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IL FU MATTIA PASCAL - CENNI BIOGRAFICI

narrativa



IL FU MATTIA PASCAL


CENNI BIOGRAFICI

 
La vita di Luigi Pirandello è l'«involontario soggiorno sulla terra» di un «figlio del caos», come egli stesso, scherzando, amava definirsi.

Luigi Pirandello nacque ad Agrigento nel 1867 da don Stefano e da Caterina Ricci Gramitto. Il padre era di origine ligure, la madre era invece siciliana. Importanti furono gli anni dell'infanzia e della giovinezza: non solo per le prime esperienze culturali e per l'affiorare degli interessi per la letteratura e la poesia, ma



anche per le esperienze umane e sociali, compiute in quei decenni di confusione politica e morale che seguirono all'unità d'Italia.

Del 1885 sono i primi versi, "Mal giocondo", intrisi di una giovanile ed inquieta amarezza di diciottenne. Intraprese gli studi universitari alla facoltà di lettere di Palermo per passare poi a quella di Roma, dove ebbe fra i maestri Ernesto Monaci, uno dei più grandi filologi del tempo. Per suggerimento del Monaci, passò poi a studiare a Bonn, dove si fermò due anni laureandosi nel 1891, discutendo una tesi sulla parlata agrigentina "Voci e suoni del dialetto di Girgenti". A Bonn, città, di respiro intellettuale europeo, ebbe modo di venire a contatto con le più stimolanti esperienze della cultura contemporanea. In quel tempo egli non aveva ancora una chiara idea delle proprie attitudini e del proprio futuro: oscillava tra le ambizioni della ricerca scientifica e quelle poetiche, e non era insensibile alle tentazioni del giornalismo. Tornato a Roma tentò di inserirsi nella vivace società letteraria che in quello scorcio di secolo illustrava la capitale. Dominava D'Annunzio; ma Pirandello non fu sedotto dalle suggestioni del dannunzianesimo, anche se ne risentì qualche influenza. Decisivo fu invece l'incontro con Luigi Capuana, il teorico e maestro del verismo italiano. A contatto con Capuana, Pirandello scopre e definisce la propria vocazione di narratore; avvicinandosi alla grande esperienza del verismo. Nel 1893 scrive il suo primo romanzo "L'esclusa" e nel 1894 pubblica il primo volume di racconti "Amori senza amore". Nello stesso anno sposa la bella e ricca Antonietta Portulano, pure lei agrigentina. Ma la vita avrebbe riservato prove molto dure e amare ai due coniugi: nel 1897 un grave dissesto economico costringe la famiglia Pirandello a trasferirsi a Roma, dove Luigi insegna letteratura italiana all'Istituto Superiore di Magistero. Nell'ambiente romano, Pirandello prende consapevolezza del suo pensiero, soprattutto nel corso di una polemica antidannunziana. Intanto, nel 1903, cominciano ad apparire i primi sintomi del male che avrebbe afflitto la povera consorte distruggendo la felicità della famiglia Pirandello. Nel 1904, in un momento molto difficile, con la moglie ammalata e tre bambini da mantenere, scrive "Il fu Mattia Pascal".

Il romanzo, che ottenne subito molto successo, uscì la prima volta tra l'aprile ed il giugno del 1904 sulla rivista "Nuova Antologia"; nel 1910 fu pubbli 313b11d cato a Milano in un unico volume e in seguito tradotto in francese e tedesco. Lo scoppio della grande guerra del1914-18 e la prigionia del figlio Stefano ferito ed ammalato, avevano contribuito ad affliggere maggiormente lo scrittore, che già attraverso l'amara esperienza del dolore aveva consolidato la sua triste concezione del vivere nel mondo. Finita la guerra, Pirandello si immerse in un lavoro frenetico e senza soste, spinto dall'urgenza di insegnare agli uomini le "verità" da lui scoperte. Nascono i capolavori "Sei personaggi in cerca d'autore" ed "Enrico IV", entrambi del 1921. Nel 1925 fonda la "Compagnia del teatro d'arte", mentre dappertutto crescono i consensi alla sua opera e la sua fama si leva altissima, consacrata nel 1934 dal premio Nobel. Nel novembre del 1936 si ammala gravemente di polmonite e poco dopo muore.


