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LA STORIA DEI BRONZI - ANALISI CRITICA DELLE STATUE

storia dell arte




LA STORIA DEI BRONZI


I celebri guerrieri attici furono scoperti il 16 agosto 1972 al largo della spiaggia di Riace Marina. Al recupero delle statue, avvenuto il 21 agosto successivo, ad opera dei Carabinieri sommozzatori, prese parte, in rappresentanza della Soprintendenza Archeologica, il dott. P. G. Guzzo, con i tecnici della stessa. Dopo il recupero, si pose immediatamente l'esigenza di un'esplorazione scientifica dei fondali del rinvenimento, non solo per la segreta speranza di nuovi recuperi, ma per verificare a posteriori le condizioni di giacimento, di naufragio e l'eventuale presenza di un relitto. L'esplorazione dei fondali portò al ritrovamento di una maniglia di scudo appartenente alla statua A, confermando l'esattezza dell'ubicazione del sito. Tuttavia, l'assenza del relitto della nave sul punto di giacitura delle statue, fece supporre che le stesse non fossero affondate con la nave, ma che fossero state gettate in mare come carico ingombrante, mentre l'albero della nave con la vela sarebbe stato tagliato. Il taglio della vela sarebbe stato suggerito dal ritrovamento nei pressi delle statue, di ventotto anelli di piombo, appartenenti forse alla velatura della nave (anche se sembrano troppo deboli per assicurare le vele), quindi la nave alleggerita del suo carico, si sarebbe messa in salvo, o naufragata a non molta distanza, disperdendo il suo carico su un'area più vasta. La statua denominata A conservava, al momento del recupero alcuni frammenti d'anfore (pareti non riconducibili a forme) incrostate saldamente sotto l'ascella, che possono essere utili alla cronologia dell'affondamento. Uno dei problemi dibattuti al margine delle statue di Riace è quello degli elmi e degli scudi. A parte il clamore suscitato da presunte rivelazioni di trafficanti, le statue di Riace potrebbero essere state private delle loro armi, ossia degli scudi e di un elmo, e forse delle lance, prima del trasporto per mare, per motivi pratici, poiché le statue dovevano viaggiare appoggiati sulla schiena. In seguito si può osservare che i restauratori non videro mai segni di effrazione sulle statue e che le incrostazioni ricoprivano anche le braccia degli scudi, denotano quindi che il distacco delle armi dalle statue doveva essere già avvenuto nell'antichità. Antonio Giuliano, proponendo per le statue l'appartenenza all'officina di Fidia e in particolare al donario di Delfi, accenna alla possibilità che l'asportazione delle armi dai guerrieri sia avvenuto durante il saccheggio del santuario ad opera dei Galli nel 279 a. C. L'elmo potrebbe essere stato in metallo prezioso.





ANALISI CRITICA DELLE STATUE

La statua A rappresenta una figura stante maschile barbata e con abbondante chioma di capelli a ciocche lunghe, che imbraccia uno scudo, di cui resta l'attacco sull'avambraccio sinistro piegato e sulla spalla corrispondente (fig.1). La mano sinis 727j92h tra, dalle dita raccolte e piegate in senso verticale doveva reggere un oggetto, che poteva essere l'impugnatura dello scudo. Il braccio pende destro lungo il fianco, e la mano corrispondente non sembra trattenere alcun oggetto, ma non è impossibile che trattenesse l'impugnatura di una spada. La testa è rivolta con notevole scatto verso la spalla destra; esso determina una tensione rettilinea e verticale dello sterno cleidomastoideo sinistro e un'obliquità di quello destro. Le due clavicole sono tese ad un identico livello; tipico è il rendimento della fossa sopraspinata della scapola, dalla quale dipende la rotazione dell'omero. Come conseguenza della tensione a destra del capo anche il gran pettorale destro risulta appena più lievemente appiattito di quello sinistro. Fra i pettorali, al centro, emerge la linea dello sterno resa con una semplice fossa verticale di pronunciata concavità. In alto s'intravede appena (ma non è sicuro) il manubrio dello sterno. Visibile, al di sotto dell'apice, l'angolo infrasternale, che costituisce il termine obbligato delle costole osservabili. Da qui parte la profonda linea alba che separa verticalmente, fino all'ombelico, le partizioni dell'addome. Esse sono rese, nella parte superiore, con una specie di rettangolo irregolare il cui lato superiore è lievemente obliquo. Si osservano quindi il retto dell'addome e anche l'aponevrosi del retto dell'addome.

