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A PORTRAIT OF THE ARTIST AS A YOUNG MAN - James Joyce

letteratura inglese



A PORTRAIT OF THE ARTIST AS A YOUNG MAN

James Joyce




In A portrait of the artist as a young man tornano i temi presenti in Stephen Hero in chiave però diversa e rielaborata. Tornano perché il Portrait è il risultato di una sorta di riscrittura di questo testo. La gestazione del Portrait può essere ricondotta tra il 1907 e il 1914. Vede la sua pubblicazione nel 1914 a puntate sulla rivista "The Egoist", poi nel 1916 esce in pubblicazione. In Italia è conosciuto anche come "Dedalus"  titolo affidatogli da Cesare Pavese nella sua traduzione. È dal titolo che bisogna cominciare l'analisi del romanzo. E su questo p 828d33i osso già abbozzare una prima teoria: non è stata necessità di Joyce mettere titolo "Dedalus" a questo libro ma dei suoi lettori, in questo caso del traduttore! Il titolo datogli dallo stesso autore è Un ritratto dell' artista da giovane.



Rispetto a Stephen hero, qui, già nel titolo si istaura una specie di indeterminatezza ed impersonalità, temi oltretutto importanti per comprendere a pieno il pensiero Joyciano. Non è più il nome del protagonista ad essere al centro del titolo, ora è l'artista e il suo ritratto. Sono due i soggetti, distinti ma imprescindibilmente uniti. L'artista è una condizione dell'essere, il ritratto è il suo inconscio. L'artista (Joyce) e il suo ritratto (la visione che lui ha di sé) ma è un ritratto che l'artista ha di sé da giovane, questo indica una sorta di distanza dell'autore dalla condizione che descrive. Non solo; è anche il ritratto del mondo in cui vive e di come l'artista si può relazionare con esso. Il tema del ritratto è un topos ripreso anche da altri scrittori, in particolare Oscar Wild e D.H. Lawrence.

Il personaggio del romanzo di chiama Stephen Dedalus. Stefano è un nome cattolico, anzi, è il nome del primo martire cattolico della storia cristiana, e qui introduco un argomento base del testo che approfondirò in seguito, cioè il problema della religione con cui il protagonista ha a che fare per tutto il testo.

Dedalus, invece, ovviamente ricorda la figura di Dedalo, padre di Icaro, e quindi l'esperienza del volo.

Ebbene, tutti i 5 capitoli del Portrait si basano su questa esperienza:

la fase dell'infanzia, la prima parte del libro, dove ancora l'artista celato ascolta i discorsi degli adulti, non ha ancora esperienza, non ha ancora spiccato il volo. Proseguendo nel romanzo e nella evoluzione del personaggio Stephen inizia il percorso per diventare artista, spicca il volo che verrà definitivamente compiuto e realizzato nell'ultimo capitolo nel momento in cui svilupperà le teorie estetiche. Ed anche la narrativa del romanzo segue lo stesso schema del volo: Joyce ricerca nel suo stile di emulare i vari stadi linguistici dell'uomo passando quindi da un linguaggio infantile, ripetitivo, nei primi capitoli, ad un linguaggio esaltato dell'adolescente, a quello composto e severo del giovane artista. In fondo questo è un mito alla rovescia, è un volo verso il basso, verso un mondo che di mitico non ha nulla, è un mondo umano, terreno, in cui la realtà però, diversamente da Stephen hero dove è ben descritta qui viene solo accennata e filtrata dagli occhi dell'artista. È una realtà frammentata in cui l'artista non vive, preferisce rifugiarsi al di fuori del tempo e dello spazio, è una realtà che l'artista non accetta perché corrotta nella famiglia, nei rapporti, nella religione, nell'Irlanda stessa, paralizzata. Troviamo il reale prevalentemente nel primo capitolo, quando cioè l'artista è ancora un bambino che attraverso i sensi scopre la realtà che gli è attorno.

Il romanzo presenta elementi autobiografici dello stesso Joyce: la figura dello zio, la figura del padre che diversamente dallo Stefano eroe diventa più delineata ed importante ed il viaggio a Cork che vi fa insieme, le scuole dei gesuiti che frequenta, i frequenti traslochi della famiglia.

Forse è proprio il Portrait il testo in cui più di tutti si può trovare la filosofia di fondo joyciana, nel capitolo finale quando confessandosi con l'amico Cranly dice: "Tu mi hai chiesto cosa farei e cosa non farei. Te lo dirò cosa farò. Non servirò quello in cui non credo più, sia che si chiami la mia casa, la mia patria, la mia Chiesa: e cercherò di esprimermi in qualche codice di vita o di arte più liberamente che potrò e più interamente che potrò, usando per mia difesa le sole armi che mi concedo di usare: silenzio, esilio, astuzia."