FABULA

Mattia Pascal è un modesto bibliotecario comunale di un paesino ligure, che vive una vita grama e incolore, oppresso dalla tirannia della moglie e della suocera. La sua natura timida e arrendevole rende più penosa la sua esistenza. Ma un giorno, dopo un ennesimo litigio, trova la forza di reagire e si allontana da casa. E' la ribellione di uno che finalmente prende coscienza dell'inutile e falsa vita che gli altri gli impongono. Dopo aver vagato di paese in paese, giunge a Montecarlo e con i pochi quattrini che possiede gioca al Casinò e vince una considerevole somma. Mentre è inebriato dall'improvvisa fortuna, che lo ha trasformato in un uomo ricco, legge sul giornale la notizia della sua morte. Un uomo è stato trovato annegato in una gora e il cadavere, quasi irriconoscibile, è stato riconosciuto dai parenti come quello di Mattia Pascal. La notizia dapprima lo sconvolge, ma poi la sua fantasia si mette in moto: il caso lo ha reso finalmente libero e ricco; Mattia Pascal è morto: da questo momento egli potrà vivere una nuova vita sotto il nome di Adriano Meis. Si stabilisce a Roma in una pensione di via Ripetta, facendosi passare per un benestante. Ma ben presto si accorge dell'impossibilità di rifarsi una vita, di liberarsi dalle forme che la società impone a tutti. Infatti si innamora di Adriana, la figlia del proprietario della pensione, ma non può sposarla, perché Adriano Meis non figura in alcun registro di Stato civile; viene derubato e non può denunciare il furto; schiaffeggiato da un ospite della pensione e non può vendicare l'offesa con un duello. I contatti con gli altri diventano sempre più difficili, perché si comincia a diffidare di lui come di un fantasma. Egli si sente solo, smarrito, deluso, e l'equivoco delle due vite gli si rivela ancora più funesto della precedente situazione: " Ecco quello che restava di Mattia Pascal, morto alla Stia: la sua ombra per le vie di Roma. Ma aveva un cuore, quell'ombra, e non poteva amare; aveva denari, quell'ombra, e ciascuno poteva rubarglieli; aveva una testa, ma per comprendere e pensare ch'era la testa di un'ombra, e non l'ombra di una testa". Per questo decide di "uccidere" Adriano Meis, deponendo, come testimonianza della sua seconda morte, il cappello e il bastone sul parapetto di un ponte del Tevere con accanto un biglietto di "Adriano Meis suicida". Riacquistata la forma di Mattia Pascal, ritorna al paese, dove apprende che la moglie si è risposata ed è madre di una bambina. La legge gli consentirebbe l'annullamento di quel matrimonio, ma egli comprende che ormai non può più inserirsi nella vita degli altri; non gli resta che accettare la sua condizione di "escluso", per questo si reca al cimitero e depone un mazzo di fiori sulla "sua" tomba. Egli rimarrà "Il fu Mattia Pascal", perché così hanno voluto gli altri , che ormai non gli riconoscono altra personalità. Accetta in tal modo di vivere senza nome e senza volto, solo con sé stesso, oppresso dalla "pena del vivere così".

AVVERTENZA SUGLI SCRUPOLI DELLA FANTASIA

Pirandello inserisce, a conclusione della ristampa del romanzo, un proprio intervento in prima persona, teso a difendere la propria opera e la propria arte dalle accuse di cerebralismo e inverosimiglianza affermando che "non solo la vita è più inverosimile della letteratura, ma che è la vita stessa che copia l'arte".

Questa "Avvertenza", apparsa su "L'Idea Nazionale" del 22 giugno 1921 col titolo "Gli scrupoli della fantasia ", fu per la  prima volta aggiunta al romanzo nella ristampa del 1921, ediz. Bemporad, Firenze. E' la risposta a quei critici che ritenevano il "Fu Mattia Pascal" troppo poco verosimile. Riporta il caso di un uomo ritenuto morto perché la moglie aveva identificato come quello del marito, il cadavere di un annegato. In seguito la donna si era risposata. Ma l'uomo in quel periodo era in carcere . Scontata la pena ha saputo della sua morte da un impiegato dell'ufficio di anagrafe presso il quale si era recato avendo bisogno di un documento.


