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Odissea: proemio ( I, 1-10), parafrasi

antologia



Odissea: proemio ( I, 1-10), parafrasi



Raccontami, o Dea della memoria Mnemosine, dell'eroe dalle tante virtù, che tanto

girovagò, dopo aver distrutto la città sacra fortificata di Troia:

conobbe molte città e uomini e ne ascoltò i pensieri,

fu provato duramente durante il viaggio in mare mettendo a dura prova sia il suo corpo che la mente,

per salvare la sua vita e quella dei suoi comp 949j99j agni.

Che purtroppo non riuscì a proteggere:

a causa del loro sacrilegio,

stolti, mangiarono i buoi sacri al Dio Sole Iperone:

che tolse loro il ritorno eterno.



O dea, figlia di Zeus, racconta qualcosa anche a noi.




























L'Odissea: Nausicaa (VI, 117-210), parafrasi




Un lungo grido lanciarono. Si svegliò il famoso Ulisse.

e seduto pensò nella mente e nell'animo:

- Povero me! In quale terra mi trovo e chi la abita?

Forse aggressivi, inospitali e ingiusti,

oppure ospitali e che temono il giudizio degli dei?

Un grido di fanciulle sentì;

di ninfe, che abitano le cime accidentate dei monti,

i fiumi e i pascoli rigogliosi.

O sono tra uomini che sanno comunicare?

Voglio tentare e vedere di persona.

Dettò così, venne fuori dagli arbusti il famoso Ulisse,

dalla folta selva spezzò un ramo di foglie,

per coprirsi il corpo (poiché era nudo).

Si mosse come un leone alpino sicuro della propria forza,

che progredisce stremato da tutte le difficoltà, anche se gli bruciano

gli occhi, si getta tra le prede: perché spinto dalla fame  le aggredisce;

così Ulisse si avvicinò, purché era nudo,

tra le fanciulle: era mosso dal bisogno.

Apparve orribile, macchiato dai residui dell'acqua marina:

scapparono spaventate qua e là per le rive sporgenti.  

Rimase solamente la figlia di Alcinoo (Nausicaa): che Atena

incoraggiò l'anima e tolse in lei la paura.

Si fermò e la guardò: Ulisse era incerto:

se implorare la fanciulla (com'era usuale in quel tempo) prendendole le ginocchia (in segno di supplica),

o supplicarla con dolci parole, così,

da lontano la invitò a mostrargli la città e gli desse le stoffe

A tal punto, comprese che sarebbe stato più utile

restare lontano e pregarla con dolci parole:

in modo da non irritare la fanciulla.

E subito le fece un discorso dolce ed attento:

- Ti supplico, o regale: sei forse un dio o un mortale?

Se tu sei un dio - essi hanno il dominio su tutto -

sei molto somigliante ad Artemide, la figlia del grande Zeus,

nel volto, nella statura e nell'aspetto.

Se tu sei un mortale, che abitano la terra,

tre volte beati siano tuo padre e tua madre venerabile,

i tuoi fratelli: sicuramente

il loro cuore gioisce per la tua bellezza divina,

guardando questo bocciolo appena affacciato alla vita.

Ma più di tutti sia beato colui che ti amerà

e che ti condurrà a casa sua.

Perché, con i miei occhi, non ho mai visto un mortale paragonabile a te,

né uomo né donna: mi emoziono al suo guardarti.

Vidi a Delo, una volta, vicino all'altare di Apollo,

un candido germoglio  di palma sbocciare così:

sono stato anche là e molta gente mi seguì

in quel viaggio, da cui ebbi dolore e sventura.

E nel vederlo mi stupii a lungo,

perché dalla terra un fusto così non è mai cresciuto,

così, o donna, ti ammiro e mi meraviglio e ti temo terribilmente

di toccarti i ginocchi: ma un grave dolore mi opprime.

Solo ieri, al ventunesimo giorno (di navigazione) mi salvai dal tremendo mare scuro come il vino:

fui sballottato tutto il tempo tra le onde e le tempeste impetuose

dall'isola Ogigia: un dio adesso mi ha portato qui,

per patire anche qui dolori; non credo che finiranno,

molte altre ne aggiungeranno gli dei.

Abbi pietà di me, o sovrana: dopo molte sofferenze vengo con supplice

a te per prima: non conosco nessun altri

uomini, che abitano la città e questa terra.

Mostrami la reggia, dammi qualcosa da mettermi addosso,

il telo che avevi per avvolgere i panni per venire qui

Gli dei ti concederanno ciò che nel tuo cuore desideri,

un marito e una casa, e per compagna la felice

armonia; perché non c'è bene più costoso e pregiato,

quando una casa è sorretta da pensieri armoniosi

di un uomo e di una donna: invidiati dai nemici,

ma gioia per gli amici, e soprattutto buon nome per gli sposi.

Gli rispose allora  Nausicaa (dalle candide braccia):

Straniero - poiché non sei simile a un misero o a un pazzo -,

lo stesso Zeus (signore dell'Olimpo e degli dei) assegna agli uomini la felicità,

come lui vuole a nobili e miseri.

A te diede questo destino e devi in ogni caso sopportarlo.

Ora, poiché sei arrivato nella nostra città e nel nostro paese,

ti daremo da vestire una veste o qualcos'altro

è giusto ottenerla dopo aver avuto tali sventure.

Ti indicherò la reggia, ti dirò il nome del popolo:

abitano la città e questa terra i Feaci,

io sono la figlia del grande Alcinoo:

da lui dipendono i Feaci.

Disse così e esortò le ancelle dai bei ricci:

Ancelle, fermatevi: dove scappate per aver visto un uomo?

Credere che sia un nemico?

Non esiste un uomo mortale forte,

che può arrivare nella terra dei Feaci

per far guerra: perché gli dei  sono molto preziosi

Abitiamo in un luogo appartato, nel mare agitato,

ai confini del mondo, nessun altro mortale può arrivare a noi.

Ma costui è uno sfortunato, è arrivato qui girovagando,

ora ha bisogno di cure: mendicanti e stranieri

sono mandati da Zeus. Il dono potrà essere piccolo e caro.

Ancelle, date all'ospite da mangiare e da bere,

fategli il bagno nel fiume, un punto dove si è riparati dal vento





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