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Karl Marx & Friedrich Engels: Manifesto del Partito Comunista - Schema riassuntivo

storia



Karl Marx & Friedrich Engels:

Manifesto del Partito Comunista


Schema riassuntivo:

Il "Manifesto del partito comunista" è una dichiarazione dei principi sui quali si fonda il comunismo e degli obiettivi propri del partito comunista: è ora che i comunisti espongano apertamente a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro scopi, le loro tendenze (pag. 3). Marx inizia sostenendo una concezione che vede la storia come un'incessante lotta tra classi; questo conflitto sociale è sempre esistito fin dall'antichità e nell'epoca moderna, l'era del capitalismo, esso si restringe ad uno scontro tra la borghesia, classe ricca e dominante, e il proletariato, la classe operaia. L'epoca della borghesia si distingue dalle altre per aver semplificato i conflitti di classe. L'intera società si va sempre più scindendo in due grandi cam 111f51b pi nemici, in due grandi classi direttamente contrapposte l'una all'altra: borghesia e proletariato (pag. 6).

Mentre i proletari diventano sempre più poveri ed oppressi, i borghesi cercano nuovi modi per aumentare i loro profitti, per esempio innovando i mezzi di produzione industriali, ma in questo modo non fanno altro che avvicinarsi al momento della loro caduta. Marx sostiene infatti che il proletariato sia destinato a generare una rivoluzione sociale con la quale finirà ogni forma esistente di sfruttamento delle persone e del loro operato. La borghesia produce anzitutto i propri becchini. Il suo tramonto e la vittoria del proletariato sono egualmente inevitabili (pag. 23).



Il partito comunista si propone come portavoce di questa rivoluzione, alleato e guida del popolo oppresso dai capitalisti. A questo punto Marx delinea le misure necessarie a raggiungere l'emancipazione degli operai, proponendo come carattere principale della sua strategia politica l'abolizione della proprietà privata, che lui ritiene essere la causa primaria delle differenze tra classi e, di conseguenza, delle lotte che ne derivano. Ciò che contraddistingue il comunismo non è l'abolizione della proprietà in generale, bensì l'abolizione della proprietà borghese. [...] In questo senso i comunisti possono riassumere la loro teoria in un'unica espressione: abolizione della proprietà privata (pag. 26).

La meta politica finale dei comunisti non si limita soltanto alla liberazione della classe operaia dallo sfruttamento capitalista, ma intende anche evitare che le condizioni per tale sfruttamento si possano ripresentare. Marx sottolinea quindi l'esigenza di porre i mezzi produttivi ed economici nelle mani di uno stato nuovo, controllato e gestito dal proletariato. Solo in questo tipo di regime, dove non esiste la proprietà privata ma solo quella comune, sarà possibile eliminare definitivamente le differenze di classe e le classi stesse. Al posto della vecchia società borghese [...] subentra un'associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti (pag. 37).

Marx elabora inoltre una serie di critiche alle dottrine socialiste dell'epoca (tra cui anche il socialismo utopistico), mostrando i loro errori di pensiero e disapprovando le soluzioni da essi raggiunte.

Il Manifesto infine si conclude con un vero e proprio incitamento all'unità: proletari di tutto il mondo, unitevi! (pag. 57). Questa frase riassume il vero messaggio dell'intera opera: è solo attraverso la collaborazione che i proletari potranno raggiungere la libertà. Il vero successo delle loro lotte no è il successo immediato ma la loro unione (pag.18).








Quali esempi usa Marx per dimostrare che la storia è lotta di classe? (pag. 5-6)


Marx afferma che la società capitalista si è ridotta a due classi in continuo conflitto tra loro: la borghesia e il proletariato. Ma le lotte di classe esistevano già prima di questo tipo di società; in quasi tutte le società del passato era, infatti, presente una divisione sociale. Marx riporta gli esempi dell'antica Roma e del Medioevo: nella prima troviamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; il secondo ha invece una divisione più estesa perché le classi principali (signori feudali, vassalli, mastri artigiani, garzoni, servi della gleba) erano divise a loro volta in una serie di sottoclassi. Secondo Marx oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta (pag. 5). Questo accadeva già nelle epoche antiche; la storia, di conseguenza, non è altro che la narrazione, nell'insieme, di questi conflitti di classe: la storia di ogni società sinora esistita è la storia delle lotte di classe (pag. 5).


