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I vari tipi di carte geografiche

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Le carte geografiche

La rappresentazione della superficie terrestre può essere eseguita mediante i globi, i plastici e le carte geografiche.

I globi costitui­scono la rappresentazione più fedele, perché sono di forma sferi­ca come la Terra. Essi però, avendo dimensioni necessariamente molto ridotte, si limitano a riportare solo i tratti generali della superficie ter­restre e quindi, anche perché sono poco maneggevoli, risultano di scarsa utilità pratica.

I plastici sono raffigurazioni tridimensionali di territori circoscritti, per lo più montuosi e vallivi. Essi sono costruiti generalmente con fogli di compensato o con gesso e riproducono le reali forme dell'area presa in esame; tuttavia, limitandosi a rappresentare territori circoscritti, anch'essi vengono utilizzati in misura piuttosto limitata e per scopi par­ticolari.

Ben maggiore quantità di dati e di particolari si ha inve­ce nelle carte geografiche, le quali forniscono una raffi­gurazione in piano di tutto il nostro pianeta o di una sua parte, e si possono quindi definire come la rappresen­tazione ridotta, approssimata e simbolica della superfi­cie terrestre o di una sua parte .



Le carte geografiche sono rappresentazioni ridotte perché qualsiasi porzione di Terra non può essere riprodotta nella sua grandezza naturale. La riduzione viene fatta in base ad una scala, la quale indica il rapporto costante tra le distanze misurate sulla carta e quelle corrispondenti sul terreno.

Sono approssimate, ossia non rigorosamente esatte, poiché non è possibile sviluppare su un piano una superficie sferica, com'è quella della Terra, senza che essa subisca delle deformazioni. Perciò la forma delle terre e dei mari risulta più o meno alterata rispetto a quella reale, con distorsioni tanto maggiori quanto più vaste sono le regioni rappresentate.

Infine, le carte geografiche, sono simboliche, perché i vari elementi fisici ed antropici presenti sulla Terra, come rilievi, mari, fiumi, città, colture, ecc., vengono rappresentati con segni convenzionali o con colori il cui significato è spiegato da una legenda apposta ai margini della carta.

Le carte geografiche sono le rappresentazioni della superficie terrestre più comode e più diffuse. Esse hanno fondamentale importanza non solo per lo studio di qualsiasi fatto o fenomeno geografico, ma anche per la gestione del territorio. Oggi, infatti, qualsiasi Stato progredito possiede un proprio Ente cartografico che provvede a rilevare il territorio ­nazionale non soltanto sotto il profilo fisico, ma anche sotto l'aspetto antropico ed economico.


La scala di riduzione

Poiché, a causa della forma della Terra, è impossibile realizzare una carta geografica che ne riproduca l'aspetto riportando l'esatta distribuzione di terre e mari, essa dovrà essere rimpicciolita secondo un determinato rapporto, detto scala di riduzione, la quale esprime, appunto, il rapporto tra la distanza di due punti misurata sulla carta e la distanza corrispondente misurata sulla superfice terrestre.

Una scala di riduzione può essere numerica e grafica.

Nella scala numerica, il rapporto tra una lunghezza misurata sulla carta e la corrispondente lunghezza sulla superficie terrestre, è espresso sotto forma di divisione (1:N) in cui il numeratore (1) rappresenta l'unità e il divisore (N) esprime i 131b12b l numero di volte di cui le distanze reali sono state ridotte sulla carta. Co­si, ad esempio, «scala 1:100.000», si legge: scala uno a centomila, vuol dire che ad 1 cm misura­to sulla carta corrispondono 100.000 cm, ossia 1 Km, sul terreno.

Dato che questo rapporto è espresso sotto forma di divisione, è evidente che la scala di una carta geografica sarà tanto più grande quanto più piccolo è il divisore, e viceversa. Ad esempio, 1:100.000 è più grande di 1:500.000. Infatti, la superfice terrestre ha subito una riduzione di 100.000 volte nel primo caso e di 500.000 nel secondo caso. Pertanto un elemento qualsiasi della Terra, come una città o un monte, nella prima carta appare molto più grande e più ricco di particolari che nella seconda.


1 cm = 1 Km


Oltre alla scala numerica, spesso sulle carte è riportata anche la scala grafica, cioè la rappresentazione grafica del rapporto numerico di riduzione.

Si tratta di due segmenti paralleli divisi in tanti tratti uguali, detti unità grafiche, su ciascuno dei quali è segnalata distanza reale che sulla Terra corrisponde ad 1 cm della carta. In tal modo il calcolo è più facile ed immediato.


