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Ugo Foscolo - La vita, Le ultime lettere di Jacopo Ortis

letteratura



Ugo Foscolo

La vita

Niccolò Foscolo nacque nel 1778 a Zante, una delle isole Ionie, proprietà del regno di Venezia, dal padre Andrea e da madre greca. Queste origini greche furono molto importanti per il Foscolo che ricorderà gli anni della gioventù con malinconia e che lo fece sentire profondamente legato alla tradizione classica greca.

Si trasferì a Spalato in dalmazia ove vi era la madre, ma per problemi finanziari a causa della morte del padre, si trasferirono a Venezia dove vennero aiutati da p 737b12h erneti e amici, e dove il Foscolo, che parlava poco l'italiano, cominciò a studiare con successo la letteratura Italiana.

Politicamente il Foscolo appoggiava le idee della Rivoluzione Francese, e per questo motivo si dovette allontanare dalla conservatrice repubblica di Venezia. Quando Napoleone scese in Italia eglì andò a Bologna ove si arruolò nell'esercito Cispadano e dove scrisse un'ode a Napoleone Bonaparte.

Ma egli rimase profondamente deluso da Napoleone quandpo egli nel trattato di Campoformio cedette La Repubblica di Venezia all'Austria; anche con questa delusione egli continuò ad operare all'interno del sistema napoleonico, convinto che esso fosse un passaggio obbligato per avere un'Italia moderna.

Così si trasferì a Milano ove ebbe un periodo di tranquillità e ove conobbe il Monti e dove diresse un giornale (Il Monitore Italiano); nel 1804 per ovviare ad una crisi finanziaria fu costretto ad arruolarsi nell'esercito napoleonico e risiedette nel settentrione della francia per circa 2 anni. Quando tornò a milano conobbe il Pindimonte che lo ispirò nei suoi Sepolcri, e riuscì ad ottenere una cattedra di eloquenza a Pavia (cattedra che fu presto soppressa dal governo italiano). Nel 1811 rappresentò la tragedia Aiace, in cui nella figura di Agamennone vi furono fatte delle allusioni a Napoleone, e fu così costretto a fuggire da Milano per recarsi a Firenze ove ebbe 2 anni diserenità e felici amori. Dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo, il Foscolo andò in esilio prima in Svizzera e dopo a Londra, dove dopo un'altra crisi finanziaria e aver vissuto nella povertà, morì nel 1826. Fu poi portato in Italia e sepolto a S. Croce a Firenze.



Le ultime lettere di Jacopo Ortis

Le Ultime lettere di Jacopo Ortis è un romanzo epistolare che fu iniziato dal Foscolo in gioventù, ma che ebbe vari ritocchi durante tutta la vita del Foscolo. Esso uscì in tre edizioni: la prima che fu fatta stampare a Bologna, rimasta incompleta per l'arruolamento del Foscolo e finita da un certo Angelo Sassoli; la seconda edizione uscì dal periodo svizzero di Foscolo; le terza edizione con ulteriori modifiche uscì a Londra nel 1817.

Si tratta di un romanzo epistolare, forma di narrativa che ebbe molto successo nel settecento, che Jacopo Ortis scrisse a Lorenzo Alderani.

La trama parla di Jacopo Ortis che è un giovane patriota che dopo la cessione di Venezia all'Austria col trattato di Campoformio decide di rifugiarsi sui Colli Euganei per sfuggire alle persecuzioni. Qui Jacopo si innamora di Teresa, una donna che però è già stata promessa ad un altro uomo, Odoardo, che è l'esatta antitesi di jacopo: gretto e prosaico, freddo e razionale. Per amore di questa fanciulla Jacopo fa una sorta di pellegrinaggio lungo l'Italia, visitando Milano, ove conosce il Parini, e a Firenze dove visita S. Croce. La notizia del matrimonio di teresa lo riporta in Veneto, ove, dopo aver rivisto la fanciulla per un'ultima volta, visita la madre e poi si uccide.

Il romanzo è chiaramente ispirato a "Idolori del giovane Werther" di Goethe, ed assomiglia a questo sia per l'intreccio, un giovane che si suicida per amore di una donna già destinata ad un altro uomo, ma vi è anche un'altro tema più profondo, ossia quello dell'impossibilità da parte di un giovane intellettuale di inserirsi in un contesto sociale a lui avverso; questo tema, anticipato da Goethe, sarà poi molto ripreso nella cultura moderna.

Nel Werter il conflitto sociale si misura essenzialmente sul piano personale, mentre nel Jacopo si trasferisce anche su un piano politico: infatti nel Werter, il giovane non viene più accettato dalla sua casta di provenienza, la borghesia, per il suo slancio del cuore, la sua passionalità veemente, mentre il dolore di Jacopo è di non identificarso in nessuna casta, l'essere un senza patria.

Un'altro fatto essenziale è che il Werter fu scritto prima della rivoluzione Francese, e quindi vi è un desiderio di avere un mondo diverso, ma non sapendo come fare; le ultime letter edi Jacopo Ortis invece venne scritto dopo la rivoluzione Francese, nel periodo Napoleonico, e quindi si risente la delusione della rivoluzione che doveva portare alla libertà, ma che invece portò ad un altro perido di tirannide. Non essendovi altre alternative, l'unica possibilità che si presenta d'innanzi al giovane Ortis è la morte, intesa come distruzione totale e nulla eterno.

Anche se il motivo principale dell'opera è il nichilismo, esso non è tutto nell'opera: infatti nell'opera vi è una ricerca di valori postivi, quali la famiglia, gli affetti, la tradizione culturale italiana, la poesia, che aiutano a superare il vicolo cieco della storia.