Si coglie anche un accenno del muscolo piramidale. Né sono da dimenticare, ben visibili sul fianco, le digitazioni delle costole in cui appare il dentato anteriore, incrociate con quelle del grande obliquo dell'addome.


Il taglio del solco inguinale, che, al tempo dell'Armodio e Aristogitone e delle sculture olimpiche, era ancora semiovoidale, qui assume una forma obliqua verso sinistra in basso (fig. 2).


Le braccia presentano, nel tipico arrotondamento della scapola, deltoidi assai sviluppati a cui seguono ben visibili, verso il basso esternamente, il capo interno e quello esterno del tricipite nella veduta laterale, il brachiale anteriore, il brachioradiale nell'avambraccio destro abbassato, l'estensore radiale lungo e quello breva del carpo, il pronatore rotondo, l'addutore del pollice, il primo interosso dorsale. Si deve rilevare che vengono rese alcune vene principali delle braccia, e cioè, dall'alto verso il basso, forse la basilica (che è la più interna), certamente la cefalica, la cubitale che si immette in quella e la mediana.

Negli arti inferiori l'osservazione è più sommaria(fig.3). È chiara l'analisi del sartorio e dell'addutore lungo e gli altri vari muscoli della gamba (il retto interno, il vasto esterno, il tricipite sopra la rotula e il legamento rotuleo).Nella parte inferiore delle gambe sono evidenti il gemello interno e il soleare, l'estensore breve delle dita del piede, l'abduttore del quinto dito e quelle dell'alluce. Sui piedi appaiono le grandi vene specialmente la safena interna e quella esterna (fig. 4).  


Passando al dorso, oltre alla linea sinuosa del solco dorsale, sono visibili anche le scapole, sovrastate da un fascio muscolare; esso è costituito dalle masse arrotondate del sottospinato, del piccolo e gran rotondo, del romboideo, del gran dorsale, dell'aponevrosi del gran dorsale e degli estensori della spina, al di sopra immediatamente dei glutei.


Si colgono il gluteo grande e il tensore della fascia lata, mentre nelle gambe appaiono il gemello esterno e quello esterno, nonché, nei piedi, le ossa dei malleoli interno ed esterno e del calcagno. Nei gomiti appare l'olecrano dell'apparato osseo, negli avambracci l'anconeo, il flessore cubitale e l'estensore pure cubitale del carpo, l'estensore comune delle dita e del mignolo.

E veniamo alla testa della statua. L'eccezionale impressione è dovuta a dettagli che sono ancora conservati. Le ciglia sono rese nello spazio, le sopracciglia sono lievemente cesellate, le labbra sono rivestite di lamina di rame, i denti bianchi sono rivestiti di lamine argentee. Sono tutti fatti che per in antico spettatore dovevano essere normali  in opere d'arte di un certo impegno. Non c'è dubbio che impressiona la maestà imponente di questa chioma che ricade dall'alto in sottili masse di capelli rese in tre grandi e dolci ondulazioni al di sopra della larga tenia che li trattiene. Al di sotto di questa un complicatissimo gioco di ciocche, che, mentre si dispongono pacamente in senso orizzontale al centro, imperfetto asse con la scriminatura e con il setto nasale, scendono in vorticosa ma ordinata successione di ondulazioni verticali, otto per ogni lato, quasi onde che si placano a poco a poco. Posteriormente, sulla nuca, al centro, un'ondulazione più corta sembra suggerire una voluta pausa in questo mare di ondeggiamenti. Da rilevare è la delicata fermezza con la quale l'artista passa dalle cicche costruite a tutto tondo a quelle aderenti delle guance per quel tanto che è necessario; la tecnica a tutto tondo riprende di sotto al mento, ma si placa quasi subito in minori e non convenzionali ciocche. Intorno e sopra alle labbra, due baffi spioventi, i cui lunghissimi peli si arrotondano verso l'alto e si allungano ai lati, confondendosi con le ciocche più consistenti sulle guance lasciano scoperta l'accurata osservazione degli elevatori interni de esterni del labbro superiore e dell'ala del naso, del piccolo e del grande zigomatico, del massetere.


