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STORIA DEL PRESEPIO
Il Natale nella tradizione cristiana ricorda la nascita del
Messia. Esso ha origini antiche e s'intreccia ad altre ricorrenze di tempi
antichissimi. E' credenza antichissima e diffusissima che nei giorni d'inizio
di un ciclo annuale tutte le forze soprannaturali acquistino una potenza
straordinaria. Così, il 25 dicembre nel mondo germanico era celebrata la festa
solstiziale (il passaggio da un ciclo stagionale ad un altro) di Yule. In
quello stesso periodo, precisamente dal 17 al 23 dicembre, gli antichi romani
celebravano i "Saturnalia", un periodo di assenza di guerre e lotte soci 414i84e ali per
feste e banchetti: in questi sette giorni, celebrando il dio Saturno (divinità
dell'agricoltura), la popolazione si dava alla pazza gioia e ci si scambiavano
dei doni.
Nel 274 d.C. l'imperatore Aureliano proclamò il 25 dicembre festa del Sole, o
meglio, "Festa della Vittoria del Sole" (Dies Natalis Solis Invicti), già festa
di antichissime origini egiziane, legata al culto di Mithra, divinità connessa
alla luce e alle tenebre.
Anche in questa occasione si scambiavano doni d'ogni tipo. Il motivo per cui la
festa del Sole si celebrava in inverno anziché in estate, come sembrerebbe più
logico, è semplice: il 25 dicembre cade pochi giorni dopo il solstizio d'inverno,
cioè quando le giornate già cominciano ad allungarsi. Anche il Natale presenta
tutti i caratteri e le manifestazioni dei giorni che segnano l'inizio di un
ciclo.
La data del Natale nel calendario cristiano fu stabilita
nel 337 d.C. da papa Giulio (in Occidente si festeggia il 25 dicembre, mentre i
cristiani d'oriente lo festeggiano il 6 gennaio). Prima di questa data non
sembra che sia stata conosciuta una festa della natività del Cristo. La festa
del 25 dicembre sarebbe stata istituita da papa Giulio per contrapporre una
celebrazione cristiana a quella mitraica del Dies Natalis Solis Invicti.
L'intenzione del pontefice fu quella di contrastare i culti pagani.
A dire il vero, bisogna affermare che è ormai accertato e confermato da
studiosi che hanno rifatto i calcoli astronomici del calendario, che il Cristo
non sarebbe nato duemila e sei anni fa, bensì circa sette anni "prima
dell'anno zero" (in teoria, secondo il calendario cristiano, ci troviamo
tuttora nel 2013 a. C.). Tale anomalia si deve al conteggio errato di Dionigi
il Piccolo, un monaco del sesto secolo che decise, nella sua esaltazione
religiosa, di dividere la storia umana in due periodi: avanti e dopo Cristo.
Probabilmente anche sulla data precisa della nascita di Gesù il Nazareno vi sono
parecchi dubbi: si suppone che il periodo corretto della nascita del Cristo
possa essere quello primaverile. Una data precisa non è in ogni caso stata
tramandata (in nessun testo sacro), ma tutto ciò non toglie nulla al
significato del Natale.
Anche la rappresentazione mediante statuine delle divinità trova le sue origini
in epoca remota, fuori del cristianesimo (ad esempio presso gli antichi Egizi,
presso i Greci, e così via). Le grandi opere che raffiguravano gli dei, esposte
nei templi romani, non impedirono all'uomo comune di farsene una propria
raffigurazione, da tenere in casa, nell'Atrium, dove era posto il focolare.
Queste raffigurazioni erano poste su altarini dedicati ai Lari (le divinità
tutelari del focolare domestico).
Negli Atti degli Apostoli troviamo menzione di quest'usanza, tant'è che Paolo
dovette "fare i conti" con gli artigiani di Efeso, poiché la sua predicazione,
a loro dire, impediva la vendita di statuine d'argento rappresentanti Artemide
(Atti 19, 24 e ss.).
Esiste comunque una differenza tra le statue posizionate in chiesa e quelle
possedute dai privati. Le prime rispondono al "culto" riservato alle funzioni
religiose, le seconde alla "devozione" per qualche oggetto sacro (che può
essere un crocefisso, un santo particolare, un Presepe, appunto).
In Italia, il culto cristiano delle statue approdò probabilmente con l'arrivo
dei monaci orientali dell'ordine di san Basilio, scacciati, assieme agli
artigiani che costruivano queste statue, dall'imperatore d'Oriente Leone III,
che combatteva il culto di immagini sacre. La carovana esiliata si stabilì
dapprima a Napoli, nella zona di san Gregorio Armeno.
Molti non sanno che anche altri simboli del Natale sono intimamente legati a
credenze e miti. Ad esempio la tradizione di mangiare dolci di mandorle,
nocciole o castagne (torrone, confetti, ed altro) è strettamente collegata
all'antica credenza che ciò favorisca la nascita della prole o la fertilità
della terra. Anche l'usanza di mangiare il panettone è legata ad una
particolare tradizione: quei chicchi d'uva passita che vi trovano dentro,
richiamando l'immagine delle monete d'oro, recheranno la ricchezza a chi li
mangia (un po' come le lenticchie a Capodanno).
Tre sono i simboli più rappresentativi del Natale: il "Ceppo", l' "Albero" e il
"Presepe".
Nella più antica tradizione popolare, il centro della festa era costituito dal
ceppo. Gli antichi popoli germanici, i Teutoni in particolare, festeggiavano il
passaggio dall'autunno all'inverno bruciando enormi ceppi nei camini e
piantando davanti alle case un abete ornato di ghirlande. La tradizione si
estese poi presso molti altri popoli dell'Europa e cominciò ad accompagnare la
ricorrenza natalizia.
Nell' accensione del ceppo, che rimaneva sul focolare fino all'inizio del nuovo
anno (poi sino all'Epifania), si fondono due elementi propiziatori: il valore
del fuoco, che rappresentava l'immagine del sole, e il simbolico consumarsi del
tronco, del vecchio anno con tutto ciò che di male vi si era accumulato. Il
ceppo augurale è stato sostituito, col passare dei secoli, dal tradizionale
abete di Natale, inizialmente addobbato con candele, ora con i più tecnologici
giochi di luce. L'abete fin dall'epoca antica era considerato un albero
cosmico, poiché si erge al centro dell'universo e lo nutre. Fu facile ai
cristiani del nord assumerlo come simbolo del Natale. L'usanza dell'Albero di
Natale si diffuse nei Paesi latini solo nel 1840, quando la principessa Elena
di Maclenburg, che aveva sposato il duca d'Orléans, figlio di Luigi Filippo, lo
introdusse alle Tuileries suscitando la sorpresa generale della corte.
Sebbene con il termine "Presepe" - presepio è locuzione popolare - s'intenda
ogni esempio di arte plastica o figurativa, dipinto, mosaico, affresco, basso o
altorilievo che sia, che rappresenti una Natività, oggi per Presepe s'intende
comunemente la descrizione tridimensionale e scenografica dell'evento di
Betlemme.
Quanto all'origine del termine, deriva dal latino
praesepium o praesaepe, greppia, mangiatoia, stalla, ogni recinto chiuso. Il
termine è formato da "prae", davanti, in risalto, e "saepire",
cingere (derivato di "saeps", "saepis", ossia siepe), per estensione
quindi significa "dinanzi al recinto" o ad una greppia.
Il Presepe non è altro che la rappresentazione tridimensionale e scenica della
Natività divina.
Sono gli evangelisti Luca e Matteo i primi a descrivere la Natività. Nei loro
brani c'è già tutta la sacra rappresentazione. Si narra, infatti, dell'umile
nascita di Gesù il Nazareno, come riporta Luca: nato Gesù, Maria "reclinavit
eum in presepio". In una mangiatoia, dunque, "perché non c'era per essi posto
nelle locande" (in quei giorni Betlemme brulicava di gente per via del
censimento ordinato da Cesare Augusto). II termine mangiatoia ha autorizzato la
cristianità a porre in una stalla o in una grotta il luogo del sacro evento.
Non dimentichiamo che l'immagine della grotta è un ricorrente simbolo mistico e
religioso per molti popoli, soprattutto del settore mediorientale: del resto si
credeva che anche Mitra, una divinità persiana venerata anche tra i soldati
romani, fosse nato in una grotta il 25 dicembre.
Esclusa la Sacra Famiglia, gran parte delle figure e delle ambientazioni
utilizzate nel Presepe derivano dai Vangeli apocrifi e da misteriose memorie. I
Vangeli canonici, infatti, parlano della natività in modo molto vago
tralasciando molti particolari scenografici.
La presenza del bue e dell'asino - ad esempio - del tutto sconosciuta agli
evangelisti, è desunta da Origene, interprete delle antiche profezie di Isaia e
Abacuc, e raccontata nella sua tredicesima omelia su Luca. Isaia, infatti,
diceva: "Il bue ha riconosciuto il suo proprietario e l'asino la greppia
del suo padrone". In pratica Isaia, sebbene non si riferisse assolutamente
alla nascita del Cristo, accusò il popolo d'Israele di essere sordo alla parola
di Dio, per questo lo contrappose alla mansuetudine ed alla docilità del bue e
dell'asino, per i quali i due mansueti animali avrebbero scaldato con il loro
fiato il corpicino di Gesù neonato. Il bue è da sempre un animale sacro in Asia
orientale e in Grecia, dove interpretava anche il ruolo sacrificale. Esso è
simbolo di carattere forte, ma sottomesso, per questo vuole rappresentare il
popolo dei futuri cristiani, fedele al proprio mandato fino alla rinuncia
perfino della vita. Anche l'asino è un animale importante nel contesto delle
narrazioni bibliche: Dioniso e i suoi seguaci lo cavalcavano, in Grecia era
sacrificato nel recinto sacro di Delfi, nel Libro dei Numeri è conosciuto come
l'animale che capisce Dio più di quanto riescano gli stessi uomini (Numeri
22,22), lo stesso Cristo entrò in Gerusalemme cavalcando un'asina bianca
(Matteo 21,2).
La prima descrizione, vera e propria, del luogo dove nacque Gesù, la diede san
Girolamo, il quale, nel 404, indicò nel territorio di Betlemme una grotta con
tanto di mangiatoia scavata nella roccia e supportata da piedi di legno.
La raffigurazione della Natività ha origini remote, infatti i primi cristiani
usavano scolpire o dipingere le scene della nascita di Cristo nei loro punti di
incontro (ad esempio nelle Catacombe).
La prima vera rappresentazione della Natività si ritrova nell'affresco delle
catacombe di Santa Priscilla (siamo nel II sec. d.C.), che raffigura la Madonna
con in grembo il Bambinello, per la presentazione ai re magi. Accanto si trova
un uomo, forse san Giuseppe o, forse, il profeta Isaia, mentre in alto compare
una stella ad otto punte.
Nei secoli successivi, sino al quinto circa, molti sono gli affreschi
catacombali rappresentanti analoghe Natività o Epifanie. Tra questa produzione
ricordiamo il bassorilievo del sarcofago di Adelphia e Valerio a Siracusa,
oppure quello di Isacio, esarca armeno in Ravenna, oppure ancora le effigi
parietali del III secolo nel cimitero di S. Agnese. Curioso è l'affresco delle
catacombe di San Sebastiano (del IV sec. d.C.), dove mancano Maria e Giuseppe
ma compare una sorta di mangiatoia con il bue e l'asino. Anche gli affreschi
delle catacombe di Pietro e Marcellino e di Domitilla in Roma mostrano delle
novità: i magi sono quattro nelle catacombe di Domitilla, mentre in quelle di
Pietro e Marcellino sono due. Il vangelo apocrifo armeno assegna in ogni caso
ai magi, che secondo il testo erano tre sacerdoti persiani, i nomi di Gaspar,
Melkon e Balthasar (Gaspare, Melchiorre e Baldassarre). Si trattava di
sapienti, il cui potere era al limite tra quello regale e quello sacerdotale.