È da tener presente che la scala, sia numerica che grafica, si riferisce esclusivamente alle lunghezze e non alle aree corrispondenti, le quali aumentano, invece, in ragione proporzionale al quadrato delle lunghezze. Se si passa, infatti, a considerare le aree, nella carta con scala 1:10.000, ad 1 cm di lunghezza corrisponde un'area di 100.000.000 cm2, mentre su una carta con scala 1:5.000 ne corrisponderà una di 25.000.000 cm2.


I vari tipi di carte geografiche

Le carte geografiche possono essere classificate sia in base alla scala di riduzione sia in base al loro contenuto.


Rispetto alla scala distinguiamo quattro gruppi di carte:

Piante e mappe, aventi una scala non maggiore di 1:10.000. Sono carte molto dettagliate, sia per le limitate zone rappresentate, sia per l'estrema ricchezza di particolari. Le piante raffigurano la planimetria dei centri urbani, con tutte le strade e le piazze, per ci sono molto utili, ad esempio, nell'elaborazione di piani regolatori delle città; mentre le mappe sono utilizzate essenzialmente per rappresentare le proprietà rurali con tutti i tipi di colture praticate.

Carte topografiche, con una scala compresa fra 1:10.000 e 1:150.000, che vengono impiegate per rappresentare territori relativamente poco estesi, come quelli di una provincia o di un comune.

Carte corografiche, aventi scala variabile da 1:150.000 a 1:1.000.000. Esse raffigurano regioni non molto ampie, mettendone in risalto la maggior parte dei loro elementi.

Planisferi o mappamondi, che rappresentano tutta la superfice terrestre, evidenziandone i tratti essenziali. Essi hanno una scala piccolissima.


In base al contenuto, vengono solitamente distinte le carte generali e le carte tematiche.

Le carte generali sono carte a piccola scala, e vengono usate per rappresentare aree molto estese della superfice terrestre, come uno o più Stati, o un intero continente.

Le carte tematiche trascurano volutamente gli elementi propriamente geografici, per dare maggiore rilievo ad altri fattori, come quelli economici, culturali, sociali e politici.


In base agli elementi rappresentati si distinguono quattro categorie di carte tematiche, cioè: le carte fisiche, che mettono in risalto le sole fattezze naturali, quali i fiumi, i laghi, le coste, ecc.; le carte geologiche, che indicano, tramite vari colori e simboli, i diversi tipi di rocce e la loro età, i giacimenti minerari, ecc.; le carte antropiche, dal greco antropos = "uomo", che visualizzano la distribuzione delle popolazioni, delle lingue e delle religioni; e le carte economiche, che pongono in evidenza le varie forme di attività produttiva, come la distribuzione delle colture, i vari tipi di industrie, ecc.


L'insieme sistematico delle carte geografiche riguardante tutto il mondo, o sue parti, è detto atlante. Questo termine fu introdotto da Gerardo Mercatore, famoso geografo olandese, che lo adottò per la sua raccolta di carte, ispirandosi ad una precedente collezione cartografica il cui frontespizio era illustrato dal Titano Atlante, un semidio della mitologia greca, ch­e sosteneva sulle spalle il globo terrestre.


Le proiezioni geografiche

Per proiezioni geografiche si intendono i metodi utilizzati per rappresentare in piano la superficie terrestre, o una sua parte, riducendo al minimo le deformazioni.

Le proiezioni geografiche possono essere classificate sulla base di due criteri: i caratteri che presentano e le modalità di costruzione.

Secondo i caratteri si distinguono tre tipi di proiezioni: isogoniche, equivalenti ed equidistanti.

Le proiezioni isogoniche, dette anche conformi, mantengono immutata la struttura del reticolo geografico: cioè consentono ai meri­diani ed ai paralleli di intersecarsi ad angolo retto, come avviene sulla Terra, per cui anche le regioni rappresentate conservano la loro forma reale. Esse sono particolarmente utilizzate nella costruzione delle carte nautiche, che hanno la necessità di conservare inalterati gli angoli determinati dalle rotte delle navi sui paralleli e sui meridiani.

Le proiezioni equivalenti mantengono costante la proporzionalità tra le superfici rappresentate e quelle reali della Terra. Esse si adattano soprattutto alla costruzione dei planisferi, in cui è necessario rispettare il rapporto tra le varie parti delle terre emerse e tra i singoli Stati per stabilire i necessari confronti.

Le proiezioni equidistanti conservano inalterato il rapporto tra le distanze della superficie terrestre e quelle della carta. Esse, pertanto, si addicono alla costruzione di carte in cui bisogna tracciare itinerari, come quelle automobilistiche.


Una proiezione non può essere contemporaneamente isogonica, equivalente ed equidistante. Una delle tre proprietà esclude le altre due.


