tremenda paura da parte dello Stato verso le istanze di libertá e di identitá della nostra terra, una paura malamente dissimulata dai tentativi di minimizzare il fenomeno. Secondo lei la Padania é una realtá virtuale o storicamente esistente?



ALBERTONI: "Innanzitutto bisogna partire da una considerazione storica ovvia. I popoli padani e alpini che sono collocati territorialmente nelle attuali Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Trentino-Alto Adige, Valle d'Aosta, Veneto e, in parte, Marche da secoli costituiscono, pur con le innegabili diversitá esistenti, una comunitá naturale fondata su un condiviso patrimonio di valori e di cultura. In secondo luogo é certo che l'analisi economica e sociale piú aggiornata ed attendibile ha da tempo individuato nella mappa delle "regioni economiche d'Europa" una ben esistente e reale Padania (come si evince infatti dallo studio della Fondazione Agnelli pubblicato nel 1992 e significativamente intitolato "La Padania, una regione italiana in Europa"). La Padania, quindi, esiste eccome!
Va anche ricordato che alcune Regioni del Centro-Nord sin dalla metá degli anni '70, come ha dichiarato pubblicamente e recentemente Guido Fanti, diedero vita ad iniziative di studio e di approfondimento proprio di quella precisa e vivente realtá che é la Padania. E' piuttosto singolare che si voglia affrontare oggi il federalismo che é, per una parte considerevole, problema territoriale, negando validitá ad una posizione come quella della Lega Nord, che ha il merito di reintrodurre nel dibattito sulla riforma costituzionale (sia in ambito italiano che europeo), il tema della Padania; tema che é, stranamente, considerato valido ed elogiato solo se studiato da Fondazioni legate al potere economico o da politici ed amministratori emiliani appartenenti all'ex partito comunista. Occorre, perció, parlare sempre di piú di Padania perché é un modo assai pragmatico, democratico e coinvolgente di affrontare il presente e il futuro".

In tutti i casi di indipendenza acquisita da noi esaminati, una delle ragioni principali della lotta per l'autogoverno é stata quella della provenienza territoriale prevalente dei dipendenti pubblici da una sola area dello Stato. Che significato istituzionale ha questa motivazione centrale e così importante e quali considerazioni si possono fare sul caso padano?
ALBERTONI: "Il problema della burocrazia é cruciale, in particolare nel nostro caso. Nello Stato Italiano vi sono circa 4/5 milioni di funzionari pubblici (non si sa bene neppure quanti) e si parla di oltre 200 mila leggi. Questa pesantissima realtá burocratica e normativa blocca un processo che parte dal basso, perché alla base territoriale e sociale non ci sono forze adeguate per poter avviare processi di cambiam 121i83b ento incisivo: la struttura statale é enorme, pachidermica e fondata sull'esasperazione predatoria del fiscalismo rapace dello Stato centralista. Ecco dunque che nasce la necessitá urgente di avere dei nuovi quadri concettuali ed operativi di riferimento (e in questo caso la Padania é un quadro di riferimento molto importante) per una significativa azione. Non possiamo, infatti, pensare a microsoggetti istituzionali e a microentitá giuridico-politiche. Nel processo di federalizzazione "per separazione" proposto dalla Lega Nord vi devono essere delle strutture autosufficienti a tutti i livelli (partendo dai comuni, passando attraverso le associazioni di comuni, o ex province, e le regioni economiche), fino ad arrivare all'Europa, in una dinamica che deve comunque partire dal basso, dalla base naturale che sono i popoli con i loro bisogni, interessi ed ideali. E' evidente quindi che il problema delle burocrazie non territoriali ma reclutate altrove genera enormi scompensi a danno di tutti.
"Nel caso italiano il problema non é tanto quello di una semplice dualitá fra Nord e Sud, ma piuttosto quello di una differenziazione fra le diverse grandi aree che compongono lo Stato (aree insulari, area padana, area toscana, ecc., ciascuna con proprie caratteristiche). L'elemento paradossalmente unificante l'attuale Repubblica centralista, uniformatrice e, tendenzialmente, illiberale ed autoritaria (nel senso dell'autoritarismo poliziesco), é una classe politica che ha ormai un peso sempre piú ridotto e una burocrazia che ne ha uno sempre maggiore.

La burocrazia poi ha due strati: da un lato i "peones", che provengono prevalentemente dal Sud, dove si é sviluppata come naturale sbocco lavorativo una classe di funz"ionari di bassa qualifica, di scarso peso, ma di grande fedeltá centralista; dall'altro il grande "generone alto-burocratico romano", che é il vero problema della democrazia italiana. Quest'ultimo strato ha un peso specifico enorme a livello di direzioni generali di ministeri, di alti comandi, di strutture tecnico-amministrative, bancarie e, soprattutto, dell'economia diretta dallo Stato. Esso costituisce l'elemento cementificatore piú consistente della nostra fatiscente ed arcaica organizzazione pubblica.
L'attuale squilibrio territoriale si é sempre basato sul vecchio principio "al Nord gli affari, e a tutto il resto d'Italia, Sud e Roma cioé, la Pubblica Amministrazione". Cosi oggi é pacifico che la Padania si trovi in una condizione di inferioritá, direi senz'altro di tipo coloniale. Certo la Padania, popoli ed élites, ha le sue responsabilitá, poiché ha abdicato completamente alla guida della Repubblica per anni, pensando che fosse sufficiente sviluppare la propria vocazione economica, imprenditoriale e commerciale e che tutto il resto sarebbe automaticamente seguito. Anche la politica ha comunque una grandissima colpa, perché non é mai stato affrontato seriamente (diversamente da altri Paesi) il tema della cultura della Pubblica Amministrazione, che dovrebbe oggi piú che mai basarsi sui risultati, l'efficienza e la responsabilitá nei confronti dei cittadini. In ogni caso anche il problema del "corpo burocratico" dello Stato va letto in una nuova ottica; é necessario ragionare in termini di precisa localizzazione ambientale e territoriale (guardando alla dimensione padana, sarda, siciliana, ecc.) e di contesto europeo. A identitá precise e consapevoli di popoli, territori ed istituzioni deve corrispondere un funzionariato adeguato ed in sintonia".