Il numero dei re magi non è fissato dagli evangelisti, ma fu assegnato da san
Leone Magno, essi rappresentano le tre età dell'uomo: gioventù, maturità e
vecchiaia (metafora del percorso di vita cui è destinata ciascuna creatura
vivente) e delle tre stirpi in cui si divide l'umanità: la semita
(rappresentata dal re giovane), la giapetica (rappresentata dal re maturo) e la
camita (rappresentata dal re moro) secondo il racconto biblico. Anche i doni
dei Magi sono interpretati con riferimento alla duplice natura di Gesù e alla
sua regalità: l'incenso, per la sua divinità, la mirra, per il suo essere uomo,
l'oro perché dono riservato ai re. Una curiosità: generalmente la parola magi è
usata generalmente al plurale, il singolare sarebbe "mago", ma, per
evitare ambiguità, si dice anche "magio".
Interessante sarà anche osservare che dal III-IV secolo fino al XIII, molte
rappresentazioni della Natività in bassorilievo esistenti in Italia presentano
la Vergine distesa accanto al Bambino poggiato nella mangiatoia (tipica
posizione sostenuta dalla Chiesa cristiana d'Oriente). Queste rappresentazioni
costituiscono perciò una testimonianza dell'influenza esercitata, specie
nell'Italia mediterranea, per diversi secoli dalla Chiesa d'Oriente. In pratica
nella storia del cristianesimo sorse una polemica tra la Chiesa di Antiochia e
quella di Alessandria, in pratica tra Nestorio il quale, tenendo distinte le
due nature, divina ed umana di Cristo, sosteneva che Maria era madre di
Gesù-uomo e non di Gesù-Dio, e Cirillo, il quale, insisteva sulla divinità di
Maria. In un primo momento risultò superiore la tesi di Nestorio che fu
solennemente condannata nel concilio di Efeso del 431. Tale tesi influenzò per
lunghi secoli i Paesi dell'Oriente, che rappresentavano la Madonna distesa
accanto al Bambinello in atteggiamento materno. Solo dopo il XIII secolo, con
l'affermarsi del culto mariano, grazie alle elaborazioni teologiche di san
Tommaso e di san Bonaventura, si ritenne che il parto della Vergine non poteva
essere rappresentato come quello di una comune mortale: da allora Maria e
Giuseppe furono rappresentati in ginocchio, adoranti il loro figlio-Dio. Le
figure che avevano trovato spazio accanto alla "Sacra famiglia" scomparvero:
furono quindi tolte le levatrici, la nutrice, Eva, la Sibilla, personaggi che
avevano trovato spazio in tali raffigurazioni. Esempi sono il bassorilievo del
sarcofago di Adelphia e Valerio del III e VI secolo a Siracusa, il Presepe
d'avorio della Cattedrale di Massimiano (del 546) a Ravenna, il Presepe
scolpito nel 1268 da Niccolò Pisano sul pulpito del Duomo di Siena.
Quando il cristianesimo divenne religione ufficiale e poté essere professato
fuori dalla clandestinità, l'usanza di rappresentare attraverso affreschi,
dipinti o bassorilievi continuò e scene con Giuseppe, Maria e il Bambinello
andarono ad arricchire le pareti delle prime chiese. Tra questa produzione
spiccano per valore artistico: la natività e l'adorazione dei magi del dittico
d'avorio a cinque parti con pietre preziose del V secolo che si ammira nel
duomo di Milano e i mosaici della Cappella Palatina a Palermo, del Battistero
di S. Maria a Venezia, della basilica di S. Maria in Trastevere a Roma e della basilica
mariana sull'Esquilino, sempre a Roma, chiamata per altre motivazioni fin dal
VI secolo "Sancta Maria ad praesepe", oggi Santa Maria Maggiore.
Dal secolo XIV la Natività è affidata all'estro figurativo di artisti, dai più
famosi a quelli meno noti, che si cimentano in affreschi, pitture, sculture,
ceramiche, argenti, avori e vetrate che impreziosiscono le chiese e le dimore
della nobiltà o di facoltosi committenti dell'intera Europa. Non si sono
sottratti nel realizzare una Natività artisti del calibro di Giotto, Piero
della Francesca, il Perugino, Rembrandt, Poussin, Correggio, Rubens.
San Francesco d'Assisi fu il primo a rappresentare il Presepe in forma vivente.
In pratica, come narra Tommaso da Celano, il frate che raccontò la vita del
santo, nel Natale del 1222 Francesco si recò a Betlemme dove partecipò alla
funzione liturgica della nascita del Cristo. Ne rimase talmente colpito che,
tornato in Italia, chiese a Papa Onorio III di poter rappresentare, sotto forma
di dramma sacro, la liturgia della nascita del Cristo per il Natale successivo.
Ma il pontefice, essendo vietati dalla chiesa i drammi sacri, permise solo la
celebrazione della messa di Natale in una grotta naturale invece che in chiesa.
Francesco allora si accordò con Giovanni Velita, signore di Greccio:
Voglio celebrare teco la notte di Natale. Scegli una grotta
dove farai costruire una mangiatoia ed ivi condurrai un bove ed un asinello, e
cercherai di riprodurre, per quanto è possibile la grotta di Betlemme! Questo è
il mio desiderio, perché voglio vedere, almeno una volta, con i miei occhi, la
nascita del Divino infante. Si racconta che Velita, anziano e terribilmente
grasso, non amando molto camminare chiese di fare la celebrazione a poca
distanza dal suo castello. Francesco comprese la sincerità di tale proposta e
l'accettò volentieri dicendo che avrebbe rimesso la scelta della nuova dimora,
non alla sua volontà, ma ad un tizzone lanciato in aria da un fanciullo. Fu
scelto un bimbo di appena quattro anni per lanciare il tizzone. Inaspettatamente,
il tizzone volò ad una distanza di oltre un miglio ed incendiò un bosco,
cadendo poi sulle rocce: qui, nel Natale del 1223, fu allestito il primo
presepio vivente.
Ecco, integralmente, il testo della "Vita prima" di Tommaso da
Celano, sul presepio di Greccio, al cap. XXX (84-86):
[...] è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo
realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del
Natale del Signore. C'era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona
fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur
essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello
spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività,
il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: «Se vuoi
che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico:
vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con
gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose
necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul
fieno tra il bue e l'asinello». Appena l'ebbe ascoltato, il fedele e pio amico
se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l'occorrente,
secondo il disegno esposto dal Santo.
E giunge il giorno della letizia, il tempo dell'esultanza! Per l'occasione sono
qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai
casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e
fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s'accese splendida nel cielo
la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco:
vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di
letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il
bue e l'asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità
evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà. Greccio è divenuto come
una nuova Betlemme. [...] I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte
sembra tutta un sussulto di gioia. Il Santo è lì estatico di fronte al
presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il
sacerdote celebra solennemente l'Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora
una consolazione mai gustata prima. Francesco si è rivestito dei paramenti
diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella
voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi
parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la
piccola città di Betlemme. [...] Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di
vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie
di sonno profondo. [...]Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa
sua pieno di ineffabile gioia .
Il "Presepe di Greccio", mai più replicato dallo stesso Francesco, fu
dunque primariamente una Messa solenne. Tuttavia l'episodio, magistralmente
dipinto da Giotto nell'affresco della Basilica Superiore d'Assisi, ebbe grande
risonanza, tanto da stimolare l'allestimento di altri presepi.
La realizzazione del primo Presepe inanimato, secondo alcuni studiosi, si ebbe
già nel III secolo, per opera di papa Liberio (352- 355). Costui, infatti, fece
erigere a Roma, nella basilica detta "Santa Maria ad praesepe" una "tettoia" in
legno retta da tronchi d'albero, quasi lo schema necessario di una stalla, che
era posta davanti ad un altare presso il quale, proprio la notte del 24
dicembre d'ogni anno era celebrata la Messa solenne di Natale. Altre "tettoie"
furono erette in altre chiese a Roma (a Santa Maria in Trastevere), a Napoli
(nella Chiesa di Santa Maria della Rotonda), e certamente in altre chiese di
altre città. In seguito papa Gregorio II ( 731-734) fece sistemare sotto la
"tettoia" della chiesa di Santa Maria Maggiore una statua d'oro della Madonna
con il Bambinello e che anche in altre chiese furono collocati sotto tali
"tettoie" pitture o statue che ricordavano il sacro evento.
Secondo altri è avvenuta nel 1025, con l'esposizione
d'alcune statue in legno rappresentative della scena della nascita di Gesù,
nella chiesa di Santa Maria del Presepe a Napoli. Non si ha traccia documentata
di tali affermazioni.
La prima realizzazione documentata di un Presepe con personaggi a tutto tondo,
invece, risale al 1283 per opera dello scultore e architetto Arnolfo di Cambio
(1240 circa - 1302) che scolpì otto statuette in marmo rappresentanti i
personaggi della Natività. Tale Presepe si trova ancora nella basilica romana
di S. Maria Maggiore. Il Presepe fu commissionato dal primo papa francescano,
Niccolò IV (1288-1292), particolarmente devoto al culto della Natività come
insegnato da san Francesco d'Assisi a Greccio, e destinato alla Basilica che
custodiva la reliquia della "Sacra Mangiatoia".
Del complesso oggi restano san Giuseppe, il bue, l'asino e i tre magi, sculture
tra i cinquanta e gli ottanta centimetri d'altezza realizzate in gran parte ad
altorilievo e lavorate solo nella parte in vista, com'era nella prassi di
Arnolfo. La Madonna e il Bambino sono stati rifatti ex novo nel XVI secolo.
Cronologicamente il secondo Presepe fu quello donato dalla regina Sancia nel
1340 alle clarisse per la loro nuova chiesa. Di tale Presepe, a figure
staccate, in legno, dipinte e miniate con motivi geometrici, è giunta a noi
soltanto la Madonna giacente (ora nel museo di San Martino di Napoli). Un altro
Presepe, successivo soltanto di pochi decenni, rimangono cinque figure staccate,
a grandezza naturale, in legno, che recano la data del 1370 e che, intagliate
da anonimi artisti bolognesi, furono poi splendidamente decorate dall'artista
Simone de' Crocifissi. Esse sono tutt'ora custodite a Bologna.
I primi presepi del Trecento sono in realtà delle grandi figure in marmo, legno
o terracotta, collocate stabilmente in una cappella ed esposte tutto l'anno,
caratteristiche, queste, che il Presepe manterrà fino alla fine del XVI secolo.
Ai primi presepi successero altri scolpiti dai più grandi artisti di tutti
tempi. Sono le cronache del frate francescano Juan Francisco Nuno ad informare,
nel 1581, sull'uso ormai da tempo diffuso, almeno a Roma, di allestire presepi
in monasteri e luoghi di culto ed in particolare nella Chiesa dell'Aracoeli dove
era specialmente venerata la statua del Bambinello che si dice opera di un
frate francescano che l'aveva intagliata in un tronco di ulivo del Getsemani,
trafugata il 1° febbraio del 1994.
