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Cibi Transgenici: Sei quello che mangi sai quello che mangi?

igiene




Cibi Transgenici:

Sei quello che mangi... sai quello che mangi?


Scaletta


- INTRODUZIONE: Citazione

- CORPUS: Storia delle piante transgeniche

Questioni etiche e morali

- la logica scientifica



- la logica sociale: i limiti dell'ingegneria genetica

- il pensiero di filosofi e teologi

Questioni scientifiche

- l'impatto ambientale: l'insicurezza del risultato

la celerità delle sperimentazioni

il pericolo per l'uomo

Il dossier socioeconomico

- l'opinione pubblica: differenze tra America ed Europa

i sondaggi

- la politica: una legge del Consiglio Regionale delle Marche

- la trasparenza: il progetto "Semina Sicura" della Coldiretti

- la globalizzazione: il capitalismo

una causa contro la Monsanto

il ritorno dei prodotti tipici

la dipendenza economica dall'America

- CONCLUSIONE


Bibliografia


- Stefania Marra "MANGIA COME PARLI" Avvenimenti del 26/12/99

- Claudia Savarese  "TRANSGENICO, VADE RETRO" Avvenimenti del 20/02/00

- Stefania Marra "IN ITALIA SEMINA SICURA" Avvenimenti del 16/04/00

- Giorgio Nebbia "I MONDI DIVERSI DI SEATTLE" Quale Consumo del 5/05/00

- Jean-Marie Pelt "L'ORTO DI FRANKENSTEIN" Editore Feltrinelli









"La natura non ammette scherzi; è sempre vera, sempre seria, ha sempre ragione. Gli sbagli e gli errori sono sempre dovuti all'uomo": questo diceva il più grande poeta tedesco, Goethe, circa due secoli fa. La frase non può che risultare attuale oggi, in questo inizio di millennio, se si vuole parlare di ingegneria genetica: il dibattito sulla manipolazione del DNA degli esseri viventi, e in particolare sulle piante transgeniche è aperto e non può che toccarci da vicino. Ci domandiamo: che cosa mangeremo nel futuro? E' un problema che viviamo sulla nostra pelle, che ci tocca nel nostro intimo quotidiano, perché riguarda la nostra alimentazione, e perciò la salute nostra e di chi ci sta vicino. E' anche un problema sociale, che condiziona già da ora i modi di vivere del futuro, e quindi l'avvenire dei nostri figli, e dei figli dei nostri figli.

La storia delle piante transgeniche e degli Organismi Geneticamente Modificati (OGM) trae origine, nel 1953, dalla scoperta della struttura del DNA ad opera degli scienziati inglesi Crick e Watson. Ma l'uomo infrange per la prima volta i confini tra le specie nel 1972, con la creazione di una molecola ibrida di DNA formata dai DNA di una scimmia e di un batterio. Le scoperte e le manipolazioni procedono inarrestabili, e con gli anni novanta assistiamo all'introduzione in natura delle piante transgeniche, di cui i governi degli Stati Uniti, prima, ed europei, poi, autorizzano la coltura e la commercializzazione. Nel 1998 si contano ben 300.000 kmq di terre adibite a tali colture in tutto il mondo.

L'enorme diffusione di OGM sulle tavole di tutto il mondo ha provocato non pochi problemi: prima fra tutti la questione etica e morale. Su questo piano si scontrano da una parte la logica scientifica, dall'altra la mentalità popolare. Se infatti la prima vede nella possibilità di sfruttare le biotecnologie un mezzo per "alleviare, almeno in parte, i bisogni di una popolazione in aumento", la logica sociale non si lascia abbagliare dalle belle parole di ricercatori troppo entusiasti, e individua alcuni limiti sicuramente da non trascurare.

La prima domanda che ci si pone è: fino a che punto l'uomo si potrà spingere? Non esistono limiti oltre i quali non bisogna avventurarsi? Il buon senso popolare intuisce che la natura non è facilmente assoggettabile e che non si lascerà modellare dai capricci dell'uomo. Filosofi e teologi, invece si uniscono al coro degli scienziati individuando come unico limite alla manipolazione la distinzione tra l'uomo e le altre specie animali.

La seconda questione su cui si sofferma il dibattito è la seguente: quali conseguenze avranno le biotecnologie sull'uomo e sull'ambiente? A questo proposito il premio Nobel François Jacob utilizza il termine "bricolage" per indicare il lavoro svolto dall'uomo sugli altri esseri viventi: la manipolazione genetica, infatti, non lavora in un ambito conosciuto e sicuro, poiché non solo non conosce ancora il disegno molecolare preciso dell'organismo su cui attua la sperimentazione, ma non sa nemmeno dove il gene venga inserito precisamente, né quanto durerà la manipolazione. La qualità dell'intervento umano appare dunque abbastanza semplicistica e dilettantistica, rendendo appropriato l'uso del termine "bricolage". Oltre a questo, si pone anche il problema dell'eccessiva celerità con cui le sperimentazioni passano dal laboratorio ai campi: non si conosce ancora l'impatto delle colture transgeniche sull'ecosistema mondiale, ma possiamo facilmente prevedere che sarà disastroso, e potrà sconvolgere l'equilibrio dell'intero pianeta. Infine, la valutazione della tossicità delle piante transgeniche non è stata oggetto di alcuna ricerca specifica. Per esempio, quando si parla di piante "tolleranti" agli erbicidi, si intende che esse sono in grado di assorbire senza farsi distruggere quantità significative di erbicidi, i quali saranno poi metabolizzati nei tessuti vegetali e verranno trasmessi, attraverso l'alimentazione, agli animali e agli esseri umani. Questo esempio può bastare ad indicare la gravità del problema, che si compone, peraltro, di altre facce ugualmente inquietanti.

