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Raffaello Sanzio
Pittore e architetto italiano (Urbino, 1483 - Roma, 1520)
Biografia
"Nacque adunque Raffaello in Urbino, città notissima in Italia, l'anno 1483, in venerdì santo, a ore tre di notte, di un Giovanni de' Santi, pittore non molto eccellente (...). Cresciuto che fu, cominciò ad esercitarlo nella pittura, vedendolo a cotal arte inclinato". Giorgio Vasari r 151i83b acconta la vita di Raffaello Sanzio con sicurezza e dovizia di particolari cui è lecito fare fede.
Nacque ad Urbino il 6 aprile 1483.
Suo padre, Giovanni Santi, era un modesto pittore alla corte di Urbino, un ambiente di grande cultura cosmopolita.
Nel 1491 muore la madre Màgia ed il padre, poco tempo dopo, si risposa ma qualche anno dopo (il 1 agosto ) morì anche il padre.
Rimasto orfano a soli undici anni, Raffaello venne affidato allo zio Bartolomeo, sacerdote.
A quell'epoca aveva già mostrato il suo talento dal momento che Giorgio Vasari, suo contemporaneo, racconta che da bambino era stato "di grande aiuto al padre nelle numerose opere che Giovanni eseguiva nello stato di Urbino".
Ad Urbino studiò le opere di Piero della Francesca e di Luciano Laurana. Raffaello cominciò così a studiare il disegno e la prospettiva.
L'influenza più evidente sulle sue prime opere però è quella di Pietro Vannucci, il Perugino, uno dei più grandi pittori dell'epoca che lavorò soprattutto a Perugia ed a Firenze.
Secondo Vasari, Raffaello cominciò l'apprendistato presso il Perugino molto giovane, il padre lo accompagnava ad Urbino presso lo studio del pittore.
La prima opera documentata di Raffaello fu una pala d'altare per la chiesa di San Nicola da Tolentino a Città di Castello, cittadina a metà strada tra Perugia ed Urbino. La pala venne commissionata nel e terminata nel (fu poi gravemente danneggiata durante un terremoto nel ed oggi ne rimangono solo alcuni frammenti).
Negli anni seguenti Raffaello dipinse altre opere per le chiese di Città di Castello e di Perugia, comprese diverse grandi pale d'altare, nonché dipinti di dimensioni più piccole per privati.
Nel 1504 si trasferisce a
Firenze per imparare le lezioni dei due grandi pittori Leonardo
da Vinci e Michelangelo.
Pur trascorrendo in questa città gran parte dei quattro anni successivi (il
cosiddetto "periodo fiorentino"), Raffaello probabilmente non vi dimorò in modo
continuo, ma seguitò a viaggiare ed a lavorare in vari luoghi d'Italia
(Perugia, Urbino e forse anche Roma).
A Firenze Raffaello fece amicizia con i pittori locali, soprattutto Fra Bartolomeo, questi fu uno degli artisti la cui influenza spinse Raffaello ad abbandonare lo stile esile ed aggraziato del Perugino per forme più grandiose e poderose.
Le opere del periodo fiorentino, fino al 1507, dai raffinati ritratti (Dama col liocorno, Roma, Galleria Borghese; Agnolo Doni, Maddalena Doni, La gravida, Firenze, Palazzo Pitti) alle tanto celebrate Madonne (Madonna Connestabile, San Pietroburgo, Ermitage; Madonna del prato, Vienna, Kunsthistorisches Museum; Madonna del cardellino, Firenze, Uffizi; La bella giardiniera, Parigi, Louvre) dimostrano la stupenda facilità con cui Raffaello seppe inserirsi in tale temperie culturale, assimilando apporti diversi e contrastanti, come lo sfumato e la composizione piramidale proposti da Leonardo e la tensione dinamica di Michelangelo (quest'ultima faticosamente meditata in un'opera complessa e di trapasso come la Deposizione per Atalanta Baglioni, 1507, Roma, Galleria Borghese); ne risultano composizioni di grande naturalezza dove i ritmi si svolgono armoniosamente in uno squisito equilibrio tra concretezza dell'immagine e perfezione formale.