Nella sua risposta ha accennato al "federalismo per separazione". Giá in altri interventi scientifici e culturali ha avuto modo di sviluppare questo concetto; che cosa intende esattamente con tale espressione? E come si concilia il suddetto percorso giuridico e politico con il diritto di secessione e il principio di autodeterminazione?
ALBERTONI: "Per poter capire appieno il significato dell'espressione "federalismo per separazione" é prima indispensabile analizzare storicamente e comparativamente i diversi fenomeni di federalizzazione. In passato il federalismo é sempre stato una formula di unione; gli esempi al riguardo sono evidenti. Il caso peculiare dell'epoca moderna é quello delle 13 colonie dell'America del Nord di lingua inglese che diventano 13 Stati, si confederano tra loro e poi danno vita ad una federazione (e pluribus unum). Anche la vicenda della Svizzera é significativa, poiché fino al 1848 ebbe un assetto altamente confederativo, e successivamente passó ad una pur moderata centralizzazione federalistica dei poteri. Sono esperienze queste di "federalismo per aggregazione", cioé formule politico-istituzionali che portano alla sintesi di quel ricordato principio tipico americano che dice "e pluribus unum".
"Oggi peró i processi di federalizzazione non sono piú improntati al raggiungimento di una unitá e omogeneitá sedicente "nazionale"; al contrario essi si basano sulla tutela e sulla coesistenza delle diversitá ("ex uno plures"). Le radici di questa inversione di tendenza si possono cogliere giá nella nascita dello Stato tedesco del secondo dopoguerra. La Germania del 1949 era un paese lacerato per gli eventi della seconda guerra mondiale e che usciva dalla esperienza totalitaria e centralista in massimo grado del nazismo; il nuovo Stato non elaboró una costituzione federale ma una legge suprema, il Grundgesetz (peraltro mai accettata dal Land piú grande, la Baviera), che incominció a separare tra loro delle entitá istituzionali reali che erano state concentrate coattivamente nella struttura monolitica e statuale del nazionalsocialismo: la logica dei Lander si contrappose palesemente al principio nazional-centralista:
"Un Führer, un Reich, un popolo". E' altrettanto importante il recente caso della federalizzazione belga, frutto di un lavoro progettuale durato oltre 20 anni, che ha prodotto una divisione netta fra le due aree etnico-linguistiche, con l'organizzazione ordinata in cinque livelli di potere istituzionale retto dalla sussidiarietá.
Questi nuovi processi istituzionali dimostrano che, piú si procede verso quella che io chiamo la "societá plurale", la "societá multipla", dove il grado di complessitá sociale aumenta, piú i passaggi di separazione, delimitazione e nuova articolazione territoriale dei poteri di governo e gestione si fanno complessi, difficili e non schematizzabili "a priori". D'altronde l'elemento determinante nella destrutturazione degli Stati nazionali é stata ed é l'Europa.

Infatti appare ormai chiaro che l'Europa sta nascendo come aggregazione non di realtá statuali classiche, ma di entitá in cui, su una storia comune, una geografia e una economia accomunanti, uno scambio culturale e sociale continuo, si inseriscono dei processi di alto sviluppo socio-economico e di nuove integrazioni, tali da generare, come giá avviene, la nascita di veri e propri soggetti istituzionali (come la Padania, la Catalogna, la regione Rhones-Alpes, il Baden-Wurttemberg e altre).
"In questo quadro dunque si puó piú che legittimamente parlare di "federalismo per separazione", e cioé di un percorso che afferma come prioritaria e preliminare per la costruzione federale l'autonomia e l'identitá delle comunitá che dovranno, successivamente, federarsi in una prospettiva che, peró, non é piú quella dello Stato-nazione ma dell'Europa-continente. Si tratta di una strada che ha al tempo stesso un notevole valore di innovazione nei processi riaggregativi in ambito italiano ed europeo, e che si basa sul principio internazionalmente riconosciuto dell'autodeterminazione dei popoli. La fase che stiamo vivendo presenta quindi caratteristiche di novitá assolute rispetto al passato, soprattutto per i fenomeni di mutamento che sono velocissimi e in corso nelle strutture economiche e sociali. Abbiamo la stupefacente possibilitá di assistere ad una globalizzazione dei rapporti umani che procede su due gradi: da un lato la ricordata integrazione fra territori, al di lá delle frontiere statuali classiche, fondata sullo scambio e sui rapporti culturali e commerciali; dall'altro l'impoverimento del concetto portante degli Stati nazionali, cioé la caduta della sovranitá. Se combiniamo assieme questi due fattori di libertá e di identitá otteniamo appunto come risultato politico-istituzionale quello che io chiamo "federalismo per separazione". Esso comporta anzitutto una scomposizione degli Stati nazionali tradizionali e contemporaneamente una riaggregazione regionale a livello europeo e, auspicabilmente, in futuro, mondiale. Questo processo, a mio parere, coinvolge pienamente la Padania, che ora deve solo assumere coscienza del suo ruolo e della sua forza".

Lo scenario che ha disegnato si basa, come detto, sul declino dello Stato nazionale cosi come lo abbiamo conosciuto. Ma con la fine degli Stati di ispirazione filosofica giacobina vengono messi in discussione soprattutto i concetti di sovranitá e di nazione, fulcro dell'ideologia nazionalista che ha causato circa 100 milioni di morti nelle grandi guerre europee e mondiali. Come vede il passaggio al mondo nuovo?
ALBERTONI: "Lo Stato, cosi come si é formato e si é sviluppato dal '500 in poi, ha avuto come suo connotato essenziale la sovranitá, sempre piú invadente e ramificata del potere pubblico. I dati propri della sovranitá sono la legislazione uniformante e centralizzante, la forza armata, la moneta, il mercato diretto e chiuso, la burocrazia. Le sovranitá nazionali, dopo la seconda guerra mondiale, si sono ridotte notevolmente, perché con il Patto Atlantico ( 1949) é stata limitata completamente la sovranitá dal punto di vista militare; lo sviluppo delle istituzioni comunitarie ha diminuito i poteri dei singoli governi, cosi come ha fatto la creazione di un mercato prima comune e poi unico. Il colpo finale verrá tra breve dalla moneta europea. Perció quando Umberto Bossi parla di doppia legalitá dice una cosa vera, perché se é innegabile l'esistenza della legalitá dello Stato Italiano, é altrettanto certo che i processi di aggregazione europea sono tali per cui le dinamiche sociali, economiche e culturali portano a cercare altre e ben diverse dimensioni istituzionali. La Padania é, quindi, molto piú di un'ipotesi politica, é una via di salvezza al disastro italico.
Tengo molto a sottolineare questo aspetto spontaneistico e volontaristico perché, secondo me, la visione puramente normativa di un secessionismo, ma anche di un "federalismo per separazione", che si cerca in ogni modo di giustificare con le leggi non é sempre applicabile. Puó avere un senso in casi come quello della ex Cecoslovacchia o, forse in futuro, del Belgio, dove si hanno situazioni fortemente duali; in societá invece come la nostra, di tipo molto articolato e complesso, i procedimenti di separazione seguono vie che prescindono dal giá conosciuto. Occorre perció che si individuino mezzi e procedure efficaci e democratici al riguardo anche per il rapporto Padania-Europa.