ANALISI DEL CONTENUTO


Ambiente


Il romanzo è ambientato principalmente tra un paese immaginario della Liguria di nome Miragno e Roma. Durante la narrazione, pero', il protagonista viaggia per varie città italiane (Montecarlo, Torino, Milano, Venezia, Firenze), nelle quali trascorre molto tempo, e tedesche (Colonia, Worms e Magonza). Nonostante il gran numero di luoghi citati, l'autore non si sofferma mai a descriverli, lasciando che sia il lettore a immaginarli. Evidentemente per Pirandello gli scenari dove le sue marionette agiscono passano in secondo piano, né egli se ne serve per caratterizzare i personaggi, come invece fa la maggior parte degli scrittori.


Tempo


In tutta la vicenda mancano del tutto riferimenti cronologici precisi ed espliciti. Pirandello non ci dà date o altre precisazioni a riguardo. Dalle notizie che Mattia legge in treno su un giornale possiamo però capire che la vicenda si svolge tra la fine del '800 e gli inizi del '900. Sono riferimenti di fatti politici accaduti in Germania ed in Russia. "Lessi che l'imperatore di Germania aveva ricevuto a Potsdam, a mezzodì, l'ambasciata marocchina, e che al ricevimento aveva assistito il segretario di Stato, barone di Richtofen...";

"Anche lo zar e la zarina di Russia avevano ricevuto a Peterhof una speciale missione tibetana che aveva presentato alle LL. MM. i doni del Lama"

Il tempo di ambientazione del romanzo, però, non ha alcuna importanza; come per lo spazio, non influenza i personaggi e le azioni di questi. La vicenda narrata ne "Il fu Mattia Pascal" potrebbe accadere in qualunque tempo e in qualunque luogo. Le vicende narrate nel romanzo, però, accadono in un arco di tempo ben definito. La narrazione di Mattia Pascal inizia dalla descrizione della sua infanzia, cioè da quando aveva quattro anni e mezzo, e finisce quando torna a Miragno dopo il suo peregrinare che lo aveva portato a viaggiare tra Italia, Francia e Europa.

Fabula e intreccio non coincidono. Infatti il libro inizia proprio dalla narrazione di eventi già accaduti.



Personaggi


L'opera pirandelliana è caratterizzata da una grande quantità di personaggi (almeno una trentina) tutti differenti tra loro e tutti con una diversa importanza nella vicenda. Se alcuni sono fondamentali, altri potrebbero essere considerati quasi superflui ma servono ugualmente a creare un piccolo e verosimile mondo, fatto di sfaccettature e di personaggi molto eterogenei tra loro, per rappresentare quanto più possibile il reale. Ogni personaggio viene presentato da Mattia in modi diversi ma la descrizione iniziale è minima, spesso senza un accenno di aspetto fisico. Il carattere del personaggio che entra in scena si presenta da sé, indirettamente, attraverso lo sviluppo della vicenda. Dalle sue azioni e dai dialoghi è possibile capire anche il suo modo di pensare. Infine si nota che alla fine della storia l'unico che veramente è cambiato e maturato rispetto alla condizione iniziale è il protagonista Mattia Pascal. Quindi tutti gli altri personaggi a parte lui hanno la funzione di cornice. 


MATTIA PASCAL-ADRIANO MEIS

Protagonista della storia, Mattia è un ragazzo dal viso placido, ha un occhio "ballerino", è minuto e non ha particolari talenti, scoppia pèrò di salute e questo "apparentemente" gli basta (cambierà poco alla volta idea e la muterà più volte). Mattia è un tipico personaggio della letteratura dell'inizio del novecento: egli è un personaggio moderno, e per questo è un personaggio complesso, diviso, sdoppiato: in lui coesistono diversi uomini con diverse personalità che non riescono a trovare un punto d'armonia tra loro. Riflette sulle sue azioni, le giudica e le motiva; segue le vicende della sua vita, è partecipe del racconto e cerca di far luce nel groviglio dei casi, la sua figura perde ed acquista caratteristiche dei due personaggi che porta dentro di sè, facendo apparire Adriano Meis come una figura disarticolata di uomo ombra. Il suo carattere gli impedisce di vivere al di fuori delle strutture sociali e dallo stato civile.

Nei panni di Mattia appare come un uomo di carattere impulsivo, vivace, ma confusionario, a differenza di quando si "trasforma" in Adriano Meis, dove si scopre uomo molto sensibile; ama Adriana, donna che vorrebbe sposare, ma non può a causa della sua "non esistenza".

