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Esame "Giovinezza di Michelangelo" del 19/06/2007

arte



Esame "Giovinezza di Michelangelo" del 19/06/2007

Arrivo a Roma il 25 giugno 1496 (21 anni). Rimase a Roma fino al 1501 (più volte rimandò il ritorno a Firenze). Verso la fine del soggiorno scolpì la "Pietà".

Baldasare e Giovanni Balducci banchieri a Roma

Ascanio Condivi biografo del maestro (1553), molti racconti sulla giovinezza di Michelangelo (riferitigli dall'anziano artista, non vi era documentazione certa ). Discrepanze con i libri contabili dei Balducci.

Biografia di Ascanio Condivi più ricca di quella di Giorgio Vasari (1550), che ha poche informazioni sugli anni giovanili. In Condivi, però, è erronea la formazione autodidatta di Michelangelo, per volere dell'arista, che voleva apparire come genio.

Domenico e Davide Ghirlandaio primi maestri del giovane Michelangelo, dal 1487 al 1491 (testo d'accordo tra i Ghirlandaio e Ludovico Buonarroti, padre di Michelangelo, 1487 il giovane artista era collettore di crediti per i Ghirlandaio, mansione di un assistente di bottega). Ancora testimonianze del legame con i Ghirlandaio il dipinto "Madonna di Manchester", che ha molti richiami allo stile dei Ghirlandaio.



Dopo la formazione dai Ghirlandaio, Michelangelo frequentò il giardino delle sculture dei Medici (luogo di studio informale -Vasari- o centro di addestramento artistico ben organizzato -Condivi-), in Piazza San Marco (entrambi i biografi ne parlano). Francesco Granacci amico e collega di Michelangelo in questo periodo e forse fu proprio lui ad introdurlo nel giardino -Vasari-; Bertoldo, allievo di Donatello, possibile maestro di Michelangelo in questo periodo (esso godeva di particolare favore presso Lorenzo de' Medici) -Condivi non lo menziona, ma bisogna ricordare il mito dell'autodidatta-.

"Madonna della Scala", molto dello stile di Donatello (stiacciato).

"Battaglia dei Centauri", basato su una leggenda narrata da Angelo Poliziano, insegnante dei figli Pietro e Giovanni (futuro papa Leone X) di Lorenzo de' Medici. Movimentata composizione di corpi nudi, ispirazione da rilievi antichi, tracce dell'influenza di Beldoldo.

Dopo la morte di Lorenzo de' Medici, il figlio Pietro introdusse nuovamente Michelangelo in casa Medici, fino alla caduta della famiglia (1494).

In questo contesto scolpì un "Ercole" alto due metri per Piero (molto simile allo "Schiavo ribelle"), dopo la caduta dei Medici entrò in possesso dell'artista e successivamente passò alla famiglia Strozzi.

Michelangelo scappò da Firenze poco prima della caduta del regime mediceo nel 1494, si recò a Bologna e vi rimase per poco più di un anno: ruppe il rapporto con un mecenate (vicissitudini politiche) e trovò in Gian Francesco Aldovrandi un nuovo protettore. Quest'ultimo introdusse Michelangelo nei lavori nella chiesa di San Domenico, dopo che il mastro scultore di questa morì. Doveva scolpire tre statue. Fece un "Angelo Reggicandeliere" inginocchiato per fare pendant ad uno dell'artista Niccolò dell'Arca. Essa fu scolpita in un blocco già preparato per il suo predecessore. Vestì l'angelo con una voluminosa veste gotica (come l'altra statua) ma cinto in vita con una fascia, ispirazione classica. Differente il reggicandeliere e l'acconciatura, l'altro angelo ha lunghi boccoli cascanti, quello di Michelangelo ha una voluminosa e fitta acconciatura di ricci modellati. Il panneggio in Michelangelo è meno profondo 838j96i ma le forme più movimentate. Molto accurato, può essere osservato da vicino. Non vi è segno dell'uso del trapano.

Per questa chiesa fece anche dei santi in piedi, "S. Procolo" e "S. Petronio", più approssimative e meno raffinate.

Nel 1495 l'artista tornò a Firenze, molti sostenitori dei Medici in questo periodo ricevettero un'amnistia. Forse Michelangelo non tornò subito a Firenze, forse partì dopo il fallito colpo di stato di Piero de' Medici.

Qui a Firenze Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici fu il nuovo mecenate dell'artista, per lui scolpì una statua di un "S. Giovannino". Fu proprio questo nuovo mecenate che spinse a vendere il "Cupido dormiente" come pezzo antico, questo falso fu la causa che portò l'artista a Roma nell'estate del 1496. Lorenzo di Pierfrancesco trovò l'opera molto bella e suggerì all'artista di antichizzarla e spedirla a Roma per ottenere un prezzo migliore vendendola come pezzo antico. Il mercante Baldassare del Milanese al quale venne affidata l'opera la vendette al Cardinal Raffaele Riario (nipote di papa Sisto IV Della Rovere) per 200 ducati, e riferì a Michelangelo di averne ottenuti solo 30. Il cardinale scoprì la modernità dell'opera e la sua origine fiorentina. Spedì a Firenze un suo emissario che convinse Michelangelo a riaccompagnarlo a Roma. A Roma Michelangelo venne ospitato proprio nella casa dell'inviato, Jacopo Gallo. Per quest'ultimo Michelangelo scolpì un "Cupido" in piedi, andato perduto.