Venendo alla "nazione", bisogna dire che si tratta di un concetto in termini giuridico-politici fortemente datato, elaborato a partire dalla Rivoluzione Francese e sviluppatosi soprattutto nell'Ottocento. Si tratta di una autentica invenzione, di una ideologia molto coinvolgente ed emotiva per tenere insieme le parti e gli interessi spesso eterogenei dello Stato. Questo é un elemento importantissimo, perché la crisi seguita alla esasperazione nazionalista sia del nazifascismo che del comunismo sovietico porta oggi a fare considerazioni ben precise; assistiamo infatti a.l declino di quelle strutture (gli Stati), che avrebbero dovuto contenere le nazioni, e che invece non sono piú in grado di rispondere alla nuova dialettica economica, sociale e culturale che investe ormai le nazioni stesse. Basta guardare alla realtá italica: circa 5 milioni di imprese economiche, che corrispondono ad un rapporto di una impresa ogni dieci-undici abitanti, formano un tessuto sociale impossibile da controllare da parte di uno Stato nazionale centralista ed omologante classicamente inteso, e da noi purtroppo ancora dominante. Le imprese economiche in un mercato chiuso vivono e muoiono d'autarchia, mentre in un mercato europeo unico e aperto, con rapporti globali con il resto del pianeta, hanno una possibilitá di moltiplicazione e insediamento che prescinde completamente dalla logica delle frontiere. E' questa l'autentica ed inedita frontiera delle "regioni economiche" che non corrisponde ormai piú a quella degli Stati nazionali. In questo senso io vedo una federalizzazione che é lontana dal provincialismo italico e che é, invece, prima di tutto europea. In questo ambito gli Stati devono chiudere la loro esperienza di tipo nazionale (e quindi tendenzialmente sempre centralistica), e devono ricomporsi in un processo che vede come protagoniste nuove entitá e nuove aggregazioni. Le regioni economiche sono e sempre piú saranno i soggetti attivi della nuova frontiera del federalismo interno ed europeo, poiché esse seguono l'indicazione naturale dell'economia e dello sviluppo, di una nuova ed inedita cultura civile, di un'etica individuale e comunitaria assai profonda. Certamente si tratta di un processo piuttosto complesso dal punto di vista giuridico, perché parte dal basso ed é attraversato da una forte dinamica revisionistica delle strutture esistenti. Ma é il solo processo vitale perché l'Europa effettivamente viva e noi con lei".




Continua la pubblicazione da parte de la Padania delle bozze dei testi che stabiliscono i principi fondamentali e la forma e l'organizzazione dello Stato padano, e che il Parlamento di Chignolo Po inizierà a discutere domenica prossima.Ieri è stato pubblicato il Patto d'Unione, redatto dalla Commissione tecnico scientifica, che enuncia i principi generali dello Stato padano. Oggi, viene pubblicato il testo attinente la prima delle due proposte, alternative tra loro e da sottoporre alla volontà popolare mediante referendum, su quale tipo di organizzazione statale scegliere per il nuovo Stato: confederazione o federazione. Ecco dunque di seguito la proposta di costituzione della Repubblica confederale padana, così come redatta dal Primo comitato permanente per l'autodeterminazione e i diritti delle comunità e dei cittadini, presso il Parlamento della Padania. La presente proposta di Costituzione confederale è stata elaborata dal deputato Alessandro Storti (gruppo Padania liberale e libertaria) sulla base dell'incarico conferitogli il 21 aprile 1998 dal Presidente del Comitato Ivo Papadia, di comune accordo con i Presidenti dei sottocomitati territoriali, Tiziano Gastaldi (Ovest), Alberto Cantù (Centro) e Carmen Rossetto (Est). Il 22 maggio scorso il progetto è stato presentato al Comitato, che lo ha esaminato articolo per articolo e il progetto del relatore lo ha approvato in via definitiva nella versione che qui è riprodotta. Il testo è stato quindi rivisto in via definitiva dalla Commissione Tecnico-Scientifica il 15 giugno scorso. Domani sarà pubblicata la proposta di Costituzione federale dello Stato padano.COSTITUZIONE DELLA CONFEDERAZIONE DELLE COMUNITA' PADANEArt. 1 - La Confederazione Padana è un'unione volontaria di Comunità libere e indipendenti.Art. 2 - La Confederazione Padana si compone delle Comunità aderenti al presente patto costituzionale. Esse sono (...).Art. 3 - La Confederazione Padana garantisce la difesa delle Comunità e delle loro libertà, tutelando la civile convivenza fra le stesse. La Confederazione ha inoltre competenza nelle seguenti materie:a) rapporti esteri generalib) ammissione, censura, espulsione delle comunitàc) bilancio confederaleLa Confederazione ha competenza in tutte le altre materie stabilite dal Consiglio con voto unanime e sottoposto a referendum confermativo in ogni singola comunità.La Confederazione non potrà godere di una tassazione propria, né diretta né indiretta.Art. 4 - L'esercizio dei poteri non delegati dalla Costituzione alla Confederazione Padana è riservato alle rispettive comunità politiche associate; l'esercizio dei poteri non delegati a queste ultime dalle Carte costituzionali locali è riservato ai soggetti comunitari inferiori e, in definitiva, ai singoli individui.Art. 5 - Ogni Comunità può esercitare il diritto di secessione dalla Confederazione Padana. La deliberazione necessaria per il distacco dalla Confederazione Padana non richiede una procedura rinforzata o aggravata. Il diritto di secessione non può essere sottoposto ad alcuna restrizione o limitazione.Art. 6 - I diritti naturali individuali dei cittadini padani sono la vita, la libertà di espressione in ogni sua forma, la proprietà, l'autodifesa e la ricerca della felicità.Gli atti delle Comunità confederate non possono essere in contrasto con le garanzie individuali tutelate dal presente articolo.Art. 7 - Sono titolari della cittadinanza padana tutti i cittadini residenti e riconosciuti tali nelle Comunità confederate che abbiano sottoscritto la presente Costituzione.Art. 8 - Sono organi della Confederazione il Consiglio, l'Assemblea dei Delegati e la Corte Costituzionale.Art. 9 - Il Consiglio è l'organismo direttivo della Confederazione e si compone dei Governatori e dei Presidenti di tutte le Comunità confederate. La carica di membro del Consiglio si acquista automaticamente, con l'elezione a Governatore o a Presidente di una comunità. Il Consiglio non ha pertanto una durata specifica prefissata.Le funzioni del Consiglio sono le seguenti:a) difesa verso l'esternob) rapporti esteri generalic) ammissione, censura, espulsione delle comunitàd) bilancio confederalee) modifiche costituzionali.Il Consiglio delibera in tutti i casi suddetti all'unanimità, ad eccezione di quanto alla lettera b), se la ratifica di trattati o l'assunzione di obblighi internazionali non comporta modifiche costituzionali. Gli atti di cui alle lettere c), d) ed e) non hanno natura di legge; essi sono classificabili come contratti.Nei casi di aggressione dall'esterno il mancato raggiungimento dell'unanimità sul punto a) non pregiudica la possibilità delle singole Comunità di organizzarsi autonomamente.Art. 10 - Il Consiglio nomina al suo interno un Presidente della Confederazione, scegliendolo fra i Governatori e i Presidenti delle Comunità. La carica di Presidente ha durata biennale. Il Presidente ha le seguenti funzioni:a) presiede il Consiglio b) rappresenta la Confederazione in ogni sedeArt. 11 L'Assemblea dei Delegati si compone di (...) rappresentanti nominati dalle Camere delle singole Comunità in numero di cinque per ognuna di esse. La carica di Delegato è vincolata alla volontà delle Camere locali; in caso di rinnovo di queste ultime o di revoca del mandato il Delegato decade dalla carica. L'Assemblea non ha pertanto una durata prefissata. L'Assemblea si riunisce il 15 settembre per la sessione autunnale e il 15 marzo per quella primaverile. Le sessioni ordinarie si protraggono per sessanta giorni.L'Assemblea ha la funzione di emanare regolamenti in ordine all'attuazione delle funzioni di competenza confederale.L'Assemblea ha inoltre il diritto di votare risoluzioni sul merito degli atti di competenza del Consiglio. L'Assemblea ha egualmente il diritto di emettere documenti di indirizzo in ordine a qualsiasi argomento. Risoluzioni e documenti di indirizzo non hanno forza vincolante per alcun organismo della Confederazione né per alcuna Comunità.Art. 12 - La Corte Costituzionale è l'organismo competente a giudicare in ordine alle questioni di costituzionalità di leggi e provvedimenti. La legge istitutiva della Corte Costituzionale viene adottata dall'Assemblea nella prima sessione.La Corte interviene su istanza di ogni cittadino, di ogni gruppo di individui, di ogni Comunità.Art. 13 - Il Consiglio si riunisce a Venezia.L'Assemblea si riunisce a Pavia nella sessione autunnale e a Mantova in quella primaverile.Il Sigillo della Confederazione è il Sole delle Alpi.La Bandiera Ordinaria è il Sole delle Alpi verde in campo bianco, la Bandiera Marittima è formata dall'unione degli stendardi di San Giorgio e di San Marco, la Bandiera Storica è la Croce di San Giorgio caricata nel primo quadrante del Sole delle Alpi rosso. Venezia, 22 maggio 1998 Relatore, ALESSANDRO STORTIPresidente, IVO PAPADIAVicepresidenti, CARMEN ROSSETTO, ALBERTO CANTÙ, TIZIANO GASTALDI