Mattia cresce, e il corso del romanzo descrive appunto la sua sempre più grande autocoscienza.


ROBERTO PASCAL

È il fratello maggiore di Mattia, ha due anni in più di lui e a differenza del giovane è bello e dal forte fisico. Fra i due vi è un rapporto di complicità e intesa. Non ha lo stesso successo con le ragazze, però riesce a contrarre un matrimonio vantaggioso e si risistema compensando il dissesto finanziario subito durante la gioventù.


LA MADRE DI MATTIA


Mattia Pascal ha una vera e propria devozione nei riguardi della sua santa madre, il rapporto fra i due è di tenerezza e stima. E' una persona fiduciosa verso il prossimo, credente, chiusa ed introversa, affezionata alla sua piccola vita quotidiana. Ha una voce e una risata nasale che sembra la faccia vergognare. È molto gracile e spesso malata dopo la morte del marito, anche se non si lamenta mai dei propri mali. Ciò che probabilmente più la preoccupa è la sorte dei due figli, rimasti praticamente senza nulla dopo la morte del padre e dopo che la stessa signora Pascal aveva lasciato tutte le sue ricchezze e proprietà sotto l'amministrazione di Batta Malagna, poiché inetta a questo genere di faccende. Quando Mattia si sposa non riesce a sopportare la vicinanza della violenta e prepotente vedova Pescatore e finisce col diventarne vittima cercando di aiutare Mattia a sopportarla e quindi scatenando le sue ire. Se ne va dalla casa e si trasferisce a casa della sorella del marito (zia Scolastica), ma muore poco dopo per gli affanni.



BATTA MALAGNA

Batta Malagna è l'amico a cui il padre ha dato il controllo delle sue ricchezze dopo la sua morte, controllo che ha portato alla rovina della famiglia di Mattia. Ha un viso lungo incorniciato da baffi melensi e pizzo; il pancione languido che sembrava arrivasse fino a terra, le gambe corte e tozze: insomma, secondo Mattia, aveva il volto e il corpo che più non si addicevano ad un ladro come Malagna. Anche in altre cose, come l'amore, Malagna è sempre pronto a rovinare tutto, come nel caso di Olivia, ragazza amata da Mattia ma successivamente sposa di Malagna. È un personaggio negativo.



ROMILDA PESCATORE


È la moglie di Mattia. All'inizio egli è molto attratto da questa ragazza e vuole a tutti i costi stare con lei; ma, successivamente, a causa dei contrasti con la suocera e delle malattie dei figli, Mattia inizia a ripudiarla e a non provare più niente per lei. È timida, gelosa e non sopporta le condizioni misere in cui è costretta a vivere, arrivando fino ad ammalarsi. Dopo la "morte" del marito, si sposa con un amico di lui (Pomino), dal quale ha una figlia. Ma il suo animo non è cattivo; infatti al ritorno di Pascal è quasi dispiaciuta per quello che gli è successo.


MARIANNA DONDI, VEDOVA PESCATORE


La mamma di Romilda Pescatore, ovvero la terribile suocera del povero Mattia, è molte volte nella narrazione paragonata ad una strega. Sempre pronta a criticare e a offendere, è la rovina della madre di Mattia. Ha un temperamento intrigante e furioso, non sopporta il genero, che giudica inetto e scapestrato, perché non riesce a mantenere la sua famiglia, e quindi indegno di sua figlia. Fa diventare la vita di Pascal insopportabile. E' infatti uno dei motivi scatenanti i litigi tra i due coniugi e la seguente fuga di Mattia.


ADRIANA PALEARI

È la figlia di Anselmo Paleari, proprietario della pensione di via Ripetta a Roma dove Mattia Pascal, sotto l'identità di Adriano Meis, alloggia durante il suo soggiorno nella capitale.
È il vero amore di Mattia. Ella è timida, gentile, educata, riservata, tenera come il pane ma allo stesso tempo dura come la roccia regge da sola le sorti di un'intera famiglia, e si oppone accanitamente alle sue nozze forzate: lo stesso Mattia la chiama la "mammina di casa". E' un personaggio, quindi, del tutto positivo, anche se, purtroppo, destinato ad una sorte infelice, di sofferenza, che deve, e sa, affrontare senza l'aiuto ed il sostegno di alcuno, ma unicamente con la propria forza e la propria fede. Adriana riesce a sopportare nel silenzio il suo dolore, e nel silenzio vive la sua storia d'amore con Adriano. La loro relazione è infatti fatta di sguardi, dolci allusioni, comprensione e solidarietà, è una relazione perfetta "tra anime". Adriana trova nel suo compagno un alleato ed un difensore contro le bassezze del cognato, Papiano, un alleato che però non potrà sostenerla a lungo e che presto fuggirà  da un'impossibile storia d'amore con lei per
non renderla ancora più infelice.