Che ruolo ha la borghesia? (pag. da 6 a 14)


La borghesia, composta dai proprietari dei mezzi di produzione e dai loro funzionari, è divisa in tre fasce principali: i proprietari terrieri, legati alla rendita fondiaria; la piccola borghesia, cioè insegnanti, preti, liberi professionisti, impiegati delle amministrazioni, e tutti coloro che svolgono funzioni necessarie al funzionamento dello stato e dell'organizzazione sociale; e la grande borghesia imprenditoriale e finanziaria.

Secondo Marx la borghesia è il prodotto di un lungo processo di sviluppo, di una serie di sconvolgimenti nei modi della produzione e del traffico (pag. 7), cui corrisponde anche un progresso politico. La nascita della borghesia ha avuto un ruolo rivoluzionario nella produzione (sia negli strumenti di produzione, sia nei rapporti lavorativi) e nei rapporti sociali, però non ha contribuito all'eliminazione delle lotte di classe, ma le ha soltanto rese più semplici concentrandole nel contrasto tra le due nuove grandi classi della società moderna: la borghesia stessa e il proletariato. La borghesia è vista da Marx come una piaga della società moderna poiché in luogo dello sfruttamento velato da illusioni religiose e politiche, ha introdotto lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido (pag. 9), risolvendo tutti i rapporti e le relazioni umane in termini di denaro. Non ha lasciato tra uomo e uomo altro legame che il nudo interesse, il freddo "pagamento in contanti". [...] Ha dissolto la dignità personale nel valore di scambio; e in luogo delle innumerevoli libertà faticosamente conquistate oppure accordate, ha posto come "unica" libertà quella di un commercio privo di scrupoli (pag. 8-9).

Inoltre, attraverso lo sfruttamento del mercato mondiale, si arriva ad una dipendenza tra le nazioni; questa dipendenza aiuta la borghesia ad esportare non solo i suoi prodotti, ma anche il suo stile di vita, i suoi metodi di produzione,... costringendo così gli altri paesi a adottarli e a diventare più "civili", cioè borghesi. In questo modo essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza (pag. 11).

Ma a lungo andare, continuando a produrre beni che ormai soltanto i borghesi possono permettersi di acquistare, diventa inevitabile una crisi commerciale causata dalla sovrapproduzione di prodotti; troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio (pag. 14). La borghesia ora non è più in grado di gestire il proprio potere, rassomiglia allo stregone che non riesce più a dominare le potenze degli inferi da lui evocate (pag. 13). L'unico mezzo rimanente per superare la crisi è, in parte, distruggere un gran numero di mezzi produttivi e, in parte, cercare nuovi mercati. La borghesia quindi non fa altro che lesionarsi, distruggersi con le proprie mani. Ma la borghesia non ha soltanto forgiato le armi che le arrecheranno la morte, ha anche generato gli uomini che impugneranno quelle armi - gli operai moderni, i "proletari" (pag. 14).





Che ruolo hanno gli intellettuali? (pag. 19 e 48)


Il proletariato, sebbene povero e senza alcuna possibilità culturale, riceve una piccola parte di educazione, quanto basta per sopravvivere e lottare. Questa educazione gli arriva, nella maggior parte dei casi, proprio dalla borghesia che, in modo diretto o indiretto, gli fornisce la conoscenza necessaria per risollevarsi.

La borghesia infatti, essendo la classe dominante, deve dimostrarsi capace di mantenere il suo primato, e si ritrova perciò in una perenne lotta: con l'aristocrazia, con la borghesia estera e persino con se stessa, ovvero con quei borghesi che si oppongono al progresso industriale. In tutti questi contrasti essa si vede costretta a fare appello al proletariato, a valersi del suo aiuto, trascinandolo nel movimento politico. Essa stessa dunque fornisce al proletariato gli elementi della propria educazione, cioè le armi contro se stessa (pag. 19).

Inoltre, favorendo il continuo progresso dell'industria, la borghesia causa il decadimento di alcuni settori della classe dominante. Questi settori cadono verso il basso fino a toccare il fondo della gerarchia sociale, finendo loro malgrado nella classe dei proletari. Ma queste persone, cresciute e nutrite dalla borghesia, hanno avuto la possibilità di istruirsi nelle scuole borghesi, sono colte e acculturate, e anch'essi procurano al proletariato una grande quantità di elementi di educazione (pag. 19).