La Secessione e Gustav Klimt


La Secessione

Fenomeno di scissione di gruppi artistici dalle tendenze e organizzazioni ufficiali che ebbe particolare importanza nei paesi tedeschi nella seconda metà dell'Ottocento e all'inizio del Novecento. Non si trattò in effetti di un movimento unitario con precisi indirizzi, ma piuttosto di una corrente di rinnovamento del gusto artistico, aperta a problematiche di ordine generale. Tra gli elementi comuni dei gruppi sorti a Monaco, Berlino e Vienna, la tendenza al superamento delle istanze naturalistiche e realistiche, la polemica contro l'accademismo della cultura ufficiale, attraverso la presa di contatto con le nuove tendenze internazionali, l'adesione al gusto intellettuale ed elegante del simbolismo, l'esigenza di allargare il discorso artistico ai campi della decorazione e delle arti applicate. Quest'ultimo aspetto è particolarmente evidente nella Secessione di Monaco (1892), ove l'interesse per l'artigianato, l'arte decorativa e la grafica porta alla creazione di quello Jugendstil di raffinata eleganza, che è la versione tedesca dell'art noveau. Mentre la Secessione di Berlino (1898) svolse un ruolo soprattutto importante per la formazione dell'espressionismo, la Secessione di Vienna (1897) presenta aspetti particolari. Da un lato, attraverso l'opera pittorica di Klimt, fornì la più elegante e raffinata versione del simbolismo, dall'altro nei campi della decorazione e dell'architettura elaborò una tendenza al geometrismo lineare e alla essenzialità strutturale che anticipa le successive soluzioni dell'architettura razionale.

Gustav Klimt (1862-1918), pittore e incisore austriaco, fu figlio di un orafo e cesellatore originario della Boemia. Frequentò dal 1873 al 1883 la Scuola statale d'arte e mestieri di Vienna. In seguito, con Franz Matsch e con il fratello minore di Ernst, aprì un atelier di pittura decorativa, eseguendo, tra l'altro, il sipario del teatro di Carlsbad e il soffitto delle scale laterali del Burgtheater di Vienna. Alla morte del fratello la società si sciolse e Klimt per circa cinque anni, si dedicò quasi esclusivamente allo studio. Nel 1897 partecipò alla fondazione dell'associazione degli artisti austriaci, nota come Secessione viennese. A partire da quegli anni iniziò la sua attività più importante, con le allegorie della filosofia, della medicina e della giurisprudenza destinate al soffitto dell'aula magna dell'università di Vienna. Carattere peculiare del suo stile è la tendenza al simbolismo e ad evocare piuttosto che a rappresentare la realtà.

Gustav Klimt rappresenta quasi l'anima della Secessione, movimento che si proponeva di riportare l'arte austriaca al livello della grande Europa. La sua arte, di cui oggi colpisce la ridondanza decorativa, è, a suo modo, per i tempi, rivoluzionaria.
Klimt nasce di fatto come grande decoratore. Insieme a Kolo Moser sarà uno dei più grandi collaboratori di architetti come Olbrich, Hoffman, Wagner. Collaborò, inoltre, a "Ver Sacrum", la rivista della Secessione, con immagini che sono spesso da mettere in relazione con la sua pittura.
È probabile che l'esuberanza decorativa di Klimt e di altri secessionisti finisse per sottolineare l'importanza di certi motivi astratti, influenzando forse, nella non lontana Monaco, un grande pittore come Kandiskij. È un fatto che, in molte opere, l'impianto decorativo entra di prepotenza nella composizione del dipinto, Klimt sottolinea il realismo (si vedano certi effetti di vene o di couperose sui suoi nudi) quasi per aumentare l'attrito tra le due dimensioni. In realtà l'estrema eleganza del suo disegno impedisce sempre che vi sia un vero dissidio tra impianto naturalistico e decorazione. Vediamo oggi come quello che poteva sembrare allora un atto di coraggio costruiva, invece, un'immagine in perfetta sintonia col gusto del tempo. Non va dimenticata una parte più propriamente naturalistica dell'attività di Klimt come pittore di paesaggi, e in qualche ritratto. Anche qui Klimt privilegia un'eleganza finemente estetizzante, tentando una trascrizione del tutto ornamentale (ma non priva di efficacia pittorica) del pointilisme francese e scegliendo spesso il formato quadrato, perfettamente bilanciato. Nel ritratto, dove non indulge al solito smaterializzante incontro tra decorazione e figura (prediligendo colori chiari mescolati con l'oro) Klimt sembra, in alcuni casi, preferire un linguaggio più asciutto, quasi alla Lautrec, indulgendo allora in forti contrasti tra colori chiari e scuri.



La Secessione Viennese

movimenti conosciuti globalmente come Art Nouveau, sono un fenomeno strettamente europeo e rappresentano la frattura definitiva fra le arti antiche e le arti moderne.
Per tutto il XIX secolo l'arte è stata insegnata dalle Accademie, i linguaggi e le teorie estetiche si elaborano in ambito accademico, pittura, scultura ed architettura sono considerate Arte, l'editoria, la scenografia, l'arredamento la grafica il design non hanno rilevanza per gli artisti dell'Accademia. L'Eclettismo è l'espressione dell'arte imbrigliata, perché costringe le nuove tecniche e i nuovi materiali ad adeguarsi a strutture compositive e formalismi derivati dalle esperienze del passato. Tuttavia a Parigi i pittori prima di altri artisti trasformano la pittura con i "movimenti impressionisti", e benché ad un certo punto l'impressionismo diventi "accademico", tracciano la via a tutti i fenomeni artistici del 1900.
Alla fine del 1800, la contrapposizione fra arte, artigianato e produzione industriale permette la nascita di movimenti artistici regionali accomunati da forme e stilemi, che contemporaneamente sono adottate dagli artisti. Il Modernismo di Gaudì in Spagna, deve rappresentare la nuova nazione Catalana. L'Art Nouveau di Guimard a Parigi ruota intorno alla realizazione delle stazioni della metropolitana. In Inghilterra Mckintosh, è legato alle Arts&Crafts. La Secessione Viennese a differenza degli altri fenomeni si distingue perché nasce all'interno del mondo accademico e per questo produce risultati qualitativamente alti.