All'inizio del Cinquecento, alle figure della Madonna, di san Giuseppe, di Gesù
bambino e del bue e l'asinello, si aggiunsero altri numerosi elementi
decorativi, rendendo il Presepe più popolare: angeli, pastori e agnelli, la
stella cometa, i magi a cavallo, e poi anche gente comune, mandriani,
lavandaie, fabbri, pescatori, musici, taglialegna, fornai, calzolai, botteghe,
taverne e mille altre statuine, dalle pose ed espressioni più varie. Questo fu
dovuto principalmente all'opera di San Gaetano Thiene, appartenente all'ordine
dei Teatini: egli cominciò ad arricchire la rappresentazione con personaggi che
appartenevano al mondo antico, ma anche all'epoca contemporanea, senza alcun
timore di eventuali anacronismi: in tal modo il santo diede vita a quella che
sarebbe rimasta una delle principali caratteristiche del Presepe, cioè la sua
atemporalità. Molti studiosi della materia ritengono san Gaetano da Thiene il
vero «inventore» del «moderno» Presepe.
Un grande Presepe fu allestito a san Gaetano, nel 1534, in una cappella
adiacente l'ospedale degli Incurabili. Per una strana coincidenza, quella
chiesetta era chiamata Santa Maria della Stalletta, essendo essa stata ricavata
da una stalla.
Grazie a san Gaetano, i presepi diventano così lo specchio della cultura
contemporanea che li produce, riflettendo la società del tempo e gli aspetti
più vivaci della realtà quotidiana. Di questo ha approfittato soprattutto la
tradizione presepiale napoletana, la quale "aggiorna" continuamente
la rappresentazione con nuovi personaggi. Così si ritrovano raffigurati accanto
ai tradizionali pastori, anche l'attore Totò o il drammaturgo Eduardo De
Filippo, oppure il calciatore Maratona o il giudice Di Pietro, e così via.
Il Concilio di Trento, conclusosi nel 1563, stabilì norme precise sul culto dei
santi e delle reliquie, accettando la rappresentazione del Presepe quale
espressione della religiosità popolare.
I Gesuiti, il nuovo ordine religioso costituito in quello stesso Concilio, se
ne impossessano, fin quasi a monopolizzarlo. Infatti, il Presepe divenne per
loro un ottimo strumento utilizzato a scopi didattico-liturgici, riportando
diverse tappe della narrazione evangelica.
A partire dal Cinquecento si verificò così in tutta Italia
un'intensa produzione di presepi, quasi tutti per chiesa. In Piemonte ed in
Lombardia sacre rappresentazioni con statue in pietra a grandezza naturale e
con scenografia saranno costruite nei Sacri Monti di Varallo e di Varese. Nel
Duomo di Modena esiste tuttora il bellissimo Presepe in terracotta di Antonio
Begarelli (1527), oltre quello di Guido Mazzoni, detto "Il Presepe della
pappa". Nelle Marche, ad Urbino e provincia (precisamente a Piobbico), sono
custoditi due splendidi presepi dello scultore Federico Brandani. A Faenza,
sempre nella prima metà del Cinquecento, comparvero dei creativi "calamai a
Presepe" in ceramica colorata. A Leonessa (Rieti) "figulini" abruzzesi
plasmarono un monumentale Presepe con ventisei statue, animali e cavalli,
mentre in Puglia, ad opera dello scultore Stefano da Putignano, sorsero in
chiese di varie località presepi con statue scolpite in pietra, ambientati in
grotte costruite con rocce naturali e che costituiscono le uniche
"scenografie", alquanto simili tra loro, giunte fino a noi.
Verso la metà del Cinquecento nacque anche il figurino fatto da un manichino in
legno articolabile. Furono i gesuiti i primi ad utilizzare questa tecnica, con
due presepi: quello di Praga del 1560, rappresentato solo dalla Natività, e
quello di Monaco di Baviera nel 1605, un intero complesso presepiale esposto
nella chiesa di San Michele. I manichini di legno snodabile furono introdotti a
Napoli da due abili artisti: Michele Perrone e Pietro Ceraso. Di quest'ultimo è
il Presepe più grande mai realizzato con tale tecnica, commissionato per la
chiesa di Santa Maria in Portico.
Fu soprattutto a Genova ed a Napoli, tra il Seicento ed il Settecento, che il
Presepe divenne una vera e propria forma d'arte. Inizialmente le statue sono
modellate con la terracotta o intagliate nel legno, sistemate poi davanti ad un
fondale pitturato riproducente un paesaggio che fa da sfondo alla scena
principale della Natività.
A partire da questo periodo il Presepe si avvia ad uscire dalle chiese per fare
il suo ingresso nelle case patrizie ed alto borghesi, come oggetto di
adorazione o spesso d'arredamento, montato e rimontato di anno in anno.
Nel Settecento si assiste ad un'ulteriore novità: la trasformazione delle
statue, in grandezza e materiale. Così dalle dimensioni piuttosto grandi in uso
durante tutto il Seicento, si passa all'uso generalizzato delle «terzine», vale
a dire figure alte circa quaranta centimetri. Queste statuine, che sono sempre
in legno, sono realizzate ora con arti di fili di ferro ricoperti di stoppa,
permettendo ogni tipo di postura. I vestiti sono in stoffe, adornati con monili
e muniti degli strumenti di lavoro tipici dei mestieri dell'epoca. Sempre nel
Settecento si diffonde il Presepe con parti in movimento che ha un illustre
predecessore in quello costruito da Hans Schlottheim nel 1588, per Cristiano I
di Sassonia.
Il Presepe subirà l'influenza delle mode del tempo. Così al tempo del
razionalismo illuministico la tradizione del Presepe quasi decade, mentre con
il Romanticismo si presenta più sobria e meno spettacolare.
La diffusione a livello popolare si realizzò pienamente nell'Ottocento, con
figurini più piccoli (15 20 centimetri) e, in alcuni casi, la scomparsa delle
«vestiture»: ogni famiglia in occasione del Natale iniziò a costruire un
Presepe in casa riproducendo la Natività con statuine in gesso o terracotta,
poi in plastica e altri materiali (cera, coralli, cartapesta, e così via)
forniti dagli artigiani.
Man mano che passa il tempo, il Presepe perde la sua primitiva semplicità,
assumendo i caratteri tipici del luogo dove è fatto, con le proprie fantasie ed
i propri personaggi: così nel Presepe napoletano possiamo vedere Totò, in
quello bolognese la Meraviglia, il Dormiglione e la Curiosa, in quello pugliese
la grotta con le stalattiti, in quello austriaco lo spazzacamino, in quello
brasiliano il lupo mannaro, e così via.
Il Presepe, secondo la tradizione, deve essere fatto il giorno di san Nicola o
di santa Lucia (di sant'Ambrogio a Milano), lasciando però la greppia vuota.
Nella notte di Natale si aggiunge il Bambinello nella greppia. Il Presepe si
completa il 6 di gennaio, con l'arrivo dei tre magi venuti dall'Oriente a
portare in dono oro, incenso e mirra.
Il Presepe napoletano. L'arrivo a Napoli di Pietro e Giovanni Alemanno, padre e
figlio, originari dell'Italia del nord diede particolare impulso alla plastica
lignaria presepiale. Molte furono le chiese per le quali Pietro e Giovanni
Alemanno e numerosi collaboratori scolpirono presepi completi costituiti da
numerose figure. Il più antico fu scolpito nel 1470. Era un Presepe formato da figure lignee di grandezza
quasi naturale, prive d'accessori che potessero distrarre dall'importanza
dell'evento sacro che rappresentavano. Nel 1478 Pietro e Giovanni Alemanno
allestirono un nuovo Presepe, questa volta più grande, per la Chiesa di San
Giovanni Carbonara. Le statue erano quarantuno, a grandezza quasi naturale
dipinte dall'artista Francesco Fiore, erano disposte in un ampia e complessa
scenografia ormai persa. Le statue giunte ai nostri tempi sono dodici, tra cui
l'originale immagine dell'angelo soffiante. Altro Presepe dell'epoca e quello
del Belverte tuttora parzialmente visibile nella Basilica di San Domenico
Maggiore in Napoli.
Tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del secolo successivo lo
scultore rinascimentale Giovanni Marigliano (1480-1558) più noto come Giovanni
da Nola, tenne il primato a Napoli con la sua scuola di scultura. Eseguì in
marmo statue, monumenti per vicerè, principi e nobili, per numerose chiese e
per importanti edifici pubblici della città, opere tuttora visibili. Intagliò
nel legno splendidi presepi anche con elementi paesistici (dei quali, nulla è
rimasto), con statue lignee policrome, a grandezza naturale. Tuttora, nella
chiesa di S. Maria del Parto a Margellina si possono ammirare cinque statue
residue del Presepe commissionatogli da Jacopo Sannazaro in occasione della
pubblicazione del suo poema in latino : "De partu Virginis".
Alla fine del Cinquecento, in pieno clima controriformistico, al fine
d'alimentare ed incrementare sempre più la fede, teatini, francescani, gesuiti
e scolopi favorirono la diffusione del Presepe.
Si sviluppa, cosi' il Presepe barocco. Esso divenne mobile, perché era smontato
e ricostruito ogni anno. Alle monumentali statue a tutto tondo furono
sostituiti da manichini in legno, in modo tale che i giunti a snodo
consentivano di atteggiarli in vario modo. Le statue erano di altezza inferiore
a quella naturale, avevano parrucche, sontuosi abiti, occhi di vetro.
Man mano che passava il tempo, nel reame napoletano il Presepe iniziò a perdere
la sua primitiva semplicità, assumendo un carattere fantasioso, folcloristico,
di festa popolare. Via via la scena principale perse la sua importanza
esclusiva, venendo soffocata dallo scenario circostante rappresentante la
liberalità della vita mondana del popolino napoletano, rappresentato qui in
tutte le sue tipiche macchiette: dal mandolinaro al friggitore di pesci, dal
notabile al mendicante, dall'immancabile arrotino al macellaio, dal cantastorie
alla donna stravagante. Anche la scenografia si arricchì con la fattoria, il
mercato, la fontana, il laghetto, la taverna.
Gli artisti più ricercati e meglio pagati furono il Trilocco, il Somma, Angelo
de Vivo, Francesco Gallo, Pietro Ceraso, Giuseppe Picano, Lorenzo Mosca,
Lorenzo Vaccaro, Domenico Di Nardo, Giacomo Colombo, Giuseppe Sammartino,
Saverio Vassallo, Andrea Falcone, il Buonino, giusto per citarne alcuni.
Il Presepe barocco napoletano fu, come dire, esportato a Genova, grazie
all'attività svolta in quella città dal napoletano Giacomo Colombo.
L'arte del Presepe in perfetto stile Rococò fu inaugurata dall'artista
napoletano Michele Perrone, che ideò un manichino d'altezza inferiore a quelli
a snodo, con solo la testa e gli arti in legno e l'anima in filo di ferro dolce
e ricoperto di stoppa. Fu un'innovazione importantissima, poiché tutti i
personaggi potevano essere sagomati conferendo più naturalezza al Presepe.
Il Settecento, nonostante i venti di laicità provenienti dall'Illuminismo, fu
il secolo d'oro dell'arte del Presepe napoletano, grazie anche Carlo III di
Borbone, sovrano mecenate che riporta la città partenopea al livello delle più
ferventi capitali europee: il devoto interessamento del re e del suo fidato
consigliere padre Rocco, che si proponeva di farne uno strumento di propaganda
religiosa, ebbe un'importanza determinante procurando al Presepe un
incondizionato consenso di pubblico. Lo stesso re fece allestire un immenso
Presepe in alcuni saloni del palazzo reale di Napoli, con centinaia di
personaggi e una gran cura per i dettagli. I nobili naturalmente imitano il
sovrano rivaleggiando tra loro per sontuosità e ricchezza dei materiali
utilizzati, dalle gemme preziose alle stoffe pregiate.