Infine, quando la lotta di classe inizia a farsi più marcata, c'è anche chi tra le file della borghesia decide di sostenere la causa del più debole, in questo caso degli operai, facendosi portatore degli ideali di libertà, rivoluzione e rinnovamento propri della fascia popolare. Alcuni credono veramente in questi ideali, e sostengono il proletariato per puro e disinteressato altruismo; altri desiderano porre rimedio alle ingiustizie sociali per assicurare l'esistenza della società borghese. Rientrano in questi gruppi gli intellettuali, i pensatori, gli economisti, i filantropi, gli umanitari, gli apostoli del miglioramento delle condizioni delle classi lavoratrici, gli organizzatori delle società di beneficenza, [...] (pag. 48). I borghesi in questione sono idealisti, cioè coloro che sono giunti a comprendere teoricamente il movimento storico nel suo insieme (pag. 19).


Perché il proletariato è rivoluzionario? (pag. da 15 a 23)


Il proletariato è formato da quelle masse di persone che, liberate grazie a rivoluzioni politiche e sociali dai vincoli feudali, si sono trasferite nelle città e sono state, in parte, assorbite dalle fabbriche. Il proletariato nella società capitalista è quindi il complesso degli operai che percepiscono un salario.

Secondo Marx i proletari costituiscono una vera e propria classe sociale, i cui membri non possiedono mezzi di produzione, sono espropriati del denaro e delle ricchezze che loro stessi producono con il loro lavoro, e sono esclusi dalla partecipazione politica. Nella filosofia della storia marxiana essi hanno però la funzione di mettere fine, con una rivoluzione sociale, al capitalismo, instaurando poi il comunismo.



Il proletariato, diversamente dalle altre classi sociali (i "ceti medi" come il piccolo industriale, il piccolo commerciale, l'artigiano, il coltivatore diretto) che cercano di contrastare la borghesia, è la sola classe "rivoluzionaria" nel vero senso della parola: la sua lotta contro la borghesia comincia con la sua esistenza (pag. 16). Le altre classi, come infatti spiega Marx, non si possono definire rivoluzionarie, ma piuttosto "conservatrici", poiché lottano al solo scopo di sopravvivere, o al massimo "reazionarie", in quanto vorrebbero ritornare ad una società precedente a quella capitalista nella quale i loro guadagni e il loro stile di vita erano migliori.

I proletari invece sono poveri e senza proprietà, non hanno nulla di proprio da salvaguardare, nulla da perdere. Possono impadronirsi delle forze produttive sociali solo abolendo il modo in cui attualmente di esse ci si appropria, e dunque abolendo l'odierno sistema di proprietà nel suo complesso (pag. 21). Questi operai sono visti soltanto come una merce, come strumenti di lavoro. Mentre i borghesi si arricchiscono grazie ai guadagni delle industrie, i proletari ottengono delle condizioni di vita sempre peggiori e diventano, per quanto possibile, ancora più poveri. L'operaio moderno, invece di elevarsi col progresso dell'industria, cade sempre più in basso, al di sotto delle condizioni della sua propria classe (pag. 22). Proprio questa, secondo Marx, sarà la causa della fine della borghesia: perché una classe sociale possa continuare ad opprimerne un'altra, è necessario fornire a quest'ultima almeno una misera condizione di sussistenza; cosa che invece la borghesia non fa nei confronti della classe operaia.

L'unica risorsa dei proletari è unirsi nella lotta per difendere il proprio salario; si arriva così alla formazione di associazioni operaie che a volte operano attraverso sollevazioni popolari e sommosse. Il vero risultato delle loro lotte non è il successo immediato ma la loro unione, che sempre più si diffonde. [...] Le molte lotte locali si centralizzano in una lotta nazionale, una lotta di classe. Ma ogni lotta di classe è una lotta politica (pag. 18). Nascono perciò dei partiti politici organizzati da proletari, grazie ai quali si arriva ai riconoscimenti legali dei diritti e degli interessi degli operai.

E' perciò dal progresso industriale che deriverà l'unione rivoluzionaria della classe operaia mediante le associazioni. Marx afferma infatti che la borghesia, gestendo la società e l'economia in questo modo, sta creandosi da sola le basi per la propria fine, che avverrà proprio per opera dei proletari: lo sviluppo della grande industria toglie quindi da sotto i piedi della borghesia il terreno stesso sul quale essa produce i prodotti e se ne appropria. Essa produce anzitutto i propri becchini (pag. 23).   