Le origini della Secessione Viennese

"Se l'opera d'arte è valutabile solo nei suoi valori visivi, se ogni linea, ogni colore ha un significato intrinseco, cade naturalmente ogni distinzione fra arte pura o di concetto e arte decorativa o applicata. La ricerca estetica appartiene a tutti gli elementi della produzione."

L'introduzione di questi nuovi concetti nella cultura del XIX secolo, segna l'improvviso crollo dei valori e degli insegnamenti accademici che per tutto l'800 avevano guidato la produzione artistica. L'accademismo aveva rappresentato per tutto il secolo i fasti dell'aristocrazia, soprattutto nell'Europa centrale dove era più forte la tradizione monarchica.
Lo sviluppo industriale in Germania e in Austria favorì la nascita di un sistema sociale basato sulla borghesia imprenditoriale che ben presto avrebbe sostituito l'ormai vecchia e logora aristocrazia. La borghesia liberale che aderisce alle idee socialiste attira le simpatie dei ceti meno abbienti, è il primo segno della fine delle monarchie.
Vienna sul finire del 1800 è la capitale dell'Impero Austro-ungarico. Dopo i moti della metà del secolo sedati da Francesco Giuseppe e il decollo dell'economia industriale si vive un periodo di relativa calma politica. La città si appresta a diventare una metropoli, centro di un Impero formato da popoli diversi, per cui disposta ad accettare tutti gli stili anche quelli regionali. Vienna dev'essere adeguata a servire i bisogni della nuova borghesia. Si abbattono le mura della città antica, e si espande il raggio urbano. La zona d'espansione è chiamata Ring (Anello). Gli edifici, abitazioni e commerci della nuova borghesia, che prospettano sul Ring sono in stile eclettico, hanno strutture moderne e innovative in acciaio e cemento ma sono ricoperti da apparati decorativi in stile neogotico, neoclassico, rinascimentale e così via, con citazioni di singoli episodi dell'arte del passato. Nel Ring si costruiscono anche teatri, musei e strutture pubbliche per soddisfare le esigenze della mondanità borghese.
In questo clima di rinnovamento sociale ed economico un gruppo di artisti nel 1881 comincia a riunirsi regolarmente in un caffè, per esporre nuove idee in merito all'arte, alla produzione industriale all'estetica.
Nel 1896 quaranta artisti capeggiati dal pittore Gustav Klimt dichiara la scissione dalla Künsterhaus, la potente associazione ufficiale degli artisti viennesi, che non riconosce il nuovo gruppo. Nel maggio 1897 Klimt insieme ad altri 17 membri dichiara la Secessione dalla Künsterhaus. Joseph Hoffman aderisce alla secessione nel 1898 e Otto Wagner nel 1899. A ruota anche un altro gruppo si stacca dalla Künsterhaus senza raggiungere esiti da esser presi in considerazione dalla critica storica.
Con la costituzione della Secessione gli artisti viennesi riescono scuotere le fondamenta dell'accademismo e acquisiscono popolarità presso i nuovi borghesi che saranno i committenti principali.
Il merito principale del movimento secessionista non è quello di essere precursore del movimento moderno, ma di aver combattuto la falsità dello stile eclettico. È logico che la Secessione così come lo Jugendstil, l'Art Nouveau, il Modernismo ed il Liberty, non potesse essere diventare il nuovo stile del '900 sia per la rapidità del fenomeno, sia per i profondi legami con la borghesia capitalistica.
Il periodo di maggior affermazione della Secessione dura circa sei anni, poi le dure critiche che arrivano da più parti esauriscono naturalmente il movimento.



Nei sei anni di attività del gruppo secessionista resta un bilancio positivo, la costruzione dell'edificio della Secessione, venti esposizioni, la pubblicazione di Ver Sacrum (Primavera Sacra), sono i risultati tangibili, ma al di là di questo c'è la consapevolezza di esser diventati caposcuola dello stile floreale in Europa.
L'ispiratore della secessione è Gustav Klimt pittore e decoratore, vero riformatore delle arti applicate in Austria, oltre a lui i principali protagonisti sono Olbrich, Wagner, Hoffman.
Klimt esordisce come decoratore ma ben presto spinto dalla cerchia di amici che frequenta passa alla pittura. Le sue opere sono caratterizzate dalla linea scattante, gli accostamenti di colore che agiscono come piani cromatici. La linea contiene tutto nello stesso tempo determina l'apparato decorativo. I personaggi assumono complesse posizioni forzate e quasi vegetali, anche i cromatismi riconducono a temi floreali, i tessuti sono decorati con temi assiro-persiani. Dai volti ambigui dei suoi personaggi traspare una forte carica erotica ora perversa ora innocente, che trascende il valore intrinseco della pittura per trasmettere un messaggio di trasgressione ed essoterismo (droghe, cerimonie magiche e sessuali, della sono tipiche dell'ambiente e del periodo, e Freud negli stessi anni introduce la psicanalisi).
Gli stessi elementi con cui Klimt caratterizza i suoi dipinti, li utilizza per dare corpo alla Secessione. Klimt fornisce grandi quantità di idee che poi ogni artista secessionista approfondirà e trasferirà nel suo campo.


Iraq, lo spettro della secessione

La testimonianza del generale Faisal al Faisal e dello sceicco Taleb Harbi Al- Muzel, leader della tribù sciita di Nassiryia. Nelle loro parole la preoccupazione di una divisione del paese su basi etniche


Due punti di vista, due voci che fuori dalle urgenze della cronaca permettono di inquadrare la drammatica situazione dell'Iraq. L'incontro Iraqi Situation, organizzato da Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica presso la facoltà di Scienze linguistiche dell'Università Cattolica, ha ospitato due testimoni del nuovo Iraq, il generale Faisal al Faisal ex vicepresidente del Consiglio di Sicurezza nazionale, e lo sceicco Taleb Harbi Al- Muzel leader della tribù sciita di Nassiryia.


Faisal e Al- Muzel sono esponenti dell'establishment iracheno. Entrambi contrari a una divisione del Paese su basi etniche tra sciiti, sunniti e curdi, si sono soffermati su problemi specifici, a partire dalla sicurezza compromessa da attentati ormai quotidiani, come spiegato da Redaelli. «Nonostante il nuovo piano per la sicurezza varato dagli Stati Uniti, la situazione resta disastrosa - ha detto il docente -. Gli attentati degli ultimi giorni aumentano le difficoltà del governo di Al Maliki, mentre la regione è resa sempre più instabile dalla questione del nucleare iraniano». Ma le cause della guerra civile irachena risalgono al 2003, appena dopo la caduta di Saddam Hussein. «Smantellando l'esercito iracheno gli Usa hanno commesso un errore gravissimo - ha spiegato Faisal -. Non è rimasto nessuno a mantenere l'ordine, e si è lasciato spazio al terrorismo». Le forze militari irachene, sciolte dagli Usa perché giudicate troppo vicine all'ex dittatore, sono state ricostituite con elementi estranei al vecchio regime. «Ma il nuovo esercito è stato organizzato secondo strategie americane, senza attenzione per la situazione specifica del Paese - ha aggiunto il generale - E ora a pagare sono i civili». Per Faisal occorre definire un piano d'intervento che veda il contributo delle forze irachene, più capaci di studiare strategie per contendere ai ribelli il controllo del territorio. Senza dimenticare gli aspetti politici. Secondo il generale bisogna ricostruire la fiducia reciproca di leader e cittadini. «Dividere il Paese non ha senso, serve un forte governo di unità nazionale». Al di là dei giochi di potere. «Faisal punta sull'unità del governo e ha poca fiducia nei partiti - ha commentato Redaelli -. Questo è tipico delle forze armate irachene, che mettono la stabilità al primo posto».


