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L'Età GIOLITTIANA

storia



L'Età GIOLITTIANA

Con l'avvento al trono di Vittorio Emanuele III (1900-1946) la situazione migliorò, in quanto furono chiamati al potere liberali come Zanardelli e Giolitti, rispettivamente alla presidenza del Consiglio e al Ministero degli Interni. Fu proprio la personalità del secondo a permeare i primi anni del nuovo secolo, che da lui presero il nome (età giolittiana). Come ministro degli Interni prima, quindi come capo del governo, Giolitti cercò di applicare la sua convinzione che i movimenti operai e contadini non potessero essere vinti ricorrendo alla repressione e che la stessa nascente borghesia italiana doveva confrontarsi con essi, con i sindacati e con i partiti di ispirazione socialista. Obiettivo di Giolitti era quello di sottrarre le masse contadine e operaie all'influenza delle ideologie rivoluzionarie per integrarle nello Stato liberale. Giolitti si distinse fra tutti i suoi predecessori per il suo atteggiamento nei confronti dei conflitti sul lavoro, combattendo gli scioperi di natura politica, ma quasi favorendo quelli di carattere economico, volti a ottenere aumenti salariali per i lavoratori e, di conseguenza, a stimolare la crescita della domanda interna e della produzione.
L'Italia conobbe una fase di rapida crescita economica, in particolare nel settore industriale, durata sino al 1907, al 252f53c la quale fece seguito una fase recessiva che toccò il suo apice negativo nel 1913. Negli stessi anni, mentre Giolitti tentava inutilmente di fare entrare nell'area governativa i socialisti riformisti di Filippo Turati, si assisté al ritorno dei cattolici alla vita politica: la fine della proibizione per i cattolici di partecipare al voto fu pronunciata nel 1904 da Pio X (succeduto a Leone XIII l'anno precedente) proprio per favorire i candidati liberali e impedire una vittoria socialista nelle elezioni. L'ultima fase dell'età giolittiana coincise col quarto governo presieduto dallo statista liberale (1911-1914) e fu contrassegnata dal varo di importanti riforme, quali quella sull'istruzione elementare, posta sotto il controllo statale, quella che istituiva il monopolio statale sulle assicurazioni sulla vita e quella elettorale: venne introdotto il suffragio universale maschile con l'estensione del diritto di voto anche agli analfabeti che avessero compiuto trent'anni. Contando così su un ampliamento dei consensi per il governo anche a sinistra, Giolitti riprese la politica coloniale, preparando la guerra contro l'impero ottomano per il possesso della Libia (1911-1912), conclusasi con la pace di Losanna che assicurò all'Italia la Tripolitania e la Cirenaica. La guerra ebbe però costi economici altissimi, peggiorando la già difficile situazione finanziaria, e grandi ripercussioni politiche, in particolare per l'affermarsi in seno al Partito socialista delle correnti rivoluzionarie e l'espulsione dei riformisti di Leonida Bissolati.