ANSELMO PALEARI


E' un caposezione ministeriale a riposo, padre di Adriana, uomo sbadato, con la testa fra le nuvole, che pensa soltanto alle sue riflessioni sulla teosofia, sui medium, sull'aldilà e sull'occulto. È una persona onesta ed ingenua, molto impressionabile e credulona.

Rappresenta un personaggio strumentale, non si accorge di quello che gli accade attorno, ma nonostante tutto vuole molto bene a sua figlia.

Egli è il personaggio più singolare dell'intera vicenda, cui Pirandello affida tuttavia un ruolo importantissimo. La sua presenza all'interno del romanzo non è molto influente per quanto riguarda lo svolgersi dei fatti della narrazione, egli contribuisce solo per quanto riguarda la riflessione filosofica del romanzo stesso. Per mezzo di lui, infatti, parla spesso Pirandello per porre considerazioni, insinuare dubbi, ed esporre teorie sulla vita e sull'uomo. Il Paleari, convinto seguace di Epicuro, è all'apparenza un personaggio quasi comico, con il suo ciabattare per la casa, i suoi continui strampalati discorsi sulla morte e certe noiose conversazioni che impone a Mattia,  ma con le sue parole egli espone molte delle considerazioni filosofiche dell'autore stesso,



TERENZIO PAPIANO


Genero del Paleari, è una persona molto avida, amante, oltre che sfruttatore della signorina Caporale. Ha un comportamento "untuoso", subdole, loquace e dallo sguardo indagatore; ha un profilo ipocrita, intrigante nei confronti del suocero, ladro. Si serve del fratello epilettico come strumento dei suoi traffici.



SIGNORINA SILVIA CAPORALE


Ha anche lei una camera nella pensione e dà qualche lezione come maestra di canto. È alcolizzata e zitella, ha una personalità debole e ogni volta che rientra dopo aver bevuto o quando si dispera per la sua condizione di zitella ed il suo aspetto fisico tocca ad Adriana farle da "mammina".

È l'amante e la complice di Terenzio Papiano, dal quale è sfruttata; come imbrogliona  con il ruolo di medium, ma alla fine si ribella al suo sfruttatore per aiutare Adriano ed Adriana come può.




POMINO


Nuovo marito di Romilda, ha una personalità debole; è molto avaro, insicuro e geloso.



DON ELIGIO PELLEGRINOTTO


È un prete amico dell'autore che lo aiuta ad ordinare la biblioteca Boccamazza, dove Mattia lavora. È colui che gli fa venire l'idea di scrivere.



Temi

TEMA DELL'IDENTITA'

Il tema principale de Il fu Mattia Pascal è ancora quello, così caro a Pirandello, dell'identità, è espresso molto chiaramente dalla prima frase (Una delle poche cose, anzi forse la sola che io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal) e dall'ultima (Io sono il fu Mattia Pascal).

"Fuori dalla legge e fuori di quelle particolarità, liete o tristi che siano, per cui noi siamo noi, caro signor Pascal, non è possibile vivere". Così dice al protagonista il colto sacerdote don Eligio Pellegrinotto, lo stesso che lo consiglierà di scrivere le sue memorie.
Chi non è riconosciuto dalla legge e dalle burocrazie, non esiste. E' il dramma delle società moderne. Mattia prima caccia via la propria identità, poi la riottiene e l'accetta. L'identità è qualcosa di importante che ogni individuo deve preservare per far sì che il suo ricordo rimanga per sempre.

TEMA DELLA MASCHERA

Per lo scrittore, tutti noi abbiamo una maschera che ci viene data dalla società e che ci diamo noi stessi, cioè un ruolo e un immagine con la quale ci riconosciamo (impiegato, marito, padre di famiglia...). Quindi se noi cambiamo improvvisamente il nostro modo di essere, oppure non ci riconosciamo più in queste rappresentazioni, le maschere dateci dalla società rimangono immutabili.