Viene dall'establishment anche lo sceicco sciita Al- Muzel. Profondo conoscitore dell'Islam, lo sceicco ha risposto a una questione chiave, che sembra spazzar via ogni dubbio sul tema dello scontro di civiltà. «In Iraq non si sta combattendo una guerra santa - ha detto Al- Muzel -. Secondo la tradizione musulmana, la jihad è una guerra difensiva, ma non può essere combattuta tra musulmani e nemmeno contro cristiani e ebrei. Ora in Iraq non ci sono jihadisti, ma terroristi». Lo sceicco vive in modo ortodosso il proprio credo. Una fede capace di scandire la vita quotidiana e sociale: niente di più diverso dalle derive radicali alla radice dell'instabilità del Paese. La questione-sicurezza è anche alla base della missione civile italiana, con una Task Force creata nel 2003 dal Ministero degli Esteri per occuparsi dell'addestramento di truppe locali nella regione di Nassiryia. Ma non solo. «Abbiamo speso 230 milioni di euro per ricostituire la pubblica amministrazione irachena e per la formazione di tecnici industriali - ha detto Stefano Stucci, vice coordinatore della Task Force -. Abbiamo ricostruito le infrastrutture nella zona di Nassiryia e il Museo Archeologico di Baghdad». E il ritiro militare non ha significato un disimpegno dell'Italia, che continua a sostenere la causa irachena con Stati Uniti e Gran Bretagna, e mantiene forti rapporti di cooperazione con il governo iracheno.


L'ITALIA FEDERALE MA SOLIDALE


Incontro del 6 dicembre '02 sul tema: "Devoluzione: federalismo solidale o secessione?"

"Devoluzione: l'Italia è in pericolo?"

"Di fronte ai regionalisti massimalisti, la cui posizione può essere in realtà pericolosa per l'unità nazionale, il Movimento Comunità intende la regione anzitutto come strumento di decentramento statale e di autonomia e non di arbitrario particolarismo. Gli statuti regionali devono essere anzitutto uniformi allo scopo di ricondurre attraverso la pluralità di organismi periferici alla unità dello Stato".
Con queste parole, pronunciate dal Presidente di Communitas 2002 Angelo Salvatori, tratte dal manifesto Comunità di Adriano Olivetti, inizia l'incontro dibattito sul tema "Devoluzione: federalismo solidale o secessione?", organizzato dall'associazione Communitas2002, con la presenza del senatore Petrini del gruppo de La Margherita e del responsabile economia dell'Italia dei Valori, Benni, in qualità di relatori.

Dopo aver data lettura pubblica dell'appello contro la devoluzione, firmato da rinomati intellettuali, il senatore Petrini interviene, sostenendo che il federalismo è un mezzo per la democrazia, non un fine:"Il sistema federale garantisce una migliore soluzione delle questioni sociali e garantisce i diritti civili ed individuali".
Il federalismo che viene delineato dal senatore Petrini è distante dal progetto di controriforma della lega:"La lega ha sempre parlato di secessionismo, di divisione, non di unità; di unità di realtà omogenee a livello identitario; la secessione prevede impulsi nazionalistici e populistici massificanti, mentre il federalismo prevede un'unità democratica nel rispetto dei diritti dei singoli cittadini". Petrini effettua un parallelismo con la situazione yugoslava, considerata irripetibile, lontana dalla nostra realtà, ma un pericolo in cui si potrebbe incorrere.
Analizzando il testo di riforma del titolo 5 articolo 117 della Costituzione il senatore parla di un'integrazione assolutamente incomprensibile, paradossale, insensata, confusa che potrebbe creare uno "stress istituzionale, un caos amministrativo": in esso si parla di competenze esclusive, facoltativamente assunte dalle diverse regioni che ne fanno richiesta, su materie sanitarie e scolastiche formative, garanzia di quella base fondante il nostro sistema costituzionale solidale e promuovente le autonomie.
"La proposta è sminuita nella sua pericolosità da AN, la quale afferma che l'integrazione all'articolo 117 Costituzione, prevista dal testo, non modifica niente comparata ai primi 3 commi innestati dalla riforma dell'Ulivo" e si domanda "ma se la lega ha assunto la bandiera della devoluzione come primaria battaglia politica, ed AN considera insignificante questo testo, chi truffa ed inganna il popolo italiano?".
Petrini sottolinea il grave pericolo per la democrazia derivante da tale testo:"Come è possibile stiracchiare la Costituzione ad uso e consumo degli interessi propagandistici di alcune forze. Questa maggioranza non conosce ilo dialogo istituzionale, il Parlamento è mera cassa di risonanza del governo, un feticcio della democrazia. L'opposizione viene considerata come ostacolo nel perseguimento di un disegno politico e programmatico della maggioranza, che è stata delegata dal popolo, quindi autorizzata a poter avanzare qualsiasi proposta, considerata di interesse nazionale".
Infine il senatore ricorda alla platea alcuni antecedenti che indicano l'assenza di senso democratico nella figura di Berlusconi:"Al momento del mandato ricevuto, il cavaliere disse che poteva benissimo formare il governo subito, senza attendere il conferimento presidenziale, in quanto aveva già in pectore la compagine; al momento della discussione sulla fiducia al suo governo in Senato, il cavaliere disse che era l'unico presidente del consiglio a dover essere designato, perché eletto dal popolo".

Benni, il secondo relatore presente, inizia il suo intervento delineando la tragica situazione economia in cui imperversa il Paese:"Vi è un debito pubblico che ammonta a 50 miliardi di euro e il governo tenterà di truccare le cifre per poter rientrare nei parametri di Maastricht; l'inflazione aumenta, i prodotti di prima necessità costano maggiormente, lo scudo fiscale garantisce gli interessi di coloro che possono speculare sugli immobili e sui beni di lusso, mentre la competitività dei nostri prodotti diminuisce esponenzialmente, considerando il fatto che la svalutazione della lira non è possibile" ed aggiunge "in questo momento è assurdo parlare di devoluzione, di rottura dello stato: ci vuole maggiormente l'unità". Benni considera, poi, il caso siciliano, dove il governo regionale di destra ha dissipato ricchezze e fondi per inutili interventi:" come mandare a casa coloro che si sono candidati al parlamento siciliano, se le loro candidature sono bloccate da listini preconfezionati? La magistratura potrà garantire il ripristino della legalità e della giustizia per un riequilibrio democratico e sociale".
Ed infine parla di possibilità di sconfiggere il centrodestra, considerando le sue debolezze, le sue fratture interne, le sue contraddizioni:" il 27 luglio, ricorda Benni, il governo è andato in minoranza alla Camera su una questione di fiducia, ma si valutò coloro che erano assenti al momento delle votazioni come presenti favorevoli e votanti, in quanto avevano dichiarato previamente il loro assenso. La maggioranza, aggiunge, è in difficoltà e può essere licenziata!". Finendo e concludendo la serata si è discusso sul ruolo dell'opposizione.