La seconda statua, alta poco meno della prima, rappresenta pur essa un guerriero, col braccio sinistro piegato nel quale è infilato uno scudo oggi mancante, con la mano destra abbassata e le dita raccolte su se stesse che trattenevano forse l'impugnatura di una spada; dell'asta rimane soltanto un frammento aderente al palmo della mano. Il capo è volto verso destra, ed era ricoperto dall'elmo corinzio, la cui visiera era alzata sulla fronte, mentre la calotta che vediamo era destinata ad attutire il peso dell'elmo (fig. 5). È da immaginare che la parte decorata di questo sia stata asportata, forse anche perché decorata di lamine di metallo prezioso.

Le gambe lievemente divaricate poggiano saldamente a terra; la sinistra è fortemente piegata, la sulla quale è caricato tutto il peso, ha il piede con la punta rivolta verso destra, il sinistro è molto divaricato verso sinistra. Tutto questo porta, nella generale impostazione della figura, delle conseguenze; tutte le forme appaiono più rilassate che nel precedente personaggio, e nell'insieme echeggia un certo bilanciamento di forze assai più sensibile che nel caso precedente.

Una folta barba scende ai lati del volto e intorno al mento; essa si dispone sul prospetto in una serie di onde, almeno tre, in cui le singole ciocche , accuratamente lavorate e cesellate, terminano in forma uncinata, lievemente avvitandosi su di loro. Ma questa tecnica, che era pure adottata nel guerriero precedente, dà qui luogo ad un massa fortemente ondulata e tuttavia compatta e non ad un infittirsi di onde brevi come nel bronzo A. 

In questo ed altri particolari vediamo la possibilità di distinguere il nostro maestro da quello precedente. Una personalità, a nostro parere, meno sensibile alla plasticità e più attenta ad effetti disegnativi. Le ciocche che scendono, nella veduta laterale, sotto i lobi delle orecchie, partendo da zero si dispongono dolcemente sinuose in senso orizzontale, e formano all'estremità un ultimo uncino che accompagna il ritmo delle altre accumulate nella visione di prospetto.


Una scriminatura appare appena al di sotto della visiera dell'elmo fiancheggiata da ciocche lunate e spartite assai aderenti al piano. Posteriormente alla nuca i capelli escono in ciocche piccole ondulate verso il basso, e sempre lavorate con cura. I baffi sono assai folti e formati da ciocche fortemente gonfiate e arrotondate in dentro, mentre alle estremità si confondono con quelle ciocche ondulate del prospetto.

Differenze nel rendimento di alcune parti anatomiche del nudo sono facilmente rilevabili: la linea alba è più aperta e meno profonda, l'arcata epigastrica è meno disegnativa e più plastica, con maggiore evidenza delle costole realisticamente rese, e la vena e la vena tugomentosa dell'addome che non si vede nel bronzo A. La tecnica della cesellatura dei peli dello "Schamhaar" assume nelle fitte ciocche maggiore morbidezza, la lavorazione attorno all'ombelico è meno convenzionale. E mentre la linea alba è lievemente curvata verso la nostra destra, il solco inguinale appare sempre in curvato verso la sinistra del personaggio, ma l'innesto del sacco addominale sulla cresta iliaca sembra assai più dolce di quello del guerriero A.

Un lieve ma sensibile abbassamento della spalla destra rispetto all'altra ci appare sia nella veduta di prospetto che in quella dorsale(fig. 6), dove la rilevanza delle scapole e delle fosse troncaterie è indubbiamente notevole. Nelle gambe e nei piedi vengono osservate non soltanto le muscolature sopra accennate per l'altro bronzo, ma una speciale attenzione è dedicata alle vene. Così è seccamente ma evidentemente disegnata la safena interna che si dirama sul dorso del piede; la stessa osservazione attenta ci può notare per le vene dell'avambraccio destro, ad accentuare un spression di forza vitale. La rete delle vene costituite dalle propaggini della mediana, della cubitale, della basilica si conclude sul dorso della mano in una serie di ramificazioni insinuate entro la struttura ossea con estrema delicatezza.





L'ATELIER DEI BRONZI


Le due statue non corrispondono soltanto nelle dimensione, nel tema, nella posizione delle braccia e della testa e nel rapporto tra la gamba portante e la gamba flessa, ma, come sappiamo dalle analisi della stessa lega.