Quando Michelangelo arrivò a Roma il "Cupido dormiente" era già stato restituito al mercante ed ere riapparso sul mercato (Isabella D'Este, marchesa di Mantova, ne apprezzò la bellezza e Ascanio Sforza lo voleva acquistare. Isabella vi rinunciò quando seppe che era moderno). Michelangelo ne chiese la restituzione al mercante, propose di pagarla, ma quest'ultimo non ne volle sapere, disse che l'avrebbe distrutta pur di non cederla.

Nel 1502 entrò in possesso di Cesare Borgia (figlio di papa Alessandro VI) come dono del sacco di Urbino (non si sa come vi sia arrivato a Urbino).

Ne entrò in possesso la marchesa Isabella D'Este e nel 1505 quindi si trovava a Mantova. Fu affiancato da un altro cupido, questo antico -attribuito a Prassitele- (notizie nell'inventario della collezione di Isabella, redatto dopo la sua morte -1539-).

Nel XVII secolo la collezione ducale mantovana si disperse e la statua in questione finì fra i tesori dei Gonzaga.

L'ultimo riferimento alla statua si trova in corrispondenza di Daniel Nys, un agente al servizio di Carlo I. in una lettera da Venezia del 1631 per Thomas Cary, Nys scriveva che in breve tempo avrebbe inviato alcune opere in Inghilterra, tra le quali alcuni <<enfants>> di Michelangelo, Sansovino e Prassitele (forse corrispondenti ad un disegno di tre cupidi cupidi in un foglio conservato nella Royal Lybrary di Windsor -1629, in una lettera Nys promette di mandare in Inghilterra disegni delle sculture della collezione Gonzaga, che erano in vendita-).

Prove dell'arrivo in Inghilterra.

Si è ipotizzata la distruzione dell'amorino assopito nell'incendio di Whitehall Palace nel 1698 (assieme ai cupidi arrivò anche una statua Venere, che si salvò dall'incendio e fa ancora parte della collezione reale britannica -si trovava all'esterno dell'edificio al momento dell'incendio-).

La statua del piccolo dio dormiente è quindi ritenuta perduta (assieme all'"Ercole", il "S. Giovannino" e il "Cupido" in piedi). Non si hanno prove sicure dell'aspetto del "Cupido dormiente", ma doveva avere il capo posato sulla mano e forse teneva in mano un papavero (descrizione del 1496 di Isabella D'Este), di grandezza naturale di un bimbo di sei sette anni (descrizione di Condivi).

Michelangelo seguì come esempio per il suo cupido un comune modello classico, un esemplare di epoca romana si trova oggi nella collezione degli Uffizi (questo giace su un lato sinistro e posa la testa sull'avambraccio, in mano tiene due papaveri) oppure un cupido nero della collezione dei Medici dal 1488, quindi appartenuto a Lorenzo de' Medici.

E ancora, in un dipinto eseguito a Mantova da un assistente di Giulio Romano vi è un Giove bambino, ipotetico aspetto del cupido di Michelangelo.

Un cupido dormiente, ora nella collezione Methuen a Corsham Court, è stato identificato come l'originale di Michelangelo, però senza argomentazioni valide.

Visto che le altre opere romane sono andate perdute, il "Bacco" è considerato la prima opera romana, in quanto conosciuta e sopravvissuta. Venne scolpito nella casa di Jacopo Gallo, lo commissionò Riario per la sua casa nuova (<<la Cancelleria>>) vicino Campo de' Fiori in costruzione nel 1496, lo pagò 150 ducati. Nel luglio 1496 Michelangelo iniziò a scolpire la statua a dimensione naturale, la termino in dodici mesi (entro il 27 giugno 1497). Riario rifiutò l'opera, caso eccezionale nel Rinascimento e rimase nel giardino di Gallo. Il blocco di marmo costò poco, solo dieci ducati, forse era antico ed era rimasto giacente da qualche parte, di forma rettangolare. La figura principale è scolpita diagonalmente, un approccio audace, il gruppo (il Bacco e un satiretto) doveva essere libero nello spazio,visibile da ogni lato, non solo frontalmente (infatti da davanti il satiretto rimane invisibile), anche perché l'opera era destinata ad uno spazio aperto.

La decisione di raffigurare un dio ebbro accompagnato da un piccolo satiro deve essere stata presa di comune accordo con il committente, nell'antichità la presenza di questo giovane compagno non era affatto obbligatoria. Anche nell'antichità si era raffigurato questo dio in stato di ubriachezza ma Michelangelo interpretò radicalmente questo tema, Riario non era preparato, vi era troppo realismo, quasi brutale. Portamento deliberatamente incerto e precario che sfida i canoni classici, il ventre è dilatato e spinto all'infuori, il capo sporge in avanti, inclinato verso il basso e piegato di lato. Lo sguardo è fisso sulla coppa con fare lascivo. I lineamenti sono rozzi, non affatto idealizzati, la bocca è socchiusa, come sarà nel futuro Barocco, tipo Gian Lorenzo Bernini, nulla a che vedere con le opere del Quattrocento.

