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L'ADESIONE AL 'MODULOR' E AL 'MODERNISMO'

storia dell arte



L'ADESIONE AL "MODULOR" E AL "MODERNISMO"


Il modulo indica un parametro (o unità di grandezza) che viene scelto come riferimento per determinare il coordinamento dimensionale delle parti ai fini del proporzionamento armonico dell'organismo architettonico, oppure per scopi meramente produttivi a livello di sistema costruttivo; costituisce la minima entità dalla cui ripetizione deriva un insieme ordinato, nel quale tutti gli elementi risultano commensurabili (secondo multipli interi o frazioni semplici) con il modulo stesso. Il modulo può concretizzarsi in forme diverse, spesso tra loro interdipendenti, e precisamente: può fa 424j94e re esplicito riferimento ad una unità di misura lineare o "astratta" (come per esempio il piede greco o il cubito romano, oppure di tipo convenzionale, come per esempio il metro), e in tal caso lo si può definire propriamente "modulo-misura", oppure relativa ad una dimensione di un elemento costruttivo facente parte dell'organismo edilizio (per esempio il diametro della colonna nei templi greci; la "testa", cioè la larghezza, del mattone nelle murature tradizionali); può fare riferimento a un'entità piana o spaziale che a sua volta può essere un oggetto concreto materiale definito e ripetibile (per esempio la mattonella come entità piane, il mattone come entità tridimensionale) per cui si parla di "modulo-oggetto reale", oppure può essere puramente geometrica (per esempio un quadrato o un rettangolo di prefissate dimensioni) e in tal caso si ha il "modulo-oggetto virtuale". È evidente che le suddette "forme" del modulo non sempre sono nettamente distinte: esemplificativo in tal senso è il modulo assunto nella definizione degli ordini del tempio greco, cioè il diametro della colonna che non solo corrisponde a una misura, ma si identifica, anche a livello percettivo, con la colonna stessa, e risulta chiaramente leggibile nella composizione d'insieme. La modulazione ha avuto nel tempo finalità e contenuti diversi: per esempio l'uso del modulo risponde principalmente ai criteri e alle regole del proporzionamento armonico nell'architettura classica (emblematica è specialmente l'arte greca), criteri a cui si riconduce in particolare l'opera di trattatisti e artisti del Rinascimento, nella quale la costruzione proporzionata delle forme si raggiunge attraverso un'arte fondata sulla conoscenza scientifica; nel xx° secolo con il fenomeno dell'industrializzazione dell'edilizia il modulo diventa uno "strumento" rispondente a precise esigenze legate alla produzione seriale dei componenti edilizi e all'applicabilità di questi a livello di sistema costruttivo. Premesso che in questo secolo la modulazione mantiene anche il significato di regola di proporzionamento, com'è emblematicamente riscontrabile nell'opera di Le Corbusier, che con la formulazione della scala dimensionale detta "modulor" esprime la volontà di creare spazi architettonici commensurati alle dimensioni della figura umana legate tra loro da un rigoroso rapporto matematico, per l'edilizia industrializzata il coordinamento dimensionale su basi modulari costituisce il legame pratico tra il progetto, la produzione industriale (cioè il mercato) dei componenti, la costruzione propriamente detta (montaggio dei componenti in cantiere) e risulta fattore determinante ai fini dell'applicabilità dei componenti stessi (di dimensioni, appunto, modulari) in organismi edilizi (progettati secondo parametri dimensionali di riferimento impostati sul medesimo modulo) che possono essere di un solo specifico tipo ("industrializzazione a ciclo chiuso") oppure di tipi e categorie differenti ("industrializzazione a ciclo aperto"). In particolare l'adozione di un sistema di coordinamento dimensionale modulare tende a garantire la "combinabilità" sul piano geometrico dei componenti, cioè la loro possibilità di risultare dimensionalmente compatibili e correlabili con altri componenti o insiemi assemblati, alla quale si deve accompagnare l' "accoppiabilità" sul piano costruttivo, intesa come reale possibilità di connessione materiale. Le principali capacità che in questa ottica  il modulo deve poter assicurare agli elementi costruttivi prodotti industrialmente possono essere così sintetizzate: l'intercambiabilità, che risponde all'esigenza di consentire al progettista la massima libertà di scelta tra prodotti " paragonabili"; la riduzione della varietà, intesa come possibilità di offrire una gamma di formati sufficientemente ampia ma non illimitata, con lo scopo di una razionalizzazione della produzione ( e di notevole ampliamento del mercato, se il modulo è accettato internazionalmente); la facilità di assemblaggio diretto in cantiere, che permette un'economia di costruzione tramite la riduzione sia dei tempi di montaggio sia degli sfridi. Il modulo base di un sistema di coordinamento dimensionale modulare, in quanto denominatore comune delle dimensioni dei vari componenti, deve essere tanto piccolo da garantire sufficiente flessibilità nelle dimensioni (ovviamente multiple del modulo) dei componenti stessi, ma anche abbastanza grande da evitare un numero troppo elevato delle dimensioni, in accordo con l'esigenza della riduzione della varietà. Nel 1961 la dimensione del "modulo-base" è stata quindi internazionalmente fissata nel sistema metrico decimale in 1 M = 10 cm (corrispondente con buona approssimazione a 4 pollici), che consente di avere rapporti semplici con le dimensioni modulari, eliminando così quote frazionarie. Il semplice modulo-base unitario, comunque, non è sufficiente a fini progettuali e produttivi per realizzare compiutamente e in modo operativamente efficace la semplificazione e l'integrazione che sono all'origine della sua introduzione: tanto a scala di organismo edilizio quanto a livello di componente industrializzato si rende dunque necessario effettuare "scelte multimodulari", cioè riferirsi a valori multipli del modulo-base. È evidente che il passaggio dal modulo-unitario, che intrinsecamente consente di coprire qualsiasi campo modulare, al "multimodulo" (per esempio, 3 M = 30 cm) implica una selezioni delle dimensioni più ricorrenti e più convenienti per le varie categorie di componenti ai fini della loro collocabilità in intervalli o campi modulari di ordine superiore (per esempio, pannelli- facciata da inserire in una data maglia di scheletro portante). Le scelte multimodulari, che comportano una linea o un reticolo piano o un reticolo piano di riferimento preferenziale a seconda che il multimodulo sia ripetuto lungo una, due o tutt'e tre le direzioni dello spazio, possono essere semplici, cioè basate sull'adozione di un multimodulo unico, o composte, cioè con linee o reticoli di riferimento basate sulla combinazione di multimoduli. Le scelte composte possono a loro volta dar luogo ai cosiddetti reticoli "scozzesi" (combinazioni di più reticoli, al limite tanti quanti sono le diverse categorie di componenti da applicare all'organismo edilizio) oppure a "linee o reticoli variabili" secondo il sistema della coppia di numeri per cui, se a e b sono le dimensioni modulari prime tra loro di due componenti, al di sopra del valore critico dato dalla relazione (a-1) (b-1) è possibile coprire con quei soli componenti tutti i campi modulari crescenti in 1M tornando in pratica ad una modulazione impostata sul valore unitario. Si ricorda, infine, che, oltre alla dimensione modulare del componente, devono essere considerate anche la dimensione "nominale" (pari alla differenza tra quella modulare e il "giunto" che consente l'unione con altri componenti) e la dimensione "effettiva" (pari alla nominale +- il valore della "tolleranza" implicita a livello produttivo) alle quali sono legate le effettive capacità di accoppiabilità tra componenti dello stesso tipo o di tipo diverso.