Famosi i presepi allestiti per il principe d'Ischitella e
per il nobile Emanuele Pinto, con i magi abbigliati con vesti dove brillavano
innumerevoli gioielli. Non a caso il Presepe settecentesco fu definito il
"Presepe cortese", per utilizzare un'espressione dello studioso Raffaello
Causa: un Presepe che di sacro conserva poco, in cui "si rivela un'esperienza
mondana, sostanzialmente disincantata e laica, giuoco alla moda della corte,
dell'aristocrazia, dei ricchi borghesi". Il Presepe si diffonde anche presso il
popolino partenopeo, anche se in forma naturalmente meno sontuosa.
Nell'Ottocento, con l'ascesa progressiva della borghesia nacquero i figurini di
terracotta, di qualità più scadente rispetto al legno ma accessibile a tutte le
tasche.
Il Presepe pugliese. Le più antiche testimonianze sopravvissute dei presepi
pugliesi appartengono alla seconda metà del Quattrocento. La tradizione e il
materiale a disposizione ha voluto legare l'arte presepiale alla pietra locale.
L'intesa attività presepiale pugliese è dovuta a maestri del calibro di Nuzzo
Barba di Galatina (attivo a Galatina e Lecce dal 1475), a Stefano Pugliese da
Putignano (attivo a Grottaglie, Martina Franca, Polignano a Mare e Matera dal
1491 al 1538), a Paolo da Cassano (attivo tra il 1511 e il 1535 a Cassano delle
Murge e Bitritto), al lucano Altobello Persio (attivo a Montescaglioso, Matera
e Tursi), al fratello Aurelio (attivo a Montescaglioso e Castellana), al
leccese Gabriele Riccardi (attivo dal 1524 al 1570). Questi sono tutti nomi
legati alla rinascita della statuaria in pietra in Puglia. Infatti, così come
la pietra è l'elemento caratterizzante delle grandi cattedrali medievali e dei
castelli normanni e federiciani, lo diviene poi anche di statue, altari, arredi
sacri, monumenti sepolcrali, presepi monumentali.
Per creare i famosi figurini pugliesi gli artisti del luogo utilizzano la
pietra locale, dal calcare al carparo alla più tenera pietra leccese, materiali
senz'altro più resistenti a paragone della terracotta o del legno usati in
altre aree, che ne giustificano sicuramente l'eccezionale conservazione. Esempi
di quest'arte presepiale in pietra possono essere il Presepe di Nuzzo Barba della
Chiesa Francesca di Santa Caterina d'Alessandria a Galatina e quello del
leccese Gabriele Riccardi della Chiesa Madre di Lecce. Il primo Presepe, quello
del Barba, si trova sotto una Natività affrescata in un'arcata ribassata della
controfacciata della navata sinistra della chiesa dedicata a santa Caterina.
Quello dell'artista leccese, invece, si trova nella Cattedrale di Lecce e
occupa un intero altare. Anche i presepi in pietra policroma del 1587, di
autore ignoto, delle cattedrali di Altamura e Bari riassumo tutta l'arte
presepiale del periodo.
Il tipo di lavorazione della pietra ricalcò quello dedicato all'arte delle
statue sacre: la pietra non è mostrata a vista dall'artista, ma mascherata da
una vivace policromia. Fa eccezione a questa regola il Presepe cinquecentesco
della cattedrale di Lecce, realizzato in bianca pietra leccese, un materiale
poroso sconsigliato all'uso della policromia.
La scenografia utilizzata ricalca pressapoco il paesaggio pugliese, ma anche
quello materano (ricordiamo che saranno considerati "pugliesi" anche
i presepi localizzati nell'attuale città di Matera e provincia, non solo perché
questo territorio fu parte integrante, sino al 1663, della "Terra d'Otranto",
ma anche perché il suo paesaggio e la sua popolazione sono del tutto omogenei,
dal punto di vista morfologico, fisico e antropico, a quello dell'Alta Murgia).
Ecco così che gli artisti pugliesi posizionano la sacra Famiglia in una grotta
di pietra, talora arricchita da stalattiti, in omaggio alla morfologia di una
terra carsica qual è la Puglia. Contrariamente a ciò che avverrà nei presepi
campani, dove la Natività è spesso confinata in un angolo per dare maggior
spazio alla festa del popolino per il lieto evento, la grotta con la Sacra
Famiglia rappresenta l'elemento centrale di tutta l'opera degli artisti
pugliesi.
Nel corso dell'Ottocento a Lecce e in tutto il Salento s'inaugurò una
tradizione, quella della cartapesta. Primo indiscusso protagonista ne fu
"mesciu Pietru de li Cristi", soprannome del primo cartapestaio del luogo. Il
suo vero nome era Pietro Surgente (1742-1827), maestro (mesciu) di un gruppo di
grandissimi scultori della cartapesta, autori di costosi presepi.
Accanto all'arte di plasmare la cartapesta, troviamo in
Puglia anche quella di modellare, cuocere e dipingere la terra. Protagonista
principale fu un certo "mesciu Chiccu Pierdifumu". Egli, da grande
professionista, modellò pupi da Presepe in creta, che poi, aiutato da sua
moglie Assunta Rizzo, "vestiva" con pezzi di stoffa o con fogli drappeggiati
di carta imbevuta di colla.
Accanto all'attività degli artisti professionisti ritroviamo anche quella
spontanea d'artisti "improvvisati", tra i quali spicca la classe dei "barbieri
di Lecce". Questi, intorno al 1840, cominciarono ad imitare i cartapestai e,
nelle lunghe ore libere del loro lavoro con pettini e forbici, si dettero a
modellare sia la carta pestata che la creta con mani, bulini e stampi. E'
l'inizio dei figurini prodotti in serie con stampi. In questa maniera i costosi
pupi dei cartapestai e più modesti figurini corrisposero alle esigenze di due
diversi livelli d'utenza.
In Puglia il Presepe non fu mai considerato un vero e proprio pezzo "d'arte",
così ad ogni Natale si acquistavano nuovi figuri, poiché quelli utilizzati
l'anno precedente erano andati persi o distrutti. Questo alimentò una
ricchissima produzione popolare che ogni anno si ripeteva.
Il Presepe Siciliano. La prima opera presepiale siciliana risale al XV secolo,
precisamente nel 1494. Un gruppo marmoreo, opera del maestro Andrea Mancino,
che si trova in una cappella della chiesa dell'Annunziata a Termini Imerese.
Anche in Sicilia il Presepe presenta caratteri suoi propri ed originali,
variabili a seconda delle zone dell'isola. Le aree dove in particolare si
sviluppa un originale artigianato presepiale sono: i territori di Palermo,
Messina, Siracusa, Trapani, Caltagirone, Acireale, Noto e Ragusa.
A Palermo e nel siracusano, dove l'apicoltura è molto diffusa, fin dal Seicento
si utilizzava la cera per plasmare statuine del Bambinello, in seguito interi
presepi. Le cere scolpite erano oggetto di culto ma anche d'ammirazione
artistica, per la varietà e la preziosità degli addobbi che spesso guarnivano i
soggetti. Di notevole fattura sono le opere del siracusano Gaetano Zummo, tra i
primi e il più celebre ceroplasta siciliano del quale si trovano alcuni gruppi
statuari di grande pregio nel Victoria and Albert Museum di Londra.
In quest'arte si sono distinti, per qualità e originalità, anche i cosiddetti
"Bambinai" che operavano a Palermo, nella zona della chiesa di San
Domenico, tra il Seicento e il Settecento. Altri nomi noti di celebri cerari
siciliani che impreziosirono con la loro arte l'attività presepiale furono
quelli di Anna Fortino, Rosalia Novelli, Giacomo Serpotta, Giovanni Rosselli,
Mariano Cormaci e frà Ignazio Macca. Di quest'ultimo sono i famosi presepi che
si conservano nell'eremo di San Corrado a Noto e nel Museo Bellomo di Siracusa.
A Caltagirone, città produttrice di ceramiche fin dal Cinquecento, i presepi
sono realizzati in terracotta policroma. Artisti del calibro dei fratelli
Bongiovanni, Giuseppe e Giacomo, e del loro nipote Giuseppe Vaccaio, i
"santari" Branciforti e Margioglio, hanno fatto la storia dei presepi
di Caltagirone tra la fine del Settecento e la prima metà dell'Ottocento.
A Trapani, invece, si utilizzano materiali nobili, tra cui l'argento e il
corallo, da soli, come nel Rinascimento, o insieme all'avorio, alla madreperla,
all'alabastro, all'oro e alle conchiglie, nel periodo del Barocco e Rococò.
L'abile commistione cromatica dei diversi materiali preziosi, tra cui il bianco
intenso dell'avorio, il rosso vivo del corallo, i riflessi dell'argento e
dell'oro, lo sfavillio delle gemme e degli smalti applicati, hanno fatto la
storia del Presepe siciliano. Fra gli autori di questi presepi si ricorda il
maestro Giuseppe Tipa che con i figli Andrea e Alberto fu titolare di una
prestigiosa bottega attiva a Trapani almeno fino alla fine del XVIII secolo.
Splendidi esemplari di questi presepi sono esposti ai musei Pepoli di Trapani e
Cordici di Erice.
Si ricorda che, sin dal XV secolo, tutti i "Bambinelli siculi" sono
impreziositi da accessori d'oro e d'argento, rappresentati con un'espressione
ieratica ed immersi in uno sfavillio di fiori di carta e lustrini colorati dentro
teche di vetro dette "scarabattole".
Alla stessa città di Trapani, in particolare al nome di Giovanni Matera, è
legata l'arte più economica della scultura modellata secondo le tecniche della
"tela e colla". I figurini avevano la testa e gli arti in legno di
tiglio, mentre sul busto, grossolanamente scolpito, erano sovrapposte drappeggi
di tele imbevute di colla e gesso a simulare i costumi dei personaggi. Le opere
del Matera sono conservate nel Museo Pitrè di Palermo e nel Museo Nazionale di
Monaco di Baviera.
Anche Caltagirone occupa nella storia del Presepe popolare
siciliano un posto di primissimo piano. Qui l'arte della ceramica, che può
vantare un'antichissima tradizione, ha conosciuto uno straordinario sviluppo
raggiungendo esiti di estrema raffinatezza. Qui operarono, tra la fine del
Settecento e la prima metà dell'Ottocento, Giacomo Bongiovanni e Giuseppe
Vaccaro, rispettivamente zio e nipote, maestri entrambi nell'uso dell'argilla
sovrapposta in forma di sottilissime strisce sul corpo già modellato delle
statuine.
Questa innovazione rivoluzionò la tecnica del modellato, che fu seguita e
imitata da tutti i figurinai fino ai nostri giorni.
Il Presepe nel mondo. Allarghiamo brevemente il nostro orizzonte portando il
Presepe fuori dall'Italia. Innanzitutto è utile e corretto ammettere che ogni
cultura ha il suo proprio idioma artistico e il suo regno di colori, mentre la
scelta dei materiali è determinata in gran parte dalla ricchezza del luogo. La
tradizione del Presepe fu portata fuori dall'Italia, specialmente nei territori
di missione, innanzitutto dai francescani e dai gesuiti, poi da altri Ordini
religiosi. Essa fu un utile strumento utilizzato a scopi didattico-liturgici.
In Francia il Presepe si chiama "crèche", forse in omaggio al Presepe di
Greccio di san Francesco. La prima comparsa nelle case francesi del Presepe è
attestata intorno al XVII secolo, attraverso la forma di scatole vitree. Si
tratta tuttavia di rappresentazioni di singoli personaggi, come quelle del
Bambinello. Fu la comparsa delle statuette provenzali, non prima del
Settecento, a far assumere al Presepe una maggiore diffusione. Queste, che
avevano caratteristiche che rivelano l'influenza del Barocco italiano, erano
fatte di legno con viso e mani in terracotta o cera. Il vero sviluppo del
Presepe è però legato alla Rivoluzione che proibì la messa di mezzanotte e
qualsiasi rappresentazione dell'evento.