Con l'Ortis il Foscolo, cercò di impiantare anche in italia il romanzo, forma letteraria già ampiamente usata in tutta l'Europa; egli però non vi riuscì, in quanto nella sua opera non vi sono gli intrecci della trama, non vi è interesse narrativo, non vi sono descrizioni di paesaggi o di profili psicologici, ma tutto è scritto in forma saggistica od oratoria.

Infatti l'opera appare come un monologo in cui l'eroe si confessa con veemente pathos, e in cui si abbandona a meditazioni politiche o filosofiche. Tutto questo è anche accentuato dal linguaggio usato dal Foscolo, essendo l'opera scritta in prosa aulica ed essendo pervasa da una continua tensione al sublime.



ANALISI TESTUALE DE "IL SACRIFICIO DELLA PATRIA NOSTRA E' CONSUMATO"

Questa è la lettera di apertura del romanzo. Sin dalla prima pagina si possono cogliere i due apetti fondamentali che caratterizzeranno il romanzo:il nichilismo e il recupero dei valori positivi attraverso l'illusione. La mrote è vista come unica via d'uscita nei riguardi di una situazione politica oramai irrecuperabile, ma è vista anche come una forma di sopravvivenza illusoria, in quanto ci saranno "pochi uomini buoni" che compiangeranno l'eroe caduto.

La morte, e la successiva sepoltura nella propria patria, è vista dall'autore anche come un terreno sicuro dopo il suo vagare senza patria.

La forma epistolare con cui è scritta l'opera fa sì che il protagonista sia anche il narratore, e fa sì che la narrazione coincida con lo svolgersi dell'azione. Questa simultaneità tra il narrare e le azioni fa sì che il racconto sia più vicino al lettore di un altro tipo di romanzo scritto in prima persona ("Le confessioni di un italiano" di Nievo),  e per questo il racconto sembra il monologo di un eroe tragico.

Ciò si avvicina anche allo stile dell'opera, tendente al sublime tragico ed ad enfasi retorica. In questo passo si può notare la secchezza delle frasi brevi e la ricerca di una coincisione lapidaria. DA notare anche le interrogazioni retoriche e le antitesi presenti nel brano (per salvarmi da chi m'opprime, mi commetta a chi mi ha tradito?).

ANALISI TESTUALE DEL COLLOQUIO COL PARINI

Il colloquio col Parini è un episodio chiave del romanzo, che centralizza la problematica politica del romanzo e il dramma del protagonista. Di fronte sono Jacopo Ortis e il vecchio poeta Parini che analizzano la situazione negativa dell'Italia napoleonica; il primo ha in mente una rivolta generosa ma astratta per contrastare la situazione intollerabile, il secondo fa un'analisi lucida e puntuale della situazione ed è realisticamente consapevole dell'impossibilità di ogni altra alternativa.

Parini analizza la situazione italina secondo 4 punti ben precisi: il primo punto è la LICEnza, ossia la degenerazione della libertà rivoluzionaria che segue alla tirannide; il Parini poi analizza la situazione della letteratura italina; egli aborra tutti i letterati che sono asserviti al potere e che vendono le proprie opere ai potenti per ricevere favori (Foscolo sceglie il Parini perchè lo crede modello di intellettuale libero); Parini analizza anche lo spegnersi dello spirito eroico e delle azioni generose che vi è in Italia, con una diffusione dell'indolenza, della passività e della corruzione; Parini infine analizza la scomparsa dei valori fondamentali, quali la benevolenza, l'amore filiale, l'ospitalità, e afferma che in Italia vi è ormai una guerra di tutti contro tutti, violenza e spirito di sopraffazione.

Jacopo di fronte allo stato attuale italiano reagisce impetuosamente, alzandosi in piedi e gridando, quindi credendo ancora nella speranza che un'azione rivoluzionaroia possa fare cambiare lo stato delle cose; ma il vecchio Parini dall'alto della sua esperienza smantella subito gli eroici furori del giovane.

Parini intatno smonta il mitpo della purezza dell'eroe: infatti egli vivendo nella contaminazione non può non essere contaminato; e anche se ne uscisse incontaminato, una rivoluzione procura violenza, stragi, lotte civili, soffocamento dei partiti e dell'opinione, e porta poi alla dittatura.

Foscolo quindi tramite il Parini esprime la sua delusione storica nei confronti della Rivoluzione Francese (a cui è chiaramente riferito il passo). Foscolo tramite il Parini esprime anche l'impossibilità di una nuova rivoluzione contro il regime di Napoleone, in quanto ha ancora in mente gli effetti della prima rivoluzione, e ci sarebbe il rischio di sfociare in un'altra dittatura.

Se alla situazione presente non vi sono alternative sul piano storico, allora l'unica via di fuga è la morte, intesa come annullamento totale, nulla eterno, e il suicidio finale di Jacopo è coerente con questa conclusione.

Ma bisogna stare attenti a separare il Foscolo da Jacopo: infatti Fscolo non si suicida come Jacopo, ma partecipa criticamente all'interno del regime napoleonico. Il suicidio finale di Jacopo è quindi da identificare come un sacrificio con cui il Foscolo si libera di quelle tendenze nagative.

Le Odi e i sonetti

Foscolo sin da giovane scrisse numerose odi, sonetti, canzoni, in cui vi era uno stile molto vario: dal neoclassicismo alla poesia sepolcrale e svariando da temi politici a temi puramente romantici. Egli fece una rigorosa scelta tra tutte le sue produzioni letterarie e le racchiuse nelle Poesie, pubblicato nel 1803, in cui vi erano 2 doi e 12 sonetti.

