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Nell'impero romano - Fonti cristiane, Le persecuzioni secondo la critica storica

storia



Nell'impero romano

Fonti cristiane

In particolare, nella Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea si elencano le dieci principali persecuzioni contro i cristiani (dieci come le bibliche piaghe egiziane), avvenute sotto i seguenti imperatori:

  1. Nerone (nel 64)
  2. Domiziano (nel 95)
  3. Traiano (tra il 108 e il 112)
  4. Marco Aurelio (nel 177)
  5. Settimio Severo (nel 202)
  6. Massimino il Trace (nel 236)
  7. Decio (tra il 249 e il 251)
  8. Valeriano (tra il 257 e il 258
  9. Aureliano (tra il 270 e il 275)
  10. Diocleziano (tra il 303 e il 304 - la "Grande persecuzione")

Le fonti cristiane sono tuttavia imprecise, avendo come scopo non di raccontare una verità storica, ma di esaltare e mettere in luce la grandezza della propria fede, e vengono spesso contraddette da altre fonti non cristiane. La stessa New Catholic Encyclopaedia nota che: "Gli agiografi antichi, medioevali e degli inizi dell'era moderna, erano inclini ad esagerare il numero di martiri. Poiché il titolo di martire è il più alto a cui un cristiano può aspirare, questa tendenza è naturale". Le stime del numero di cristiani uccisi per motivi religiosi prima dell'anno 313 (data dell'editto di Milano che liberalizzava il culto cristiano, sotto l'imperatore Costantino I) variano molto, a seconda degli studiosi, da un massimo di quasi 100.000 ad un minimo di 10.000, o anche cifre molto minori come da poche centinaia a un massimo di 3.000.



Le persecuzioni secondo la critica storica

Il culto pubblico della tradizionale religione romana era strettamente intrecciato allo stato: fare sacrifici agli dèi e rispettare i riti significava stabilire un patto con le divinità, in cambio della loro protezione. Era facile integrare gli dèi, i riti e le credenze di altre popolazioni in questo sistema, mentre la religione cristiana rifiutava il sacrificio agli dèi tradizionali, ponendosi in tal modo agli occhi dei romani in antitesi allo stato, a differenza dell'ebraismo, accettato da Roma fin dai tempi di Giulio Cesare. Pare comunque che all'inizio i cristiani venissero facilmente confusi con gli ebrei stessi, tanto che Svetonio e Dione Cassio riportano che l'imperatore Claudio (41-54) avrebbe scacciato da Roma i "Giudei" che creavano disordini a nome di "un certo Chresto".

Persecuzione di Nerone. La "prima persecuzione" sotto Nerone nel 64 fu dovuta alla ricerca di un capro espiatorio per il grande incendio di Roma, come viene raccontato dallo storico latino Tacito. Tuttora ci sono opinioni contrastanti sulla loro colpevolezza, ma in ogni caso la loro condanna avvenne in quanto erano stati ritenuti responsabili e non per ragioni di fede: pertanto, non è possibile parlare di "persecuzione dei cristiani", nell'accezione normale del termine.

Persecuzione di Domiziano Sotto la dinastia flavia ebbero forse simpatie cristiane persino personaggi della corte imperiale, come Berenice, principessa ebrea figlia del re Erode Agrippa I , amante delll'imperatore Tito (79-81) e il console Flavio Clemente con la moglie Flavia Domitilla, al seguito di Domiziano (81-96): nel 95 la "seconda persecuzione" consistette nella messa a morte di Flavio Clemente insieme ad Acilio Gabrione, e nell'esilio per Flavia Domitilla, probabilmente non a causa della loro fede cristiana, ma in quanto sospettati di aver ordito una congiura.

Persecuzione di Traiano. La "terza persecuzione" sotto Traiano non ebbe probabilmente mai luogo. In una lettera inviata a Plinio il giovane quando questi era legato nella provincia di Bitinia, l'imperatore dettava le modalità con cui si doveva trattare la "questione cristiana": nessuna ricerca attiva dei cristiani e in caso di denuncia loro condanna solo in seguito al rifiuto di sacrificare agli dei. Un'altra lettera inviata da Adriano al proconsole della provincia d'Asia, stabilisce regole ancora più restrittive, allo scopo di controllare le delazioni.

Un giudizio negativo contro la religione cristiana era tuttavia largamente diffuso: Plinio il giovane la considera nihil aliud quam superstitionem ("null'altro che superstizione").

Persecuzione di Marco AurelioA sua volta la "quarta persecuzione" sotto Marco Aurelio si limitò probabilmente ad alcuni episodi ad opera di autorità locali, quali ad esempio Sant'Ireneo di Lione sebbene non si abbiano precise e attendibili notizie in proposito. Marcia, liberta imperiale e amante dell'imperatore Commodo fu invece di simpatie cristiane (viene citata in merito alla liberazione di papa Callisto I dalla condanna alle miniere (ad metalla) in Sardegna).

Intorno al 178-180 il filosofo platonico Celso scrisse contro la religione cristiana e in difesa di quella tradizionale il Logos arethes ("Discorso della verità"), che conosciamo solo dalla confutazione apologetica polemica che ne fece il teologo cristiano Origene, con la sua opera del 248, intitolata, appunto, Contra Celsum ("Contro Celso").