Secondo le modalità con cui vengono costruite si distinguono due categorie di proiezioni: vere, modificate e convenzionali.


Le proiezioni vere

Le proiezioni vere, o pure, sono quelle che, per trasferire sulla carta il reticolo geografico, ricorrono ad una superficie ausiliaria applicando rigidamente i principi della geometria e della matematica. Esse, a loro volta, si dividono in proiezioni prospettiche e proiezioni per svilup­po.


Le proiezioni prospettiche o azimutali si ottengono proiettando il reticolato geografico su un piano tangente alla sfera da un determinato punto di vista, situato sempre in posizione opposta a quella del piano o quadro

Teoricamente, sia il punto di vista sia il quadro possono occupare infinite posizioni nello spazio, ma solo alcune di esse interessano in modo particolare.

A seconda della posizione del punto di vista si considerano quattro posizioni, che danno il nome ad altrettante proiezioni: centrografiche o gnomoniche (1), con punto di vista al cen­tro della Terra; stereografiche (2), con punto di vista sulla superficie terrestre in posizione diametralmente opposta al punto di tangenza del piano; scenografiche (3), con punto di vista fuori dalla sfera, ma a distanza finita; ortografiche (4), con punto di vista all'infinito.


 

 

 

 


In base alla posizione del quadro, invece, si parla di proiezioni polari, equatoriali ed oblique, a seconda che tale piano sia tangente ad un polo, ad un punto dell'Equatore o ad un punto qualsiasi della superficie terrestre.


Quindi, in definitiva, tenendo conto della posizione del punto di vista e del quadro, si potranno avere proiezioni centrografiche polari, equatoriali ed oblique, proiezioni stereografiche polari, equatoriali ed oblique, ecc.


Nelle proiezioni per sviluppo la superficie ausiliaria su cui si riporta il reticolato geografico è rappresentata da un cilindro o da un cono, si parla, quindi, di proiezioni cilindriche e proiezioni coniche.

Nelle proiezioni cilindriche il solido avvolgente la superficie terrestre può essere tangente alla sfera lungo l'Equatore oppure secante lungo due paralleli simmetrici, situati in opposti emisferi, per cui l'asse terrestre viene ad essere coincidente con l'asse del cilindro.

Sviluppando in piano la superficie laterale di tale solido, il reticolato geo­grafico assume una struttura a maglie rettangolari, in cui i paral­leli risultano delle rette parallele con distanza decrescente a mano a mano che si procede verso i poli, mentre i meridiani diventano rette tutte parallele ed equidistanti tra loro. Accade cioè il contrario di quello che è nella realtà della superficie ter­restre, dove i paralleli conservano sempre la stessa distanza ed i meridiani si avvicinano progressivamente verso i poli, fino a congiungersi. Ne deriva che questo tipo di proiezione rappre­senta con molta fedeltà la zona equatoriale quando il cilindro è tangente e con buona approssimazione quella circumequatoria­le quando esso è secante, mentre provoca forti distorsioni nelle zone ad alta latitudine, dove le terre appaiono molto schiacciate ed allungate, ed i poli, che sono dei punti, prendono forma di rette.


Nelle proiezioni coniche il solido ausiliario è rappresentato da un cono retto, la cui superficie laterale si immagina disposta sulla sfera terrestre e tangente a questa lungo un parallelo o secante lungo due paralleli dello stesso emisfero.

Svilup­pandone in piano la superficie si ricava una figura in cui i meridiani sono semirette convergenti al vertice del cono, che però non coincide con il polo, mentre i paralleli appaiono archi di circonferenze concentriche che si distanziano sempre più procedendo dal luogo di tangenza o di secanza verso gli estremi della rappre­sentazione. In tal modo le regioni situate a latitudini intermedie vengono riprodotte senza alterazioni, mentre quelle polari ed equatoriali subiscono forti distorsioni.



Proiezioni modificate e convenzionali

Poiché le proiezioni vere presentano difetti più o meno gravi quando si vogliono rappresentare regioni molto estese, spesso al loro posto si usano le proiezioni modifi­cate, che ai procedimenti geometrici asso­ciano espedienti empirici di vario genere, e le proiezioni convenzionali, che si basano solo su principi empirici, cioè su regole indi­pendenti dalle leggi geometriche e matema­tiche.

Tra le proiezioni modificate si ricorda so­prattutto quella di Mercatore.

Si tratta di una proiezione cilindrica in cui sono apportate alcune modifiche per ovviare al grave inconveniente del notevole schiacciamento delle regioni polari. Per evitare tali distorsioni Mercatore distanziò ogni parallelo dal precedente in misura pro­porzionale all'allungamento subito dai meri­diani, così che alla distorsione della superficie terrestre in senso est-ovest se ne contrap­pone un'altra proporzionale in senso nord-sud. In tal modo le terre conservano la loro forma reale, ma alle alte latitudini risultano enormemente ingrandite: la Groenlandia, ad esempio, appare uguale all'America meri­dionale, che invece è nove volte più estesa.