Le due odi erano A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e All'amica risanata. Esse risalgono al periodo in cui l'autore scriveva l'Ortis, ma sono di stile e tematiche completamente opposte: nell'Ortis regnava un soggetivismo esasperato, e aleggiava sempre l'idea della morte sul protagonista, rimandando alle idee romantiche;le odi invece rientrano nella produzione neoclassica del Foscolo, con l'esaltazione della bellezza femminile trasfigurata da immagini di divinità greche; vi sono raffigurazioni intensamente visive e plastiche, immerse in continui richiami mitologici e in un linguaggio aulico e sublime, e la struttura sintatticha riproduce quella del suo periodo.

Ma mentre nell'ode a Luigia Pallavicini egli conserva un carattere di omaggio alla donna, caratteristica settecentesca, nell'ode all'Amica risanata egli vuole intraprendere un discorso filosofico sulla BELLEZZA ideale, sul suo effetto di purificare le passioni e di rasserenare l'animo inquieto degli uomini; egli parla inoltre della funzione eternatrice della poesia che canta la bellezza. Questo bisogno di Foscolo di cantare una cosa superiore nel Foscolo deriva dalla inquieta situazione storica che fa ricercare all'uomo qualcosa di superiore a cui aggrapparsi, e di cui la letteratura deve essere portatrice.

I sonetti di Foscolo si avvicinano di più al soggettivismo e alla passionalità dell'Ortis. I più celebri sono Alla Sera, In morte del fratello Giovanni e A Zacinto, in cui il Foscolo reinventa la struttura del sonetto con nuovi timbri, nella struttura sintattica e metrica, nella rappresentazione delle immagini. In essi vi è anche ripreso il tema nichilistico dell'Ortis, con il suo nulla eterno come alternativa alla situazione presente, il richiamo della madre patria, l'esilio della sua condizione politica e spirituale, ma vi è anche un certo positivismo utile a superare il nichilismo, già presente nell'Ortis.


ALL'AMICA RISANATA

Come l'astro più caro a Venere appare, dalle profondità marine coi suoi raggi simili a chiome stillanti d'acqua

tra le tenebre che fuggono dall'alba, e adorna con il suo percorso nel cielo con i raggi del sole;

Così sorgono le tue membra divine dal letto malato,

e in te rivive la bellezza, quella splendida bellezza grazie alla quale le menti dei mortali, inclini a vaneggiare, hanno unico ristoro dai loro mali.

Vedo fiorir il suo viso del roseo colore della salute, tornano a brillare i tuoi occhi e insidiano gli uomini; e a causa tua le madri trepidano insonni per i figli e le donne ridiventano gelose per i loro amanti, restando nuovamente sveglie a piangere.

Le ore del giorno che prima, durante la malattia, tristi ti somministravano medicine, ora recano la veste di seta e i monili con dei cammei con l'effige di dei classici, opera preziosa di artisti greci.

e le bianche scarpette da ballo e gli ornamenti delle feste notturne, fanno dimenticare ai giovani, per cui tu sei causa d'affanni e speranze, le danze.

o quando orni l'arpa di nuove armonie e con i morbidi contorni delle tue forme a cui si asseconda il bisso, e intanto il tuo canto vola pericoloso tra sommessi sospiri.

o quando danzando disegni figure con le tue membra e abbandonando  all'aria l'agile corpo, ignote bellezze sfuggono dalla veste e dallo scomposto petto reso affannoso per il movimento.



Nella danza ti cadono le trecce allentate, lucide per gli unguenti profumati sparsi di recente, e mal rassicurate dal pettine dorato e dalla ghirlanda rosa che ora Aprile ti manda con la salute che da vita.

Così come ancelle d'amore volano intorno a te invidiate dagli altroi uomini le ore.

Le grazie non concedino il loro favore a chi ti ricorda che la bellezza è fugace e che tu dovrai morire.

La casta Artemide, una donna mortale guidatrice di ninfe oceanine, che abitava alle pendici del monte parassio, faceva terrorizzare i cervi con lontano fischio dell'arco cidonio.

La fama la consacrò figlia di Giove; ora gli uomini pieni di timore la chiamano dea e le consacra il mondo degli inferi, le frecce infallibili, i monti e la luna.

Così il canto dei poeti consacrò

ANALISI TESTUALE DELL'AMICA RISANATA

L'ode si colloca tra la lirica arcadica e il neoclassicismo: infatti nella forma essa rientra nell'ambito settecentesco come omaggio galante a una bella donna, tuttavia essa è il tentativo, ben riuscito, di Foscolo di un neoclassicismo sostenuto ed aulico con un linguaggio molto difficile, che tende quasi al sublime, e con continui richiami al mondo greco.

Ma l'ode non si ferma solamente ad omaggio alla bella donna, ma vuole essere un discorso filosofico più ampio sulla bellezza ideale, sulla bellezza eternatrice che placa gli animi degli uomini vaneggianti. Per Foscolo quindi la bellezza fisica non è altro che una manifestazione della bellezza metafisica. La funzione eternatrice della bellezza si può notare dai richiami ad Artemide, Bellona e Venere, che la fama ha consacrate come dee immortali.

L'unica cosa che può rendere la bellezza immortale secondo Foscolo è la poesia che ha una funzione eternatrice. Questa funzione della poesia è molto importante, soprattutto in quel periodo in cui la figura del letterato si stava trasformando da quella di cortigiano che asseconda i potenti o che allieta l'ozio dei privilegiati. In altri scritti Foscolo dà al poeta anche la funzionecivile e politica, per fare risvegliare le virtù patriottiche del popolo.

Foscolo si pone come modello da seguire, perchè solo lui, che è nato in grecia, può fare rivivere l'antico spirito greco. Egli cerede quindi che la grecità non si acompletamente scomparsa, ma che possa rivivere nel mondo attuale.