Che cos'è la sovrastruttura? (pag. 21)


Il movimento proletario è il movimento autonomo della stragrande maggioranza nell'interesse della stragrande maggioranza. Il proletariato, lo strato più basso della società odierna, non può

sollevarsi, non può ergersi in piedi, senza far saltare in aria l'intera sovrastruttura degli strati che costituiscono la società ufficiale (pag. 21). I proletari sono la forza produttiva dell'intera società, ma sono costretti a guardare dal basso della loro posizione sociale la borghesia che si arricchisce sfruttando il loro lavoro. Questa situazione diviene insostenibile per la classe operaia e si rende quindi inevitabile la nascita di un sentimento generale di protesta contro le condizioni di vita imposte al proletariato. Secondo Marx, quando la classe operaia entra in contrasto con quella borghese e, di conseguenza, con le forme di produzione industriali da quest'ultima create, si determina una situazione rivoluzionaria che deve inevitabilmente andare a travolgere anche la "sovrastruttura". Con questo termine Marx intende probabilmente le espressioni culturali, giuridiche e politiche, e le loro istituzioni, relative alla struttura economica della società e, in particolar modo, della classe dominante.


Perché Marx definisce "scientifico" il proprio socialismo?


Creando un'ampia classe di operai sottopagati, sfruttati e poveri, il capitalismo crea le premesse del proprio superamento, a cui fa poi seguito una società comunista. Marx critica i socialisti "utopisti" e, anche per differenziarsi da loro, definisce il suo socialismo "scientifico", perché secondo lui un'analisi scientifica dell'economia e della società può arrivare a dimostrare che il socialismo è il risultato necessario dell'evoluzione storica. Da queste premesse teoriche, Marx giunge alla conclusione che, nell'epoca dominata dalla forma di produzione capitalista, la classe dei capitalisti sarà eliminata da una rivoluzione organizzata dal proletariato, che abbatterà la società esistente per costituire una società senza classi; ed inoltre dichiara che, dopo la rivoluzione del proletariato sulla borghesia, il socialismo sarà introdotto nella strategia politica di emancipazione della classe operaia e addirittura imposto dagli stessi proletari.

Il socialismo per Marx non è quindi soltanto un ideale, un'utopia da proporre alla parte più illuminata e colta della società, come appunto sostengono i socialisti utopisti, ma è un progetto concreto al quale tutti possono accedere, anche e soprattutto le classi poste più in basso nella gerarchia sociale. Saranno proprio queste infatti che riusciranno, dopo un'incessante serie di lotte di classe, a far cadere il dispotismo borghese mettendo fine  alla società capitalista e a creare una nuova società fondata sui principi socialisti.


Perché Marx definisce "utopisti" gli altri pensatori? (pag. da 50 a 57)


Marx usa il termine "utopisti" per definire e in un certo senso anche criticare quel gruppo di pensatori socialisti che, sebbene siano in grado di delineare un sistema sociale ideale (cioè comunista) da contrapporre a quello capitalistico, non basano il progetto di liberazione del proletariato su un'analisi scientifica delle leggi, della storia e dell'economia. Marx vuole quindi sottolineare l'inadeguatezza di questa filosofia politica che giunge al giusto risultato ma lo consegue attraverso un metodo errato e del tutto privo di fondamenti critici.

I precursori del socialismo, tra cui Henri de Saint-Simon, Charles Fourier e Robert Owen, citati dallo stesso Marx, si trovano in un periodo storico in cui la lotta tra proletari e borghesi è ai suoi inizi, non ancora manifestata in modo evidente. Non trovano perciò il materiale su cui basare in modo critico le loro teorie, poiché il proletariato, ancora poco sviluppato, non è del tutto in grado di riconoscersi come classe a sé stante e di comprendere appieno la propria posizione all'interno della società capitalista. Questo comporta il bisogno, da parte di questi pensatori, di cercare, e spesso creare, le condizioni necessarie per una successiva rivoluzione della classe operaia: in luogo dell'attività sociale deve subentrare la loro personale azione inventiva; in luogo delle condizioni storiche dell'emancipazione, condizioni immaginarie; e in luogo dell'organizzazione graduale del proletariato in classe, un'organizzazione della società escogitata per l'occasione. La futura storia universale si risolve nella propaganda e nella esecuzione pratica dei loro piani sociali (pag. 50). Con i loro progetti vogliono difendere il proletariato in quanto classe più povera e sofferente, ma il loro scopo ultimo è quello di agevolare le condizioni di vita di tutte le classi, anche quelle benestanti. Per questo motivo chiedono l'aiuto e i fondi di cui necessitano per realizzare i loro sistemi ai membri di tutte le classi, prediligendo le classi agiate: [...] per la costruzione di tutti questi strani castelli in aria si appellano alla filantropia dei cuori e dei borsellini borghesi (pag. 53).