Il senatore Petrini ha sottolineato la grave difficoltà in cui imperversa il Parlamento, dove la maggioranza sottopone arrogantemente le proprie decisioni e delegittima il ruolo della minoranza. Avverte l'esigenza di un'apertura dei partiti al movimentismo civile e sociale e considera, infine, il fatto che la scorsa legislatura la maggioranza di centrosinistra ha commesso errori da non ripetere in futuro:"Qualcuno credeva, ha sostenuto, che Berlusconi, indebolito dalla sconfitta del 96, potesse essere battuto istituzionalmente richiamandolo ad assumere una responsabilità istituzionale; il progetto è fallito.
La maggioranza della scorsa legislatura, aggiunge, ha dovuto mediare con l'opposizione su alcuni progetti di legge perché l'ostruzionismo della destra rendeva difficile la prosecuzione della normale vita istituzionale del Parlamento: ma quale è il confine tra mediazione e mercimonio?".


"Fermare i conati di secessione"

Giorgio Napolitano, quirinale.it, 04-11-2006


La storia cui oggi ci richiamiamo è una storia di dure prove e di eroici, dolorosi sacrifici, da quelli che segnarono la grande guerra del 1914-1918 a quelli più recenti ben impressi nella nostra memoria, che sollecitano tutti il nostro commosso reverente omaggio.
Celebriamo qui anche quest'anno la triplice ricorrenza del 4 novembre: l'anniversario di una Vittoria che segnò il conclusivo ricongiungimento con l'Italia di ogni sua parte, il giorno dell'Unità nazionale così pienamente conseguita e consolidata, e la Festa delle Forze Armate, che sono state protagoniste del formarsi dell'Italia unita e ne presidiano oggi le conquiste storiche e il nuovo ruolo nel mondo.
Gli obbiettivi e i valori dell'unità nazionale e dell'indipendenza hanno rappresentato il filo conduttore delle fondamentali esperienze vissute dal nostro popolo in un periodo più che secolare: dal Risorgimento alla Grande Guerra, dalla Liberazione alla Ricostruzione. Fu necessario, oltre sessant'anni fa, uno sforzo straordinario per riscattare l'Italia da una rovinosa impresa bellica sfociata nella disfatta e da una nuova occupazione straniera, riconquistando alla patria indipendenza, dignità e libertà e scongiurando possibili lacerazioni del tessuto unitario. Oggi, deve sempre considerarsi bene prezioso e imperativo supremo l'unità nazionale, che va preservata - anche in una possibile articolazione federale - dall'insidia di contrapposizioni fuorvianti e di antistorici conati di secessione.
E' solo rafforzando la comune identità e l'effettiva coesione del paese, che l'Italia può mettere a frutto le sue potenzialità e far valere - nel nuovo contesto globale - il suo contributo di nazione indipendente e pienamente partecipe del concerto delle nazioni europee.
Di questa visione e di questo impegno le Forze Armate costituiscono una delle più importanti e innovative espressioni nel presente. Sulla base dei compiti loro attribuiti nel seno delle grandi organizzazioni internazionali e in primo luogo dell'Unione Europea, di cui l'Italia è partner consapevole e attivo, esse sono protagoniste di una strategia di sicurezza fattasi sempre più aperta alle esigenze di un mondo investito da profondi mutamenti. Si tratta di una strategia inclusiva, che tende ad allargare l'area di un impegno comune in funzione di obbiettivi di pace, di democrazia e di sviluppo da perseguire ben oltre i confini nazionali e gli stessi confini dell'Europa. Solo così si possono ormai proteggere gli interessi dell'Italia e dell'Europa, e il nostro diritto a vivere nella sicurezza e nella libertà. Ciò richiede anche interventi concertati in situazioni di crisi, che vanno affrontate con strumenti molteplici, compreso, e non da ultimo, quello della presenza militare. Di qui il ruolo nuovo ed essenziale delle nostre Forze Armate, che fin dai primi anni novanta del secolo da poco conclusosi hanno concorso a importanti missioni, sotto l'egida delle Nazioni Unite, dell'Unione Europea e della NATO.
Le linee essenziali della strategia di sicurezza europea sono state per la prima volta elaborate in modo compiuto nel 2003, con una dichiarazione di straordinario valore: e ad essa occorre attenersi, cogliendone tutta la complessità e la ricchezza. Mi piace a questo proposito richiamare le considerazioni e le precise formulazioni espresse nel più recente discorso dell'Alto Rappresentante dell'Unione Europea per la politica estera e di sicurezza, signor Javier Solana.
Quel che deve guidarci è il senso di una identità europea formata da un nucleo essenziale - egli ha detto - di "valori, convinzioni ed esperienze". Tra gli elementi principali che ci vengono riconosciuti nel mondo ci sono - ha affermato Solana - "la vicinanza a coloro che soffrono; la pace e la riconciliazione attraverso l'integrazione; un forte attaccamento ai diritti umani, alla democrazia e all'imperio del diritto"; l'attitudine al negoziato e alla ricerca del compromesso, "l'impegno a promuovere con pragmatismo un sistema internazionale basato su regole condivise". E infine, un alto senso del ruolo della storia e della cultura.
A questi concetti e a questi valori - che pienamente corrispondono ai motivi ispiratori della Costituzione repubblicana - può ben ricondursi, io credo, il modo di essere e di operare delle nostre nuove Forze Armate. Vi si può ricondurre in particolare la partecipazione a quelle missioni all'estero che ho già ricordato, e che discendono dalla lungimirante impostazione dell'articolo 11 della Carta costituzionale; oggi, più che mai, la partecipazione, anche con ruoli di leadership, alla cruciale missione in Libano.
Sulla base dell'accresciuta e sempre più accentuata professionalità delle Forze Armate, cui è dedicata questa Festa, si deve e si può puntare su strutture razionali e al passo con i tempi, anche attraverso verifiche e revisioni di moduli organizzativi e amministrativi, e conseguire così il più efficiente impiego delle risorse disponibili, nella difficile condizione del bilancio e dell'assetto complessivo dello Stato.
Mi propongo di chiamare il Consiglio Supremo di Difesa, nella piena valorizzazione del mandato costituzionale e nel rispetto dei suoi limiti, a fare ancor meglio la propria parte nel contesto appena richiamato.
Sono certo che le Forze Armate, in virtù della loro consolidata tradizione e apertura all'innovazione, sapranno concorrere in modo decisivo, in sinergia con le altre componenti funzionali dello Stato, all'esercizio di un ruolo primario dell'Italia nell'ambito del sistema di sicurezza internazionale e nel processo di crescita del nostro paese.
In questo spirito, rivolgo il più alto compiacimento e le più vive felicitazioni ai nuovi decorati dell'Ordine Militare d'Italia, magnificamente distintisi in difficili operazioni anche nei teatri lontani dai confini nazionali.
Viva le Forze Armate, viva la Repubblica, viva l'Italia.