In definitiva in questa ode Foscolo cerca un appiglio al di fuori della realtà umana a cui aggrapparsi, e lo trova nel mito della bellezza.

ALLA SERA

Forse mi sei così cara perchè tu sei l'iimagine della pace eterna o sera!

Scendi sempre da me invocata e sai raggiungere le zone più segrete del mio cuore, sia quando ti accompagnano le liete nubi estive con i venti tiepidi che rasserenano il cielo, sia quando dall'aria tenebrosa protendi all'universo tenebre lunghe e inquiete.

Fai vagare i miei pensieri verso il nulla eterno, e nel frattempo fugge il tempo presente,

e porta con sè la folla degli affanni per cui ci consumiamo insieme, sia io che l'età presente.

e mentre guardo la tua pace anche il mio spirito guerriero trova pace.

ANALISI TESTUALE DE "ALLA SERA"

Il sonetto è nettamente diviso in 2 parti: la prima è quella delle 2 quartine, la seconda è quella delle due terzine. Vi è un sostanziale differenza di contenuto tra queste due parti, in quanto la prima è in special modo descrittiva, cioè è la descrizione dello stato d'animo dell'io lirico di fronte alla sera; La seconda parte è dinamica e ruota tutto intorno al tema fondamentale della poesia: il nulla eterno. Questo tema è particolarmente caro al poeta perchè inteso come annullamento totale in cui si cancellano tutti i conflitti e le sofferenze.

Altri momenti di dinamicità nel sonetto sono le rime con verbi quali "fugge" e "dorme, e dalla contrapposizione di parti negative a parti positive.

In questo sonetto ritornano fortemente i temi già ampiamente descritti nell'Ortis, con un'eroe che si scontra con una realtà storica fortemente negativa, e vede come unica via d'uscita la morte, intesa come annullamento totale.

IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI

Un giorno se non andrò sempre fuggendo di popolo in popolo, mi vedrai seduto sulla tua tomba o fratel mio, piangendo la tua giovinezza troncata dalla morte nel suo fiorire.

Nostra madre or sol, trascinando la sua vecchiaia parla di me alle tue ceneri: ma io deluso tendo a voi 2 le mani;

e se io saluto da lontano la mia casa, sento dei nemici che mi respingono indietro, e sento i tormenti interiori che ti sconvolsero la vita e invoco anch'io la pace ella morte.

Questo di tanta speranza oggi mi resta! Popoli stranieri, quando morirò portate le mie ossa al petto di mia madre.

ANALISI TESTUALE DE "IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI"

Il sonetto si basa sue due principali temi: l'esilio e la tomba.

Come già in altre sue opere, il Foscolo tende a rappresentarsi come un eroe vittima della situazione storica e politica del tempo, per cui è costretto ad andare in esilio e quindi allontanarsi dalla sua patria e dalla sua famiglia. La situazione storica viene presentata dal Foscolo anche in chiave mitologica, con gli "avversi numi", cioè un potere arcano contro cui è inutile lottare perchè si è necessariamente sconfitti.

Al tema dell'esilio si contrappone il tema della tomba che viene rappresentata com il nucleo della famiglia ove Foscolo si ricongingerà col fratello e ove la madre parla con le ceneri del fratello lontano.

In questo sonetto si può notare la struttura circolare delle strofe, in qunato la 1a e la 4a parlano dell'esilio, la 2a e la 3a parlano della tomba del fratello e della madre.

Anche qui come nel sonetto "Alla sera" nella terza strofa vi è una situazione chiusa bloccata, la cui unica soluzione è la morte che servirà non solo a riportare il poeta in patria, ma anche a riunirsi con la famiglia (col ritorno delle ossa del poeta morto alla madre).


A ZACINTO

Mai più tornerò alle rive dell'isola ove camminò il mio corpo di bambino, Zacinto mia, che ti specchi nelle onde del mar Ionio da cui nacque Venre che rese quelle isole fertili col suo primo sorriso, da cui l'insigne poesia di Omero celebrò le nubi bianche e la vegetazione, e l'errabondo esilio grazie al quale ebbe fama e sventura Ulisse che ritornò alla sua Itaca.

Tu non avrai altro che il mio canto o mia patria; io sono predestinato ad essere sepolto in un'altra patria.

ANALISI TESTUALE DE "A ZACINTO"

Ciò che subito colpisce di questo sonetto è la non coincidenza tra le strofe e i periodi: infatti il primo periodo dura per tutte le tre strofe, per poi essere seguito da un altro nella quarta strofa, rompendo così lo schema classico del sonetto per cui ad ogni strofa doveva corrispondere un periodo. Foscolo si aiuta a legare le strofe con alcuni enjambements (nacque//Venere, l'acque//cantò), e con diversi congiungimenti sintattici (onde, per cui, che, e...).

Il discorso delle prime tre strofe è anche circolare in quanto il concetto espresso nel primo verso (Foscolo chenon toccherà mai più le rive della sua isola) è in opposizione ripreso nell'ultimo verso della terza strofa (Ulisse che baciò la sua Itaca).

A questo punto si profila anche una contrapposizione tra la perenigrazione di Foscolo e quella di Ulisse: entrambe sono volute dal fato, ma la prima ha un esito positivo, la seconda ha un esito negativo. Si può quindi avere una duplice visione dell'eroe secondo la concezione classica per cui esso è l'eroe positivo che conclude felicemente le sue perenigrazioni, e la visione dell'eroe romantico in cui si identifica pienamente Foscolo.

L'intellettuale romantico era sempre tormentato in quanto non trovava una sua posizione nella società, ed era sempre avverso dalla situazione storica del tempo, quindi si trovava a girare come un viandante di popolo in popolo. Egli è rassegnato alla sconfitta, alla solitudine e all'infelicità.

