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IL NAZISMO E I REGIMI FASCISTI - LA GERMANIA NAZISTA

storia



IL NAZISMO E I REGIMI FASCISTI


LA GERMANIA NAZISTA


La crisi economica tedesca e la disgregazione della repubblica di Weimar


In Europa si andarono accentuando le spinte reazionarie, fondate sul nazionalismo più esasperato e disegnate sul modello del fascismo italiano. Gli effetti della crisi statunitense si abbatterono con particolare durezza sulla Germania, dove la questione irrisolta delle riparazioni di guerra fu improvvisamente aggravata dal rapido esaurirsi dei prestiti internazionali e dalla paralisi del commercio estero. Gli storici sono concordi nel ritenere che proprio sulle potenzialità di una ripresa economica si giocassero le possibilità di sopravvivenza della repubblica di Weimar, minacciata al suo interno dalle spinte autoritarie dell'estremismo nazionalistico. La grande crisi accelerò la disgregazione della repubblica e le forze che la guidavano, in primo luogo dei socialdemocratici e dei cattolici del Zentrum, che sempre più si dimostravano incapaci di promuovere efficaci politiche anticrisi. Si aprirono così notevoli spazi per l'estremismo di destra, e in particolare per il Partito nazionalsocialista guidato da Adolf Hitler.




L'ascesa al potere del Partito nazista


Nel 1932 i nazisti conseguirono un grande successo elettorale. Il 30 gennaio 1933 il presidente della repubblica Hindenburg incaricò Hitler di formare il nuovo governo.

Nella notte del 27 febbraio un atto terroristico oscuro, l'incendio del palazzo del Reichstag, il parlamento tedesco, la cui responsabilità fu addossata ai comunisti, fornì ai nazisti il pretesto per scatenare una sanguinosa repressione contro le opposizioni. Il giorno dopo furono limitati i diritti civili e fu ripristinata la pena di morte per i crimini contro la sicurezza dello stato.

Nelle nuove elezioni, i nazisti ottennero il 43,9% dei voti: subito gli 81 deputati comunisti appena eletti furono espulsi dal parlamento; la stessa sorte toccò ai deputati socialdemocratici e a quelli del Zentrum. Il 24 marzo il parlamento votò i pieni poteri a Hitler, rinunciando a esercitare il potere legislativo.


La base sociale del nazismo: ceti popolari e ceti medi


L'ascesa al potere del nazismo fu resa possibile dall'appoggio dichiarato che gli garantirono le caste militari e la grande borghesia industriale e agraria. Ma il Partito nazista dovette la sua vittoria anche al fatto di essere un'organizzazione politica nuova, che raccoglieva nelle proprie file quelle categorie appartenenti agli strati medio-bassi, estranei alla cultura e alle ideologie della socialdemocrazia e del movimento operaio e sindacale. Gli operai dequalificati, insieme agli impiegati pubblici e privati, costituivano la categoria sociale più numerosa del partito.


La dottrina del nazismo e il consolidamento dello stato totalitario


Il 30 giugno del 1934, in quella che passò alla storia come la "notte dei lunghi coltelli", Hitler fece massacrare i capi dell'ala sinistra del partito. Successivamente aggiunse alla carica di cancelliere quella di capo dello stato, in seguito alla morte di Hindenburg, e di capo supremo delle forze armate, assumendo il titolo di "führer", cioè "capo carismatico".

Nel 1934 i partiti politici vennero sciolti e tutti gli avversari del regime subirono violenze di ogni tipo, spesso concluse con assassinii o deportazioni nei campi di concentramento. Le SS ( Shutz-Staffeln), i reparti militari di difesa del Partito nazista e la Gestapo, la polizia politica, seminavano terrore con azioni di inaudita ferocia. Molti oppositori cercarono scampo all'estero; tra questi figuravano centinaia di esponenti del mondo culturale, come per esempio Albert Einstein e Thomas Mann. La messa al bando delle loro opere fu avviata con l'immenso rogo dei libri proibiti del maggio 1933, con il quale il ministro del Reich per la cultura e la propaganda Joseph Goebbels procedette alla distruzione simbolica delle culture avversarie.