Marx li critica duramente anche per un altro motivo: essi sono contrari a qualsiasi azione politica o rivoluzionaria dei proletari, e agiscono soltanto in modo pacifico; si oppongono quindi aspramente a ogni movimento politico degli operai, che secondo loro può scaturire soltanto da cieca miscredenza nel nuovo vangelo (pag. 53). Infatti tentano di raggiungere i loro scopi attraverso la messa in pratica di esperimenti sociali che però inevitabilmente falliscono. Questo va contro i principi di Marx, che, al contrario, sostiene la necessità di movimenti rivoluzionari per rovesciare il potere della classe dominante: i comunisti appoggiano ovunque ogni movimento rivoluzionario contro le condizioni sociali e politiche esistenti (pag. 57).

Inoltre, nella loro idealizzazione della società comunista futura, teorizzano la scomparsa delle lotte di classe, che invece stanno iniziando a delinearsi proprio in questo periodo. Perciò queste stesse affermazioni hanno ancora un senso meramente utopistico (pag. 52). Con l'avanzare del progresso industriale, l'antagonismo tra classe operaia e borghese si fa sempre più evidente, ma i seguaci dei primi pensatori utopisti rimangono aggrappati alle concezioni ormai superate dei loro predecessori; in questo modo si ha il passaggio dai primi utopisti, alla ricerca di un cambiamento radicale all'interno dell'ordine sociale, ai loro successori, di stampo più conservatore: anche se gli autori di questi sistemi erano per molti aspetti rivoluzionari, i loro discepoli formano sempre delle sette reazionarie. [...] Continuano a sognare la realizzazione delle loro utopie sociali, sperimentando qua e là: formazione di singoli falansteri, fondazione di colonie in patria,... (pag. 52). Questi sono solo alcuni esempi dei progetti realizzati per riuscire a risolvere i problemi sociali: Saint-Simon sognava un'organizzazione sociale retta da uomini di scienza e industriali a beneficio dell'intera popolazione; Fourier realizzò i "falansteri", edifici adibiti ad accogliere una comunità di persone la cui vita quotidiana è gestita da un complesso sistema di norme; Owen si impegnò per modificare l'ambiente di lavoro dei propri operai, ottenendo un aumento della produttività e del profitto, e in seguito fondò una comunità modello (New Harmony), in cui i prodotti della terra si sarebbero dovuti distribuire fra i membri, secondo il bisogno di ciascuno. Ma questi, come molti altri esperimenti, finirono per degenerare a caricature degli ideali utopistici.



I pensatori utopisti, alle prese con conflitti di classe ormai inconciliabili ed accaniti, cercano ancora di trovare una via pacifica per risolvere tali controversie, sperimentando e cercando sempre nuove soluzioni, e dimostrando così una fede fanatica e superstiziosa nelle virtù miracolose della loro scienza sociale (pag. 53).


Che cos'è il capitale? (pag. da 27 a 29)


Marx considera capitale i beni produttivi che forniscono reddito, indipendentemente dall'uso da parte del proprietario. Infatti definisce capitale quella proprietà che sfrutta il lavoro salariato e che può moltiplicarsi solo a condizione di creare nuovo lavoro salariato, destinato a sua volta a essere sfruttato (pag. 27). Quindi il capitale esiste quando un ristretto gruppo di persone, quello dei capitalisti, che si identificano nella classe dominante, possiede la maggioranza dei mezzi di produzione, e un gruppo più vasto, quello dei lavoratori, riceve una retribuzione che gli garantisce solo il minimo indispensabile al proprio sostentamento, lavorando perciò a beneficio dei capitalisti. Infatti Marx spiega che il salario corrisponde alla somma dei mezzi di sussistenza necessari a mantenere in vita l'operaio in quanto operaio [...] soltanto per riprodurre la sua nuda esistenza (pag. 28).