Invece il satiro è agile, seduto su un ceppo d'albero, da sostegno alla figura in piedi. Si gira con una complicata torsione, sorride e mordicchia l'uva, la tiene nascosta, con entrambe le mani, come fosse un bottino.

Mai più Michelangelo riuscì a superare il virtuosismo di quest'opera, da notare la morbidezza del corpo, la carnosità. sembra quasi femminile (tardoellenistico).

Condivi riconosce una morale, la rappresentazione degli effetti del bere, la pelle di leone significherebbe l'amore per il vino che porterebbe alla morte, ma è un'ipotesi un po' azzardata, anche perché nella classicità e nel tardo Quattrocento l'ubriachezza del dio ha valenza più positiva.

Michelangelo, per la rappresentazione di questa statua, si era basato su un celebre passo del Fedro di Platone, come racconta in una lettera del 1481 per Marsilio Ficino, filosofo neoplatonico nella cerchia di Lorenzo de' Medici.

Tecnica esecutiva: disomogeneità del grado di rifinitura delle diverse parti, per esempio i capelli sono lasciati a uno stadio più grezzo della pelle, contrastano con l'ornamento di foglie d'uva ed edera, intagliate con virtuosismo eccezionale. Diffuso uso del trapano, sono presenti molte linee di fori trapanati. Il marmo è scadente, ai lati del viso si scorgono imperfezioni nerastre e variazioni di colore sotto la spalla sinistra e intorno la base.

Dopo questa statua ebbe altre fastidiose esperienze con marmi difettosi (doveva scolpire una statua per Pietro de' Medici, alla fine restituì i soldi e non realizzò l'opera), forse esse lasciarono un'impronta durevole sul giovane Michelangelo. Infatti per cercare il marmo per la "Pietà" vi mise molto tempo.

Ancora prima che terminassero i pagamenti del "Bacco", Michelangelo era già interessato ad altri progetti, tra i quali la pittura. Il 27 giugno 1497 Michelangelo ritirò dal suo conto 3 carlini per acquistare una tavola da dipingere. Questa è la prima testimonianza dell'attività di pittore. Michelangelo aveva già espresso il suo interesse per la pittura durante il soggiorno romano, infatti aveva già realizzato un cartone per un membro della casa del cardinale Riario, un "San Francesco che riceve le stigmate" destinato a divenire un dipinto a tempera per San Pietro in Montorio.

Non è sicuro che il dipinto incompleto della "Madonna di Manchester" sia collegato all'acquisto della tavola (prese il nome da una mostra dove fu esposto nell'Ottocento).

Rimane molto controversa sia la datazione che l'attribuzione. Quando si trovava a Villa Borghese era considerata opera di Michelangelo. Nel 1765 scomparve per poi riapparire nel 1833 in vendita a Londra. Qui fu creduta di Domenico Ghirlandaio. 1844 fu offerta in vendita alla National Gallery, che la rifiutò nel 1845. successivamente fu nuovamente attribuita a Michelangelo. 1857 fu esposta a Manchester. 1870 fu definitivamente acquisita dallo Stato britannico.

Non cessarono le polemiche sull'attribuzione, ancora oggi la discussione è aperta.

Messa in relazione con un tondo di Vienna raffigurante una Vergine con il Bambino e il s. Giovannino, espressamente basata su un disegno di Michelangelo, si notano relazioni. La Vergine di Vienna e quella di Manchester hanno la stessa espressione malinconica, forse la prima fece seguito all'altra.

Il 1497 come anno di realizzazione di questo dipinto rimane un'ipotesi, anche se rafforzata da un altro dipinto dello stesso pittore dell'opera di Vienna che raffigura la "Pietà" , quindi sposterebbe al periodo del soggiorno romano il rapporto tra il maestro e questo pittore. Il nome che è stato suggerito per questo pittore è Piero d'Argenta, assistente di Michelangelo nella sua bottega romana. Piero veniva da vicino Ferrara, questo spiegherebbe anche i toni ferraresi del tondo di Vienna. La presenza di questo assistente è attestata dai pagamenti nei registri dei Balducci.

Non si hanno prove tangibili dell'attività di pittore nella giovinezza, solo che il suo primo maestro fu Domenico Ghirlandaio, forse in precedenza il giovane Michelangelo deve aver aiutato il maestro assieme ad altri assistenti, per esempio negli affreschi del coro di S. M. Novella.

Forse la Madonna fu persino iniziata nel periodo bolognese.

I colori ricordano il Ghirlandaio.

Rispetto alla carriera artistica dell'artista quest'opera è importante, porterà al "Tondo Pitti", entrambe le opere hanno ambientazione esterna ma il paesaggio è privo di colline o alberi. Quest'ultimo trova influenze anche nella "Madonna di Bruges" spedita in Belgio nel 1506, viene ripreso lo stesso motivo del bambino che pesta la veste della madre; il S. Giovannino invece ricorda la postura del satiretto del "Bacco". Invece le particolareggiate piume delle ali degli angeli ricordano l'"Angelo reggicandeliere", esse sono quasi invisibili, a testimoniare la ripugnanza per queste dell'artista. E ancora, il movimento dell'angelo in primo piano ricorda quello del "Bacco", la postura della Vergine invece ritorna al disegno della "Vergine e S. Anna".