La persecuzione antiebraica


La dottrina hitleriana esaltava il nazionalismo e la superiorità genetica - fisica e intellettuale - della razza ariana, di cui i tedeschi sarebbero stati i più puri rappresentanti. Hitler proclamava la necessità di assicurare al popolo tedesco lo "spazio vitale" che gli spettava mediante un vigoroso espansionismo verso oriente e soprattutto verso la Russia. Secondo Hitler una delle minacce più gravi alla purezza della razza ariana e all'integrità e alla potenza della Germania era "l'infezione ebraica". Questa concezione si tradusse in una serie di azioni persecutorie ai danni dei cittadini ebrei. I motivi razzisti celavano motivazioni di natura economica. Infatti la grande industria tedesca aveva bisogno di denaro e le banche erano in gran parte controllate da ebrei; inoltre molti proprietari terrieri che avevano ipotecato i loro beni avevano creditori ebrei: l'eliminazione degli ebrei avrebbe dunque risolto i problemi di entrambe queste categorie. Inoltre Hitler, facendo leva sui pregiudizi che vedevano negli ebrei gli oscuri manovratori dell'economia e della finanza, additò i cittadini di cultura e religione ebraica come i responsabili delle ripetute crisi economiche che continuavano ad affliggere la Germania.

Con le leggi di Norimberga del settembre 1935 gli ebrei furono esclusi dal diritto di voto e dagli impieghi pubblici, dall'esercizio di professioni liberali, dal commercio, dalle banche, dall'editoria. Si proibivano inoltre i matrimoni "misti" tra ebrei e tedeschi e si dichiaravano nulli quelli già celebrati. Dal 1938 la persecuzione contro gli ebrei divenne ancora più brutale e sistematica. Si diffuse la pratica della "arianizzazione" dei beni ebraici, sostanzialmente il sequestro dei patrimoni appartenenti a ebrei, a favore del Partito nazista. Nella notte tra il 9 e il 10 novembre (la "notte dei cristalli") di quell'anno in Germania si svolse poi la più dura e violenta manifestazione di antisemitismo che l'Europa avesse visto.




I campi di concentramento e di sterminio


I campi di concentramento fecero la loro comparsa quasi contemporaneamente alla presa del potere da parte dei nazisti. I primi lager, infatti, furono installati già nel 1933 per rinchiudervi i dissidenti politici. Quando la gestione dei campi passò dalle SA alle SS, la macchina concentrazionaria fu organizzata in modo più sistematico e scientifico. Il prima campo di Dachau fu ampliato e a esso si aggiunsero Buchenwald, Auschwitz e numerosi altri. Secondo calcoli approssimativi, durante l'intero arco del regime nazista furono deportati nei lager da otto a dieci milioni di individui; di questi oltre il 90% furono uccisi, soprattutto dopo che Hitler varò la "soluzione finale" ordinando lo sterminio sistematico di tutti gli ebrei. Per questo furono allestiti veri e propri campi di sterminio, come quello famigerato di Treblinka, sorta di agghiaccianti fabbriche della morte che servivano esclusivamente all'uccisione in serie mediante esalazioni di gas letali. In questo senso è possibile distinguere (ma la distinzione è talvolta molto sottile) fra campi di concentramento e di lavoro e campi di sterminio.




Il lager, modello estremo dello stato totalitario


Il lager era parte integrante della concezione nazista dello stato.  Esso non serviva soltanto alla distruzione dell'avversario o alla sua riduzione a schiavo, ma anche a riprodurre il terrore come strumento di potere, rassicurando nel contempo chi, dando la sua piena adesione al regime, riteneva di non correre rischi, anzi si sentiva protetto: era insomma il simbolo di quella "schiavitù degli inferiori". Il lager rappresentava inoltre il perfetto modello della società totalitaria spersonalizzata e organizzata sulla base di un sistema disciplinare integrale in cui ogni norma è costituita dalla pura volontà dei detentori del potere.