Entrambe manifestano tendenze caratteristiche della grande bronzistica dello stile severo, nonostante il fatto fatto che esistano grandi differenze nei particolari.

Indicativa per la bronzistica greca antica è già la forma delle piante dei piedi nelle quali il tenone d'incastro di piombo per l'inserimento nella base comprende soltanto le parti sulle quali poggia effettivamente il peso del corpo, cioè essenzialmente il tallone e i polpastrelli dei piedi. Sotto di essi, i piombi formano dei tenoni separati, simili a quelli dei pide scalzi, per esempio, del dio di capo Artemisio e dell'auriga di Delfi.

Le dita dei piedi, invece, sono rese in maniera plastica a tutto tondo, solo appiattite leggermente nella parte inferiore. Sui piedi, le mani e le braccia sono rappresentate le vene, com'è frequente per le sculture della prima metà del V secolo a. C. Secondo Plinio, fu Pitagora a rappresentare per primo arterie e vene, ma si può affermare che il motivo è già conosciuto e ampiamente diffuso all'inizio del V secolo a. C. Le vene non sono visibili soltanto nella statua dell'auriga di Delfi e in quello di capo Artemisio, ma anche in alcuni frammenti di statue di bronzo ad Olimpia.

Nelle statue di Riace, le dita dei piedi sono nettamente divise, con spazi intermedi, elemento che ritorna regolarmente nelle sculture bronzee dello stile severo. Con ciò si mette anche in evidenza una differenziazione organica, mentre nelle statue arcaiche le dita dei piedi sono tutte allineate in modo paratattico. Nella statua A, soltanto il mignolo del piede è piegato indietro, mentre in maniera più conseguente, le dita dei piedi della statua A sono caratterizzate dal movimento, mentre per quanto riguarda la statua B, esse ricordano già fogge plicletee.

Nei polpacci di ambedue le statue la forma viene circoscritta da una linea continua in rilievo nei lati interni. 


Qui si possono richiamare le forme delle knemides del primo V secolo a. C., nelle quali un'accurata rappresentazione dell'anatomia ha sostituito in gran parte elementi decorativi. In maniera simile viene resa anche la cresta lungo la linea emergente della tibia. Il leggero avvallamento, appena modellato, che si estende dall'alto verso il basso sulla parete laterale esterna dei polpacci della statua A, si trova ugualmente sugli schinieri del V secolo iniziale, su dei frammenti ad Olimpia, come anche sulla statua di Pelope, del frontone orientale del tempio di Zeus.

Le cosce della statua B, confrontate con quelle della statua A, sembrano molto più compatte e massicce. Particolarmente tipica è la parte fortemente rigonfia sopra al ginocchio destro, che verso il lato interno si piega in basso, elemento che compare in manira quasi identica nelle statue policletee.


Viene messa in evidenza la forma antiquata del pube della statua A. in un 'appendice alla pubblicazione di Karousos sull'Aristodikos, dove vengono raccolti i vari tipi di acconciature dei peli del pube nel periodo tardo arcaico e classico iniziale, l'autore ha potuto dimostrare come le diverse mode si susseguano , ma possano anche essere contemporaneee. Con i suoi riccioli fitti acchiocciolati, il pube della statua A presenta un ulteriore sviluppo, con una tendenza più raffinata, di un tipo di rappresentazione che conosciamo in un frammento a Olimpia, con una  linea di contorno leggermente diversa.


Nel guerriero A, il pube ha la forma di un rombo allungato, che, su ambedue i lati, va oltre le anguinaie. Questo schema, che i è noto anche nel torso di Mileto e da altre opere del periodo classico antico, è stato elaborato, secondo Karousos, intorno al 490 a. C. ed è rimasto in uso fino al 460 a. C.

Anche nella statua B le punte laterali del pube vanno oltre la linea dell'inguinaie; nella parte inferiore invece esso non termina all'altezza del pene ma lo circonda anche lateralmente, mentre viene limitato in alto da una linea diritta, e non a triangolo come nella statua A, che si addice meglio alla forma curva del corpo. Questa forma del pube sembra essersi sviluppata soltanto verso il 460 a. C., stando agli originali, come ad esempio quello di Capo Artemisio, o alle copie, come quelle del cosiddetto Apollo di Kassel. Rispetto ai riccioli di stile antiquato della statua A, che derivano ancora da quelli tipici del V secolo iniziale, i peli del pube della statua B sono mossi in maniera più libera. Contorno e grandezza dei riccioli sono più differenti, come sappiamo grazie ad un torso di Francoforte ed altre opere del periodo 460-450a. C.