Il bambino si tende verso l'alto, con un gesto di solito attribuito al Battista (come in Granacci, nel dipinto di Dublino).

Il colore e le pennellate fanno pensare a Domenico Ghirlandaio. Il trattamento base della tavola è lo stesso del "Seppellimento di Cristo".

Questo dipinto ha molti elementi tradizionalisti, ben lontani dalle innovazioni stilistiche del "Bacco", ciò ha fatto supporre che le due opere siano state realizzate a distanza di molti anni, ma non è possibile allontanarsi troppo dal 1497.

Da qui si può comprendere che il giovane Michelangelo non procedeva allo stesso modo sia in pittura che in scultura.

Che il dipinto fu iniziato senza committenza sembra improbabile. Forse l'opera fu accantonata non per insoddisfazione dell'artista ma per il desiderio di quest'ultimo di impegnarsi in un nuovo e ambizioso progetto.

Dopo il "Bacco", nel 1497, Ludovico Buonarroti, padre di Michelangelo, richiedeva la presenza del figlio a Firenze, si trovava in brutte acque finanziarie a causa della morte della seconda moglie, forse a causa della peste che in quel periodo infestava la città toscana; inoltre a Firenze il cibo scarseggiava, Savonarola era stato scomunicato. quale fosse la ragione, Michelangelo decise di rimanere a Roma. Arrivò un nuovo mecenate, il cardinale Jean de Bilhères-Lagraulas, a Roma nel 1491 a capo di una delegazione inviata da Carlo VIII presso la corte papale. Riario lo nominò governatore di Roma, durante il periodo di sede vacante dopo la morte di Innocenzo VIII e il primo ad essere nominato cardinale da Alessandro VI nel 1493. aveva un titolo in S. Sabina ma era universalmente conosciuto come cardinale di S. Denis (con questo titolo appare nei pagamenti dell'artista). Esso commissionò la "Pietà" per la sua tomba a Roma in S. Petronilla, chiesa cara ai francesi (fu distrutta nel 1520). Era un mausoleo al lato di S. Pietro, rotondo e composto da sette cappelle a raggiera. Il gruppo fu concepito per una nicchia.

In basso, su ogni lato del gruppo, le parti sono sommariamente scalpellate; la parte sinistra si protrae più avanti d quella destra (forse dipende dal punto di vista che doveva avere lo spettatore rispetto alla posizione originale).

Il contratto tra committente e artista è datato 27 agosto 1498, ma la commissione era divenuta effettiva nove mesi prima di questa data, fu questo il periodo che Michelangelo impiegò per trovare il giusto marmo a Carrara e per riuscire a farlo arrivare a Roma. Il cardinale, nella suddetta data pagò cinquanta ducati all'artista. Jacopo Gallo fece da garante. Nel contratto vaniva richiesto inoltre di completare l'opera entro un anno, un gruppo a grandezza naturale raffigurante la Vergine con il corpo del figlio tra le braccia, un episodio che non fa parte della narrazione evangelica ma il momento della Passione di Cristo più rappresentato dagli artisti medievali. Una rappresentazione di origine nordeuropea questa isolata della Vergine con il figlio morto; si sostiene che sia stato il cardinale stesso a scegliere questa soluzione. Nella tradizione la Pietà è scolpita di solito nel legno o nell'alabastro, come piccoli o grandi oggetti di devozione privata.

In quest'opera il dolore è espresso principalmente con il capo reclinato della Vergine, un dolore trattenuto in vista di un più alto proposito. La madre tiene il proprio figlio con la mano destra, ma non tocca direttamente la pelle nuda. Il braccio destro allungato e la mano distesa coinvolgono la spettatore. Il lavoro sul gruppo fu realizzato in un locale affittato appositamente, non più a casa Gallo.

Guardando il gruppo di profilo si nota quanto sia limitata lo spessore rispetto la larghezza, ciò presuppone uno spazio poco profondo al quale era destinato il gruppo, rafforza la teoria della nicchia. Da davanti non si notano questi limiti del blocco, bisogna notare che il braccio sinistro del Cristo premuto contro il corpo della Vergine è quasi intagliato come un rilievo per accorgersene.

L'effetto vigorosamente plastico del gruppo è accentuato del ricco panneggio che scende sulle ginocchia della Madonna (influenza di Verrocchio e Ghirlandaio), esso nasconde l'appiattimento delle forme posteriori (ricorda Donatello con il suo "S. Giovanni Evangelista", scolpito in un blocco poco profondo -Duomo di Firenze).

Nonostante il contratto dicesse che le proporzioni dovessero essere quelle reali, il Cristo è più piccolo della Vergine, un richiamo all'infanzia, quando era sorretto dalle braccia della Madre.

Tecnica scultorea molto raffinata, molto diversa dall'audacia del "Bacco" (tali disparità compaiono già nelle opere di Bologna), ogni particolare è modellato con cura e abbondanza di dettagli. Pochi i segni dell'uso del trapano, infaticabile lucidatura che da al gruppo un particolare splendore della superficie (pensato per risaltare nel locale chiuso e buio di S. Petronilla).

