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Il Surrealismo e Renè Magritte- "La battaglia delle Argonne": 1959, olio su tela, 50x61 cm, New York

arte




Il Surrealismo e Renè Magritte


Nelle opere di Magritte il rapporto tra immagine e realtà si sviluppa in maniera del tutto nuova e inconsueta rispetto al passato. Nei sui lavori non troviamo solo rappresentazioni "sognanti" o bizzarre fini a se stesse: fermarsi a una considerazione così superficiale significherebbe negarsi la possibilità di comprendere la vera e straordinaria "sostanza" dell'opera  di un artista che si distinse in modo particolare da tutti gli altri surrealisti. La sua ricerca non proviene dal sogno e dall'inconscio, ma si basa sul rapporto tra realtà, immagine e visione, sulla creazione di situazioni impossibili o ambigue, sconvol 656d37g gendo la realtà attraverso un'attenta riflessione.


Tutta la produzione di Magritte si fonda su una semplice convinzione: ciò che è nascosto e difficile da raggiungere (con gli occhi, con la mente, con la sensibilità del cuore) è molto più emozionante e perciò degno di maggiore interesse di ciò che è manifesto e già a portata di mano. La natura è onnipresente nel suo percorso artistico proprio perchè rappresenta per lui il mezzo privilegiato per interrogarsi sul mistero delle cose. Attraverso di essa egli si diverte a giocare con il conosciuto e il celato, con l'evidente e il segreto, con il buon senso e il non senso, e a ribaltare il convenzionale nell'enigma. Eccolo allora impegnato a dispiegare tende, a incappucciare i volti o a nasconderli dietro mele o fiori, a inserire frammenti che mostrano il dietro, il sotto, il segreto della realtà, a inventare sovrapposizioni che portano in primo piano ciò che non si dovrebbe vedere.




Il surrealismo di Magritte è per molti versi anomalo, molto lontano, ad esempio, dal movimento "psicoanalitico" e vagamente simbolista dei primi anni o da quello onirico, cupo e angosciante di Salvador Dalì. Il maestro belga (probabilmente influenzato da un antico gusto fiammingo per il dettaglio e la riproduzione minuziosa della realtà e memore delle sue prime esperienze artistiche come produttore di manifesti e cartelloni pubblicitari) tende a raffigurare gli oggetti con un'estrema precisione nei particolari, tanto da farli assomigliare a illustrazioni stampate, e li mette in relazione fra loro avvalendosi della tecnica dello spaesamento: prende oggetti banali, conosciuti, familiari (una mela, un ombrello, una bombetta,...) e li associa in modo inaspettato, li pone in luoghi o situazioni inusuali, trasformandoli sia a livello fisico sia a livello semantico. Questa giustapposizione incongrua ha lo scopo di spiazzare lo spettatore, di sconvolgerlo e di spingerlo così a riflettere sulla sua condizione, sulle sue certezze, sulle abitudini che lo condannano ad avere una visione piatta e falsata della realtà. Gli oggetti accostati talvolta arrivano persino a penetrare l'uno nell'altro, a fondersi in una metamorfosi tanto affascinante quanto inquietante, e a farsi in questo modo portatori di un nuovo significato surrealista che singolarmente non avevano.


Uno degli aspetti più intriganti della sua analisi sulle relazioni tra pensiero e linguaggio è rappresentato dalla scelta dei titoli dei quadri. Essi non hanno mai alcun nesso esplicito con il soggetto raffigurato. Pare venissero scelti dall'autore e dalla sua cerchia di amici attraverso un giochetto assai simile al metodo di indagine psicoanalitica delle libere associazioni. Ciascuno dei partecipanti scriveva su un foglietto la prima cosa che gli saltava in mente osservando il quadro, poi si confrontavano i risultati e si sceglieva il titolo che si giudicava più adatto. Quasi sempre il meno scontato e probabile. Sembra che Magritte si affidasse a questo trucco non solo per dare un nome alle sue opere, ma a volte persino per dipingerle. Prima pensava a un oggetto, lo abbozzava sulla tela e lasciava che questo primo elemento evocasse in lui sensazioni, fantasie e ricordi, poi a partire da questi ne disegnava un altro, e così via fino a completare il quadro. Questo meccanismo aveva il pregio di lasciare il pittore libero di creare e rielaborare a piacimento i suoi mondi interiori, di slegarlo da qualsiasi condizionamento esterno alla sua mente e al suo animo. Alla completa libertà di invenzione dell'autore può così corrispondere la piena autonomia di interpretazione dello spettatore, al quale deve essere garantita la possibilità di individuare nel quadro il significato che preferisce, senza costrizioni. E' per questo che Magritte ha sempre rifiutato con fermezza un'interpretazione univoca dei suoi quadri ed è più volte entrato in polemica con chi si ostinava a psicoanalizzarli, sforzandosi di trovarci a ogni costo chissà quali tenebrosi significati.







"La battaglia delle Argonne": 1959, olio su tela, 50x61 cm, New York



Magritte si diverte a giocare con i nostri sensi, togliendo alle cose le proprie qualità di peso, così ad esempio una roccia si trova a fluttuare nel cielo accanto ad una nuvola.

La visione è da mozzafiato: la scena presenta un'immane roccia, librata su un borgo, e una nube dalla forma simile che galleggiano, contro ogni logica o senso comune, nel cielo, al cui centro è posta una falce di luna che ci assicura che è tutto vero e normale. Non sappiamo se la roccia sia immobile, se stia precipitando o si stia sollevando, potrebbe addirittura rappresentare il momento prima dello scontro tra una nuvola ed un masso, leggero e pesante, felicità e paura, bianco e nero che stanno per incontrarsi e dar vita a quell'unità che ci rappresenta tutti. Magritte gioca con con i sensi dell'osservatore e con i suoi più forti e radicati convincimenti aggiungendo alla roccia una qualità (quella di poter volare o sollevarsi), ovvero privandola dell'attributo del peso, sottraendola, in ambedue i casi, alla legge di gravità cui, per propria natura, essa è soggetta.




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