Un cenno particolare merita anche la proiezione cilindrica inversa, nota anche con la sigla U.T.M o come rappresentazione conforme di Gauss, poiché, al pari della precedente, osserva la proprietà dell'isogo­nia, cioè conserva inalterato il rapporto tra gli angoli. In essa il cilindro è tangente non all'equatore, ma ad un meridiano: e precisamente al meridiano di Greenwich e all'antimeridiano corrispondente. Sviluppando in piano la superficie laterale del cilindro, l'Equatore e il meridiano di tangenza assumono forma di rette perpendicolari, mentre gli altri paralleli e meridiani diventano linee curve con accentuazioni tanto maggiori quanto più si allontanano dall'equatore e dal meridiano centrale. Quindi, le deformazioni aumentano a mano a mano che ci si allontana dal meridiano di tangenza e possono considerarsi trascura­bili in un'area estesa entro 6° di longitudine, cui si dà il nome di fuso. Pertanto tale proie­zione si presta bene a rappresentare parti della superficie terrestre strette e lunghe, come l'Italia.


Alcune delle proiezioni convenzionali più in uso

Tra le proiezioni convenzionali, che in genere prendono nome dall'ideatore, si segnala quella omalografica di Mollweide, dal greco homalòs = "piana", di tipo pseudocilindrica. Essa consiste nella rappresentazione della superficie terrestre su di una ellisse avente l'asse maggiore, coincidente con l'Equatore, doppio dell'asse minore, combaciante col meridiano di Greenwich. I meridiani, equidistanti lungo l'Equatore, si presentano come semiellissi passanti per i poli e sono simmetrici rispetto al meridiano di Greenwich, che è rettilineo; i paralleli sono, invece, raffigurati da rette distanziate in modo da rendere equivalente la rappresentazione. Così fatta, o in versioni leggermente diverse, questa proiezione è spesso usata per i planisferi e per evidenziare la distribuzione di vari fenomeni geografici, come climi, densità di popolazione ecc.


Largo impiego trovano pure le proiezioni convenzionali discontinue o interrotte, derivanti da quelle coniche e cilindriche. Esse sono ideate in modo da rappresentare bene solo le terre emerse, trascurando le distese oceaniche, e si basano su reticolati indipendenti per ogni continente: cioè, al posto di un unico meridiano centrale, se ne disegna uno per ciascun continente, riportando poi gli altri meridiani alla sua destra e alla sua sinistra secondo il tracciato della proiezione originaria. I paralleli, invece, sono comuni a tutta la proiezione.

Le rappresentazioni di questo tipo si prestano alla costruzione di cartogrammi, perché conservano l'equivalenza e riducono le deformazioni; ma, a causa delle interruzioni, non danno la reale configurazione del globo terrestre e non consentono d riprodurre fenomeni che interessano le distese oceaniche come la circolazione delle correnti marine e le rotte marittime intercontinentali.


Su principi più o meno analoghi si fondano, infine, le proiezioni policentriche e policoniche.

Nella proiezione policentrica s'immagina di avviluppare il globo mediante un poliedro dotato di un grandissimo numero di facce, ciascuna delle quali è tangente ad una piccola porzione della superficie terrestre: in tal modo ogni maglia del reticolato, che ha una forma trapezoidale, è indipendente da quelle vicine ed ha un piano di proiezione proprio, che dif­ferisce poco dal trapezio sferico corrispondente sulla Terra. Ogni maglia ha un proprio piano dì proiezione, che è tangente alla sfera nel punto centrale. In tal modo le deformazioni risul­tano minime, essendo distribuite alla periferia di ogni maglia. Questa proiezione non è né equivalente, né equidistante, né isogonica, ma in pratica riassume le tre proprietà. Tuttavia, poiché le basi di ogni maglia trapezoidale variano con la latitudine, presenta l'inconveniente di non far combaciare, per regioni molto estese, i diversi fogli.


La proiezione policonica si ottiene immaginando di dividere la Terra in tante zone sferoidali e di avviluppare ciascuna di esse con un tronco di cono retto tangente al parallelo medio di ognuna.