L'opera è firmata, su una fascia sul petto della Vergine è riportato il nome ed è specificata l'origine fiorentina (come lo scultore fiorentino Filerete, che aggiunse su porte in bronzo da lui scolpite, un decennio prima dell'opera di Michelangelo, il proprio nome e <<de Florentia>>), elemento mai più ripetuto nelle sue opere (l'artista aggiunse la propria firma dopo che alcuni visitatori avevano attribuito l'opera a uno scultore lombardo).

La firma di Michelangelo è singolare: MICHAEL ANGELUS BONAROTUS FLORENT FACIEBAT, usa l'imperfetto, rara forma da ricondurre alla cerchia medicea e soprattutto a Poliziano.

Nell'Ottobre e nel Novembre 1498 vi furono altri pagamenti di Bilhères e poi uno più tardi, nel luglio del 1500, dopo la morte del cardinale, avvenuta nell'agosto del 1499, di 232 ducati versati dalla banca senese dei Ghinucci (si è pensato che questo versamento sia collegato al cardinale francese perché gli esecutori testamentari dell'uomo si erano avvalsi della banca Ghinucci per pagare le spese funerarie). Quest'ultimo pagamento indica forse il compimento dell'opera (nel 1550, appena due mesi dopo sarebbe stata iniziata la pala d'altare per S. Agostino a Roma). Potrebbe anche essere che dopo la morte di Bilhères Michelangelo abbia dovuto aspettare del tempo per accordarsi con gli esecutori testamentari.

Bisogna ricordare il curioso pagamento dell'artista del 6 agosto 1499 di 3 ducati a <<Sandro muratore>>, forse fu l'operaio che eseguì la base per il gruppo, se fosse così Michelangelo avrebbe rispettato i tempi di esecuzione.

Durante gli ultimi nove mesi di soggiorno a Roma Michelangelo eseguì un'opera pittorica non riportata da entrambi i biografi e neanche sui documenti. Solo nel1971 vennero scoperti alcuni documenti (annotazioni sui conti dei bancari Balducci) che portarono alla luce tale commissione. Il 2 settembre 1500 egli ricevette il pagamento di 60 ducati ricevuto dai frati agostiniani per un dipinto su tavola per la loro chiesa di S. Agostino a Roma, si è pensato fosse il dipinto su legno del  "Seppellimento di Cristo" che si trova a Londra. Si trova conferma sui libri contabili della chiesa in questo periodo. Nessun documento però specifica il soggetto della composizione. Il dipinto era destinato alla cappella del defunto vescovo di Crotone, Giovanni Ebu, tutto l'abbellimento della cappella ammontava alla cifra di 500 ducati, che provenivano principalmente dalla vendita della casa del vescovo. Diverse persone erano coinvolte nella realizzazione del progetto, anche Jacopo Gallo. E ancora, Bartolomeo de Dossis, noto avvocato in relazione con Riario. Gallo e Dossis si occupavano del reperimento dei fondi per la cappella (fu Riario ad occuparsi della vendita della casa del vescovo). Continua quindi il rapporto con la cerchia che lo introdusse a Roma quattro anni prima e alla stessa zona di Roma (S. Agostino era poco distante dalla casa di Riario e anche la banca dei Balducci si trovava in questa zona). Riario era protettore generale dell'ordine degli agostiniani nel 1483, può essere stato lui a incoraggiare il vescovo di Crotone a scegliere S. Agostino per la proprio cappella (iscrizione sulla facciata riporta la data del 1484) .

Sui conti è riposteti anche il costo della cornice e della doratura di quest'ultima, in tutto 50 ducati, quasi il prezzo pattuito per l'intera opera.

La chiesa e l'adiacente convento in questione era un'importante centro culturale per la città di Roma nel 1500.

Ancora una volta Michelangelo rimandò il suo ritorno a Firenze, in Roma viveva di stenti, come scrive il fratello Buonarroto in visita a Roma al padre. Fu forse Gallo a fare in modo che Michelangelo ricevesse l'intero compenso per l'opera prima ancora di iniziarla, segno della fiducia che riponeva nell'artista.

Nel 1501 Michelangelo abbandona Roma e l'opera in questione, lasciandola incompiuta. Non si conoscono i progetti che possono aver distratto l'artista del completamento di questa tavola. Michelangelo restituì il denaro ricevuto dai frati agostiniani (la restituzione avvenne tra il 1501 e il 1502 in diverse rate, gran parte del denaro fu versato direttamente ad un certo <<Mastro Andrea>>, un artista veneziano morto nel Sacco di Roma nel 1527, che si prese l'incarico di dipingere una tavola per la cappella (del suo dipinto si sono perse le tracce, forse rimosso nel XVII secolo dalla chiesa; la dimensione doveva essere la stessa del dipinto di Michelangelo, per poterla adattare ugualmente alla costosa cornice già pagata). Portò a termine la pala e venne pagato meno del compenso pattuito per Michelangelo. I frati aspettarono qualche tempo prima di cercare un altro artista, forse speravano nel ritorno dell'artista fiorentino, ma questo nel 1501 firmava il contratto per il "David" a Firenze.