La persona che noi rappresentiamo, non è solo una maschera che ci inchioda in un'esistenza che sentiamo non autentica, ingabbiandola, a volte, in un inferno senza vie d'uscita, ma è' ancora questa maschera che indossiamo nella vita sociale, l'unica che ci permette di far fuoriuscire , pur con le dovute limitazioni, la nostra personalità.

TEMA DELLA FORTUNA:

secondo Pirandello la fortuna non si manifesta come una ruota che insegue colui a cui portare vantaggio, ma invece afferma che siamo noi uomini ad inseguirla. L'autore intende evidenziare proprio l'insignificanza della figura umana e la sua impossibilità di lottare con la sorte: nessuno può essere artefice del proprio destino, dicendo che la sorte di noi uomini dipende dalle leggi della natura, leggi che non possono essere modificate. Però Mattia Pascal, rovescia la conclusione, tentando di modificare queste regole, soprattutto perché non sa più chi è o meglio, sa chi è stato; quello che in passato fu riconosciuto come il suo corpo, era soltanto una maschera, una delle tante dietro le quali l'uomo si nasconde e tenta di esistere davanti agli altri.


TEMA DELLA LIBERTA'


Dal romanzo possiamo capire anche che la libertà è fondamentale per un uomo, ma risulta irraggiungibile perché, per vivere, bisogna rispettare prima di tutto quella degli altri e perciò questa è gia una prima limitazione; inoltre c'è uno stato, a cui si devono pagare le tasse, da cui dobbiamo farci riconoscere tramite l'anagrafe, dobbiamo rispettare le sue leggi; poi c'e' il problema dei soldi che limita le nostre scelte. Perciò, per Pirandello, la libertà non è nient'altro che un sogno che non potrà mai essere raggiunto.


TEMA DELLA FAMIGLIA


La famiglia spesso viene vista come una prigione, una gabbia, nella quale non si può vivere liberamente e tranquillamente.




ANALISI DELLA FORMA


Lo stile di questo libro è libero da ogni vincolo e ogni preconcetto. Il suo stile rende una storia che già di per sé  interessante ancora più stimolante per il lettore infatti accanto ai semplici fatti raccontati ci sono le battute di spirito, le riflessioni filosofiche e le caratterizzazioni di numerosi personaggi. Quest'opera ci permette di poter interpretare i personaggi pirandelliani: tutti potrebbero immedesimarsi in Mattia, perché non si sa mai che cosa la vita ci prospetterà, e l'abilità dell'autore sta proprio nell'eliminare ogni barriera tra Mattia e il lettore, facendone un unico personaggio.

La narrazione è condotta in prima persona; è Mattia Pascal, il protagonista, che raccontando ci fornisce il suo punto di vista interno con focalizzazione 0 (zero/onnisciente). L'onniscienza del narratore è dovuta dal fatto che lui racconta la sua storia a posteriori, quando questa è già successa; questo permette che al lettore vengano fornite anticipazioni degli avvenimenti che ne stimolano la curiosità.


Lessico:

Pirandello conduce la storia con un lessico colloquiale, arrivando al contatto diretto col lettore e creando in ogni periodo attesa per ciò che segue. Tale lessico però è destinato ad un pubblico colto, poiché ricercato e ricco.

Sintassi:

la trattazione viene svolta in ipotassi, con periodi ricchi e articolati che permettono una puntualizzazione di pensieri e riflessioni.


Tecniche linguistiche:

si alternano sequenze narrative e riflessive, che lasciano meno spazio alla descrizione di luoghi e personaggi.


Citazioni significative:

  • Ma la causa vera di tutti i nostri mali, di questa tristezza nostra, sai qual è? La democrazia, mio caro, la democrazia, cioè il governo della maggioranza. Perché, quando il potere è in mano di uno solo, quest'uno sa di essere uno e di dover contentare molti; ma quando i molti governano pensano soltanto a contentar sè stessi, e si ha allora la tirannia più balorda e più odiosa: la tirannia mascherata da libertà. (Mattia; cap.X)
  • Siamo o non siamo su un'invisibile trottolina, cui fa da ferza un fil di sole, su un granellino di sabbia impazzito che gira e gira e gira, senza sapere perché, senza pervenir mai a destino, come se ci provasse gusto a girar così, per farci sentire ora un po' più di caldo, ora un po' più di freddo, e per farci morire dopo cinquanta o sessanta giri? Copernico, Copernico, don Eligio mio, ha rovinato l'umanità irrimediabilmente. Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell'infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell'Universo, con tutte le nostre belle scoperte e invenzioni.(Mattia a Don Eligio Pellegrinotto; cap. II)
  • Mi vidi, in quell'istante, autore di una tragedia che più buffa non si sarebbe potuta immaginare.(Mattia; cap. V)
  • Si sa che gli infelici facilmente diventano superstiziosi, per quanto poi deridano l'altrui credulità e le speranze che a loro stessi la superstizione certe volte fa d'improvviso concepire e che non vengono mai a effetto, s'intende. (Mattia; cap. VI)
  • Vogliono insomma estrarre la logica dal caso, come dire il sangue dalle pietre. (Mattia; cap. VI)
  • La vanità umana non ricusa talvolta di farsi piedistallo anche di certa stima che offende e l'incenso acre e pestifero di certi indegni e meschini turiboli. Ero come un generale che avesse vinto un'asprissima battaglia, ma per caso, senza sapere come. (Mattia; cap. VI)
  • Gli abiti che indossiamo, il loro taglio, il loro colore, possono far pensare di noi le più strane cose. (Mattia; cap. VI)
  • Mi sentivo paurosamente sciolto dalla vita, superstite di me stesso, sperduto, in attesa di vivere oltre la morte, senza intravedere ancora in qual modo. (Mattia; cap. VII)
  • Nulla s'inventa, è vero, che non abbia una qualche radice, più o men profonda, nella realtà; e anche le cose più strane possono essere vere, anzi nessuna fantasia arriva a concepire certe follie, certe inverosimili avventure che si scatenano e scoppiano del seno tumultuoso della vita.(Mattia; cap. VII)
  • Ogni oggetto in noi suol trasformarsi secondo le immagini ch'esso evoca e aggruppa, per così dire, attorno a sé. Certo, un oggetto può piacere anche per sé stesso, per la diversità delle sensazioni gradevoli che ci suscita in una percezione armoniosa; ma ben più spesso il piacere che un oggetto ci procura non si trova nell'oggetto per sé medesimo. La fantasia lo abbellisce cingendolo e quasi irraggiandolo di immagini care. Né noi lo percepiamo più qual esso è, ma così, quasi animato dalle immagini che suscita in noi o che le nostre abitudini vi associano. Nell'oggetto, insomma, noi amiamo quel che vi mettiamo di noi, l'accordo, l'armonia che stabiliamo tra esso e noi, l'anima che esso acquista per noi soltanto e che è formata dai nostri ricordi. (Mattia ; cap. VIII)
  • "Oh perché gli uomini," domandavo a me stesso, smaniosamente, "si affannano così a rendere man mano più complicatoli congegno della loro vita? Perché tutto questo stordimento di macchine? E che farà l'uomo quando le macchine faranno tutto? Si accorgerà allora che il così detto progresso non ha nulla a che fare con la felicità? Di tutte le invenzioni, con cui la scienza crede onestamente d'arricchire l'umanità (e la impoverisce, perché costano tanto care), che gioia in fondo proviamo noi, anche ammirandole?" (Mattia; cap. IX)
  • Ebbene, a pensarci, non avviene anche a noi uomini qualcosa di simile? Non crediamo anche noi che la natura ci parli? E non ci sembra di cogliere un senso nelle sue voci misteriose, una risposta, secondo i nostri desiderii, alle affannose domande che le rivolgiamo? E intanto la natura, nella sua infinita grandezza, non ha forse il più lontano sentore di noi e della nostra vana illusione. (Mattia; cap. IX)
  • Filosofia del Paleari (pag.141; cap.X)-(pag. 176 cap. XII)
  • L'uomo, quando soffre, si fa una particolare idea del bene e del male, e cioè del bene che gli altri dovrebbero fargli e a cui egli pretende, come se dalle proprie sofferenze gli derivasse un diritto al compenso; e del male che egli puù fare a gli altri, come se parimenti dalle proprie sofferenze vi fosse abilitato. E se gli altri non gli fanno il bene quasi per dovere, egli li accusa di tutto il male ch'egli fa quasi per diritto, facilmente si scusa. (Mattia; cap. XIII)
  • Noi abbiamo bisogno d'incolpare sempre qualcuno dei nostri danni e delle nostre sciagure. (Mattia; cap. XIII)

GIUDIZI


Questo libro mi è piaciuto abbastanza perché, è risultato di semplice lettura e senza l'utilizzo di termini troppo complicati; per quanto riguarda l'opera si presenta sotto forma di intreccio paradossale: infatti può sembrare strano che un vivo, creduto dalla gente morto, si crea un'altra vita che però deve rifiutare per cercare di recuperare l'identità originaria.