Svolgendo in piano tali superfici ausiliarie, si ottengono delle fasce in cui i paralleli sono rappresentati da archi di circonferenze a raggio diverso; per cui queste fasce risultano contigue fra loro solo lungo il meridiano centra­le, che è rettilineo, mentre le estre­mità sono sempre più distanziate a mano a mano che si procede verso i poli. Come nella proiezione poliedrica, gli errori sono ripartiti tra le varie fasce, per cui in prossimità del meridiano centrale, dove si verificano condizioni pressoché fedeli di equivalenza, equidistanza e isogonia, si hanno alterazioni minime. Anche in questo caso, però, si ripete l'inconveniente di non poter riunire i fogli delle varie fasce: solo quelli posti sul meridiano della stessa fascia combaciano tra loro.


La costruzione delle carte geografiche

Una volta scelta la proiezione idonea a rappresentare con la massima approssimazione una determinata area e stabilita la scala della carta occorre inserire nel reticolato geografico le caratteristiche morfologiche del territorio e gli altri elementi connessi all'attività umana.

Sostanzialmente questo lavoro avviene in due fasi distinte e successive: la triangolazione e il rilevamento del terreno.

Con il termine triangolazione s'intende quella par­ticolare operazione mediante la quale si determina la po­sizione di una serie di punti sul terreno non allineati fra loro. Ciò si ottiene partendo dal noto prin­cipio geometrico per cui se di un triangolo sono noti un cateto ed i due angoli ad esso adiacenti è possibile rica­vare anche gli altri lati .

In pratica, su un tratto di terreno piano e senza ostacoli, si fissano due pun­ti non molto distanti tra loro, e se ne determinano con rigorosa precisione la distanza e la posizione rispetto alle coordinate geografiche. Quindi, il segmento che li unisce, detto base geodetica, viene riportata in scala sulla carta.

Poi si individuano sul terreno numerosi altri punti facilmente visibili, detti vertici o punti trigonometrici, che possono essere naturali, ad esempio la cima di un monte, o artificiali, ad esempio la cima di un campanile, e si collega idealmente uno di essi con gli estremi della base geodetica. Si avrà così un triangolo di cui si conosce la base e si può misurare, mediante il teodolite, una specie di cannocchiale, 1'ampiezza degli angoli adiacenti. Conseguentemente, applicando il teorema dei seni, si è in grado di calcolare anche la lunghezza degli altri lati. L'insieme di più basi calcolate, collegate fra loro in modo da coprire l'intero territorio da rappresentare, forma un reticolato di triangoli che prende il nome di «rete geodetica del I ordine» o «rete geodetica fondamentale». Con procedimenti analoghi, all'interno di questi triangoli si opera una ulteriore triangolazione che fornisce la «rete del II ordine» e via via, infittendo, si passa alla «rete del III ordine» e quindi a quella del «IV ordine».

La triangolazione, per mezzo della misura dei lati verticali, consente di calcolare anche l'altezza dei vari punti rispetto al livello del mare.

Ottenuta la triangolazione, si passa alla seconda fase della costruzione di una carta, cioè al rilevamento del terreno o levata topografica, che consente di stabilire la posizione, la distanza e l'altezza del maggior numero di punti contenuti nei triangoli, in modo da disegnare lineamenti generali dell'area. Quindi si completa il rilevamento riportando con simboli particolari gli altri dettagli, come fiumi, strade, centri abitati, che più risaltano nel paesaggio.

Il rilevamento topografico diretto oggi viene semplificato dall'aerofotogrammetria, che consiste nel fotografare da due aeroplani affiancati la medesima zona sotto diversa angolazione, in modo da ottenere fotografie stereoscopiche, tali che, se sovrapposte, facciano osservare in rilievo il territorio. In laboratorio le due fotografie vengono inserite in appositi apparecchi, detti restitutori, i quali sono in grado, sfruttando il principio della visione stereoscopica, cioè a tre dimensioni, di rappresentare la zona fotografata nei suoi minimi particolari, compreso l'andamento del rilievo.

­Per carte a piccola scala, in cui si trascurano parecchi particolari, ci serve anche del telerilevamento, cioè di fotogrammi scattati da grandi altitudini per mezzo di satelliti artificiali.

Ovviamente non tutto quello che compare nell'immagine fotografica viene trasferito sulla carta, la chiarezza e la comprensione richiedono un'attenta opera di selezione e semplificazione delle categorie di oggetti e fenomeni rilevati.


I simboli cartografici

Una carta geo­grafica, oltre ad essere ridotta e approssimata, è anche simbolica, perché i vari elementi fisici ed antropici presenti sulla Terra, come rilievi, mari, fiumi, città, colture, ecc., vengono rappresentati con segni convenzionali o con colori il cui significato è spiegato da una legenda apposta ai margini della carta.

Tra i simboli più comuni meritano particolare attenzione quelli relativi alla rappresentazione del rilievo. 