Verso la fine del 1508 si trasferì a Roma e venne subito preso a servizio da papa Giulio II che gli commissionò una serie di decorazioni di alcune sue stanze a Palazzo Vaticano. La commissione di Giulio II segnò la svolta nella carriera del pittore.
All'epoca aveva solo venticinque anni ed era un'artista in formazione, perciò non aveva ancora ricevuto incarichi di tale importanza e prestigio.
Raffaello seppe cogliere l'occasione nel modo migliore e da allora, pur lavorando anche per altri mecenati, rimase prevalentemente al servizio di Giulio II e del suo successore Leone X, per i quali seguì una serie di progetti che ne fecero il più ricercato artista di Roma.
Nel 1514 fu nominato architetto dalla chiesa di San Pietro che Giulio II stava facendo costruire, incarico affidatogli alla morte del Bramante, che ne aveva iniziato la costruzione nel .
I progetti di Raffaello per San Pietro venero modificati dopo la sua morte, ma egli costruì altri edifici e per un breve periodo fu l'architetto più importante di Roma, oltre che il primo pittore.
Purtroppo la maggior parte della sua opera architettonica è stata demolita o modificata.
Nel 1515 Leone X gli affida l'incarico della conservazione e della registrazione dei marmi antichi.
I ritratti rimasero per lui un'attività secondaria soprattutto dopo il trasferimento a Roma, dove fu obbligato a dedicare quasi tutto il suo tempo ai grandi progetti vaticani.
Naturalmente ritrasse i due papi per cui lavorò, Giulio II e Leone X.
Oltre ai papi Raffaello non ritrasse molti personaggi celebri: i modelli erano per lo più persone della sua cerchia di amici, molte delle quali sconosciute.
Uno degli incarichi più importanti che Raffaello ricevette dal Papa fu una serie di dieci arazzi con scene della vita di San Pietro e di San Paolo destinati alla Cappella Sistina.
I cartoni realizzati
vennero inviati a Bruxelles per essere tessuti nella bottega di Pier van Aelst.
I primi tre arazzi eseguiti arrivarono a Roma nel .
È possibile che Raffaello abbia visto la serie completa installata nella Cappella Sistina prima di morire nel 1520, mentre la vide certamente Leone X che morì l'anno seguente.
Gli arazzi ora si trovano nei Musei Vaticani mentre i sette cartoni sono stati prestati dalla collezione privata della corona britannica al Victoria ad Albert Museum di Londra.
Le sue conoscenze dell'arte classica spinsero il Papa a nominarlo conservatore delle antichità e ad affidargli l'incarico di realizzare una pianta della città di Roma antica, della quale però oggi non ci resta più nulla.
Secondo Vasari la morte prematura di Raffaello fu dovuta addirittura agli eccessi amorosi: dopo una nottata particolarmente smodata, l'artista, colto da febbre, non disse ai dottori quale era stata la causa del malore e fu sottoposto a salassi invece che a cure ricostituenti.
Qualunque sia stata la causa, Raffaello morì il 6 aprile .
Seguito dal cordoglio di tutta la corte papale venne sepolto, come egli stesso aveva chiesto, nel Pantheon di Roma.
Raffaello fu uno dei disegnatori più grandi e prolifici dell'epoca: di lui sopravvivono oltre 400 disegni e molti altri sono andati perduti nel corso dei secoli.
Visse in un periodo in cui l'arte del disegno stava attraversando una fase di transizione ed in cui la punta d'argento e la penna, utilizzati ai tempi della sua gioventù, erano stati sostituiti dal gesso (di solito rosso o nero).
Raffaello era padrone di tutte le tecniche del disegno del suo tempo e fu l'ultimo grande esponente italiano della punta d'argento che continuò ad utilizzare fino al 1515 circa, quando era già stata abbandonata da gran parte degli artisti di maggiore prestigio.
Il tema più ricorrente nell'opera di Raffaello è quello della Madonna col Bambino, che del resto è anche quello più comune nell'arte italiana, ed egli seppe ritrarlo innumerevoli volte senza renderlo mai monotono.
Raffaello viene
considerato, dopo Donato Bramante, il più eminente architetto
italiano del periodo rinascimentale.