Per l'esistenza del capitale è necessario il lavoro di tutti i componenti della società, sia dei proletari sia dei borghesi, poiché il capitale è un prodotto comune e può essere messo in movimento solo con un'attività comune di molti membri della società, anzi, in ultima sostanza, solo con l'attività comune di tutti i membri della società (pag. 27). Ma a differenza del borghese che ha la possibilità di godere del reddito proveniente dalla sua attività, l'operaio contribuisce alla creazione del capitale ma non ne vede i guadagni: l'operaio vive soltanto per accrescere il capitale e vive quel tanto che è richiesto dall'interesse della classe dominante (pag. 28).

Nella società borghese il capitale è "indipendente", poiché fornisce un reddito sicuro ed è libero da ogni vincolo, e "personale", infatti appartiene alle persone in quanto membri della società che collaborano alla sua produzione. Invece "l'individuo attivo", cioè il lavoratore, è "dipendente", dato che lavora subordinato ad un proprietario che provvede alla sua sopravvivenza sebbene in modo minimo, e "impersonale", dal momento che lavora solo per il guadagno altrui senza avere voce in capitolo. Benché il lavoratore abbia una grande importanza dal punto di vista della produttività, e infatti senza di lui non ci sarebbe alcun capitale, le sue condizioni di vita sono mantenute al minimo livello possibile dalla classe dominante, la quale in questo modo tiene in pugno i proletari e allo stesso tempo si arricchisce proprio dal rapporto, svantaggioso per gli operai ma molto proficuo per i capitalisti, tra lavoratore e capitale. La borghesia chiama abolizione della personalità e della libertà l'abolizione di questo rapporto! E ha ragione. Perché si tratta effettivamente di abolire la personalità, l'indipendenza e la libertà del borghese (pag. 28-29).


Che cosa intende Marx per democrazia? (pag. da 35 a 37)


Marx ritiene che il primo passo nella rivoluzione operaia sia l'elevarsi del proletariato a classe dominante, la conquista della democrazia (pag. 35). I proletari devono quindi, attraverso le associazioni operaie e i partiti politici, ottenere un proprio potere politico che gli permetta di togliere dalle mani dei borghesi il capitale e gli strumenti di produzione. E infine tutto il capitale e i mezzi produttivi saranno riuniti sotto il potere dello Stato, che a questo punto si identifica nella vecchia classe operaia, divenuta ora la nuova classe dominante. Con il suo avvento spariranno finalmente le differenze sociali, perciò non ci sarà più una classe che ne opprime un'altra, poiché saranno ormai scomparse le condizioni d'esistenza dell'antagonismo di classe e le classi in generale, e quindi anche il suo proprio dominio di classe (pag. 37). La democrazia teorizzata da Marx è quindi un sistema politico basato sulla sovranità dei cittadini, nel quale le associazioni e i partiti degli operai hanno un potere decisionale basato sull'elezione e sulla votazione a maggioranza e riguardante sia l'attività politica, economica, giuridica e sociale, sia le attività produttive. Al posto della vecchia società capitalista, le cui caratteristiche fondamentali erano la divisione in classi e la perenne lotta tra queste, si arriva ora alla nascita di un nuovo Stato, in cui non ci sono oppressori ed oppressi, ricchi e poveri, ma soltanto uomini di pari dignità sociale e pari diritti, resi tutti egualmente liberi dalla democrazia.


Qual é la sua meta politica finale? (pag. da 25 a 31)


I comunisti lottano per il conseguimento degli obiettivi e degli interessi immediati della classe operaia (pag. 55). Secondo questa affermazione i comunisti sono proletari che agiscono nell'interesse dell'intera classe operaia. I comunisti vogliono far valere i diritti comuni del proletariato indipendentemente dalla nazionalità; essi rappresentano il movimento proletario complessivo, non soltanto a livello locale o nazionale, ma nel suo insieme. In pratica, dunque, i comunisti costituiscono la parte più risoluta, la forza propulsiva dei partiti operai di tutti i paesi (pag. 25).