Una differenza simile si può notare anche per quanto riguarda la forma del pene e dello scroto. Nella statua A, la grandezza dello scroto è pressoché uguale per i due testicoli. In mezzo si osserva la linea a rilievo di separazione, come è frequente nelle opere delle opere del periodo tardo antico e del severo iniziale, mentre anche per questo particolare la statua B mostra una forma più avanzata, senza linea mediana, con il testicolo sinistro nettamente più basso.

Per quanto concerne il torso della statua A, esso si erge in maniera più rigida e ricorda nel suo portamento alcune statuette di bronzo peloponnesiache, ma differisce dalla statua B anche in alcuni particolari indicativi. Relativamente antiquato è il tipo di ombelico, con l'inquadratura a forma di mandorla, mentre nella statua B si trova il tipo rotondo, più recente. Nella statua A viene messo in evidenza un triangolo sotto la linea di contorno inferiore tra i muscoli del petto. Un settore di forma romboidale invece appare più in basso, al punto d'incontro tra il margine inferiore del torace e la linea alba. Elementi simili si possono trovare in opere insulari dello stile severo, ma specialmente in un torso a Roma. Il contorno del margine del torace prosegue lateralmente nella linea di limitazione della superficie del ventre, com'è caratteristico delle sculture dello stile severo. Nella statua B, il margine del torace taglia il contorno interno del muscolo dei fianchi, ma più verso l'esterno si evidenzia un articolazione, che comincia a farsi notare intorno al 460 a. C., probabilmente sotto l'influsso di Policleto. Una posizione intermedia occupa il già citato torso di Francoforte, che viene ascritto giustamente all'ambito delle sculture policletee. L'articolazione del torso corrisponde quasi completamente a quella della statua B, anche se il margine inferiore del torace oltrepassa l'inizio del muscolo dei fianchi solo di poco. Il corpo è eretto in modo rigido, allo stesso modo della statua A e mostra l'ombelico antiquato, a forma di mandorla.


Anche la parte posteriore del guerriero B permette di riconoscere rapporti con le opere di Policleto; anzi questi sono talmente forti, che grazie al guerriero B si può confermare un tale valore alla replica del Doriforo a Firenze. A proposito di questa scultura, si osserva che la spina dorsale non tocca perfettamente il solco tra i due glutei e che sopra le scapole si trovano parti leggermente abbassate. Le stesse caratteristiche si trovano sulla statua B, dove in maniera uguale, la spina dorsale si piega verso il basso.

Altri motivi policletei, sono costituiti per il guerriero B, dalle ciocche, che formano delle tenaglie. Esse ritornano spesso

Nella barba, ma sono particolarmente evidenti al centro della fronte. Questa tenaglia centrale sopra la fronte, però, non è eseguita in modo rigorosamente simmetrico come nel Doridoforo di Policleto. Il suo elemento sinistro è composto da una ciocca biforca. Il motivo canonico di questa ciocca a tenaglia, quindi, non è ancora pienamente sviluppato.

In ambedue le statue, le ciocche sono fittamente solcate da linee sottili. Questo tratto piuttosto ingenuo, di rendere in pratica la sottigliezza dei capelli con linee strettamente accostate tra loro, ritorna spesso tra le rappresentazioni di ciocche singole trovate da Olimpia (fig. 7) a partire dal periodo arcaico, e ancora più frequente nella prima metà del V secolo a. C (fig. 8).

Nella folta massa di cicche arricciolate e serpentine che circondano il viso del guerriero A sopravvive un motivo già sviluppato in epoca arcaica. Rispetto alle ciocche collocate in maniera quasi matematica, trovate più volte in parti singole ad Olimpia, costatiamo qui un modo più raffinato e vivace.