Da questo senso di infelicità e di sconfitta, il poeta assume il bisogno di regressione al passato, di tornare al grembo materno, tutto questo tramite l'immagine dell'isola. L'isola viene collegata a Venere, Venere viene collegata alla fecondità, e quindi alla madre. Foscolo auspica un ritorno al grembo materno in quello stato di sicurezza iniziale per sfuggire alla realtà storica attuale. Questi tre simboli, Zacinto, Vanere e la madre, sono accomunati dal Mar Ionio in cui il poeta è orgoglioso di essere nato, il mare cantato anche da Omero e che fu luogo della civiltà e cultura classica.

Un'altra figura importante nel sonetto, e soprattutto nei primi 11 versi, è quella dell'acqua, l'acqua datrice di vita, e quindi l'assenza della madre, della patria, è paragonabile lla mancanza di acqua.

Tutto questo è accentuato dalle rime: sponde-onde-feconde-fronde e giacque-nacque-tacque-acque.



I Sepolcri

I Sepolcri sono un poemetto di 295 endecasillabi sciolti sottto forma di epistola poetica indirizzata a Ippolito Pindemonte, suo amico e poeta con cui aveva avuto una discussione sul valore delle tombe nell'Aprile del 1806. Tutto questo era nato per un editto napoleonico che proclamava che le tombe e quindi i cimiteri fossreo messi fuori delle mura delle città, e ne regolamentava le iscrizioni. Questo editto aveva già suscitato molte discussioni in Francia.

Nella discussione avuta il Pindemonte, da buon cattolico, aveva sostenuto il valore della sepoltura individuale, mentre il Foscolo, da materialista qual era, aveva negato l'importanza delle tombe, in quanto con la morte vi era la dissoluzione dell'essere.

Ma con i Sepolcri il Foscolo si ricrede: infatti dopo un primo inizio in cui lui afferma la tesi materialistica, in seguito egli rivalorizza le tombe , in quanto ha ormai superato l'idea che la morte sia un "nulla eterno".

Secondo Foscolo quindi nelle tombe vi è una illusione di sopravvivenza dopo la morte, sopravvivenza dovuta al ricordo dei familiari, o cmq dei vivi.

La tomba quindi assume valore di centro degli affetti familiari e civili, in quanto fa ricordare ai civili le tradizioni degli antenati, tradizioni che non devono essere tradite. Ma la tomba diventa anche per Foscolo il mezzo grazie al quale si può uscire dalla impossibile situazione storica del momento. Infatti l'Italia si può risollevare grazie alle memorie, tenute alte dalle tombe, di una grandezza passata. Quindi quello che nell'Ortis era stato escluso, cioè la possibilità dell'azione politica, ora viene reso possibile grazie alle tombe.



Il carme non può essere neanche rinchiuso nell'ambito della poesia cimiteriale che tanto successo aveva avuto alla fine del '700 soprattutto in Inghilterra con Gray e Young, in quanto, come lo stesso Foscolo fa notare alla sua critica, esso racchiude un più ampio discorso filosofico e politico, e vuole essere "l'animare dell'emulazione politica degli italiani"..

Il discorso del carme ha una struttura rigorosa ed armonica, m aproprio perchè Foscolo vuole parlare al cuore degli italiani e non alla mente, i passaggi da una figurazione all'altra avvengono in fporma ellittica, lasciando per impliciti i passaggi intermedi.

Il poemetto è anche costituito da una sapiente orchestrazione di toni diversi: dall'inizio problematico, alla polemica veemente, alla celebrazione dell'inno alla pacata argomentazione alla grandiosità epica e tragica del mitico mondo greco e di Troia.

Il linguaggio del carme è estremamente elevato ed aulico, e si avvicina molto alla tradizione classicheggiante di Parini ed Alfieri.


I SEPOLCRI

Il sonno dell morte è forse meno profondo se la tomba è ombreggiata dai cipressi o se è confortata dal pianto dei cari rimasti in vita?

Quando per me il sole non feconderà più la terra facendole generare le famiglie vegetali e animali, e quando le ore future non danzeranno davanti a me, attraenti per le promesse lusinghiere che esse recano con sè, o quando non potrò più udire da te, dolce amico, i tuoi versi con la mesta armonia che li governa, nè più parleranno al mio cuore la poesia e l'amore, unico stimolo di vita spirituale alla mia vita di esule, come potrà confortarmi dei giorni perduti una tomba che distingua le mie ossa da quelle infinite sparse in terra e in mare?

E' Vero Pindemonte! Anche la Speranza abbandona le tombe; e la dimenticanza avvolge tutto nelle sue tenebre; e la forza della natura le trasforma in un continuo travaglio; il tempo rende irriconoscibili l'uomo,le tombe i resti mortali dell'uomo e i vari aspetti del cielo e della terra, che sono i resti di trasformazioni precedenti.

Ma perchè prima che sia il momento di morire l'uomo si priverà dell'illusione di potere sopravvivere, che lo trattiene al di qua della soglia della morte?

Egli non sopravvive anche sottoterra, quando la bellezza del mondo dei vivi non potrà più parlargli, se può suscitare l'illusione di essere vivo nella mente dei suoi familiari?

Questa corrispondenza di affetto tra il morto e i viventi è una dote divina negli umani, e spesso, grazie a questa corrispondenza, si vive con l'amico morto ed egli vive con noi,

a patto che la terra, che appena nato lo raccolse e lo nutrì, offrendogli il suo grembo materno come ultimo rifugio, renda sacri i suoi resti, preservandole dall'azione distruttrice delle tempeste e dal piede profano del volgo, e a patto che una pietra tombale conservi il suo nome e di un albero amico profumato dai fiori consoli le ceneri con le sue gradevoli ombre.