Bossi:"Non Secessione ma LIBERTA'"


La svolta di Bossi: «Mai più secessione»

di Adalberto Signore da Il Giornale

Un sorso di Coca-Cola e via, l'ennesima spipacchiata di toscano. Se la gode Umberto Bossi, che più passano i giorni da quel lontano 11 marzo del 2004 e più migliora. Non solo nei movimenti e nel fisico, ma pure nell'umore e nel tono della voce. Il comizio a passo Ca' San Marco, il valico a 1.850 metri di altezza che divide la Val Brembana dalla Valtellina, è finito da una mezz'ora e il Senatùr si concede un po' di relax al «Ristorante del Sole».
La Lega si prepara a una nuova stagione di lotta. E tra i militanti presenti al raduno più d'una volta s'è alzato il grido «secessione». Crede sia una strada ancora percorribile?
«"Secessione" è una parola di cui sono nemico. Prima di tutto bisogna cominciare a essere padroni a casa nostra, altro che secessione. Sbagliano quei militanti che ancora la invocano, non ci crede più nessuno. Posso capire che nel cuore di tutti c'è l'indipendenza, ma ora servono proposte ragionate, strade democratiche. Poi, se davvero lo Stato centralista continuerà a tenerci schiavi, allora rialzeremo la bandiera dell'indipendenza. Indipendenza, non secessione».
E la base più «di lotta»? Non c'è rischio che resti delusa?
«A chi pensa di conquistare qualcosa facendo casino sa cosa dico?».
Prego.
«Dico "tanti saluti". Se ci fosse un'altra via l'avrei già battuta, ma la verità è che non c'è e con le chiacchiere non si conquista la libertà. Noi siamo democratici, mica musulmani. Le scorciatoie portano al dirupo. Io non grido "secessione", io grido "libertà"».
Dunque si riparte da Lombardia e Veneto?
«Saranno due armi potentissime. A settembre le regioni della Cdl chiederanno allo Stato quei soldi che ci vengono rastrellati sul territorio. È per questo che a quei militanti che hanno qualche perplessità sulla nostra permanenza nell'alleanza dico di essere più cauti. Perché la Cdl e Berlusconi hanno sempre mantenuto gli impegni, hanno sempre votato tutto. Ed è con loro che si può arrivare davvero al federalismo attraverso l'azione di Lombardia e Veneto. Lo faremo applicando la Costituzione che c'è, quella voluta dalla sinistra che prevede che le Regioni possano chiedere al Parlamento più autonomia su alcune materie specifiche. Insomma, in questo momento le Regioni come istituzioni possono ottenere molti più risultati di quanti ne possa portare a casa Bossi o la Lega».
Non teme che Formigoni possa scavalcarvi? In Lega c'è più d'un malumore per quello che molti considerano un eccessivo attivismo...
«Meglio che il federalismo diventi la bandiera di tutti, vuol dire che finalmente si realizzerà. Poi gli storici scriveranno che il merito è della Lega. E la gente lo sa bene».
Oltre a Lombardia e Veneto è ipotizzabile che questa richiesta arrivi anche dalle province, per esempio da quelle del Piemonte che hanno votato sì al referendum?
«La Costituzione vigente, che è un'ottima Costituzione, prevede che lo possano fare solo le Regioni. Ma visto che Lombardia e Veneto mantengono in piedi il bilancio dello Stato, è prevedibile che poi ci sia un effetto a catena. Insomma, non credo che le altre Regioni possano permettersi di rimanere inerti senza che i cittadini a cui devono rendere conto non si facciano sentire».
Calderoli ha proposto di reinsediare il Parlamento del Nord. Che ne pensa?
«Un'ottima cosa, abbiamo bisogno di un laboratorio che rastrelli idee da tradurre poi in azione politica».
Dei tanti giovani leghisti arrivati in Parlamento c'è qualcuno che se la sta cavando meglio?
«Sono tutti bravissimi».
Qualche nome?
«Giorgetti, come sempre. O Cota, che siccome è avvocato si occupa della miriade di processi che ho a carico».
La Lega è l'unico partito che in Commissione ha scelto di astenersi sul voto della missione in Libano. Quando il decreto arriverà in Aula come vi comporterete?
«Voteremo a favore, non possiamo certo andare contro l'Onu. Eppoi bisogna cercare di mettere un po' d'ordine in Medio Oriente perché quando ci sono le guerre scappano milioni di persone e poi ce le ritroviamo tutte qui».
Come valuta la fusione tra Banca Intesa e Sanpaolo?
«Una è di Milano, l'altra di Torino. Finalmente hanno fatto una grande banca del Nord che avrà a cuore gli interessi delle nostre imprese».
Quello che aveva auspicato il Carroccio con l'Opa di Bpi su Antonveneta?
«Sono andati a finire dove noi avevamo iniziato».
Delle liberalizzazioni di Bersani cosa ne pensa?
«Mi sembra che questo governo manchi di saggezza. Ad esempio con i tassisti. Hanno in mano le città, le bloccano quando vogliono e sono andati a toccare proprio loro. E per cosa? Cosa ci guadagna la gente comune se liberalizzano le licenze?».
E le nuove iniziative fiscali di Visco?
«In un modo o nell'altro la sinistra è sempre il partito delle tasse e della poca libertà. Sono riusciti a fare incazzare tutti, se ci fossero ora le elezioni andrebbero sotto. La marcia della pace ad Assisi lo dimostra. Per la prima volta non si sono schierati contro l'intervento ma con l'Onu. E l'hanno fatto solo per tenere in piedi un governo amico. I sondaggi li hanno anche loro e sanno che uno strappo ora potrebbe essere fatale. Ma fra poco arriverà il momento di mettere mano alla Finanziaria. E di lì non ne usciranno vivi».


Bossi: "Mai più secessione"

Il leader leghista detta la nuova linea

"Non parleremo mai più di secessione". Il leader della Lega, Umberto Bossi, intervistato da Il Giornale, dice ufficialmente addio alla secessione. "E' una parola di cui sono nemico. Sbagliano quei militanti che ancora la invocano", taglia corto il numero uno del Carroccio. Ma Bossi mette in guardia il governo di centrosinistra: "Lombardia e Veneto chiederanno allo Stato quei soldi che ci rastrellano sul territorio".

Il grido "secessione" rischia di non essere più ascoltato nei raduni della Lega. Di certo, il suo leader Umberto Bossi non pronuncerà più quella parola. Si metta l'anima in pace anche la base del partito: "A chi pensa di conquistare qualcosa facendo questo casino dico tanti saluti".

Nuova linea politica per il Carroccio. Si riparte da Lombardia e Veneto: "A settembre le regioni guidate dalla Casa delle Libertà chiederanno quei soldi che ci vengono rastrellati sul territorio". Le azioni delle due regioni del Nord, secondo Bossi, delinearanno la strada verso il federalismo. "Faremo attuare la Costituzione che c'è, quella voluta dalla sinistra che prevede che le Regioni possano chiedere al Parlamento più autonomia su alcune materie specifiche".

In quanto al federalismo, nella Lega non c'è alcun timore di essere scavalcati dal Governatore lombardo Roberto Formigoni: "Meglio che il federalismo diventi bandiera di tutti, vuol dire che finalmente si realizzerà".

Il leader leghista non si ferma qui e dice la sua anche su Libano e fusione Intesa-San Paolo: "Voteremo a favore per il decreto che autorizzerà l'invio delle nostre truppe. Bisogna cercare di mettere un po' d'ordine in Medio Oriente". Sul matrimonio Intesa-San Paolo: "Una è di Milano, l'altra è di Torino. Finalmente hanno fatto una grande banca del Nord che avrà a cuore gli interessi delle nostre imprese".








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