Nelle vecchie carte i rilievi erano raffigurati in modo schematico con trattini disposti a mucchi di talpa, che indicavano il grossolano profilo delle montagne osservate di fianco, oppure con trattini sistemati a spina di pesce ai lati di una striscia bianca, che indicava la direzione della dorsale montuosa.


Nelle carte moderne, invece, si ricorre al tratto forte, al tratteggio, allo sfumo, alle tinte altimetriche e alle curve di livello.


Il tratto forte consiste in linee molto marcate, che con il loro aspetto sinuoso simulano l'andamento delle catene montuose principali, diventando più spesse là dove i rilievi assumono maggiore estensione. Di solito sulla carta vengono anche segnate le quote più significative.



Il tratteggio consiste nel disporre affiancati dei trattini a forma di triangolo isoscele allungato, orientati nel senso della massima pendenza, diventando quindi più grossi e più fitti là dove il pendio è più ripido.  



Lo sfumo consiste nel mettere in risalto le parti prominenti di un rilievo con un'ombreggiatura di uno stesso colore più o meno estesa, a seconda della pendenza.



Le tinte altimetriche consistono in colori che variano con l'aumentare dell'altezza, e si usano di solito negli atlanti scolastici. In genere si usa il verde per le pianure al di sotto dei 200 m, il marrone chiaro per le zone comprese tra 200 e 500 m, il marrone più scuro per le zone che vanno da 500 a 1.500 m ed il rosso cupo per le zone più elevate.


Le curve di livello, dette anche isoipse, dal greco isos = "uguale" e iupsos = "altezza", sono linee che uniscono tutti i punti aventi la stessa altezza sul livello del mare. Esse costituiscono il sistema più perfetto per rappresentare i rilievi e vengono usate nelle carte a grande scala, come quelle topografiche.

Le curve di livello si ottengono immaginando di intersecare un rilievo del terreno con dei piani paralleli alla superficie del mare e distanti fra loro ad intervallo regolare; l'insieme dei punti dove i piani incontrano il rilievo sono rappresentati da linee continue più o meno sinuose aventi la stessa quota, che rappresentano appunto le curve di livello, la cui proiezione in piano è l'isoipsa.

Le isoipse presentano, quindi, due proprietà: l'equidistanza e l'intervallo.

L'equidistanza esprime il dislivello che sulla superficie terrestre esiste tra due curve successive ed è un elemento costante, mentre l'intervallo è la distanza che intercorre tra due curve successive sulla carta ed è un elemento variabile in rapporto alla ripidità dei pendii. Ne deriva che quanto più l'intervallo è minore, cioè dove le isoipse risultano più ravvicinate, tanto più la pendenza è accentuata. Inoltre è facile dedurre che le isoipse, se hanno un andamento regolare, indicano un rilievo con morfologia dolce; se presentano un andamento tortuoso, invece, sottintendono una morfologia accidentata. Dalle isoipse, insomma, attraverso un semplice sistema di proiezioni si può ricava­re il profilo altimetrico di una montagna, cioè la sua reale configurazione.

Nelle carte topografiche nell'ambito delle isoipse, o curve di livello, si distinguono: le curve direttrici, rappresentate da una linea più marcata e con equidistanza di 100 m; le curve intermedie, rappresentate da linee continue di tratto più fine delle precedenti, con equidistanza di 25 m; e le curve ausiliari, rappresentate da linee tratteggiate la cui equidistanza è di solito di 5 m.

Per rendere più plastica la rappresentazione del rilievo, nell'esecuzione delle carte si introduce spesso il lumeggiamento, si cerca cioè di evidenziare certe parti creando un contrasto chiaro-scuro, illuminando alcune zone ed ombreggiandone altre. Se la sorgente luminosa si immagina allo zenit, ossia sulla verticale del foglio di rappresentazione del terreno, si ha un lumeggiamento zenitale, per cui risulteranno ben illuminate le cime e le creste e saranno più in ombra le parti basse dei rilievi e le zone a forte pendio. Nel lumeggiamento obliquo, invece, si suppone la sorgente luminosa posta a NW ed a 45° di altezza sul foglio: saranno quindi ben illuminate e chiare le zone poste a NW, poco quelle rivolte a N e a W ed oscure le altre.


Diagrammi e cartogrammi

I diagrammi[1] consistono in rappresenta­zioni grafiche utili per il confron­to immediato di valori diversi, ad esempio, il numero di autoveicoli prodotti da ogni Casa automobi­listica europea, oppure utili per illustrare l'andamento di un de­terminato fenomeno nel tempo, ad esempio, l'andamento delle precipitazioni medie mensili in varie località italiane.