Solo chi non lascia tra i vivi nessuno che lo ami non ricava nessun conforto dal pensiero di avere una tomba;

e se guarda dopo che si siano fatti i funerali, vedrà la sua anima errare tra i lamenti dei dannati o rifugiarsi sotto le ali del perdono di Dio; ma lascia i suoi resti alle ortiche di un angolo di terra, dove non viene a pregare nessuna donna che lo ami, nè il passante solitario può sentire il sospiro che la natura ci manda dalla tomba.

Nonostane questo alto significato delle tombe, oggi una legge impone che i morti siano seppelliti fuori dalle città e sottrae ad essi di avere una lapide col loro nome.

Parini, sacerdote di Talia, che, cantando in suo onore, nella sua povera casa coltivo con tanto amore una pianta di alloro, e le appendeva corone in segno di devozione;

e la musa gli ornava i canti con l'ironia con cui Parini colpiva i lombardi oziosi e corrotti,a cui stavano solo a cuore le proprietà, il muggito dei buoi che dalle stalle lodigiane e dal Ticino li rendevano beati, procurando loro ozio e cibi pregiati.

O bella musa, dove sei? Fra questi tigli ove io sono seduto a sospirare la mia patria, non sento il profumo dell'ambrosia, indizio della tua presenza divina (o Musa). E tu venivi e sorridevi al Parini sotto quel tiglio che ora, come intristito freme perchè non dà ombra alla tomba del vecchio, a cui aveva già offerto ombra e tranquillità quand'era ancora in vita.

Forse tu o musa vaghi tra le tombe plebee cercando quella del Parini? A lui Milano, che alletta e compensa i cantanti evirati, non pose nè tomba, nè dei cipressi ad ombreggiare, nè un'epigrafe che lo ricordasse, e forse il ladro, che fu ucciso sul patibolo per i suoi delitti, gli insanguina le ossa con la sua testa tagliata.

Senti raspare tra le tombe in rovina e gli sterpi la cagna randagia che ulula famelica; e vedi l'upupa uscire dal teschio ove si era rifugiata per sfuggire alla luce lunare, e svolazzare tra le croci sparse per il cimitero, e senti l'immondo uccello accusare col suo luttuoso verso le stelle che illuminano le dimenticate sepolture.

Invano invochi dalla notte arida delle rugiade sulla tomba del poeta. Sulle tombe dei morti non sorge nessun fiore se la tomba non è curata dai vivi e non riceve le loro odi e lacrime, segno del loro amore.

Da quando le istituzioni della famiglia, della giustizia, e della religione consentirono agli uomini, che allo stato primitivo erano come belve feroci, di essere rispettosi verso sè stessi e gli altri, i vivi sottreavano all'azione distruttrice dell'aria ed alle belve i miseri resti della natura, con un ciclo di continua trasformazione della materia destina ad assumere altre forme.

Le tombe erano testimonianza delle loro glorie e altari per i figli; dalle tombe veniveno i responsi dei defunti, divenuti Lari (divinità domestiche), e il giuramento fatto sulle ceneri degli avi era considerato sacro: le virtù tradizionali congiunte con la pietà tramandarono questo culto religioso dei morti per lunghi anni.

Non sempre le lapidi ricoprivano i pavimenti dei templi; nè il puzzo dei cadaveri, mescolato al profumo dell'incenso, contaminò i fedeli che pregavano; nè le città erano rattristate da raffigurazioni di scheletri: le madri balzano nel letto esterrefatte e protendono le loro braccia nude a proteggere il figlio lattante affinchè non lo desti il lungo gemere del defunto che chiede agli eredi la celebrazione a pagamento nelle chiese di messe a loro suffraggio.

Ma cipressi e cedri riempivano l'aria dei loro effluvi primaverili e protendevano i loro rami sempre verdi sulle urne, simbolo del perenne ricordo, e preziosi vasi raccoglievano le lacrime votive.

Gli amici rapivano un raggio di luce al sole per illuminare l'oscurità delle tombe, perchè gli uomini morendo cercano la luce; e tutti sospiravano alla luce che li abbandonava.

Le fontane versando acque purificatrici facevano crescere amaranti e viole sulle zolle funebri; e chi sedeva a spargere latte o a raccontare le sue pene ai suoi cari estinti, sentiva intorno una fragranza come quella dei Campi Elisi, dove stanno i beati.

(Questa sensazione di trovarsi insieme con il defunto) è una illusione; analoga illusione rende cari alle fanciulle inglesi i giardini dei ciniteri suburbani, dove le conduce l'amore per la madre perduta, e dove pregano i Geni protettori della patria affinchè concedano clementi il ritorno all'eore nazionale, l'ammiraglio Nelson, impegnato nella guerra con Napoleone.

Ma in quei paesi ove il furore eroico dorme, e la vita civile è governata dalla voglia di arricchirsi e dalla paura servile dinanzi al potere, colonne funebri e tombe di marmo sono inutile sfoggio e malaugurate immagini di morte.

I ceti dirigenti del Regno d'Italia sono già sepolti, sebbene ancora vivi, nelle loro reggie, dove si piegano ad adulare il dominatore, e hanno come unico motivo d'onore i titoli nobiliari.

A me la morte prepari un rifugio di pace dove finalmente la sorte cessi di perseguitarmi, e gli amici raccolgano come eredità non ricchezze, ma appassionati sentimenti e l'esempio di una poesia che conservi il senso della libertà e della dignità umana.

Le tombe dei grandi infiamano gli animi nobili, o Pindemonte;e rendono bella e sacra allo straniero la terra che li accoglie.