Giolitti

La storia del Regno d'Italia dall'inizio del XX secolo allo scoppio della guerra mondiale vede la presenza decisiva di una figura politica sopra tutte le altre: quella di Giovanni Giolitti. Si tratta sicuramente di un uomo nuovo che, senza essere rivoluzionario, si distingue sensibilmente da tutti gli altri per la modernità delle idee e la capacità di analisi della realtà. Egli resse (in totale) cinque ministeri, che, tranne l'ultimo, che si colloca dopo la Grande guerra, segnarono un vero e proprio successo della sua politica: il primo fra il '92 e il '93 e i successivi nel Novecento (1903-5, 1906-9, 1911-14). Quando non fu presidente del Consiglio, fu comunque presente in qualità di ministro.
La politica interna di Giolitti fu caratterizzata certamente da una serie di successi verso la democrazia, tanto che, se per Cavour si parlava di stato liberale, ora si può usare la definizione di stato liberal-democratico. La sua attività nell'interno fu caratterizzata da un particolare interesse verso l'aspetto economico, che poi, soprattutto in questo periodo, quello fondamentale. I ministeri Giolitti si collocano infatti all'interno del cosiddetto "decollo industriale" (1896-1913), che richiedeva necessariamente un appoggio da parte della classe politica, volto a favorire l'attività produttiva. Nel primo ministero il governo approvò la statalizzazione delle ferrovie, problema che aveva messo in crisi più di una volta la classe politica, soprattutto quella di Sinistra, per l'opposizione delle sezioni toscane. Ricondurre la gestione delle ferrovie nelle mani dello stato significò rendere possibile una maggior organizzazione del servizio e una sua più accurata manutenzione. Significato profondamente economico ebbe anche la riduzione della rendita nazionale dal 5% al 3.5%, riducendo così gli interessi sui titoli di stato riconosciuti al cittadino-creditore. Questa manovra, estremamente pericolosa, perché i detentori dei titoli avrebbero potuto chiedere la restituzione immediata dei depositi, fu invece un eccellente successo, poiché lo stato poté recuperare facilmente una quantità enorme di denaro. Ma ciò avvenne perché il governo riceveva la fiducia della popolazione, come quest'ultima poté dimostrare in occasiona delle consultazioni elettorali, anche se comunque i creditori dello stato non potevano che essere persone con una certa disponibilità finanziaria, cioè, in definitiva, borghesi. Nel suo terzo ministero, Giolitti mise a segno un'altra manovra economica che era stata proposta già alcuni anni addietro, e cioè la statalizzazione delle assicurazioni sulla vita. Queste, che prima erano gestite da agenzie private, ora diventano monopolio assoluto dello stato, il che significa da un lato vantaggio economico pubblico, dall'altro impossibilità di speculazione da parte di privati. Un ultimo elemento ricorderemo a proposito della politica interna giolittiana, e cioè quello del suffragio "universale". Con questa riforma elettorale, che garantiva diritto di voto a chiunque avesse compiuto i trent'anni di età e fosse di sesso maschile, oltre che a coloro che già rientravano nelle categorie della riforma di Depretis, segna sicuramente il momento culminante della politica democratica di Giolitti. Gli elettori passano improvvisamente da 3-4 milioni a 9 milioni, con vantaggio soprattutto dei partiti cattolico e socialista.
I limiti della politica giolittiana vanno invece individuati nella conservazione e accentuazione del divario tra Nord e Sud, nel disimpegno e disinteresse verso un ammodernamento dell'amministrazione, che permetteva una facile manipolazione da parte del Governo dei prefetti, che a loro volta eleggevano i sindaci. Non va poi dimenticato che l'emigrazione toccò livelli altissimi proprio durante i governi di Giolitti, e che il protezionismo, attuato anche nel primo Novecento, se da un lato favoriva l'economia interna, dall'altro gravava principalmente sulla popolazione più povera.
Le accuse rivolte a Giolitti, sia all'epoca che oggi, sono quelle che lo ritengono responsabile di una politica conservatrice, inerte di fronte ai gravi problemi sociali e fortemente ambigua. Ma questo, che trova la sua sintesi nella nota vignetta pubblicata sulla rivista "L'Asino", fu precisamente nelle intenzioni di Giolitti, che cercò costantemente di barcamenarsi fra le diverse forze politiche, avendo compreso che il potere si può mantenere soltanto basandosi su di un vasto e differenziato consenso. Infine, l'acutezza che Giolitti dimostrò nella comprensione di leggi dell'economia che solo oggi appaiono ovvie, come quella della domanda e dell'offerta, della mobilità dei capitali, della necessità di un certo controllo dei mercati da parte dello stato, fanno di lui sicuramente un personaggio all'altezza dei tempi e della situazione in cui operò.