Botta oltre a vivere l'esperienza di un contatto diretto con grandi maestri del Movimento Moderno come Le Corbusier o Louis Kahn partecipa a un ambiente così promettente come quello della scuola ticinese dei Carloni, degli Snozzi, dei Tami, dei Galfetti, dei Vacchini. La critica contemporanea, con giudizio unanime, considera Mario Botta come l'ideale continuatore del messaggio degli ultimi grandi maestri dell'architettura del nostro tempo, una figura che ha avuto la capacità di gettare un ponte fra le utopie del Movimento Moderno e le incertezze proprie del nostro tempo sui destini dell'architettura. All'atteggiamento di fiducia illimitata nelle capacità dell'architettura di anticipare le trasformazioni della storia che ha caratterizzato il declino delle ideologie del Movimento Moderno (che tra l'altro tentava di trasformare l'uomo mediante la rivoluzione dell'architettura e la cancellazione della memoria del passato, minacciando di fare violenza alla dignità umana e alla coscienza della sua identità), Mario Botta oppone la propria sintesi soggettiva solidamente radicata alla consapevolezza della positività del costruire: "Una cosa costruita è infinitamente più ricca delle idee, dei disegni, dei progetti degli architetti stessi. La cosa costruita si arricchisce del rapporto della realtà. Si arricchisce della fatica del lavoro, delle compromissioni che rendono questa idea futuribile, la rendono patrimonio, testimonianza delle contraddizioni, ma anche delle aspirazioni della nostra società". Forte di questo convincimento, egli rivendica un ruolo decisivo per l'architettura quale unica vera interprete della storia, dei mutamenti e trasformazioni del paesaggio che ci circonda, nel rapporto che essa istituisce con il sito, ma soprattutto nella capacità di riassumere antiche vocazioni e nuove aspettative. È al costruire che egli pensa sin dai primi momenti in cui affronta un nuovo tema progettuale, alla importanza del misurarsi con il costruito e con la storia che è in esso: per questo le sue opere hanno la straordinaria capacità di rispecchiare una permanenza e di apparire "amiche" come una presenza di sempre. Con abilità artigiana egli sceglie, tra la babele delle tecnologie disponibili oggi, quelle maggiormente in grado di rappresentare una condizione di durabilità e di solidità e nel contempo quelle che maggiormente si prestano a ripercorrere con nuove forme archetipi antichi, riscattando materiali semplici come il mattone a vista o la pietra o il blocchetto in cemento. Gli edifici acquistano così una solidità che sembravano aver perso definitivamente, i muri tornano ad essere compatti, rassicuranti, richiudendosi agli spigoli in un gesto netto e deciso. Con questi materiali egli inizia un lavoro di affinamento che lo porta a saggiarne di continuo le potenzialità compositive, asservendoli docilmente a un disegno di tessiture sempre mutevole e nuovo.




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