Quando vidi il monumento ove riposa il corpo di quel grande uomo che insegnando ai regnanti l'arte del governare e che svelò al popolo che il potere si fonda sulle lacrime e sofferenze imposte ai sudditi e sui delitti;

ed il sepolcro di colui che innalzò a Roma la basilica di S. Pietro, paragonata al monte Olimpo per la grandezza;

la tomba di Galileo che tramite il telescopio vide ruotare i pianeti nella volta celeste, con il sole che li illuminava immobile, aprì per primo la ricerca astronomica dell'inglese Newton, che vi fece straordinari progressi.

gridai: Beata te Firenze con la tua aria salubre, e con le acque pure dei fiumi e dei ruscelli che scendono dagli appennini.

Lieta del tuo cielo ti riveste la luna, illuminando di luce limpidissima i tuoi colli, che gioiscono durante la vendemmia, le valli popolate da case e uliveti che mandano al cielo mille profumi di fiori: tu per prima udisti il poema che alleviò lo sdegno a Dante esule,

e tu desti i genitori e la lingua a Petrarca, attraverso cui sembrava parlare la musa Calliope, che nella poesia classica era sensuale; in tal modo lo restituì a Venere celeste.

Qui fu sepolto Erittonio, e dorme il giusto Ilo; qui venivano le donne troiane a piangere e a pregare per allontanare la morte dai loro mariti; qui Cassandra, quando la forza profetica del Dio Apollo la faceva parlare della fine di Troia, venne e cantò alle ombre dei sepolti un inno colmo di pietà ed affetto, e vi conduceva i nipoti, e inegnava ai giovinetti l'inno pietoso.

E diceva sospirando: Se mai il cielo vi consentirà ti tornare a Troia dalla Grecia, dove porterete a pascolo i cavalli di Diomede e di Ulisse, figlio di Laerte, invano cercherete la vostra patria. Le mura costruite da Apollo ancora fumeranno sotto le rovine.

Ma i progenitori (i Penati) resteranno qui nelle loro tombe anche se la città sarà distrutta; perchè è privilegio degli dei conservare il loro nome anche nelle sventure.

E voi, palme e cipressi che le nuore di Priamo piantano, crescerete presto bagnati dalle lacrime delle vedove,

proteggete i miei padri:

e chi fra i Greci vincitori si asterrà pietosamente dall'abbattere questi alberi sacri sarà risparmiato da lutti domestici e potrà accostarsi agli altari degli dei, non essendo contaminato da nessun sacrilegio.

Proteggete i miei padri. Un dì vedrete mendicare un cieco (Omero) sotto le antichissime ombre degli alberi, e penetrare nei sepolcri abbracciando le urne e interrogarle per trarre ispirazione.

Gemeranno le cavità segrete, e narreranno Troia rasa due volte e due volte splendidamente risorta dalle rovine, ma solo per rendere più bella la vittoria dei Greci, che per volontà del Fato la distruggeranno definitivamente.



Il sacro sacerdote (Omero) placherà col suo canto le ombre dei padri afflitti per la rovina della lorpo città, e renderà aterna la fama dei principi greci per tutte le terre circondate dall'Oceano.

Anche tu sarai onorato e pianto Ettore, ovunque il sangue versato per la patria sia sacro e compianto, e per tutti i tempi, finchè gli uomini sapranno compiangere le sciagure degli altri uomini.

ANALISI TESTUALE DE "I SEPOLCRI"

Foscolo stesso ha diviso il carme in 4 parti.

La prima parte, che è compresa tra vv 1-90, e soprattutto i primi 20 versi, analizzano quella che è stata la visione illuministica e di Foscolo sulla concezione delle tombe, cioè un puro materialismo. Infatti le tombe secondo questa idea non servoivano per niente al morto, in quanto con la morte vi era annullamento totale sia dell'anima che del corpo, quindi è indifferente come si dispongono le tombe. Foscolo però sente che non va più bene questa teoria, e allora cerca qualcosa per superarla, e lo trova nell'affetto dei cari per il  familiare o l'amico. La tomba quindi diventa centro unificatore degli affetti familiari.

La correzione a questa teoria è presente negli ultimi 40 versi della prima parte, in cui si fa l'esempio del Parini, che non ha avuto una degna sepoltura dalla sua città, Milano, e che ora è seppellito dimenticato in un cimitero di periferia. La tomba quindi non è solo ricordo della sfera privata, ma è anche messaggio civile per la società.

E' anche importante analizzare la costruzione stilistica della prima parte, soprattutto quella dei primi 50 versi. Essi si dividono in 2 blocchi: vv 1-22 e vv 23-50. Essi hanno quasi pari versi, e sono simmetrici in tutto e per tutto. Tutti e due i blocchi hanno delle interrogazioni retoriche nei primi 3 versi. Nel primo blocco inoltre segue una lunga interrogazione (3-15), seguita da una breve affermazione (16-22); nel secondo blocco vi è una simmetria inversa in quanto vi è una domanda breve seguita da una affermazione molto lunga (29-50).

La seconda parte occupa i versi 91-150.

Qui Foscolo afferma che le tombe sono uno dei fondamentali segni della civiltà, da quando l'uomo è passato dall'era primitiva alla società civile. Le tombe sono quindi un metro con cui misurare la civiltà di un popolo. Foscolo prende 4 esempi.

Il primo esempio, negativo, è quello del Medioevo, che Foscolo, ancora impermeato della cultura illuministica, condanna come età di barbarie, in cui vi era mancanza di igiene (la puzza dei morti che si sentiva nelle chiese), ma soprattutto una visione della vita tetra e macabra, con l'ossessione incombente della morte (Foscolo lo sottolinea con la paura dei fantasmi.).