Periodo giolittiano

Nel 1901, dopo la crisi politico-istituzionale che colpì l'Italia, il presidente del consiglio Zanardelli nominò come ministro degli interni Giovanni Giolitti, il quale diventò poi presidente del consiglio nel 1903. La sua politica influenzò molto la storia del nostro paese, grazie anche alle diverse riforme da lui attuate.
Giolitti era un liberale e cercò di allargare la maggioranza in senso progressista coinvolgendo i socialisti: riuscì ad isolare i massimalisti (per lo più rivoluzionari) e ad integrare i riformisti. Da questo derivò il suo atteggiamento verso i conflitti di lavoro, infatti, egli sosteneva la neutralità delle forze dell'ordine e riconosceva la libertà di organizzazione sindacale; tale comportamento influì sul rafforzamento del movimento operaio e contadino, in particolare con la nascita della Cgl nel 1906. Inoltre, in relazione al problema del lavoro, regolò l'invalidità e la vecchiaia, l'infortunio sul lavoro, l'obbligo del riposo festivo, il lavoro femminile e quello minorile. Sempre in politica interna attuò la monopolizzazione statale delle ferrovie e delle assicurazioni sulla vita e, riforma molto importante, rese universale il suffragio dei maschi che sapevano leggere e scrivere o che avevano frequentato la leva militare.
La politica economica, con l'obiettivo di mantenere un bilancio statale attivo, fu caratterizzata da brillanti successi riguardanti soprattutto lo sviluppo dell'industrializzazione del paese in particolare nel triangolo Milano- Torino- Genova nei settori tessile, automobilistico e dell'acciaio; infatti, il periodo giolittiano è considerato il momento del "decollo" dell'industria italiana. Ma questo "decollo" non avvenne nello stesso modo nel Mezzogiorno e si evidenziò il divario tra Nord e Sud, perciò decise di attuare degli sgravi fiscali nel meridione.
La parte negativa del sistema giolittiano fu però rappresentata dai suoi metodi di governo, che sembravano rinnovare e rafforzare la pratica del trasformismo.
In politica estera Giolitti cercò di eliminare la sottomissione dell'Italia alla Germania, realizzando un progressivo avvicinamento alla Russia e alla Francia, con quest'ultima stabilì un accordo per sfere d'influenza in Africa (Marocco alla Francia e Libia all'Italia); si vennero a creare in questo modo dei problemi con la Triplice Alleanza. Inoltre, per accontentare anche i nazionalisti, riuscì a portare a compimento la conquista della Libia, con la sconfitta della Turchia nel 1911. Con questa guerra però mise in crisi i suoi rapporti con la sinistra, quindi cercò l'appoggio dei cattolici con il "Patto Gentiloni" del 1913; grazie a questo patto i cattolici promisero di votare per lui in funzione antisocialista in cambio di non far passare leggi antiecclesiastiche, come ad esempio quella sul divorzio.
Giolitti lasciò il potere nel 1914 allo scoppio della prima guerra mondiale. Quando ebbe inizio tale conflitto l'Italia si divise in interventisti e neutralisti; Giolitti faceva parte di questi ultimi, egli sosteneva che il nostro paese avrebbe potuto ottenere "parecchi" benefici non entrando nel conflitto (da qui la sua tesi del parecchio).
Sia durante il suo lavoro sia dopo aver dato le dimissioni, a Giolitti furono rivolte diverse critiche in particolare dalla sinistra, dagli scrittori meridionali e dalla destra. I primi due lo consideravano un "ministro della malavita", poiché portò all'estremo il trasformismo e cercava voti anche tra i mafiosi; mentre la destra desiderava che fosse più repressivo nei riguardi delle vertenze di lavoro.
Giolitti rimase al potere per molto tempo, anche se con brevi intervalli di governi di altri politici.
Tenendo in considerazione tutto il suo operato e le critiche rivoltegli, si può affermare che Giolitti è stato molto abile a destreggiarsi nell'intricato mondo politico, ricorrendo a volte a dei metodi non proprio leali come può esserlo il trasformismo. In ogni modo è merito anche delle innovazioni in campo lavorativo e all'appoggio che diede all'industria, se durante il periodo del suo governo, l'Italia ha avuto un decollo economico, ma non dimentichiamo che è stato pagato a caro prezzo dal meridione.
Si può notare la grande importanza che la politica di Giolitti ha avuto ad inizio secolo, anche grazie a come gli storici definiscono il periodo del suo governo: "Italia giolittiana".

Testo a cura de: Il paradiso dello studente





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