Nel 1798, il figurinaio Jean Louis Lagnel concepì degli stampi in gesso per
fabbricare le sue statuette in argilla cruda: è l'origine del cosiddetto
"santon". Unica eccezione all'utilizzo dell'argilla fu la figura del
Bambinello, che era fatto completamente in cera, anche per rispetto alla sua
origine divina. Questa novità tecnologica - che compare per la prima volta alla
fiera di Natale del 1803 - permise di abbassare i prezzi, favorendo così una
più grande diffusione del Presepe nelle case dei francesi.
In Spagna il Presepe fu introdotto grazie agli scambi e ai traffici intercorsi
durante la dominazione borbonica tra Napoli e la Spagna. Esso diventa quasi
subito oggetto di culto popolare, tanto che fu coniato un proverbio:
"Presepe fai, pane mangerai". Inizialmente il Presepe entra solamente
nelle chiese, in seguito, grazie all'abilità di piccoli artigiani fece la sua comparsa
anche nelle case degli spagnoli. La rappresentazione della Natività, almeno
inizialmente, è però più sobria rispetto all'Italia: il Presepe mirava a
riprodurre, con la maggior fedeltà possibile, l'ambiente della Palestina del
tempo di Gesù, senza anacronismi di alcun genere. Grazie alla famosa
"scuola del gesso catalana", che ha rivoluzionato lo storico stile
spagnolo del Presepe di carta e sughero, i figurini diventano di gesso e il
Presepe entra in tutte le case.
II Presepe tridimensionale portoghese raggiunse la massima diffusione e i più
alti risultati artistici solo nella seconda metà del Settecento, grazie al
genio creativo di un italiano, Alessandro Giusti, che diede vita alla scuola
del barro (creta) di Mafra. I presepi più celebri sono quelli che si trovano
nella Cattedrale e del Museo dell'arte antica di Lisbona, e quello monumentale
della Basilica della "Estrela", con oltre cinquecento statue, opera
Machado de Castro.
Anche nei Paesi di lingua tedesca il Presepe è presente in occasione del
Natale. La scenografia tipica utilizzata prevede il tipico paesaggio del nord
Europa. Tra le usanze più diffuse, c'è il Presepe trasportabile che rievoca
"la ricerca dell'alloggio" di Giuseppe e Maria ai tempi del
censimento in Palestina. I gesuiti furono in queste zone i maggiori diffusori
di quest'arte. Proprio a Monaco di Baviera, all'interno della chiesa dedicata a
san Michele, si trova l'antico Presepe del 1605, opera di gesuiti. In queste
terre nasce anche il primo Presepe con parti in movimento, opera di Hans Schlottheim,
costruito nel 1588 per Cristiano I di Sassonia.
Nei Paesi slavi il tipico Presepe è trasportabile è viene costruito in un
piccolo armadietto con tendine, da uno o tre piani. La forma varia dalla
piccola chiesa alla stalla. Il Russia si chiama "wertep", in Polonia "szopka",
mentre in Ungheria "Betlemme".
Il Presepe in America Latina fu introdotto dai conquistatori come oggetto di
culto. La sua diffusione è dovuta ai
primi emigranti provenienti dal Vecchio Mondo. Il Presepe latinoamericano è
andato acquisendo nel tempo caratteristiche particolari grazie all'integrazione
di elementi propri d'ogni regione, diventando "meticcio". Il Bambinello,
chiamato "Manuelito", infatti, è quasi sempre con la pelle e capelli scuri.
In Messico il Presepe giunse nel 1523, precisamente nello stato di Acolman,
portato da tre missionari francescani (Pedro di Gante, Juan di Tecto e Juan di
Agorà), i quali evangelizzavano le comunità indigene servendosi anche del
Presepe. Ben presto il Presepe prese una fisionomia tipica della cultura
indigena del luogo, sovrapponendo l'antica arte maya e azteca a quella europea.
Così i personaggi sono fatti di fango, di porcellana, cartapesta, cartoncini,
foglia, canna di mais, ghiaccio secco. Il Presepe è adornato e arricchito con
gli elementi tipici della campagna, come legno di pino, paglia, piccole rocce,
ed altri elementi comuni, perché il principale obiettivo di questa tradizione è
continuare a ricordare il luogo semplice dove nacque Gesù.
In Perù il Presepe è collocato nel luogo più elevato dell'abitato, perché
dall'alto può proteggere i suoi abitanti. La sua forma è ad altarino ad ante, i
cosiddetto "sammarcos", dipinto con fiori vivacissimi e contenente innumerevoli
figurine con scene religiose e profane. Il materiale usato per confezionarli
prevede l'uso del legno, pietra e stracci.
In Ecuador il Presepe è molto povero, forse per questo è molto bello. Viene
fatto utilizzando la canna di bambù, il cade (i rami che si usano per coprire
il tetto delle capanne e delle case perché non s'infiltri acqua quando piove),
la pietra e il legno.
In Paraguay la tradizione vuole la presenza del Presepe in tutte le case, per
evitare che la sfortuna si abbatta sulla famiglia. In un Presepe paraguaiano,
accanto alle statuine tipiche della Natività, non deve mai mancare il fiore di
cocco, per dare un profumo all'evento, il fiore del Karaguatá (pianta spinosa
dal fiore vistoso) e la frutta di stagione.
Il Presepe più tipico dei Paesi latinoamericani è quello brasiliano. Oltre alla
vivacità dei colori, spesso sono introdotti anche personaggi tratti dalla
mitologia afro-americana: così accanto al pastore vi è il "lupo mannaro" o il
caapora (un genio maligno della foresta). Un altro Presepe tipico del Brasile è
quello costruito nella zona nord-est del Paese: esso è chiamato lapinha, ed ha
un Bambinello abbigliato con vesti intessute d'oro e pietre preziose. Tipici
sono anche i presepi a due piani, dove nella parte inferiore è raffigurata la
Natività e, in alto, la Crocifissione di Gesù, circondata da santi particolari
a seconda della devozione personale dell'esecutore o di chi ha commissionato il
Presepe.
Anche in Argentina il culto del Presepe è molto vivo, esso ricalca grosso modo
la cultura del posto. Il materiale è quello tipico del luogo: pietra, legno o
cartapesta.
In Africa i primi missionari dovettero faticare molto per convincere la
popolazione locale che il "nuovo" Dio aveva sembianze tipiche dell'uomo bianco.
Così, inizialmente, i primi presepi erano di gesso non colorato. Col passare
del tempo, anche in Africa, la tradizione del Presepe assunse i caratteri
tipici del luogo: ecco quindi comparire personaggi dai tipici tratti camusi
indigeni, vestiti con abiti dai "colori africani". Le materie utilizzate sono
quelle presenti nel continente: la creta cruda, l'avorio ed i legni pregiati,
tra cui l'ebano nero.
Nella maggior parte dell'Asia il Natale arriva silenzioso, specie in quelle
zone dove il cristianesimo è religione minoritaria. I primi a portare la
rappresentazione della nascita del Cristo in versione tridimensionale furono i
gesuiti, che incuriosirono la popolazione locale attraverso quest'arte. Anche
in questo continente il materiale utilizzato è tipico del luogo: si va dal
legno alla carta di grano di riso.
Il nostro piccolo viaggio attorno al Presepe termina, non prima di aver
augurato a tutti voi un felice Natale.
Il Presepe è il simbolo del nuovo che nasce e che cancella in vecchio, allora
... "se nel Presepe contempliamo Colui che si è spogliato della gloria divina
per farsi povero, spinto dall'amore per l'uomo" (messaggio Urbi et Orbi di
Giovanni Paolo II del Natale 2003), seguiamo quest'esempio allontanando questo
mondo dall'odio, dalla violenza e dall'egoismo, e cerchiamo di costruire un
Presepe innanzi tutto nel nostro cuore per far nascere l'uomo nuovo.
Il Presepe Napoletano
A Napoli si ha notizia del presepe già nel 1025, in un documento che menziona la Chiesa di S. Maria del presepe, e nel 1324 quando viene citata ad Amalfi una "cappella del presepe di casa d'Alagni". Nel secolo XV compaiono i primi "figurarum sculptores" che realizzano sacre rappresentazioni in chiese e cappelle napoletane - le più importanti sono quelle dei presepi di San Giovanni a Carbonara dei fratelli Pietro e Giovanni Alemanno, San Domenico Maggiore, Sant'Eligio e Santa Chiara. Sono statue lignee policrome a grandezza naturale colte in atteggiamenti ieratici di intensa religiosità, poste davanti ad un fondale dipinto. Verso la metà del 1500, con l'abbandono del simbolismo medioevale, nasce il presepe moderno per merito, secondo la tradizione, di San Gaetano da Thiene che nel 1530 realizza nell'oratorio di Santa Maria della Stelletta, presso l'Ospedale degli Incurabili, un presepe con figure in legno abbigliate secondo la foggia del tempo. Nel corso del secolo iniziano anche a comparire i primi accenni al paesaggio in rilievo che sostituisce quello del fondale dipinto; al bue e all'asinello - unici animali presenti nella rappresentazione - si aggiungono via via cani, pecore, capre. Durante il '500 si intensifica anche la costruzione dei presepi con figure di dimensioni sempre più ridotte fino a giungere alla realizzazione del primo presepe mobile a figure articolabili, allestito dai padri Scolopi nel 1627. Il secolo d'oro del presepio a Napoli è il '700 e coincide con il Regno di Carlo III di Borbone, sovrano mecenate che riporta la città partenopea al livello delle più ferventi capitali europee, alimentando una meravigliosa fioritura culturale e artistica, testimoniata anche dalla magnifica produzione presepiale. Cambiano le tecniche di realizzazione del "pastore" - termine con il quale s'individua qualsiasi personaggio presepiale - sostituendo la statua scolpita, la cui realizzazione richiedeva troppo tempo, con manichini con un'anima di fil di ferro, arti in legno e teste di terracotta ricavate da piccoli stampi, che avevano anche il pregio di poter essere articolati come richiedeva il personaggio, rappresentato nell'atto in cui veniva colto, dando l'impressione del movimento. Il "figurinaio" diviene una vera e propria professione, che coinvolge anche le donne di casa adibite al taglio e cucito delle vesti, con specializzazioni diverse, nella realizzazione di pastori, di animali di strumenti di lavoro e musicali, di prodotto dell'orto e minuterie varie tutti riprodotti in scala. Tra questi eccelle Giuseppe Sammartino e per gli animali Saverio Vassallo. Nasce lo "scoglio", una sorta di sperone roccioso che, a seconda delle dimensioni può ospitare la scena del "Mistero" (Maria, Giuseppe, Gesù, Angeli, bue e asinello) o costituire la base per tutto il paesaggio presepiale. La grotta, con una miriade di Angeli che scendono dall'alto viene sempre più spesso sostituita con le rovine di un tempio pagano; la scena della Natività è sempre più defilata e quasi soffocata nello scenario circostante sovrabbondante di personaggi e paesaggi, nei quali spicca il corteo dei magi reso più esotico dal seguito dei "mori" abbigliati con vesti orientali dai colori sgargianti. Aumenta il numero dei personaggi che diventano folla di contadini, pastori, pescatori, artigiani, mendicanti, popolo minuto e notabili, tutti colti nelle loro attività quotidiane o in momenti di svago, nei mercati, nelle botteghe, taverne, vie e piazze in scorci di vita cittadina o paesana. Il presepe diventa una vera e propria moda. Lo stesso re, abile nei lavori manuali e nella realizzazione di congegni, si circonda di scenografi, artisti e architetti. Tra questi G. B. Nauclerio che, attraverso tecniche di illuminazione, simulava il passaggio dal giorno alla notte e viceversa e ancora Cappello e De Fazio nonché il dilettante Mosca impiegato e geniale presepista. La regina e le dame di corte confezionano minuscoli abiti per i manichini con le stoffe tessute negli opifici reali di San Leucio. Il presepio immenso, viene allestito in alcuni saloni del Palazzo Reale di Napoli, con centinaia di personaggi e una gran cura per i dettagli. I nobili naturalmente imitano il sovrano rivaleggiando tra loro per sontuosità e ricchezza dei materiali utilizzati: gemme preziose, magnifiche stoffe catturano l'attenzione del "popolino" - ammesso nelle case patrizie per ammirare il presepio - forse più della scena stessa. Famosi i presepi allestiti per il principe di Ischitella, con i Magi abbigliati con vesti dove brillavano innumerevoli gioielli. Il presepio si diffonde anche presso il popolo partenopeo, anche se in forma naturalmente meno sontuosa; ogni casa ha comunque il suo presepio seppure con pochi "pastori" raggruppati su un minuscolo "scoglio", dentro la "scarabattola", una teca da appendere al muro o tenere sul comò. E' tale la frenesia del presepe di Napoli da suscitare le pur bonarie critiche dell'architetto Luigi Vanvitelli che nel 1752 scrivendo al fratello Urbano a Roma, definisce il presepe una "ragazzata" pur rilevando "l'abilità" e la "efficace applicazione" dei napoletani così "goffi nel resto". E' chiaro che il presepe settecentesco, non a caso definito cortese, di sacro conserva ben poco. Si rivela più una esperienza mondana dei nobili e ricchi borghesi: l'avvenimento e il passatempo principale delle festività natalizie, quando il re e la corte visitavano i presepi più rinomati della capitale del regno che talvolta riuscivano a stupire anche la regina come accadde a Carolina nel 1768, alla visita del presepe allestito nella chiesa di Gesù Nuovo. Tuttavia l'universalità e la spettacolarità che si accompagnano all'evento presepio del '700 e le critiche che ne conseguirono, nulla tolgono alla valutazione del fenomeno come concreta espressione d'arte barocca naturalistica, né ai suoi caratteri di tangibile documento storico, descrittivo dei costumi, delle usanze e delle tradizioni del popolo napoletano in un'epoca che vide Napoli splendida capitale di cultura e d'arte e meta irrinunciabile di colti viaggiatori italiani e stranieri. Dopo il regno di Ferdinando IV il presepe cominciò a decadere. La maggior parte dei presepi furono definitivamente smontati, i pastori venduti o dispersi. Di questi fantastici presepi non è giunto fino a noi quasi nulla. Tra i pochi salvati, va ricordato il magnifico allestimento Cuciniello, donato dallo scrittore Michele Cuciniello alla città di Napoli e conservato nel Museo della Certosa di San Martino.