La maniera plastica, caratteristica specialmente delle ciocche della fronte, con le onde ricche e differenziate, e la maniera di costruire la ciocca da singole fasce, che si sovrappongono, insomma tutte le caratteristiche di esecuzione sono talmente simili a quelle di un gruppo di ciocche conservate ad Olimpia, che si potrebbe addirittura pensare all'opera dello stesso maestro. Poiché questo gruppo ci ciocche doveva appartenere ad una statua distrutta soltanto in periodo tardoantico, possiamo presumere che Pausania l'avesse vista e anche descritta, doto il suo particolare interesse per le opere antiche. Con ciò non è da escludere che tra i nomi degli artisti menzionati Pausania a Olimpia si trovasse anche quello del maestro della statua A. Nei decenni successivi alle guerre persiane a Olimpia operavano moltissimi artisti.


Sono da escludere evidentemente gli scultori che realizzarono soltanto statue di vincitori, perché la cicca di Olimpia era lunga e poggiava sulla spalla: un tipo di capigliatura che non esisteva per le immagini degli atleti. Partiamo inoltre dal presupposto che i guerrieri di Riace facessero parte di un monumento importante,  che quindi era forse menzionato nella letteratura antica.

Sulla calotta le ciocche del guerriero A, strette da una tenia, convergono in un vertice, e i capelli, leggermente ondulati, si dispongono simmetricamente su asse che parte dal centro della fronte, come nelle teste degli efebi e delle fanciulle. La resa plastica, invece, è molto diversa da quelle delle ciocche presenti sotto la tenia. Le ciocche della calotta sono meno elaborate e pastose. Manca loro la cesellatura fitta e l'incisione, cioè l'elaborazione a freddo. Sulla tenia si riconoscono due impronte curve,che descrivono ciascuna un terzo cerchio,collocate all'altezza degli angoli esterni degli occhi.

Inoltre, impronte grossolane sono da riconoscere nei capelli della nuca, sotto al nastro. Gli attacchi di queste ciocche sono elaborati con meno cura nelle parte posteriore della tenia, rispetto a quelli anteriori.

Tutte queste osservazioni permettono di presupporre che anche la testa del guerriero A doveva essere coperta da in elmo nella sua forma originale. Grazie alle impronte è possibile stabilire che non si trattava di un elmo corinzio, come quello del guerriero B, ma di un elmo calcidese con paragnatidi arrotondate. Rimane il fatto tuttavia che i capelli della calotta siano resi plasticamente, certo meno delle ciocche libere pendente, ma diversamente dal guerriero B. Teoricamente sarebbe stato possibile scorgere in tratto dei capelli della calotta anche sotto l'elmo, attraverso le aperture per gli occhi.

Restauri posteriori sono invece l'intero braccio destro e l'avambraccio sinistro della statua B. La rottura si è prodotta evidentemente vicino a quei punti che sempre erano particolarmente in pericolo, cioè laddove erano saldati anche in origine. L'aspetto rigonfio delle articolazioni delle dita e più in generale il modellato è probabilmente del periodo ellenistico.

La forma del bracciale dello scudo decorato con una linea al centro e con un disco circolare. Un bracciale simile è conosciuto in un originale nella prima metà del V secolo.

Al fascino che provocano i guerrieri di Riace contribuiscono tra l'altro anche gli intarsi policromi: i capezzoli, le labbra e gli occhi, per i quali troviamo numerosi confronti, soprattutto a Olimpia, ma anche altrove; mentre l'esecuzione dei denti in argento della statua A rimane senza confronti.

Nonostante le statue corrispondano nelle dimensioni e nella posizione,  siano state prodotte insieme , stando all'analisi delle leghe, e fossero destinate forse allo stesso monumento, sono chiaramente riscontrabili tendenze stilistiche varie, che permettono di collegare il guerriero A con opere eseguite nei primi due decenni dopo le guerre persiane nelle botteghe peloponnesiache o delle isole egee, mentre il guerriero B si inserisce nella produzione della fine della prima metà del V secolo vicino alle creazioni di Policleto. Le due statue mostrano differenze, anche fino agli ultimi dettagli, nell'elaborazione tecnica. Non solo per quanto riguarda i materiali diversi per i bulbi degli occhi , ma anche per quanto riguarda la cesellatura. Non soltanto le linee fitte sono incise in modo diverso nella statua del guerriero B ma esse sono usate unicamente per i tratti dei capelli plasticamente staccati, mentre le stesse linee nel guerriero A si perdono nell'incarnato. Tutto ciò significa che ciascuno degli artisti aveva a disposizione un gruppo di persone anche per i lavori speciali e difficili.





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