La cappella del vescovo di Crotone doveva essere quella subito alla sinistra dell'entrata principale.

Il "Seppellimento di Cristo" sembra compatibile a questa destinazione (la luce proviene da sinistra, come giungesse dal rosone della chiesa e anche le dimensioni sembrano coincidere), ma solo il contratto iniziale con la descrizione del soggetto potrebbe darne la certezza.

Il suo stato non finito, inoltre, spiega la successione dei fatti riportati sui documenti.

Nel 1644 l'opera è segnalata in un inventario della collezione Farnese, da qui la provenienza romana, altro elemento di contatto (non si sa dove si trovasse nel periodo che va dal 1501 alla data appena esposta). Venne poi acquistata da un mercante e poi comprata dalla National Gallery nel 1868.

Sono stati riconosciuti rapporti con il Laocoonte, scoperto solo nel 1506, ma non vi è quella angoscia.

Il corpo di Cristo viene sollevato da tre persone che si accingono a trasportarlo lungo una rampa di scale che conduce alla tomba (non presente nel dipinto). Quindi non è rappresentato proprio il seppellimento, ma il momento precedente del racconto, un motivo singolare... Maria siede a terra sulla sinistra in primo piano, non rivolge l'attenzione alla scena, contempla solo la corona di spine che tiene in mano, non presente nel dipinto ma in un disegno preparatorio.

La scena riporta ad altre opere di artisti fiorentini, ossia il Cristo tenuto in posizione eretta, come quella di Beato Angelico, che al tempo si trovava nella chiesa di S. Marco, vicino al giardino che frequentava Michelangelo, o quella di Rogier van der Weyden, che nel 1492 si trovava nella villa medicea di Careggi.

Rispetto a questi esempi precedenti nel dipinto di Michelangelo vi è un'interpretazione del soggetto più emotivamente contenuta, come nella Vergine della "Pietà" (da notare la figura femminile a destra, con un'espressione di dolore, l'unica tra i personaggi). Rimane il concetto iconografico, anche se il dipinto rappresenta una scena di un racconto, il Cristo è al centro, è elegante pure se glia arti sono abbandonati. Richiama le linee esili e snelle del "Crocifisso" di legno. No vi sono evidenti tracce della sofferenza subita sul corpo nudo. Il corpo è presentato allo spettatore-celebrante, è il

Corpus Domini, l'ostia offerta ad ogni messa. Esplicita immagine di eucaristia, ancor più che nel gruppo in S. Petronilla, un'immagine del tutto appropriata ad essere accolta in una cappella dedicata alla Pietà e in rapporto a S. Agostino, che si adoperò per evocare l'importanza dell'eucarestia.

La luce è quella brillante di mezzogiorno, come in Domenico Ghirlandaio, la quale si ritroverà anche nel "Tondo Doni".

Soggetto di non facile accesso per lo spettatore poco dotto, il motivo del Cristo trasportato sulle scale è veramente singolare.

Incertezza sulle figure che circondano il Cristo, soprattutto per lo stato incompleto: identità più sicura sulla Mater Dolorosa inginocchiata a terra alla sinistra. Si suppone che la figura corposa vestita di rosso sia un giovane S. Giovanni (l'identificazione è suggerita da scritti sul seppellimento, dal tipico colore rosso della veste e dai lunghi capelli). Maggiori difficoltà per la portatrice alla destra. Invece la donna che fa il gesto verso Cristo è probabilmente Maria Maddalena.

I personaggi quindi non sono inconsueti, la Vergine, S. Giovanni, le tre Marie e un vecchio identificato come il ricco Giuseppe d'Arimatea, segreto seguace di Cristo che cede la propria tomba per il seppellimento del maestro.

Dipinto non finito e danneggiato. Olio su tavola, si allontana quindi dalla tempera della "Madonna di Manchester", ora l'equilibrio coloristico è gravemente compromesso.

S. Giovanni ha poco in comune con le rappresentazioni del Quattrocento e con altre dello stesso soggetto dello stesso Michelangelo, qui è molto massiccio, molto plastico. Il Cristo è rappresentato audacemente nudo, la fascia sul petto ricorda lo "Schiavo Morente". La Maria che trasporta è slanciata, questo ideale alto e snello ricorre spesso in Michelangelo nelle opere degli anni trenta di XVI secolo, quindi si è pensato questa figura sia più tarda.

Prima opera della quale sono sopravvissuti i disegni preparatori: ne sono stati messi in relazione un paio che il dipinto, il primo un disegno dal vero di una giovane fanciulla che tiene nella mano sinistra una corona di spine, dettaglio non presente sul dipinto, forse in attesa di essere rappresentata, e chiodi nella destra. Uso della penna in ricordo della bottega del Ghirlandaio (tratteggio incrociato). In un altro disegno una figura nuda, si suppone sia lo studio sul S. Giovanni, ma ribaltato, probabilmente l'artista pensava di porlo a sinistra di Cristo.

Il motivo del Cristo in posizione eretta ritorna spesso nelle opere di Michelangelo (da notarne uno del 1530), lo ritroviamo in alcuni disegni e in alcuni gruppi di Pietà scolpiti da anziano.