I loro "scopi immediati" sono il riconoscimento del proletariato come classe, l'abbattimento della supremazia borghese, la conquista di potere politico da parte dei partiti operai,... Tutto ciò è ritenuto possibile da Marx solo attraverso l'eliminazione della proprietà privata: con questo egli non intende l'abolizione della proprietà in generale, bensì l'abolizione della proprietà borghese (pag. 26). Nella società capitalista l'unica proprietà esistente è infatti quella borghese, in quanto tutte le altre sono già scomparse. Marx stesso afferma: la proprietà del piccolo borghese o del piccolo contadino [...] non abbiamo bisogno di abolirla; l'ha già abolita e continua ad abolirla giorno dopo giorno lo sviluppo dell'industria (pag. 27). I comunisti non vogliono quindi abolire la proprietà acquisita col lavoro, frutto della propria fatica, quella proprietà che costituirebbe il fondamento di ogni personale libertà, attività e indipendenza (pag. 26-27), poiché questo tipo di proprietà non esiste più. Esiste soltanto la proprietà dei borghesi, dei ricchi, che non ha nulla a che vedere con la fatica e il lavoro. Anzi, questa proprietà si basa necessariamente proprio sulla mancanza di proprietà per la grande maggioranza della popolazione. Quindi parlare di "abolizione della proprietà borghese", in una società capitalista, si traduce in "abolizione della proprietà privata". Voi ci rimproverate di voler abolire la vostra proprietà. E' vero: è quello che vogliamo (pag. 29).

Il progetto comunista non si ferma all'abolizione della proprietà privata ma, partendo da questa, vuole arrivare all'eliminazione dello stesso borghese in quanto persona, con le sue concezioni borghesi della libertà, della cultura, del diritto,... A questo proposito Marx si scaglia con forza contro i borghesi: dal momento in cui la proprietà personale non può più tradursi in proprietà borghese, da quel momento, voi dite, è soppressa la persona. Voi ammettete, dunque, che per persona non intendete altro che il borghese, il proprietario borghese. Ebbene, questa persona deve effettivamente essere abolita (pag. 29-30).


Quali misure si dovranno prendere per instaurare la nuova società? (pag. da 35 a 37)


Il proletariato, riconosciuto come classe sociale, deve iniziare la lotta per la propria liberazione dall'oppressione borghese attraverso l'unione in associazioni e, in seguito, in partiti politici, allo scopo di ottenere il riconoscimento legale dei propri diritti. Può così servirsi del potere politico acquisito per levare alla borghesia tutto il capitale e per ottenere il monopolio degli strumenti di produzione, diventando la classe dominante. Marx ritiene che si possa arrivare a queste premesse solo attraverso l'abolizione della proprietà privata e l'utilizzo di altre misure rivoluzionarie che appaiano agli occhi della borghesia come innocue ed inefficaci ma che però, nel corso del movimento, spingono al di là di se stesse e risultano inevitabili come mezzi per rivoluzionare l'intero sistema di produzione (pag. 36).



Marx compila una vera e propria lista di queste misure, che si differenziano da un paese all'altro, ma nella maggior parte dei casi, o almeno nei paesi più progrediti, si possono ridurre essenzialmente a dieci:

La classe operaia si appropria delle terre e adopera le rendite fondiarie che gli provengono da queste per le spese dello Stato.

Crescita progressiva delle imposte.

Soppressione del diritto di successione delle terre, secondo il quale le proprietà terriere, alla morte del legittimo possessore, passano automaticamente agli eredi.

Sottrazione delle proprietà agli immigrati politici e ai ribelli insorti contro l'autorità.

Concentrazione di tutto il capitale sotto il controllo dell'autorità statale tramite la sorveglianza di una banca centrale che possieda il monopolio nazionale esclusivo.

Imposizione del controllo statale ai mezzi di trasporto.

Incremento degli impianti industriali nazionali e degli strumenti di lavorazione nazionali; attività di dissodamento e affinamento dei terreni incolti per renderli produttivi e adatti alla coltivazione, secondo l'interesse collettivo della società.

Imposizione del lavoro obbligatorio per tutti i membri della società; fondazione di "eserciti industriali", da impiegare soprattutto nell'attività agricola.

Unione dell'attività agricola e industriale, al fine di eliminare il contrasto presente tra città (zona industriale e urbana) e campagna (zona agreste).

Insegnamento scolastico accessibile a tutti i bambini gratuitamente; soppressione dello sfruttamento del lavoro minorile all'interno degli impianti industriali, dove le pessime condizioni lavorative sono causa di pericolo per la vita degli operai;... 

Durante questa evoluzione sociale le differenze di classe a poco a poco scompaiono, fino a quando il potere pubblico perderà il suo carattere politico (pag. 37). Il potere politico in questo caso è inteso come il potere acquisito da una classe per dominarne un'altra. Il proletariato quindi, arrivato alla posizione di classe dominante, crea un rapporto di completa parità tra le classi; cessano perciò di esistere le condizioni fondamentali per la sopravvivenza di un antagonismo di classe, ossia il dominio di una classe su di un'altra e l'esistenza stessa delle classi sociali. Terminata l'era della società borghese, subentra un'associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti (pag. 37), una nuova società senza più alcuna distinzione di classe.