Comunemente si distinguono:

i diagrammi lineari o a colonne, detti anche istogrammi, se esprimono il confronto tra valori di uno stesso fenomeno mediante linee o colonne;

i diagrammi areali o aerogrammi, se raffigurano un fenomeno per mezzo di figure geometriche, che talvolta possono essere divise al loro interno in parti proporzionali ai diversi aspetti del fenomeno rappresentato;

e i diagrammi cartesiani, se indicano le variazioni di un fenomeno attraverso il tempo, segnando sull'asse delle ascisse i dati relativi al tempo e sull'asse delle ordinate i valori relativi al fenomeno considerato.


I cartogrammi sono rappresentazioni che, a differenza dei diagram­mi, indicano la distribu­zione spaziale dei feno­meni e la loro varia in­tensità nelle diverse par­ti dell'area considerata: si tratta, spesso, di vere e proprie carte temati­che.

Il tipo più comune di cartogramma è quello a mosaico, che con colori o tratteggi diversi rappresenta le variazioni di un determinato fenome­no nell'ambito delle ripartizioni amministrative (comuni, province, regioni, Stati, ecc.). I confini amministrativi possono essere sostituiti da speciali linee, dette isolinee, le quali raggruppano le unità territoriali che mostrano la stessa intensità del fenomeno.

Per alcuni fenomeni, per esempio la distribuzione della popola­zione o di produzioni, si preferisce usare il cartogramma a punti, che consiste nell'attribuire un certo valore ad ogni punto di uguale grandezza, ad es. 100 abitanti per un punto piccolo, 1.000 per un punto grande, ecc. Esso presenta una maggiore aderenza alla realtà geografica, perché consente di ubicare i punti là dove il fenomeno si verifica effetti­vamente. Esistono, comunque, altri tipi di cartogrammi più complessi, che possono rappresentare contemporaneamente due o più fenomeni.


Una particolare categoria di rappresentazioni, che non rientra né tra i diagrammi né tra i cartogrammi, sono gli ideogrammi. Essi consistono in figure stilizzate che richiamano immediatamente alla mente il fenomeno di cui si parla. Ad esempio, con navi di grandezza diversa si può rappresentare su di un planisfero la differente importanza della flotta navale nei vari paesi del mondo oppure con botti di dimensioni variabili la produzione di vino nelle singole regioni italiane.


La carta topografica d'Italia

L'Italia ha una carta topografica ufficiale curata dall'Istituto Geografico Militare (IGM), che ha sede a Firenze.

Essa si compone di 277 fogli, di cui 8 sono doppi, con scala 1:100.000. Ogni foglio viene diviso sistematicamente in 4 parti uguali, dette quadranti con scala 1:50.000; a sua volta ogni quadrante è diviso ancora in 4 parti uguali, che vengono denominate tavolette con scala 1:25.000. L'area compresa in un foglio si aggira su 1.500 kmq, quella contenuta in un quadrante corrisponde a quasi 375 kmq e quella raffigurata in una tavoletta ammonta a 96 kmq. È chiaro che i particolari riprodotti sulla carta aumentano passando dai fogli ai quadranti e alle tavolette, perché diminuisce la superficie che vi è compresa. Talvolta le tavolette vengono divise in quattro parti uguali, dette sezioni, indicate con le lettere A, B, C e D, e aventi scala 1:10.000, ma con dimensioni grafiche leggermente superiori a quelle di un foglio.

Per poter distinguere tra loro i quattro tipi di carte sono state stabilite regole precise. I fogli sono indicati con numeri arabi da 1 a 277, andando da N verso S; i quadranti di ogni foglio sono contrassegnati con i numeri romani I, II, III e IV, cominciando da quel­lo in alto a destra e procedendo in senso orario; le tavo­lette si indicano in base alla posizione che esse occupa­no rispetto al punto d'unione di tutte e quattro, cioè NE, SE, SO e NO; infine le sezioni sono contraddistinte con le lettere A, B, C e D, sempre seguendo il senso orario e partendo da quella posta in alto a destra. La numera­zione progressiva dei fogli della Carta d'Italia alla scala 1:100.000 è fatta procedendo da N a S e spostandosi da W verso E, lungo uno stesso allineamento di fogli.

Le indicazioni che individuano le varie carte prendono il nome di estremi della carta. Oltre che dai vari numeri e dalle diverse sigle, ogni carta è contraddistinta anche da un nome: quello relativo all'oggetto geografico più importante rappresentato nella carta stessa, come un centro abitato, un lago, un monte, ecc.

Fino alla metà del nostro secolo le tavolette sono state pubblicate in bianco e nero; in seguito, dopo essere state aggiornate, sono state redat­te in tre colori, azzurro per l'idrografia, bistro per l'orografia[2], nero per gli altri elementi, e per alcune regioni anche in cinque colori, verde per la vegetazione e rosso per le strade. A parti­re dal 1964 l'Istituto Geografico Militare sta pubblicando una nuova carta topografica con scala 1:50.000; l'intero territorio nazionale sarà rappresentato in 652 carte, ciascuna delle quali comprende una superfi­cie di circa 600 kmq.