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Il Presepe Siciliano
In Sicilia l'arte presepiale pur risentendo degli influssi della scuola napoletana, specialmente per quanto riguarda l'ambientazione - riproduzione di scene di vita quotidiana in paesi e con personaggi isolani - e talvolta la tecnica - manichini in legno e fil di ferro con vesti di stoffa - presenta tuttavia diversi caratteri originali variabili a seconda delle provenienze geografiche. Quattro sono le aree dove in particolare si sviluppa un artigianato presepiale fortemente caratterizzato: i territori di Palermo, Siracusa, Trapani e Caltagirone. A Palermo e nel siracusano, dove l'apicultura è molto diffusa, fin dal '600 si usa la cera per plasmare statuine di Gesù Bambino e poi interi presepi. In quest'arte si distinguono i cosiddetti "Bambinai" che operavano a Palermo nella zona della chiesa di San Domenico tra il '600 e il '700; tra loro un caposcuola fu Giulio Gaetano Zumbo del quale si può ammirare un presepe al Victoria and Albert Museum di Londra e Giovanni Rosselli ricordato da una sua opera al Museo Regionale di Messina nonché Anna Fortino, Giacomo Serpotta e Anna La Farina. I Bambinelli sono di fattura raffinata, impreziositi da accessori d'oro e d'argento, ieratici nell'espressione e rappresentati con una croce in mano. Nel '800 sono rinomati i "cerari" siracusani che producono presepi interi o Bambinelli dall'espressione gioiosa o dormienti, recanti nelle mani un agnellino, un fiore o un frutto e immersi in un tripudio di fiori di carta e lustrini colorati dentro teche di vetro (scarabattole). Tra loro eccellono Fra' Ignazio Macca, del quale si conservano alcuni presepi nell'eremo di San Corrado a Noto e nel Museo Bellomo di Siracusa e Mariano Cormaci ricordato dal presepe in cera a grandezza naturale sito nella grotta di Acireale. Notevole anche il presepe conservato nel palazzo Vescovile di Noto, che rappresenta uno spaccato di vita contadina, composto da 38 figure inserite nel paesaggio dei monti iblei. A Trapani per la fattura dei presepi si utilizzano materiali nobili e soprattutto il corallo, da solo, come in epoca rinascimentale, o insieme all'avorio, alla madreperla, all'osso, all'alabastro e alle conchiglie, nel periodo barocco e rococò, quando alla composizione centrale della Natività fanno corona architetture in stile d'epoca dove si rappresentano scene fantasiose e simboliche. Splendidi esemplari quelli esposti ai musei Pepoli di Trapani e Cordici di Erice. A Caltagirone, città produttrice di ceramiche fin dal '500, i presepi sono realizzati in terracotta e rappresentano come cornice alla Natività, scene di vita contadina e pastorale animate da personaggi tipici di quella civiltà come il pastore che dorme, lo zampognaro, il venditore di ricotta o il cacciatore. La migliore produzione qualitativa di presepi in terracotta policroma si ebbe tra la fine del '700 e la prima metà dell'800 con la bottega dei fratelli Bongiovanni, Giuseppe e Giacomo e con il nipote Giuseppe Vaccaro eccellente artista. Tuttavia già agli inizi del '700 operavano artigiani rinomati come i "santari" Branciforti e Margioglio che contribuirono ad imporre Caltagirone anche come "Città del presepe". Più in genere nell'intero territorio isolano ebbe grande diffusione a partire dal '600, il presepe costruito con la tecnica usata nella produzione di statue d'altare: statuine in legno rivestite di stoffe immerse in un bagno di colla per renderle rigide e dai colori brillanti. Tra i più noti presepisti del genere il caposcuola Salvatore Matera, il Nolfo, il Ciotta, i Pisciotta e i Tipa.
Il Presepe Romano
La prima testimonianza in assoluto dell'arte presepiale a Roma, si ha con le statue di legno scolpite nel 1289 da Arnolfo Di Cambio e conservate nella cripta della Cappella Sistina della Basilica di Santa Maria Maggiore. Successivamente sono le cronache del frate francescano Juan Francisco Nuno ad informare, nel 1581, sull'uso ormai da tempo diffuso a Roma, di allestire presepi in monasteri e luoghi di culto ed in particolare nella Chiesa dell'Aracoeli dove era specialmente venerata la statua del Bambinello che si dice opera di un frate francescano che l'aveva intagliata in un tronco di ulivo del Getsemani, trafugata il 1° febbraio del 1994 e non più ritrovata. Nel '600 la nobiltà romana inizia ad esporre presepi nei propri palazzi, opere sontuose in linea con lo stile barocco dell'epoca, commissionate ad artisti famosi come il Bernini del quale si ricorda un presepe realizzato per il Principe Barberini. Anche il '700 mantiene viva la tradizione dei presepi nelle case patrizie ma chiese e monasteri non sono da meno come attestano le grandi statue della natività in San Lorenzo, i presepi di Santa Maria in Trastevere e Santa Cecilia. Ma è nel '800 che la realizzazione di presepi si diffonde a livello popolare grazie alla produzione a basso costo, con gli stampi di innumerevoli serie di statuine in terracotta modellate da artigiani figurinai tra i quali anche il ragazzo Bartolomeo Pinelli famoso in seguito come pittore della Roma del suo tempo. Sono tuttavia le famiglie più importanti per censo e ceto sociale a realizzare in gara tra loro i presepi più imponenti, ricostruzioni di paesaggi biblici o di scorci della campagna romana caratterizzata da alberature di pini e olivi, costruzioni rustiche e rovine dell'antichità, da mostrare non solo a parenti e amici ma anche a concittadini e turisti, richiamati da fronde di rami appesi ai portoni a somiglianza d'insegne. Sono rimasti famosi quello della famiglia Forti, posto sulla sommità della Torre degli Anguillara, o della famiglia Buttarelli in Via De' Genovesi, riproducente il paese di Greccio e la scena del presepe vivente voluto da San Francesco o quello di padre Bonelli nel portico della chiesa dei Santi XII Apostoli, parzialmente meccanico con la ricostruzione del Lago di Tiberiade solcato dalle barche e delle città di Gerusalemme e Betlemme. Nel presepe romano più usuale, il paesaggio agreste fa da sfondo alla grotta in sughero, sovrastata da un tripudio di angeli in volo sulle nuvole, disposti in nove cerchi concentrici che pongono la Natività al centro della scena, una scena povera sia nella rappresentazione dei personaggi, pastori con le greggi e contadini al lavoro con i loro animali, sia nelle architetture, case modeste e locande di campagna tra resti di archi e acquedotti antichi, tipici dei luoghi rappresentati. A partire dalla seconda metà del novecento, l'ambientazione cambia e vengono proposte zone caratteristiche della Roma sparita, demolite per far posto all'urbanizzazione di Roma capitale, ma conservate al ricordo dagli acquerelli dell'artista tedesco E. Roessler Franz, che fotografano la Roma papalina e le sue irripetibili atmosfere.