Alcune parti del dipinto sono totalmente complete, altre sono invece lasciate in bianco, si pensa che l'artista stesse aspettando la consegna di un costoso colore blu di lapislazzuli per terminarle (colore molto amato dal Maestro).

Prima opera <<non finita>>, inquietante presagio di questa attitudine.

Lasciò Roma improvvisamente, nel febbraio infatti consegna a Gallo una notevole quantità di marmo (serviva per una nuova commissione da parte di Francesco Piccolomini per il Duomo di Siena, un esecutore testamentario di Bilhères). Ricevette un prestito di 80 ducati dal banchiere.

Forse si spostò a Firenze per recuperare un grande blocco offerto dalle autorità del Duomo fiorentino (per il "David").


"Madonna di Manchester" messa in relazione con alcuni quadri di un pittore dall'identità sconosciuta che probabilmente apparteneva alla bottega di Michelangelo, qualitativamente e tecnicamente inferiori al quadro attribuito a Michelangelo. Si è pensato che l'artista fosse Piero d'Argenta, a fianco di Michelangelo negli anni romani, per i numerosi richiami allo stile ferrarese presenti sia in questi quadri che nelle opere di questo artista.

Vi sono testimonianze sia dell'attività di pittore di Pietro d'Argenta sia del suo ruolo di allievo di Michelangelo: nel 1570 a Roma viene messo in relazione con un progetto rimasto nel mistero del maestro, l'idealizzazione di una composizione raffigurante "S. Francesco che riceve le stigmate" per la chiesa di S. Pietro in Montorio. Pablo de Céspedes,nell'anno sopra indicato, sostiene che quest'opera non sia stata prodotta da Michelangelo ma da un certo Piero d'Argenta, allievo o praticante del Maestro, non molto ammirato per lo stile. il Vasari (nella seconda edizione delle vite del 1568) sostiene che Michelangelo fornì il cartone ma che il dipinto fu eseguito da un barbiere-pittore al servizio di Riario: questo è l'anello mancante dell'identificazione di questo membro con il d'Argenta. tuttavia, dopo il fallimento con il "Bacco", Michelangelo avrebbe potuto portare con se una delle tante persone al servizio del cardinale.

Non si hanno notizie certe sulle sembianze di questo dipinto perduto -S. Francesco-, ne rimane solo uno schizzo di padre Sebastiano Resta.

Nel 1594-1609 la tavola con il "S. Francesco che riceve le stigmate" fu sostituito da un affresco con lo stesso soggetto di Giovanni de' Vecchi. Il dipinto sopravvisse alla rimozione per un lungo periodo, visto che Resta ebbe la possibilità di vederlo (1635-1714). Si pensava fosse del Perugino, ma Resta informa che essa fu la prima opera romana di Michelangelo e in stile antico. La pala era orizzontale, lo sfondo era di rocce, il S. Francesco è raffigurato in una vigorosa posa in contrapposto, diverse dalle tipiche rappresentazioni statiche dell'epoca.

Cappella Piccolomini: i due tabernacoli inferiori laterali (nicchie) non possono essere opera di Andrea Bregno, nel 1978 Hirst avanzò l'ipotesi che potessero costituire la prima opera architettonica di Michelangelo. Si nota che le nicchie sono frutto della mente di due differenti artisti, il contrasto tra esse è abbastanza forte per sostenerlo. L'ordine mediano rivela un carattere decorativo mentre l'ordine inferiore (quello in esame) è conforme all'altro ma con linee diverse: all'ordine floreale del Bregno si sostituiscono pilastri scanalati molto finemente. Hirst sostiene che i capitelli a delfino siano proprio un'idea di Michelangelo (tipo molto usato a Firenze nel Tardo Quattrocento). Da osservare un esemplare di questo tipo di capitello di Giuliano da Sangallo, la cui intimità con Michelangelo nella prima decade del XVI secolo è nota.

In un contratto del 1501 venne concessa al Maestro una somma di 500 ducati, si è ipotizzato che questa somma potesse servire per acquistare il marmo sia per le statue che per i tabernacoli. Ma vi è anche un'altra lettura, che esclude quest'ultima: che per ogni statua che egli si impegnava a realizzare prendesse un compenso di 33 ½ ducati, pur non avendo la sicurezza di poterle completare.

Questi tabernacoli inferiori sono molto raffinati, ricordano i motivi decorativi della Sagrestia Nuova in San Lorenzo. I tabernacoli nell'ordine più alto, invece, non si avvicinano ne a quelli presunti di Michelangelo ne a quelli di Bregna.