La lettura delle carte

La consultazione delle carte geografiche costituisce uno strumento indispensabile per ogni studio razionale di ti­po geografico. Infatti, soltanto attraverso la loro fre­quente utilizzazione è possibile ricostruire concretamente l'ubicazione e la distribuzione geografica dei fenomeni fisici ed antropici che si svolgono sulla superficie terre­stre; naturalmente, tale visione sarà tanto più completa e dettagliata quanto maggiore sarà la scala della carta. A tali scopi risulta indispensabile una buona lettura ed interpretazione delle carte, operazione possibile solo al­lorquando si conoscano i principi della loro costruzione ed il simbolismo in esse adottato. La scelta delle carte da consultare dipende in primo luogo dal tipo di elemen­to o fenomeno geografico che si prende in considerazio­ne, oltreché, naturalmente, dall'estensione della regione nella quale esso è localizzato.

Quando si voglia eseguire uno studio dettagliato di un determinato territorio sono da utilizzare le carte to­pografiche, che consentono di avere una visione della porzione di superficie terrestre rappresentata nei suoi par­ticolari planimetrici e morfologici, insieme ad una det­tagliata ubicazione di numerosi elementi antropici. Tale visione è indubbiamente molto prossima a quella che si avrebbe se ci si trovasse direttamente sul terreno.

Di più facile lettura risultano le carte corografiche e soprattutto quelle geografiche, che devono essere utiliz­zate quando la regione da studiare, della quale si vuole avere una visione di insieme, assume dimensioni note­voli. In esse, infatti, è più immediata, anche se meno pre­cisa, data la piccola scala, la comprensione dell'anda­mento orografico ed è più ridotto il numero dei segni convenzionali relativi agli elementi antropici. Questi segni sono sempre indicati in un'apposita legenda e si dividono in due categorie: la prima si riferisce alla planimetria, cioè alla superficie del terreno riferita a un piano orizzontale, come i confini politici ed amministrativi, l'idrografia, la vegetazione, i centri abitati, le vie di comunicazione, ecc.; la seconda alla plastica del terreno.

La ricostruzione del quadro geografico sintetizzato nella carta risulta piuttosto agevole dal punto di vista planimetri­co, perché basta confrontare i simboli che vi compaiono con quelli segnati nella legenda, mentre presenta una certa difficoltà dal punto di vista morfologico, anche perché le carte a piccola scala contengono elementi sommari di valutazione, mettendo appena in risalto le grandi zone altimetriche. Solo le carte topografiche, grazie alla disposizione e all'andamento delle isoipse, consentono di ricomporre mentalmente i lineamenti generali die rilievi ed anche di ricavarne graficamente, mediante il disegno dei profili, le forme peculiari.

Innanzitutto occorre ricordare che isoipse ravvicinate esprimono forti pendenze, mentre isoipse distanziate prefigurano zone pianeggianti o a debole declivio. Analogamente isoipse con andamento contorto e complicato sottintendono forti accidentalità del terreno e complessità di forme, mentre isoipse a linee chiuse indicano rilievi isolati: cupoleggianti, se le linee sono concentriche, piramidali se le linee hanno la figura di triangoli, a forma di dorsali se le linee sono allungate.

La carta topografica offre anche numerosi elementi per ricostruire, sia pure a grandi tratti, le vicende storiche ed economiche dell'area rappresentata. A tal riguardo l'etimologia dei toponimi[3] può chiarire le fasi del popolamento. Infatti, oltre ai toponimi che indicano chiaramente la nascita di centri in epoca classica, ad es., dai Greci furono fondate Napoli = città nuova e Pentadattilo = cinque dita, dai Romani Forlimpopoli = Forum Popilii, si può dire che all'espansione romana risalgono quasi tutti i centri che terminano in ano e ana, in quanto derivanti dall'aggettivazione dei nomi dei proprietari dei fondi, Ponzano da Pontius, Martignano da Martinus, Ottaviano da Octavius, ecc.

I toponimi, insomma, possono rappresentare fonti di storia ed elementi interpretativi del paesaggio nei suoi aspetti attua­li ed evolutivi. Essi sono d'aiuto per riconoscere i caratteri essenziali di alcuni fatti geografici anche nelle carte piccola scala relative a tutta la Terra.





Non indicano la distribuzione geografica di un fenomeno

settore della geografia che studia la distribuzione dei rilievi sulla Terra

nome proprio di città, regione, fiume, monte, ecc.




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