presepe pugliese
La straordinaria ricchezza di fonti narrative, evangeliche e popolari, ha consentito, sin dal XIV secolo, di differenziare anche in Puglia la rappresentazione della Natività da quella del Presepe. Questo passaggio può essere colto proprio in una chiesa francescana, quella di Santa Caterina a Galatina. In una arcata ribassata nella controfacciata della navata sinistra, un grande affresco, con la rappresentazione della Natività, fa da sfondo ad un più plastico presepe in pietra attribuito allo scultore Nuzzo Barba, sullo scorcio del XV secolo. E' unanimemente ritenuto il più antico presepio di Puglia di cui sopravvivono però solo gli elementi centrali: la Vergine, il Bambino, San Giuseppe e il Bue e l'Asino. E' nel corso del XVI secolo tuttavia che la rappresentazione presepiale con scultura in pietra, trova la sua massima affermazione, cominciando poi un lento declino nel XVII secolo per ricomparire in seguito, sul finire del Settecento, in forme differenti, influenzate dalla voga napoletana dei presepi vestiti che in Puglia si trasforma in presepe in cartapesta o terracotta. E' Stefano Putignano nel corso del XVI secolo lo scultore più fortemente plastico che impagina vasti ed antichi presepi a Grottaglie, Polignano a Mare, Martina Franca. Ma altri artisti come Paolo da Cassano, a Cassano Murge e Bitritto; Altobello Persio ad Altamura, Tursi e Gallipoli, arricchiscono il panorama del secolo, nel corso del quale è forse Gabriele Riccardi ad inscenare, per la Cattedrale di Lecce, il più raffinato presepe che occupa tutto un altare, dove, nel fastigio, sono collocati la Cavalcata dei Magi e i Pastori adoranti e, sulla mensa, il gruppo della Natività. Attribuito un tempo al Riccardi, ma oggi ritenuto di uno scultore ancora anonimo, è un bel presepio a rilievo a Torre S. Susanna, come anonime sono le tre figure in pietra, dipinte, della Natività di Manduria. Nel corso del Seicento e del Settecento, altari dedicati al presepe, come nella Chiesa del Rosario a Lecce, ruotano spesso attorno al dipinto centrale. La religiosità popolare riprende vigore nell'Ottocento, quando, con alterna qualità i cartapestai del Salento e di Lecce iniziano una tradizione viva ancora oggi. Primo protagonista ne fu Mesciu Pietru de li Cristi, soprannome del primo cartapestaio documentato con una statua di San Lorenzo in Lizzanello del 1782. Il suo nome era Pietro Surgente (1742-1827) e fu il maestro (mesciu) di una schiera di grandissimi scultori della cartapesta nell'Ottocento, quasi tutti ricordati col loro soprannome: segno questo di una dimensione tutta paesana, quasi familiare e umile della loro attività. Nel secolo scorso si passa dalle grandi statue per altari, alle piccole statue per i presepi. Cominciò un certo Mesciu Chiccu Pierdifumu a modellare pupi da presepe in creta, che poi, aiutato da sua moglie Assunta Rizzo, "vestiva" con pezzi di stoffa alla napoletana per le misure più piccole e con fogli di drappeggiati di carta imbevuta di colla per le misure più grandi (fino a 30 cm.) in cui il corpo veniva ridotto a uno scheletro di fil di ferro e stoppa. Così, impercettibilmente, si passò dal classico pupo napoletano al classico pupo leccese. Accanto all'attività degli artisti professionisti si assiste ad una vera e propria germinazione spontanea di artisti popolari, tra i quali spicca la classe dei barbieri di Lecce, che intorno al 1840 cominciarono ad imitare i cartapestai e, nelle lunghe ore libere del loro lavoro con pettine e forbici, si dettero a modellare sia la carta pestata che la creta con le mani, i bulini e gli stampi. Tra gli esempi più belli vanno annoverati certamente quello dell'Istituto Marcelline di Lecce del 1890, realizzato da Manzo e De Pascalis ed Agesilao Flora; quello frammentato del Guacci, oggi al Comune di Lecce e quello di Michele Massari, poliedrico artista novecentista, anche presso il Comune di Lecce.
Il Presepe ligure
L'arte presepiale in Liguria nasce e si sviluppa in età barocca specialmente a Genova dove più numerosa è la committenza delle famiglie dominanti per blasone e censo nella repubblica da poco costituita. Le prime produzioni consistono in statuine intagliate nel legno, dorate e dipinte che prendono a modello sculture in marmo, paliotti d'altare, trittici, quadri riproducenti Natività e Adorazioni dei Magi, che si trovano nelle chiese della città e del circondario, opere di artisti come il Gagini, l'Orsolino, il Foppa, il Brea, il Bergamasco, il Semino, i fratelli Calvi. Il fenomeno procede di pari passo con il costume devozionale delle processioni durante le quali era usanza trasportare a spalla grandi statue di legno dipinte (che già agli inizi del XVII sec. erano rivestite con abiti d'epoca), commissionate dalle varie Confraternite come quelle del "Presepio" e dei "Re Magi". Da qui la creazione di figure lignee di più modeste proporzioni a formare presepi simili a quello riportato dalle cronache, costruito da padre Alberto Oneto nella chiesa di Santa Maria di Monte Oliveto a Multedo di Pegli. La miniaturizzazione dei personaggi presepiali, eseguite anche con materiali preziosi o di pregio come l'oro, l'argento, l'avorio, l'alabastro, avviene negli stessi laboratori e scuole di scultura e pittura ad opera degli stessi artisti che si affermeranno successivamente come orafi, pittori, scultori tra i più richiesti. Tra questi i "Pippi" figli di Filippo Santacroce, della cui scuola era allievo l'altrettanto famoso Gerolamo del Canto e ancora Giovanni Battista Castello che tra i materiali usati privilegiò la tartaruga e il laboratorio di Domenico Bissoni e del figlio Giovanni Battista Gaggini da Bissone, il Piola, Francesco Costa e numerosi altri. Nel corso del '600 e soprattutto nel '700 si moltiplicano i personaggi che compongono la scena presepiale ligure, ai pastori si aggiungono contadini, artigiani, nobili e popolani, paggi, mendicanti e animali da pascolo e da cortile. La dilatazione della produzione determina nuove scelte tecniche e impone una rivoluzione del gusto: non più statuette lignee dipinte ma manichini di legno abbigliati con vesti ora povere ora sontuose a seconda del personaggio rappresentato. L'abilità dell'artista si concentra sulle teste, sui volti dagli occhi di vetro, sulle mani, in quelle parti cioè che sole rimangono scoperte; di questo nuovo stile è caposcuola Anton Maria Maragliano con un linguaggio figurativo di maniera ma raffinato che si fece più realistico negli atteggiamenti e nelle espressioni delle immagini, solo molto più tardi ad opera di artigiani liberi ormai dalla sua influenza. A questo punto sono le vicissitudini storiche a determinare la seconda e più duratura svolta dell'arte presepiale ligure causata dal nuovo ordinamento democratico e libertario frutto della Rivoluzione Francese, importato in Liguria dall'esercito napoleonico. Sotto i colpi francesi tramonta il vecchio ceto dominante e con esso si estingue praticamente la committenza nobiliare e borghese e tuttavia le tendenze gianseniste tese a eliminare le pratiche religiose folcloriche non attecchiscono tra la popolazione urbana e nel contado dove la gente rimane fedele alle proprie tradizioni devozionali. Così all'inizio del '800 proseguono nelle chiese liguri le sacre rappresentazioni su testi in vernacolo e in lingua, famoso "il Gelindo", interpretate dai fedeli come testimonia in una sua relazione il diplomatico conte Nigra che vi partecipò da bambino. In ugual modo si mantiene viva la tradizione del presepe che ora, dovendo soddisfare le esigenze di ceti meno abbienti, perde le sue preziosità scenografiche e la sontuosità delle vesti e degli accessori per ridimensionarsi in una produzione di serie, riferita a pochi modelli raffiguranti popolani e popolane con i loro modesti indumenti e le loro povere offerte, ordinati in piccole composizioni da esporre in famiglia nelle case durante il periodo natalizio. Ma il costo del legno e del lavoro artigiano, per questione di tempi inadatto a produzioni massive, rendono il prezzo del presepe fuori della portata della maggior parte della gente. Sono maturi i tempi per l'avvicendamento della terracotta al legno e della formatura a stampo. Il passaggio dal lavoro artigianale a quello industriale avviene quasi naturalmente, favorito dalle fornaci esistenti a Savona e nella contigua Albisola, che da epoca immemorabile, forse già nei secoli del tardo Impero Romano, producono oggetti in ceramica. L'idea è data dai calchi di figure plastiche usate già nella seconda metà del '700 dall'officina di Giacomo Boselli e alla cessazione delle attività di questa, ereditate dalle officine del Savonese che insieme a molte altre utilizzazioni, se ne servono per ricavarne anche figure presepiali di terracotta. L'argilla compressa negli stampi creati appositamente su modelli tradizionali dai "figurinai", sottoposta a monocottura, viene stampata in statuette che successivamente venivano dipinte a freddo con vivaci colori. Questo procedimento comportava prodotti di rozza fattura, pur se ingentilita dal retaggio settecentesco, come lamentano studiosi della materia di inizio secolo, ma permetteva prezzi alla portata di tutte le borse. Si moltiplicano così i "figurinai" dei quali il più celebre, lo scultore di Savona Antonio Brilla, ancora bambino, preparava le statuine caratterizzandole ognuna come portatrici di un dono diverso per il Bambinello: canestri di frutta, verdura e pane, zucche, cavoli, pollame, capretti, piccioni, pesci che daranno l'impronta rivelatrice della tipologia presepiale ligure del '800. Alla produzione industriale si affiancò ben presto ad Albisola quella casalinga quando le officine che producevano stoviglie in terracotta verniciata, cominciarono a sfornare anche statuine modellate e dipinte dalle madri, mogli e figlie delle maestranze di quelle fabbriche, esempio di lavoro in nero ante litteram. Le statuine, riproduzioni di personaggi popolari, denominate spregiativamente "macacchi" ossia balorde perché malamente abbozzate e dipinte in maniera naif, venivano smerciate nell'annuale mercato di Santa Lucia che si svolgeva il 13 dicembre a Savona. Le figurinaie domestiche avevano tutte un soprannome che le individuava quasi a costituire il marchio di fabbrica: "Campanàa", "Circia", "Fata Geìnìn", "Nanìn a Cioa", "Tere a Russa", "Mominìn" fino all'ultima depositaria di questa ingenua ma poetica forma di artigianato, Beatrice Schiappapietra che ha operato ad Albisola fino al 1970. Ultimi epigoni dell'arte presepiale ligure, gli scultori Arturo Martini e Tullio Mazzotti che negli anni '20 progettarono presepi fissi in ceramica, nello stile improntato ai canoni estetici proposti dal movimento futurista.
Il Presepe vivente di Greccio
Nel Natale 1223 San Francesco realizza in Greccio con l'aiuto della popolazione locale e di Giovanni Velìta, signore dei luoghi, un presepe vivente con l'intento di ricreare la mistica atmosfera del Natale di Betlemme, per vedere con i propri occhi dove nacque Gesù.
Tutto fu approntato e, con l'autorizzazione di Papa Onorio
III, in quella notte si realizzò il primo presepio vivente nel mondo.
I personaggi che nella notte del 1223 animarono il "Presepio di San
Francesco" sono quelli tramandati dalla tradizione e dalle fonti storiche,
gli scritti di Tommaso da Celano e San Bonaventura:
- San Francesco: che nel suo peregrinare giunge sul monte di Greccio nel 1208,
dove incontra Messer Giovanni Velìta e la popolazione locale per farli
partecipi della sua idea e chiedere la collaborazione necessaria alla
realizzazione del progetto;
- Giovanni Velìta: Signore di Greccio, discendente dai conti di Celano e della
famiglia Berardi, che divenne grande amico del Santo e con lui collabora al
progetto. Nonostante la sua avanzata età, non esitò a raggiungere San Francesco
sui monti di Greccio per convincerlo a trasferirsi nel borgo e la, nei pressi
di Fonte Colombo, il Santo di Assisi gli espresse il desiderio di rivivere a
Greccio il mistero del Natale di Betlemme;
- Alticama: figlia di Guido Castelli, Signore di Stroncone, sposa di Giovanni
Velìta, che partecipa attivamente all'evento costruendo con le sue mani il
simulacro del Bambino Gesù;
- gli Araldi: guardie e servi fedeli del nobile Velìta che lo assistono in ogni
sua attività e si recano in tutta la valle a convocare le genti per il Natale
di Greccio;
- i Nobili: cortigiani testimoni degli avvenimenti di quella mistica notte,
vissuta al seguito del loro signore;
- i Frati: compagni di Francesco, che lo seguivano fedelmente dovunque come Frà
Leone, Rugino, Angelo, tre seguaci che in futuro, da Greccio, diedero
testimonianza scritta della vita di San Francesco nella "Leggenda dei tre
Compagni";
- il Popolo infine che accorre in massa al richiamo degli araldi portando ceri
e fiaccole per rischiarare quella notte speciale, risalendo la selva con canti
e preghiere animato da una fede profonda risvegliata in loro dal poverello di
Assisi. In questi luoghi nacque e si sviluppò il santuario del Presepe di
Greccio, ove dal 1973 ogni anno, come da tradizione, viene rievocato fedelmente
l'Evento.