Persecuzione di Settimio SeveroLa "quinta persecuzione" sotto Settimio Severo consistette nell'emanazione di un editto che vietava a ebrei e cristiani di cercare di convertire nuovi adepti.

Alessandro Severo sembra fosse filo-cristiano: l'Historia Augusta racconta che nel suo larario comparivano insieme ad Apollo e a Orfeo anche Abramo e Cristo. Inoltre sotto il suo impero alle comunità cristiane venne riconosciuta una personalità giuridica (diritto di presentarsi in giudizio e di disporre di beni materiali).

Persecuzione di Massimino il Trace. Sotto Massimino il Trace, Erodiano riporta che per motivi economici l'imperatore spogliò i templi, ma non è conosciuto nessun editto specifico contro i cristiani: una "sesta persecuzione" è forse erroneamente stata identificata con questo provvedimento.

Invece, secondo alcune fonti cristiane, l'imperatore Filippo l'Arabo sarebbe stato addirittura cristiano egli stesso.

Persecuzioni di Decio e Valeriano La "settima persecuzione" sotto Decio, fu inaugurata con un editto del 250 che, nell'ambito del programma di restaurazione religiosa promosso dall'imperatore, ordinò che tutti i cittadini dell'impero offrissero un sacrificio pubblico agli dei o all'imperatore (questa veniva considerata una formalità equivalente ad una testimonianza di lealtà all'imperatore e all'ordine costituito). Decio autorizzò delle commissioni itineranti a visitare le città e i villaggi per supervisionare l'esecuzione dei sacrifici e per la consegna di certificati scritti a tutti i cittadini che li avevano eseguiti. Ai cristiani che si rifiutarono di obbedire all'editto venne mossa accusa di empietà, che veniva punita con l'arresto, l'imprigionamento, la tortura e le esecuzioni. I cristiani scapparono verso rifugi sicuri nelle campagne ed alcuni acquistarono i loro certificati, chiamati libelli.

Poco dopo, l'"ottava persecuzione" sotto Valeriano iniziò nel 257 con un primo editto che imponeva a vescovi, preti e diaconi di sacrificare agli dei, a pena dell'esilio, e proibì inoltre ai cristiani le assemblee di culto. Un secondo editto del 258 inasprì le pene per chi rifiutava il sacrificio e aggiunse la confisca dei beni per i senatori e cavalieri, con un provvedimento destinato soprattutto a rimpinguare le casse statali. Il successore Gallieno concesse a tutti di rientrare dall'esilio e restituì alle chiese i loro beni.

In Nord Africa le gravi persecuzioni della metà del III secolo spezzarono e traumatizzarono le comunità cristiane dell'area, alcune delle quali voltarono le spalle ai membri che avevano temporaneamente abiurato la loro fede a causa delle durezze subite. Diversi concili tenuti a Cartagine discussero fino a che punto la comunità doveva accettare questi cristiani che avevano ceduto alle richieste dei romani, e la questione è ampiamente trattata nelle opere di Cipriano, vescovo di Cartagine.

Alcuni cristiani avrebbero all'inizio accolto con entusiasmo la possibilità di ottenere il martirio: gli scrittori della chiesa cristiana degli inizi si occuparono molto delle condizioni in base alla quali l'accettazione del martirio poteva essere considerato un destino accettabile, o, viceversa, essere considerato quasi come un suicidio. In generale, i martiri erano considerati esempi da seguire della fede cristiana e pochi dei primi santi non furono anche martiri. Nel contempo il suicidio era considerato dai cristiani un grave peccato e veniva associato ad un tradimento della propria fede, l'esatto opposto della "testimonianza" di essa nel martirio: alla maniera di Giuda il traditore, non di Gesù il salvatore. Il Martirio di Policarpo, del II secolo, registra la storia di Quintus, un cristiano che si consegnò alle autorità romane, ma con atto di codardia finì per sacrificare agli dei romani quando vide le fiere nel Colosseo: "Per questo motivo quindi, fratelli, non lodiamo quelli che si consegnano, perché il vangelo non insegna ciò." Giovanni l'Evangelista non accusò mai Gesù di suicidio o di auto-distruzione, ma dice piuttosto che Gesù scelse di non opporre resistenza all'arresto e alla crocifissione.

Persecuzione di Aureliano. Non sembra esservi stata una "nona persecuzione" sotto Aureliano. Durante il suo regno il filosofo Porfirio scrisse un trattato in 15 libri Contro i cristiani, che tuttavia non è giunto fino a noi.

Persecuzione di Diocleziano ("Grande persecuzione")Con una serie di editti sempre più duri, la "decima persecuzione" iniziò nel 303 sotto Diocleziano e fu particolarmente violenta nella parte orientale dell'impero, sotto il dominio del cesare Galerio. Venne sancita la distruzione delle chiese e dei libri sacri e a tutti i cittadini venne richiesto di sacrificare agli dei. La persecuzione terminò nel 311 con l'editto di Nicomedia, emanato dagli allora augusti Galerio, Costantino I e Licinio.

Nel 380 d.C., in seguito ad una strage compiuta dai Goti ai danni dei cristiani, il vescovo di Milano scomunicò l'imperatore Teodosio che non aveva fatto nulla per ostacolare o punire i Goti. Teodosio, cristiano convinto, implorò perdono al Vescovo, che ritirò la scomunica, mentre Teodosio emanò l'editto di Tessalonica con il quale proclamava il cristianesimo religione ufficiale dell'Impero Romano.






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