Purtroppo è difficile dare un giudizio definitivo sul suo valore in quanto
molte opere rimasero incompiute alla sua morte ed alcune di essere non vennero
neppure completate in seguito, mentre molte di quelle effettivamente realizzate
dall'artista sono state distrutte o modificate.
Le opere sopravvissute che esprimono meglio il suo talento di architetto sono l'interno, riccamente decorato, della Cappella Chigi nella chiesa romana di Santa Maria del Popolo e parte di Villa Medici (ribattezzata poi Villa Madama).
olio su tavola
Ispirato a La consegna delle chiavi del Perugino
(due gruppi di personaggi, introduzione del tempio a pianta centrale,
prospettiva evidenziata dalla pavimentazione della piazza) e da un altro
"Sposalizio della vergine" ancora del Perugino (soggetto, forma centinata della
tavola, atteggiamenti di alcune figure, la porta aperta del tempio che lascia
intravedere lo sfondo). Le innovazioni rispetto alle tavole del maestro sono:
tavola più piccola, personaggi disposti secondo una curva che lascia lo spazio
vuoto di fronte al sacerdote centrale; a destra c'è il gruppo di personaggi
maschili, dinamici, a sinistra il gruppo di fanciulle, dolci e calme; la linea
dell'orizzonte è più alta, dando maggior monumentalità alle figure; il tempio è
a sedici lati, meno pesante e rigido, maggior gradazione di colori.
Dama con il liocorno
olio su tavola
La tavola, raffigurante Santa Caterina, prima del restauro del 1935 fu attribuita al Perugino. Il restauro del 1935, seguito a un esame radiografico che rivelò l'aspetto originario del quadro, mise in luce il liocorno, simbolo della castità, in grembo alla figura, e un più vasto paesaggio alle spalle. Le ridipinture possono essere state causate dai danni subiti anticamente dall'opera, soprattutto nello sfondo e nel liocorno.
Ritratto di Maddalena Doni
olio su tavola
Nell'impostazione del dipinto è evidente il riferimento a modi leonardeschi, ma il risultato espressivo è antitetico. L'opulente immagine di Raffaello, prima di qualsiasi misteriosa potenza allusiva o evocatrice, incombe in primo piano resa quasi materialmente evidente e grave dalle ampie forme e dal sontuoso abbigliamento.
olio su tavola
E' l'esempio più significativo delle composizioni piramidali e del linguaggio dei gesti e degli affetti.
Immersa nel verde calmo di un prato la Vergine è in posa contrapposta. La Vergine sorregge il suo Bambino che prende la piccola croce portatagli da San Giovannino inginocchiato. Su quest'ultimo si posa lo sguardo sereno di Maria.
Al laccio degli sguardi, che emotivamente tiene assieme i tre personaggi, si unisce il legame fisico della concatenazione delle mani.
olio su tavola
Rappresenta Maria,
Giuseppe, Gesù,
Santa Elisabetta, San Giovanni. I bambini giocano, protetti dai
tre grandi disposti a piramide. Sullo sfondo vi è una città posta in obliquo,
nel cielo vi sono due gruppi di angeli, riemersi dall'ultimo restauro.
La deposizione Borghese
olio su tavola
Commissionata a Raffaello da Atalanta Baglioni che - in memoria del figlio Grifonetto - volle fosse rispecchiato in quello della Vergine il proprio dolore materno. La tavola, collocata con la cimasa e la predella nella cappella di famiglia della chiesa perugina di San Francesco al Prato, vi rimase fino al 1608, quando fu segretamente inviata a Roma al pontefice Paolo V. Costretto a inserire l'episodio dello svenimento della Vergine, Raffaello passò dall'idea primitiva del Compianto del Cristo morto a quella del Trasporto al Sepolcro, accostando alle figure dei portatori e dei dolenti il gruppo complementare delle pie donne sorreggenti la Madonna, e tentando di celare la frattura fra le due parti, separatamente studiate, con la cerniera dell'atletico portatore di destra e mediante il paesaggio. L'accentuazione dello sforzo nelle divergenti figure dei portatori, i numerosi riecheggiamenti di movimenti classici, soprattutto nel corpo di Cristo e nella Maria inginocchiata che si volge a sorreggere la Vergine, e il colore smaltato rispondono al desiderio di dare alla composizione plastico risalto, monumentalità statuaria.