Ogni categoria in cui sono suddivisi i prigionieri è individuata da un contrassegno visibile e collocata in un preciso gradino della struttura gerarchica; a ogni livello di status corrisponde addirittura un luogo fisico in cui i prigionieri sono alloggiati e da cui non possono uscire.

Alla base della piramide stavano gli ebrei (distinti da una stella o da un triangolo giallo), venivano poi gli zingari e gli omosessuali (triangolo rosa), quindi i cosiddetti asociali, cioè gli emarginati e i disoccupati (triangolo nero); seguivano i politici (triangolo rosso), accanto ai sacerdoti e ai testimoni di Geova (triangolo viola). In cima alla piramide, infine, stavano i criminali comuni (triangolo verde), detenuti tedeschi ai quali le SS affidavano generalmente il compito di mantenere la disciplina (i cosiddetti kapò) fra i prigionieri, compito che essi eseguivano solitamente con spietata brutalità. Alle SS spettavano le esecuzioni esemplari.



Controllo sociale, dirigismo economico, espansionismo politico


Queste spietate repressioni rappresentavano il modello sociale e ideologico su cui si andava configurando il regime nazista, un regime totalitario che puntava all'assoggettamento completo e permanente degli individui e della società civile. Uno degli strumenti fondamentali di questo tentativo di controllo totale fu l'educazione. La scuola, le letture, gli svaghi dei giovani erano finalizzati alla formazione di una gioventù devota al regime, perfettamente indottrinata e, nel caso dei maschi, inquadrata in formazioni paramilitari come la "gioventù hitleriana", che raccoglieva tutti i ragazzi dai 10 ai 18 anni. In queste organizzazioni il tempo libero si trasformava per i maschi in addestramento premilitare e per le femmine in preparazione alla maternità e alla procreazione, cioè alla continuità della razza.

Vennero eliminati tutti gli organismi di rappresentazione sindacale, sostituiti dal "fronte del lavoro" che comprendeva datori di lavoro, operai e impiegati. Attraverso una accentuata politica di riarmo, venne sostenuta la ripresa produttiva dell'industria pesante. Una simile politica economica non poteva non avere ripercussioni sulla politica estera, non solo perché il riarmo della Germania era proibito dagli accordi di pace siglati a Versailles, ma soprattutto perché costituiva le basi di un minaccioso e aggressivo espansionismo. Già nel 1933 la Germania era uscita dalla Società delle nazioni e, circa un anno dopo, un gruppo di nazisti austriaci e tedeschi, con un colpo di mano a Vienna conclusosi con l'assassinio del cancelliere austriaco Dollfuss, tentò (senza riuscirvi) di rovesciare il governo austriaco per inglobare l'Austria nella "grande Germania".









L'AFFERMAZIONE DEI FASCISMI IN EUROPA


L'Austria dalla dittatura di Dollfuss all'annessione al Reich tedesco


Il totalitarismo nazifascista e il riformismo rooseveltiano hanno rappresentato due modelli opposti di superamento dei gravi effetti economico-sociali della grande crisi.

La soluzione totalitaria di matrice fascista, fondata sul dirigismo economico dello stato, sulla soppressione violenta della democrazia politica e sulla subordinazione di tutti gli interessi sociali risultò vincente in gran parte del continente. L'Austria conobbe già nell'immediato dopoguerra il rapido sviluppo di organizzazioni paramilitari di orientamento nazionalista e antisocialista. Non mancavano i movimenti che si richiamavano esplicitamente al fascismo italiano (Heimwehr); tali movimenti vissero il loro momento di massima espansione quando furono utilizzati dal governo per reprimere nel sangue la rivolta operaia di Vienna. Con la crisi economica, la crisi politica austriaca precipitò verso una soluzione di tipo marcatamente autoritario. Eccone alcune fondamentali tappe:

Nelle elezioni del 1930 la destra estrema uscì nettamente rafforzata; nel maggio dello stesso anno i dirigenti delle Heimwehr giurarono di trasformare il sistema politico in un sistema corporativo autoritario; nel 1931 fu tentato un colpo di stato; nel 1932 il Partito nazionalsocialista austriaco ottenne alle elezioni amministrative il 16,4% dei voti. In quello stesso anno, divenne cancelliere Engelbert Dollfuss, leader dei conservatori cattolici, che aveva fondato il Fronte patriottico, in cui erano confluiti anche i nazionalisti e i gruppi più apertamente fascisti. Il Fronte perseguì energicamente una politica autoritaria basata sul ridimensionamento delle libertà democratiche e sulla repressione dell'opposizione socialista e sindacale. Dollfuss si oppose però alla "nazificazione" dell'Austria, reclamata dalle componenti più estremiste del Fronte patriottico e dal Partito nazista austriaco, giungendo persino a sciogliere le organizzazioni naziste sorte in tutto il paese. Si aprì così un duro conflitto con Hitler. Dollfuss perse progressivamente l'appoggio dei gruppi più reazionari, finchè nel luglio 1934 alcuni nazisti austriaci organizzarono un colpo di stato che, seppur fallito, costò la vita al cancelliere. Gli successe Schuschnigg, che accentuò gli elementi dichiaratamente fascisti del regime, tentando però di mantenersi indipendente dalle esperienze italiane e soprattutto tedesche. Nel marzo 1938, con un'improvvisa invasione militare, Hitler procedette all'annessione dell'Austria al Terzo Reich.


L'Ungheria, il regime controrivoluzionario Di Miklòs Horthy


Per tutto il periodo tra le due guerre, l'Ungheria fu governata da un regime autoritario presieduto dall'ammiraglio Miklòs Horthy. Esso si caratterizzò per una legislazione antisemita che limitò pesantemente i diritti civili e le possibilità di lavoro degli ebrei. Gli effetti della grave crisi economico-sociale spinsero verso una più marcata fisionomia fascista il regime antidemocratico di Horthy, che affidò la carica di capo del governo a Gyula Gombos. Razzista antisemita nonché sostenitore del corporativismo, Gombos entrò in rapporti con Mussolini e Hitler e legò progressivamente il suo paese alla Germania nazista. Nel 1936 fu colto da improvvisa morte, ma l'indirizzo politico che aveva fatto dell'Ungheria uno stato vassallo della Germania non venne abbandonato. Fu anzi accentuato, per il progressivo affermarsi di movimenti nazisti come quello delle Croci frecciate.





IL FASCISMO FUORI DALL'EUROPA


I caratteri autoritari del sistema politico giapponese




In tutta la storia del Giappone moderno sono presenti tratti autoritari. Lo sviluppo dell'industria e la modernizzazione del paese furono infatti promossi dalle antiche classi dirigenti aristocratiche. E' evidente che, con questo modello di sviluppo, non potè verificarsi una trasformazione in senso democratico del sistema politico. La Costituzione nipponica (promulgata sulla falsariga di quella tedesca) concentrava tutto il potere nelle mani dell'imperatore e affidava al parlamento un ruolo subalterno. A questo si aggiungeva il potere dell'esercito, sottoposto alla sola autorità del sovrano. I militari formarono una fitta rete associativa, che operava soprattutto nelle campagne, finalizzata alla formazione del consenso tra le classi rurali mediante l'esaltazione delle tradizioni guerriere e dei valori militaristi e nazionalisti. Fu questa la base ideologica che sorresse l'espansionismo coloniale giapponese e soprattutto le spinte ricorrenti alla conquista della Cina.