TECNICA PITTORICA DELLA "MADONNA DI "MANCHESTER"

Sia quest'opera che il "Seppellimento di Cristo" sono importanti fasi dell'evoluzione della tecnica pittorica verso la raffinatezza e quasi perfezione raggiunta con il "Tondo Doni". Tale perfezione ha origine nell'apprendistato nella bottega di Domenico Ghirlandaio. Vi sono infatti diverse somiglianze con le opere di quest'ultimo. Probabilmente Michelangelo passò gran parte del suo apprendistato a imparare le tecniche del disegno, mentre è probabile che gran parte delle sue conoscenze sulla pittura siano state acquisite osservando e assistendo all'esecuzione degli ambiziosi progetti dei Ghirlandaio ( da ricordare che prediliggevano dipingere a tempera) - cappella Tornabuoni, pala dell'Ospedale degli innocenti, Visitazione-. Forse Michelangelo aiutò in qualche progetti, ma probabilmente nelle zone dei panneggi o particolari architettonici. Vi era spesso collaborazione della bottega nelle opere dei fratelli Ghirlandaio, anche se alla fine volevano che apparissero il più possibile omogenee nello stile.

Probabilmente, per le preparazioni di Routine delle tavole, Michelangelo doveva avere un aiutante.

Solida e ben costruita la tavola di pioppo per la "Madonna di Manchester", composta da tre tavole verticale, la centrale più larga. Sul dipinto vi sono crepe e irregolarità sulla superficie. Poco curata la stesura dello strato di gesso per tutti i dipinti su tavola, butterato da tanti piccoli crateri causati dallo scoppio di piccole bolle, forse questa era una pratica sulla quale si insisteva poco nella bottega Ghirlandaio.

La base è molo dura e molto crepata, forse dovuto alla presenza di troppa colla nella miscela. Alcune porzioni presentano scalfitture, la superficie di gesso deve essere stata levigata con qualcosa di abrasivo. Sopra lo strato di gesso vi è un accurato disegno preliminare, i tratti lunghi e fluenti tipici, senza pentimenti, di Michelangelo erano disegnati con un pennello e un colore nero diluito, le pieghe sono disegnate schematizzate, senza ombreggiature. Sotto le zone degli incarnati vi è stato steso un colore verde che non permette di individuare il disegno. Nelle teste degli angeli si è visto che nel disegno preparatorio i lineamenti erano stati tracciati in maniera sommaria ma sufficientemente per sostenere che essi sono assimilati tra loro piuttosto che con il gruppo centrale.

Prima di arrivare proprio al dipinto vi erano molti studi preparatori, vari disegni sia compositivi iniziali che più particolareggiati per alcune parti, un modo di procedere appreso dl processo disegnativi di Domenico Ghirlandaio.

La Vergine di Vienna, che è stata messa in relazione con questo quadro, ha un disegno preparatorio molto diverso, fa dubitare che l'autore abbia avuto a che fare con la bottega Ghirlandaio: infatti i tratti sono interrotti ed esitanti. Inoltre nel tondo di Vienna è l'uso del colore giallo oro della preparazione del gesso. La Pietà Barberini appartiene allo stesso artista, per lo stile e il sotto tono giallo. Inoltre nel caso del tondo di Vienna vi è un ulteriore strato di colla per la pittura ad olio.

Il presunto dipinto di Michelangelo è danneggiato, le zone non dipinte sono sporche e in alcune zone deve essere caduto un liquido.

Il modo di procedere nel dipingere è singolare, alcune parti sono state portate al compimento mentre altre non sono progredite rispetto al disegno preliminare (come le giornate delle pitture a fresco). La risposta risiede nell'uso della tempera ad uovo, che asciuga molto velocemente.

Lunghe pennellate spesse, quasi ovunque furono stesi due strati di colore.

Michelangelo ha cercato di riprodurre il lucido marmo negli incarnati.

Il manto della Vergine è dipinto con pennellate rozze, ma doveva essere un substrato pittorico che doveva essere completato in blu, che doveva essere ordinato da fornitori specializzati, in quanto molto costoso.

È strano che un pittore non mancino inizi a dipingere da destra (anche nel "Giudizio Universale").

La mano della Vergine e il profilo di Gesù sono stati modificati, fu ripassato con bianco di piombo e ridipinto sopra e altri rimaneggiamenti.


TECNICA PITTORICA DELLA "SEPPELLIMENTO DI CRISTO"

Differenza nella tecnica e nell'esecuzione rispetto l'altra tavola dipinta. Si è evoluta, più vicina al "Tondo Doni". Il supporto di legno è stato preparato con cura, anche se vi sono dei difetti nel legno come nodi che sono stati riempiti di stucco. Oltre allo strato preparatorio venne steso uno strato di bianco. Le condizioni del dipinto sono precarie, è stato vittima ,dell'attacco di muffe e funghi, forse perché posto per tanto tempo in un luogo umido. Lo stato non-finito ha incrementato il degrado.

I colori furono diluiti in olio, vi è un uso opaco della pittura ad olio, ossia non vi è la sovrapposizione di colori diversi ma essi vengono miscelati tra loro ancora umidi. Precedenza alla coloritura degli incarnati più che alle vesti, il colore della pelle di Cristo ha una tonalità differente, fredda.

Da tener presente che i colori sono cambiati con il tempo e che ora la visione che ne abbiamo è diversa. Gamma tonale limitata.

Anche qui precedenza agli incarnati, piuttosto che panneggi o particolari paesaggistici.

Alcuni elementi non sono finiti. Varie grane pittoriche e vari livelli di rifinitura tra le diverse parti.

Anche qui Michelangelo probabilmente aspettava il blu di lapislazzuli, per la Vergine.





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