Il papa gli fece dipingere quattro stanze degli appartamenti papali tra il 1508 e il , con molti allievi come aiuti; le stanze sono:
della Segnatura. I soggetti allegorici della Stanza della Segnatura (compiuta nel 1511), esaltanti la sintesi del pensiero antico con la renovatio operata dal cristianesimo attraverso la raffigurazione del Vero (spirituale: la Disputa del Sacramento; razionale: la Scuola d'Atene), del Bene (le Virtù, le Pandette di Giustiniano, le Decretali di Gregorio IX), del Bello (il Parnaso). Sul soffitto dipinge in tondi ed in scomparti rettangolari alternati la Teologia, il Peccato originale, la Giustizia, Il giudizio di Salomone, la Filosofia, la Contemplazione dell'Universo, la Poesia, Apollo e Marsia.
Il vero è incarnato dalla filosofia, celebrata nella Scuola di Atene: in un imponente edificio classico, a bracci perpendicolari con volte a botte a lupanari, sono riuniti tutti i più importanti filosofi dell'antichità, posti su due livelli, separati da una scalinata. Al centro, attorno al punto di fuga sono posti Platone ed Aristotele (il primo indica il cielo, il secondo la terra). L'insieme è fortemente prospettico e da un senso di equilibrio, compostezza e classicità. La figura di Eraclito (Michelangelo) è stata dipinta in un secondo momento, su ispirazione delle prime parti visibili della volta della Cappella Sistina.
Centro della composizione è l'ostia consacrata, elevata contro il cielo nell'ostensorio al di sopra dell'altare, messa in evidenza dal convergere delle linee prospettiche. Il mistero dell'Eucarestia, miracolo per eccellenza, legame tra cielo e terra, è contemplato dalla Chiesa celeste (profeti, apostoli, santi) e dalla Chiesa terrena (dottori della Chiesa, pontefici e fedeli). La disposizione dei personaggi vuole ricordare l'abside di una chiesa; in tal modo Raffaello sottolinea anche visivamente il soggetto raffigurato: il trionfo della Chiesa. E' una composizione equilibrata ed armonica che ha il suo fulcro nell'asse centrale formato dalle tre Persone della Trinità e dall'Ostia. La zona inferiore è animata dai rappresentanti della Chiesa terrena vivacemente impegnati nelle dispute teologiche; il racconto si placa invece nella parte superiore, occupata dai solenni esponenti della Chiesa celeste.
Alla sommità della lunetta sta l'Eterno benedicente, fra due gruppi di angeli; più in basso, entro una grande aureola, Cristo con la Vergine e San Giovanni Battista. Sul semicerchio di nubi, assisi ai lati delle tre figure centrali sono, a sinistra: San Pietro, Adamo, San Giovanni Evangelista, David, Santo Stefano e Geremia; a destra: Giuda Maccabeo, San Lorenzo, Mosè, San Matteo, Abramo e San Paolo.
Solo alcuni personaggi della zona terrena sono stati identificati; tra questi, a sinistra dell'altare: il Beato Angelico, Bramante, Francesco Maria della Rovere, San Gregorio Magno e San Gerolamo; a destra: Sant'Ambrogio, San Tommaso d'Aquino, papa Innocenzo III e San Bonaventura, Sisto IV, Dante, il Savonarola.
di Eliodoro. Episodi di ispirazione storico-politica, celebranti l'intervento divino in favore della Chiesa, con riferimento alla missione di Giulio II. Una di queste è la Liberazione di san Pietro dal carcere: il racconto è diviso in tre scene distinte: al centro un angelo sveglia il santo, a destra entrambi scappano, a sinistra i soldati si svegliano per inseguirli. L'elemento più importante è quello della luce: debole quella della luna e delle torce, sfolgorante quella dell'angelo, che si somma a quella naturale che proviene dalla finestra (reale) sottostante.
Importanti sono anche le scene della Cacciata di Eliodoro, del Miracolo della Messa di Bolsena, della liberazione di S. Pietro e quattro episodi del Vecchio Testamento.