Il nesso fra crisi economica, espansionismo e svolta autoritaria


Anche l'economia giapponese venne colpita duramente dalla crisi del capitalismo occidentale. L'estensione su scala mondiale del protezionismo chiuse molti sbocchi alla sua produzione, destinata in misura notevole all'esportazione. La crisi economica fu quindi un fattore decisivo della ripresa della pressione imperialistica sulla Cina, dal momento che si proponeva di allargare lo spazio di mercato dell'economia nazionale.

Nel 1931 le armate giapponesi invasero la Manciuria, che divenne così lo stato fantoccio del Manchukuo (Pu Yi, deposto dal Kuomintang nel 1911). La Manciuria divenne perciò un nuovo mercato per i prodotti manifatturieri giapponesi, nonché la principale testa di ponte per avviare la conquista della Cina. La guerra contro la Cina fu dichiarata nel 1937, mentre a Nanchino veniva instaurato il governo repubblicano di Chiang Kai-shek.

La situazione precipitò con l'assassinio del primo ministro, che spinse l'imperatore a ridimensionare ulteriormente il peso dei partiti e ad affidare di fatto la guida del governo ai militari e alle alte burocrazie dello stato. In seguito, un colpo di stato militare (seppur formalmente sventato) accentuò il carattere totalitario del regime. Infine si procedette allo scioglimento di tutti i partiti politici salvo uno, l'Associazione per il sostegno del governo imperiale, dominato dai militari, in cui si riconobbero pienamente le tradizionali classi dirigenti del paese.


Populismo autoritario e nazionalismo neofascista in America latina


Le distorsioni che la crisi introdusse nel commercio mondiale ebbero effetti particolarmente drammatici sui sistemi economici basati quasi per intero sulle esportazioni di materie prime e di derrate agricole. Era questo il caso di molti paesi dell'America latina. Questo portò alla formazione di nuovi movimenti politici nazionalisti e populisti a un tempo, nei quali convenivano frammenti ideologici di matrice laburista e marxista e istanze antidemocratiche dichiaratamente fascisteggianti. In Brasile queste tendenze si espressero a livello più elevato, dando vita a un'esperienza politica destinata a segnare profondamente la storia del paese e a costituire un modello di riferimento che ebbe largo seguito in tutto il subcontinente. La crisi fece saltare le basi materiali su cui si fondava il governo oligarchico dei grandi proprietari produttori del caffè. Esso venne travolto da un possente movimento interclassista, egemonizzato dalle classi medie e dai militari e guidato da Getulio Vargas, che nel 1930 assunse la presidenza della repubblica. Rapidamente emersero i connotati autoritari del regime, con la spietata repressione con cui si tentò di liquidare l'opposizione comunista prima e liberale poi, fino all'annuncio nel Novembre del 1937 della creazione di un estado novo, un regime dittatoriale simile a quello portoghese. Del tutto simile al varghismo fu il velaschismo in Equador. Josè Maria Velasco Ibarra, eletto per la prima volta presidente della repubblica nel 1933 dominò la vita politica equadoregna. A questi due movimenti si ispirò in Argentina il partito dei colonnelli. Questo movimento populista e giustizialista era capeggiato da Juan Domingo Peron, militare di carriera di dichiarate simpatie fasciste, che nel 1945 divenne presidente della repubblica. Peron per 10 anni, sino al 1955, guidò un governo autoritario, promotore, però, di una politica sociale di avanguardia, che gli valse l'appoggio delle masse lavoratrici. L'evoluzione del sistema politico messicano tra la fine degli anni 20 e la prima metà dei 30 affonda le sue radici negli stessi processi sociali, economici e culturali che alimentarono il populismo autoritario latino americano. L'uomo politico che impressionò questo difficile decennio fu Plutarco Elias Calles. Egli dette vita a un regime dominato dai militari nel quale convissero sia il populismo ruralista della rivoluzione, che portò alla realizzazione della riforma agraria e di un programma di istruzione delle masse popolari, sia motivi nazionalistici che spinsero il governo messicano a entrare in rotta di collisione con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, effettivi padroni dell'economia messicana, sia una crescente simpatia per il totalitarismo militarista del fascismo europeo.








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