Dopo aver analizzato il problema delle biotecnologie da un punto di vista etico e scientifico, spostiamoci infine sulle implicazioni socioeconomiche di questa questione. Se il campo di applicazione della transgenesi sembra quasi illimitato, altrettanto estesi sono gli interessi finanziari che vi ruotano intorno, valutabili in un giro d'affari di miliardi di dollari annui.

L'opinione pubblica non può che mobilitarsi, e tende ad assumere  posizioni diverse a seconda dei continenti: l'atteggiamento ostile nei confronti dell'ingegneria genetica, che negli Stati Uniti è espresso da un cittadino su tre, in Europa è manifestato da oltre i due terzi della popolazione. I sondaggi europei rivelano che le categorie più ostili sono le donne (75% contro il 67% degli uomini) e i giovani, le nazioni meno tolleranti sono quelle dell'Europa germanica e scandinava, le opposizioni meno forti si riscontrano nei campi delle sperimentazioni con applicazioni mediche e sulle piante.



Anche i responsabili politici, sempre alla ricerca del consenso popolare, si sono pronunciati in questo senso: una recente legge del Consiglio Regionale delle Marche vieta, infatti, l'uso di cibi geneticamente modificati nella ristorazione pubblica. L'iniziativa ha il doppio proposito di valorizzare, da una parte, i prodotti tipici regionali attraverso particolari finanziamenti alle imprese, dall'altra di dare indicazioni precise al governo centrale proponendosi come esempio per le altre regioni in materia di tutela del cittadino e salvaguardia ambientale.

E' unanimamente avvertita, inoltre, l'esigenza di un'etichettatura che permetta la chiara identificazione degli alimenti contenenti OGM, al di là delle difficoltà di stabilire l'origine dei prodotti, nel rispetto  del diritto del consumatore ad una scelta consapevole. In questo campo sono le aziende stesse a muoversi offrendo maggiore trasparenza: i produttori di soia e mais della Coldiretti, un'associazione di aziende alimentari italiane, si sono impegnati nella realizzazione di un progetto denominato "Semina Sicura", che garantisce l'assenza di OGM nei prodotti e un'etichettatura più corretta ed efficace.

Al di là di queste iniziative, però, che, seppur preziose, restano limitate ad alcuni paesi, l'economia è sempre più legata alle grandi multinazionali, il cui potere si estende inesorabilmente a tutti i campi della vita dell'uomo e a tutti gli angoli del pianeta. Questo processo di globalizzazione tiene sempre meno conto delle reali esigenze dell'uomo e rivela il paradosso di un nuovo capitalismo: mentre miliardi di persone in Africa, Sud America e Asia sono lasciate prive di cure e di cibo, miliardi di dollari vengono investiti in sperimentazioni transgeniche. I grandi colossi delle industrie agroalimentari sembrano però essere stati messi in ginocchio proprio negli Stati Uniti: sei agricoltori hanno fatto causa ad una delle più grandi multinazionali dell'agricoltura transgenica, la Monsanto, denunciando alcune operazioni commerciali illecite, la vendita di alimenti contenenti OGM spacciati per puri e la presenza di un cartello tra i produttori che controllerebbero così il mercato "in barba a tutte le leggi anti-monopolio". Al solo annuncio del processo la Borsa ha risposto con uno spaventoso crollo delle azioni dell'azienda incriminata.

Questa sfiducia nelle biotecnologie che si va sempre più diffondendo tra i consumatori ha provocato un ritorno dei prodotti biologici, di quelli acquistati direttamente dal fattore e dei prodotti tipici, alla scoperta di quelle tradizioni regionali che sono anche una forma di cultura, e che riportano l'agricoltura su un piano più "umano". L'organizzazione economica basata sul dominio delle grandi multinazionali ha infatti avviato quel processo di industrializzazione dell'agricoltura che a sua volta ha provocato la riduzione del numero di agricoltori tradizionali, e quindi disoccupazione, degrado ambientale, inquinamento.

Nel convegno organizzato a Cremona sul tema "Dal seme alla tavola. Biotecnologie nel settore alimentare" è emerso, tra l'altro, quanto piccola e insignificante sia la voce del consumatore di fronte ai grandi conflitti sugli OGM tra Stati Uniti ed Europa. I primi, infatti, avendo brevettato le procedure per la produzione dei cibi transgenici, mantengono un regime di monopolio sulla vendita di questi prodotti, che hanno quindi costi altissimi e rendono l'Europa dipendente dalla società americana anche su questo piano. Si scontrano, così, coloro che chiedono la difesa della salute e dell'ambiente, alleati, in questo momento, con gli agricoltori europei che vogliono sfuggire alla dipendenza dalle fabbriche di sementi transgeniche americane, contro gli interessi delle grandi multinazionali d'oltreoceano.

Non è possibile pensare che alla grande roulette dei commerci internazionali vincano tutti. Globalizzare non significa che ognuno può fare tutto quello che vuole in qualsiasi paese del mondo, ma significa che siamo legati e che ciascun individuo, impresa o paese dipende da altri, nel bene e nel male. Progresso significa riconoscere che i commerci e gli affari non possono che svolgersi secondo regole "ecologiche" di interdipendenza, significa dare al mondo la possibilità di un futuro che le nostre coscienze, oggi, non vogliono solo decente ma migliore!  











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