L'idea di rappresentare il primo presepe vivente è stata di P. Valerio Casponi e oggi alla sua realizzazione partecipano circa cento persone tra figuranti e struttura tecnica, impegnati nella rappresentazione che si svolge a Greccio il 24 e 26 dicembre e il 6 gennaio.
L'azione scenica si compie in quattro quadri:
- nel primo "San Francesco alla Cappelletta" si narra dell'arrivo del
Santo sui monti di Greccio dove si costruirà un rifugio, quello appunto
chiamato "Cappelletta";
- nel secondo, detto del "Lancio del Tizzo", si può vedere il Santo
che giunto nell'abitato di Greccio, sollecitato dalla popolazione locale,
decide di stabilire la sua dimora nel luogo dove andrà a cadere un tizzo
ardente lanciato da un fanciullo dalla piazza di Greccio. Per un prodigio,
secondo la tradizione, il tizzo andò a cadere nel luogo dove sorge l'attuale
Santuario Francescano;
- nel terzo "Giovanni Velìta a Fonte Colombo", si assiste
all'incontro del Signore di Greccio e di San Francesco, che si trovava a Fonte
Colombo per la stesura della Regola dei Frati Minori, durante il quale il Santo
esprime il desiderio di rivivere a Greccio la scena della Natività e ne
sollecita l'aiuto;
- nel quarto e conclusivo, si rivive l'atmosfera di quella notte santa del 1223
con la nascita del Bambinello mostrato al popolo da San Francesco. La leggenda
vuole che il simulacro del S. Bambino si animasse tra le mani del Santo,
benedicendo la folla riunita.
Glossario presipistico
Diorami - Il termine diorama, dal punto di vista strettamente lessicale, sta ad indicare un insieme di figure dipinte che, per effetto di prospettiva e giochi di luce, danno l'illusione di un panorama naturale. Nell'ambito dell'arte presepiale i diorami, in serie, sono rappresentazioni plastiche successive dei vari episodi della vita di Gesù e, quindi, sono fedeli alla narrazione evangelica, senza alcuna concessione alla fantasia. La scenografia, gli abbigliamenti, le espressioni dei volti sono fedeli, quanto è possibile, alla verità storica. E infatti, il presepe, sotto forma di diorami, si chiama anche presepe storico, evangelico. In Italia esistono, oggi, ottimi creatori di scenografie per diorami, mancano, invece, per ora, plasmatori delle statuine per le quali, perciò, si attinge a maestri plasticatori spagnoli che ne eseguono di bellissimi. Il presepe a diorami non è quasi per nulla seguito a Napoli.
Minuterie - Il termine indica i finimenti, l'oggettistica del presepe che dal '700 in poi ha arricchito le varie scene: dai cibi e leccornei dell'osteria agli oggetti che caratterizzano il corteo dei magi, dalle "sporte" di ortaggi e frutta ai doni portati a Gesù Bambino, dal bastone fiorito di S. Giuseppe agli ornamenti degli abiti, ai vari utensili, attrezzi, etc. che rendono reali, vive, le varie scene, ma che pure accentuano l'aspetto laico, profano del presepe degli ultimi secoli.
Moschelle - Il termine sta ad indicare i "pastori" più piccoli della media. Essi vanno dai 4 cm. iniziali ai 3 e anche meno di oggi. Sono un'invenzione di questo secolo. La loro esistenza ha prima soddisfatto l'esigenza di popolare i "lontani" cioè la scenografia degli sfondi, allo stesso modo, dalla fine del '600, venivano preparati pastori di altezza che variava dai 25 cm. per le scene di lontananza fino alla misura terzina (intorno ai 40 cm ed anche di altezza maggiore per la parte immediatamente anteriore). Negli ultimi tempi le moschelle hanno avuto maggiore diffusione per vari motivi. In primo luogo, l'impossibilità di riservare al presepe spazi considerevoli. Sono più che lontani i tempi nei quali per il presepe, retaggio quasi esclusivo di ricchi borghesi e di nobili, venivano allestite scene per gli "sfondi" del presepe, in più sale contigue: essi hanno lasciato una storia, sono divenuti un mito nella storia del presepe napoletano.
Osteria - Secondo alcuni ricorderebbe, sul presepe, l'oste
che rifiutò di ospitare anche per una sola notte, la Vergine e Giuseppe. Fino
all'età barocca gli scultori da presepe o, comunque, i committenti, non avevano
osato presentare la scena della taverna per tutto ciò che essa poteva
implicare, anche se, come detto innanzi, la figura dell'oste trova piena
rispondenza nel Vangelo.
Soltanto il tardo barocco, ormai libratosi dai legami con i canoni liturgici
tradizionali, per il suo spregiudicato realismo, indusse gli artisti o i
committenti ad inserire, nel presepe, la taverna che ha poi dato vita ad una
scena tra le più interessanti, vivaci, colorite, del presepe laico e cortese
('700).
Pastore - Nel lessico napoletano, e non soltanto quello popolaresco, il termine
è progressivamente passato delle statuine da presepe che rappresentavano,
appunto i pastori, i mandriani giunti alla grotta per adorare il Dio Bambino, a
tutte le altre statuine che, progressivamente, sono comparse nel presepe. L'uso
del termine "pastore" è così connaturato al mondo presepiale
napoletano che quelli "statuine" o "figurine" non
comparirono per nulla nella terminologia locale.
Presepe - Presepe = presepio. Il termine deriva dal latino praesaepe, is o praesaepium, ii = recinto chiuso, mangiatoia. Anche in questo caso il termine si è, di secolo in secolo, steso, ampliato. Indica la rappresentazione plastica a tutto tondo, sia della sola scena del Mistero (in questo caso è più esatto definirla natività) sia di quella più articolata, costituita da varie scene e complessa scenografia. più recentemente Gennaro Bordelli nel suo "Scenografie e scene del presepe napoletano" puntualizza: "E' presepe l'insieme di scenografie e di scene con figure mobili (non in senso meccanico ma flessibili e sistemabili in altra scena ndr), vasta riproduzione... della vita del tempo, vera creazione dell'ambiente napoletano". Dunque una interpretazione assolutamente laica del presepe, nella quale la scena del Mistero finisce per rimanere come sopraffatta, a volte secondari.
STORIA
In tutto il mondo durante il periodo
natalizio, laddove i cristiani festeggiano l'incarnazione di Dio, esiste
l'usanza di erigere presepi nelle case e nelle chiese. I presepi sono
rappresentazioni artistico- figurative della nascita di Gesù nella mangiatoia
di una stalla a Betlemme.
Nella capanna vediamo la Sacra Famiglia e i pastori, sullo sfondo l'asino e il
bue. L'adorazione dei saggi d'Oriente, i tre Re Magi, viene inclusa nel
paesaggio il 6 gennaio.
Gli evangelisti Luca e Matteo furono i primi a descrivere la storia
dell'incarnazione di Cristo. È famoso il Vangelo di Natale di Luca, apparso nel
secondo secolo dopo Cristo e poi divulgato nelle prime comunità cristiane.
Già nel Quarto secolo troviamo a Roma (nelle catacombe) immagini della
natività. L'origine esatta del presepio è difficile da definire, in quanto è il
prodotto di un lungo processo.
È storicamente documentato che già in tempo paleocristiano, il giorno di Natale
nelle chiese venivano esposte immagini religiose, che dal decimo secolo
assunsero un carattere sempre più popolare, estendendosi poi in tutta l'Europa.
Comunemente il "padre del presepio" viene considerato San Francesco
d'Assisi , poiché a Natale del 1223 fece il primo presepio in un bosco. Allora,
Papa Onorio III, gli permise di uscire dal convento di Greggio, così egli
eresse una mangiatoia all'interno di una caverna in un bosco, vi portò un asino
ed un bue viventi, ma senza la Sacra Famiglia.
Poi tenne la sua famosa predica di Natale davanti ad una grande folla di
persone, rendendo così accessibile e comprensibile la storia di Natale a tutti
coloro che non sapevano leggere.
Nella Cappella Sistina della Chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma, si può
ammirare uno dei più antichi presepi natalizi. Fu realizzato in alabastro nel
1289 da Arnolfo da Cambio e donato a questa chiesa. Il presepio ha la forma di
una casetta, in cui è rappresentata l'adorazione dei Re Magi.
Si considerano precursori del presepio anche gli altari gotici intagliati con
immagini della natività, che non fu possibile rimuovere. Uno di questi altari
con il gruppo dei tre Re Magi si trova in Austria nella chiesa di S. Wolfgang
nella regione di Salzkammergut. Questo altare venne realizzato dall'artista
brunicense Michael Pacher.
Un periodo fiorente di presepi fu il Barrocco. Prime notizie certe di presepi
di chiese si rilevano dalla Germania meridionale quando, dopo la Riforma i
Gesuiti riconobbero per primi il grande valore del presepio come oggetto di
preghiera e di raccoglimento, nonché mezzo di informazione religiosa. I Gesuiti
fecero costruire preziosi e fastosi presepi, tanto che quest'usanza si estese
velocemente nelle chiese di tutta Europa cattolica, finché ogni comune volle un
presepio in ogni chiesa.
Baluardi delle costruzioni dei presepi in Europa divennero l'Italia, la Spagna,
il Portogallo e il Sud della Francia. Nell'Europa dell'Est la Polonia, la
Repubblica Ceca e la Slovacchia, in centro Europa soprattutto l'Austria ed il
Sud della Germania.
L'arte dei Presepi visse un periodo aureo nel 18osecolo, quando si
cominciò ad ampliare e completare la storia di Natale con stazioni ed episodi,
sia nei presepi delle chiese e dei castelli, sia nelle case della gente comune.
Nel museo di Bressanone è possibile ammirare il più famoso di questi
"presepi annuali" composto da più di 4000 figure, realizzato da
Augustin Propst e dal suo fratellastro Josef, di Vipiteno.
Nel Museo Diocesano di Bressanone troviamo anche l'altrettanto famoso Presepio
Nißl, composto da 500 figure e realizzato dal figlio contadino-scultore Franz
Xaver Nißl (1731-1804) originario della Zillertal. Le figure, estremamente
espressive, sono esposte in sedici grandi vetrine; sette mostrano scene di
Natale con i tre Re Magi, nove il ciclo della Quaresima. Questo presepio, unico
e di altissimo valore, è oggi proprietà della chiesa parrocchiale di San
Giovanni in Valle Aurina.
La fine del 18osecolo fu contrassegnata dall' Illuminismo e dalla
Secolarizzazione. In alcuni luoghi vennero vietati i presepi: soprattutto in
Baviera si dovettero eliminare tutti i presepi dalle chiese, e furono portati
nelle case contadine per evitarne la distruzione. La conseguenza fu che nei
contadini crebbe l'interesse per l'arte raffinata dei presepi, così che essi stessi
cominciarono ad intagliare le figure.
Fino alla metà del 19o secolo preferivano sfondi con paesaggi di
montagna; dalla seconda metà del secolo invece acquistò sempre di più interesse
il presepio orientale.
A cavallo dei due secoli diminuì sensibilmente l'interesse per i presepi, ma ci
furono dei collezionisti che impedirono che molte rappresentazioni andassero
irrimediabilmente perdute. Ne fu un esempio Max Schmederer, consigliere di
commercio di Monaco, che raccolse presepi di tutto il mondo e lasciò in eredità
ai suoi posteri una delle più grandi collezioni di presepi del mondo, che oggi
è possibile ammirare al Museo Nazionale di Monaco di Baviera.
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