La cacciata di Eliodoro dal tempio
In basso a destra, Eliodoro, profanatore del Tempio, viene atterrato e travolto sotto gli zoccoli del cavallo del messo divino, mentre il sacerdote Oria è assorto in preghiera in fondo, nella penombra rotta dalla luce oscillante del candelabro acceso sull'altare.
A sinistra, Giulio II, portato dai sediari, assiste impassibile all'evento, che allude all'inviolabilità dei possessi della Chiesa e al suo fermo proposito di cacciarne gli usurpatori.
La scena si svolge all'interno di un grandioso edificio, il ritmo assume un andamento vorticoso nella convulsa successione di arcate e cupole, scandita da bagliori luminosi e masse d'ombra profonda; anche la distribuzione delle figure oppone al vuoto centrale due nuclei drammatici laterali, in primo piano. L'impeto irresistibile dell'azione, in cui si manifesta la potenza dell'intervento divino, la violenta concitazione dei movimenti, i contrasti chiaroscurali spinti fino a effetti di luminismo indicano come gli interessi di Raffaello si siano spostati dalla serena meditazione intellettuale alla rappresentazione drammatica di eventi.
dell'Incendio di borgo: storie di papi che condividevano il nome di Leone (adulazione nei confronti del nuovo papa Leone X). L'incendio del borgo era un incendio conclusosi con il semplice gesto della croce del papa Leone IV. Il dipinto è ricco di movimento e pone a confronto la vecchia basilica paleocristiana, un edificio con caratteristiche classiche, con l'architettura cinquecentesca e i tre ordini classici romani, il dorico, lo ionico e il corinzio: questi sono segnali evidenti dell'interessamento dell'artista all'architettura, fresco di nomina a "architetto di San Pietro", che studiava il trattato di Vitruvio in quel momento. Citazione di Enea, in un uomo che porta sulle spalle un vecchio Anchise, e con di lato un giovinetto.
Opere di minor risultato pittorico in quanto rivelano disorganicità in modo da giustificare, con questa decadenza del pur giovane artista, l'inizio di quei motivi accademici che snatureranno la rigogliosa bellezza del Rinascimento italiano sono i dipinti della Battaglia d'Ostia e dell'Incoronazione di Carlo Magno.
L'incoronazione di Carlo Magno
Raffigura l'incoronazione dell'imperatore nella Basilica vaticana, alludendo forse al concordato stipulato a Bologna nel 1515 fra Leone X e Francesco I di Francia che sono ritratti nei personaggi di papa Leone III e Carlo Magno. Le architetture si riferiscono probabilmente allo stato dei lavori del nuovo San Pietro. Rimangono diversi disegni di Raffaello, ma la qualità scadente della storia lascia pensare che l'esecuzione spetti interamenti agli aiuti.
di Costantino (solo progettata): episodi della vita dell'imperatore
olio su tavola
Coglie il papa seduto davanti allo scrittoio, coperto da un drappo rosso, su cui sono appoggiati un campanello da camera e un prezioso codice miniato, che egli sta osservando con l'aiuto di una lente d'ingrandimento. È affiancato da due cardinali, Giulio de' Medici (futuro papa Clemente VII), e Luigi de' Rossi. Lo sfondo è molto scuro, il colore che domina la scena è il rosso, nelle varie tonalità dai vestiti e del drappo.
olio su tavola -
Iniziata nel 1518, rimasta interrotta dalla morte dell'artista e quindi portata
a termine da Giulio Romano e da Gian Francesco Penni, gli allievi maggiori la
cui mano era del resto ormai largamente presente in tutti gli affreschi e nelle
ultime opere del periodo romano quasi a testimonianza dell'immenso lavoro
gravante sulle spalle dell'artista prediletto dalla corte papale.
Nella parte superiore la scena è calma, ovattata, armonica e rappresenta la trasfigurazione di Cristo. Nella parte inferiore la scena è diversa, agitata e piena di contrasti, e rappresenta la liberazione di un ragazzo indemoniato. Non sembra esserci connessione tra le due fasce. L'ispirazione dei gesti, degli sguardi, e delle espressioni è di evidente derivazione leonardesca.
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