Comunque questa irreale vicenda mi ha appassionato, grazie anche alla presenza di molti dialoghi, che rendono, come gia detto, una lettura più facile e scorrevole, facendo aumentare il ritmo del racconto.



Nel complesso la vicenda è abbastanza dinamica e scorrevole: è senz'altro un romanzo che si legge con una certa facilità, anche perché si può riscontrare una notevole presenza di dialoghi e di riflessioni che costituiscono l'ossatura della narrazione pirandelliana. Per quanto riguarda gli ambienti quelli chiusi prevalgono su quelli aperti: gran parte della narrazione si svolge infatti nella biblioteca, nel treno, nella casa di Roma in via Ripetta nella quale viene ospitato, nel casinò, etc. La narrazione è in prima persona, e la figura del Mattia Pascal ci appare grottesca, una sorta di antieroe, che non riesce nel suo intento di cambiare vita.



Il romanzo è molto intrigante ma l'unica cosa che alla fine riusciamo a vedere, è che non ci sono certezze nella vita, che la vita è un'assurdità, una grande pazzia. Io, comunque, credo che, per quanto folle sia la vita, vale pur sempre la pena di viverla. Inoltre, c'è un po' di pazzia in tutti noi, altrimenti che gusto ci sarebbe a vivere? Consiglio questo libro a persone di qualsiasi età, non solo a chi frequenta ancora la scuola, come me, ma anche a chi ha un po' di tempo libero e vuole sfruttarlo al meglio.



A mio parere l'opera di Pirandello è apprezzabile ma di difficile interpretazione: ho incontrato numerose difficoltà in determinati momenti della lettura, in quanto non riuscivo proprio a capire l'andamento dei fatti. L'inverosimiglianza della vicenda, tipica di Pirandello, certo non aiuta nella comprensione e nella scorrevolezza del testo.

All'inizio del romanzo i fatti non credo che catturino l'attenzione del lettore, tranne in alcuni momenti, questo perché le vicende sono narrate con una certa lentezza, soffermandosi moltissimo, forse troppo, sulla psiche e sulle riflessioni del protagonista; solo verso la fine (poco prima della seconda morte) la narrazione mi ha maggiormente entusiasmato.

Sono stata, più che dal libro, interessata (e inquietata) dalle teorie di Pirandello, che trovo rispecchino a pieno la condizione di un individuo inserito nella società.



Ho trovato la trama del romanzo interessante in quanto espone un'affascinante ipotesi di vita. Sono stato colpito soprattutto dalle reazioni del protagonista di fronte ad avvenimenti così sconvolgenti come la sua doppia morte e dai suoi difficili rapporti con le persone e con le sue nuove identità.

Mi è piaciuta anche molto l'interpretazione della realtà che non è mai una sola, ma ogni verità contiene sempre la propria contraddizione e ogni situazione ha diverse facce di lettura.

Vorrei infine aggiungere che non mi è stato facile leggere e comprendere questo romanzo per le introspezioni molto approfondite dei personaggi e l'analisi dei loro rapporti nelle varie situazioni e  luoghi.



GIUDIZIO PERSONALE


Durante la lettura mi sembrava di essere all'interno di una lunga favola che attraverso una storia e molti personaggi voleva trasmettermi una morale. L'uomo non può lottare contro la propria sorte, anche se tristemente avversa e nemmeno crearsela con le proprie mani come fa Mattia Pascal diventando Adriano Meis. Per Pirandello siamo tutti delle marionette con una maschera, pronti ad adattarci alla varietà enorme di situazioni che ci coinvolgono.

Personalmente ritengo che l'uomo abbia invece la possibilità di costruire la propria vita e di far crescere i propri rapporti sociali mantenendo intatta la propria identità.






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