L'esilio (isolarsi che poi porta alla partenza)-silenzio(osserva)-astuzia(artista) diventano come il simbolo di una trinità pagana a cui l'artista si affida per la creazione e per sopravvivere alla realtà crudele. E l'esilio è tema presente nella stessa vita di Joyce che visse una vita da esiliato volontario, lasciando l'Irlanda nel 1902 viaggiando tra Italia, Francia e Inghilterra. L'Irlanda non capisce il suo essere artista.  Il silenzio di Joyce è quello dell'artista, dell'eroe, estraniato dall'opinione esterna. È concentrato nel suo intimo pensiero, non è più un uomo sociale. E l'artista è il superuomo nietzschiane è creatore indifferente al bene e al male. I suoi compagni non capiscono perché Stephen rifiuta il paese dove è nato, perché non impara l'irlandese, lui risponde "Questa razza, questo Paese, questa vita mi hanno prodotto. Esprimerò me stesso come sono."e continua nell'ultimo capitolo rivolgendosi ad un suo compagno d'Università "Sai che cos'è l'Irlanda? L'Irlanda è la scrofa che divora i suoi piccoli".

Nel Portrait forte è il rapporto avverso che ha con la religione ma che non è ancora così ardente, convinto; è ancora preciso nell'analisi delle figure laiche che incontra, non le lascia in secondo piano, vuole quasi studiarle; nel primo capitolo il rapporto con la religione passa attraverso gli occhi e le orecchie inesperti del bambino che ascolta i dibattiti degli adulti con attenzione e con una sorta di timore ma con il passare del tempo la sua riflessione lo porterà alla negazione del cristianesimo, cosa che accade però soprattutto nell'Ulysse.

Nel Portrait, in particolare nel terzo capitolo, durante il ritiro spirituale organizzato nella scuola, Stephen viene colto quasi da una specie di crisi mistica indotta da dei sermoni piuttosto infuocati pronunciati dal predicatore Padre Arnall sull'inferno e sui peccati. Tramite la confessione è in cerca di una redenzione e crede per un momento di aver trovato la risposta dei suoi problemi in una vita di grazia, virtù e felicità. Ma questa spinta religiosa trova presto conclusione perché trasformata in banale routine. L'artista deve di nuovo ritornare sui suoi passi alla ricerca di se stesso.

"Lui era diverso dagli altri. Lui non voleva giocare. Lui voleva incontrare nel mondo reale l'immagine incorporea che la sua anima rimirava tanto costantemente. Non sapeva dove cercare o come, ma una premonizione che lo guidava, gli diceva che questa immagine, senza alcun atto scoperto da parte sua, gli sarebbe venuta incontro.in quel momento di incontro lui si sarebbe trasfigurato. Timidezza e debolezza e inesperienza sarebbero caduti da lui in quel magico momento."

Ma chi è veramente l'artista? È un giovane complessato, pieno di difetti, frustrato, intelligente e apprezzato dagli altri per le sue capacità che però vengono anche temute. L'artista è dunque un diverso e la sua vita per questo non potrà essere semplice, anzi, l'essere artista implica una condizione di sofferenza. Nel momento della presa di coscienza diventa autosufficiente. Stephen è alla ricerca di una propria identità di intellettuale

L'artista nel Portrait è ancora immaturo, deve ancora arrivare al risveglio dei sensi, crede il suo destino farsi prete!

È verso la fine del romanzo che c'è il risveglio ribellandosi alla religione, alla patria, alla famiglia: Non servirò. È una scelta nichilista per difesa che riprende anche la visione mitica di Prometeo e cattolica di Santo Stefano in quanto entrambi si sono rifiutati a sottomettersi.

Nel Portrait Joyce usa una tecnica nuova rispetto a Stephen Hero, introduce l'ironia (che non è solo parodia) che serve anche ad estraniarsi: è un atteggiamento da artista maturo. In Stephen hero non la usava perché l'eroe non è ancora artista.

È soprattutto nel capitolo finale che il romanzo raggiunge il punto più alto, quando tratta delle teorie estetiche sul bello, sulla spiritualità dell'artista, sulle epifanie e sull'impersonalità durante la conversazione con Lynch, un suo compagno del College che gli chiede che cosa sia l'arte e la bellezza che esprime. Parte da San Tommaso che dice che è bello ciò di cui la percezione ci piace, passa poi in rassegna la tripartizione Hegeliana dei generi (lirico-epico-drammatico) per giungere alla conclusione con la qualificazione dell'artista e qui cito:

"L'artista, come il Dio della creazione, rimane dentro o al di là o al di sopra della sua opera, invisibile, sottilizzato fino al nulla, indifferente, mentre si pareggia le unghie."

La vista degli uccelli che volano preannunciano la sua imminente fuga dall'Irlanda.

Ed ancora un altro tema joyceiao, quello dell' Epifania che si evolve concettualmente. Se prima Epifania veniva intesa come l'annotazione della realtà da parte dell'artista ora diventa il momento dell'"incanto del cuore". E l'epifania nel Portrait è la visione nel quinto capitolo della ragazza sola in riva al mare che paragona ad un uccello: è la visione di una bellezza romantica.

Il romanzo si conclude con la partenza del giovane artista dall'Irlanda. Potenzialmente è qui che si potrebbe interpretare la caduta del volo ed invece non è così perché nonostante la caduta, l' artista ora è completo la sua coscienza è assoluta e astratta ed autosufficiente che ha raggiunto quindi il suo scopo: la negazione del mondo, l'egocentrismo, l'introversione attraverso cui può addirittura trasformare la caduta nel trionfo dell'io.




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