Qual è il metodo che i comunisti devono usare per raggiungere i loro scopi? (pag. 57)


I comunisti devono impegnarsi a sostenere ed organizzare all'interno delle associazioni operaie ribellioni e sommosse per abbattere il potere borghese. L'unica via possibile per ottenere condizioni di vita migliori non è, infatti, secondo Marx, quella pacifica, come predicavano i socialisti utopisti, bensì quella della rivolta violenta. In una parola, i comunisti appoggiano ovunque ogni movimento rivoluzionario contro le condizioni sociali e politiche esistenti [...] Essi dichiarano apertamente che i loro obiettivi possono essere raggiunti soltanto con il rovesciamento violento di tutto l'ordinamento sociale finora esistente (pag. 57).

Devono inoltre ribadire, come punto fondamentale del piano comunista, l'abolizione della proprietà privata, in quanto proprietà borghese, e metterla al centro delle manifestazioni e dei movimenti, come scopo ultimo ma allo stesso tempo anche come premessa per la creazione della nuova società comunista. Secondo il pensiero di Marx, infatti, non può esistere una società democratica ed egualitaria per tutti senza che prima sia stata soppressa la proprietà, causa primaria delle differenze tra classi. In tutti questi movimenti essi mettono in risalto, come questione fondamentale del movimento, la questione della proprietà, più o meno sviluppata che sia la forma da essa raggiunta (pag. 57).

E' necessario anche sollecitare i partiti politici democratici, le associazioni e i moti operai ad unirsi in un grande movimento popolare contro il nemico comune: la borghesia o, meglio, il capitalismo. Solo attraverso l'unione, i proletari possono riuscire a conquistare il riconoscimento dei loro diritti e ad ottenere salari maggiori, condizioni lavorative e sociali migliori,... A questo si riferisce Marx nell'ultima frase del Manifesto: Proletari di tutti i paesi, unitevi! E' un incitamento ad unirsi, guardando al di là delle differenze nazionali. Non ha nulla a che vedere con la patria. Lo stesso Manifesto ne è un esempio: i comunisti delle nazionalità più diverse si sono riuniti a Londra e hanno redatto il seguente manifesto che viene pubblicato in lingua inglese, francese, tedesca, italiana, fiamminga e danese (pag. 3). Marx vuole incitare ad un'unione che ha come unico fattore accomunante la propria situazione, uguale per tutti, di operaio, di persona sfruttata dai tiranni borghesi. Se è però ancora lecito parlare di persona, essere umano nel reale senso di questo termine: Marx in persona scrive che l'assenza totale di cultura ed educazione è per la stragrande maggioranza degli uomini il processo di trasformazione in macchina (pag. 30). Un processo che nella società capitalista trova un ampio terreno di diffusione.

Nella situazione in cui si trovano i proletari, degradati ed oppressi ogni giorno di più, l'unica necessaria salvezza è l'unione. Un operaio da solo, per quanto grandi e rivoluzionarie siano le sue idee, non può fare nulla; rischia soltanto di essere schiacciato da chi, nella gerarchia sociale, sta qualche gradino più in alto di lui. Invece un gruppo unito, una massa di persone, spinte da ideali di libertà, guidate da qualcuno che abbia le idee e i mezzi giusti, e pronte a rivoltarsi da un momento all'altro, rappresentano un enorme pericolo per i signori borghesi. Tremino pure le classi dominanti davanti a una rivoluzione comunista (pag. 57). E avrebbero ottimi motivi per "tremare": i proletari, uniti, e decisi a riappropriarsi di ciò che appartiene loro, sono fuori da ogni controllo e disposti a qualsiasi cosa. I proletari non hanno nulla da perdervi fuorché le loro catene. E hanno un mondo da guadagnare (pag. 57). Il comunismo è la scintilla che può far scoppiare la rivoluzione. E sebbene tutte le potenze della vecchia Europa [...] si sono unite in una crociata e in una caccia spietata (pag. 3) contro di esso, finché lo "spettro del comunismo" continuerà ad aggirarsi per l'Europa, i capitalisti avranno motivo di tremare.

























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