In contrapposizione al Medioevo è la Civiltà Classica, che raggiunge un elevato livello di civiltà, per la visione serena che si ha della morte e per lo scenario gioioso e luminoso delle sepolture.

L' odore dei fiori che circondano le tombe fa subito pensare al Foscolo ai giardini dei cimiteri suburbani dell'Inghilterra, paese in cui le tombe acquistano anche un valore civile oltre che affettivo: le fanciulle inglesi infatti vanno sulle tombe non solo a pregare la madre scomparsa, ma anche la vittoria dell'ammiraglio Nelson. L'Inghilterra quindi è vista come esempio di società in cui vi sono permeate la virtù civile e l'amor di patria.

A contrasto viene evocata l'Italia, come luogo in cui mancano lo spirito per la patria e le virtù civili, in cui tutti hanno timore per il potere, e in cui la cosidetta classe dirigente pensa solo ad arricchirsi. In una società come questa le tombe assumono solo il valore di un lusso o di lugubri immagini di morte.

Alla viltà dilagante Foscolo contrappone l'immagine eroica del poeta che auspica la morte come approdo di pace. Ma nella morte il poeta non trova solo la pace, ma con la sua tomba assume valore civile proponendo un esempio di civiltà e di un'attività intellettuale libera. Il Foscolo così dicendo si pone accanto all'immagine del Parini.

Sul piano stilistico la seconda parte è nettamente differente dalla prima: queta infatti era piena di interrogazioni e brevi affermazioni, mentre la seconda parte è completamente argomentativa, tenuta in modo solennemente uniforme.

Si noti anche nei versi dedicati al Medioevo e alla civiltà classica come il poeta abbia riempito di "u" i primi per rendere l'atmosfera più lugubre, di "a" i secondi a rendere un clima di serenità luminosa  e gioiosa.

La terza parte va dai versi 151-212.

Qui le tombe assumono non solamente valore civile, ma anche un messaggio da tramandare ai posteri nel tempo.

Foscolo infatti analizza ancora una volta, come aveva fatto nell'Ortis, le tombe dei grandi a S. Croce, ma stavolta in senso positivo, con lo spunto di reagire alla situazione presente, al contrario di cosa aveva detto nell'Ortis.

Viene ripreso quindi il discorso dell'Ortis con il Parini in cui si era giunti alla conclusione che non si poteva fre più niente per la pessima situazione storica italiana; solo che qui Foscolo supera questo nichilismo con l'illusione, e afferma che se un giorno vi sarà la possibilità di un'azione politica, gli italiani dovranno prendere spunto dai grandi sepolti in S. Croce, che rendono sacro il luogo dove sono seppelliti.

E proprio qui sta la differenza con i poeti cimiteriali inglesi, soprattutto con Gray che esaltava la vita delle persone più umili, al contrario di Foscolo che esalta le tombe dei grandi per cercare di risvegliare negli italiani un sentimento di emulazione per uscire dalla situazione presente.

Negli ultimi versi della terza parte appare un altro poeta dopo il Parini, poeta però che ah una concezione diversa da quest'ultimo: Vittorio Alfieri. Egli a differenza del Parini che auspicava un consorzio civile ordinato, che criticava i costumi della sua società, è un poeta politico profetico, e quindi rappresenta la profezia di un riscatto politico della nazione.

Nella terza parte cambia di nuovo il tono, il ritmo del carme rispetto alle due precedenti. Qui infatti si passa ad un linguaggio lirico, oratorio ed epico, passando dall'iniziale ampio periodo dedicato a S. Croce con i grandi ivi seppelliti, che Foscolo non chiama mai per nome ma usa delle perifrasi che aumentano ancora di più la solennità dei versi, al linguaggio musicale della descrizione di Firenze, ai versi dedicati all'alfieri e alla battaglia di Maratona in cui vi è la grandiosità del linguaggio epico, ma in cui vi è anche un pò di cupezza preromantica.

Nella quarta parte (vv 213-295) Foscolo affianca alle tombe la poesia. Egli infatti pensa che le tombe hanno un'azione limitata dal tempo perchè vengono distrutte da esse, mentre la poesia può rendere eterne le persone che sono sepolte nelle tombe. La poesia quindi diventa eternatrice; ma vi è anche un altro motivo su questa funzione della poesia: infatti Foscolo si ritrova in un'era di transizione, in cui il ruolo del poeta passa dalla visione Rinascimentale alla visione che sarà poi del Romanticismo, quindi Foscolo sa il pubblico che lascia, ma non sa a quale pubblico sta scrivendo, quindi scrive quasi in modo profetico alle generazioni future affinchè sveglino l'Italia dal torpore in cui si ritrova.

Gli ultimi 60 versi esemplificano la funzione della poesia che eredita dalle tombe la memoria. Egli parla di Omero che nella sua opera celebra l'antica Troia con i suoi vinti, i Greci, ma anche i suoi sconfitti, i Troiani. La poesia quindi non serve solo a celebrare i vincitori, ma deve anche ricordare gli sconfitti, le sofferenze, il sangue versato.

nche nella quarta parte compare un poeta, Omero. Come nella prima c'era il Parini, nella seconda lo stesso Foscolo, nella terza Alfieri, ora abbiamo Omero che è il poeta nei cui versi si raccoglie e si tramanda tutta la tradizione di un popolo, che può quindi sopravvivere nel tempo.

Il tono poetico nella quarta parte cambia ancora una volta. Dopo l'interrogazione problematica, l'argomentazione e la celebrazione veemente dell'inno, ora qui si passa a un tono epico con la narrazione della caduta di Troia e con la morte di Ettore essa assume caratteri tragici.

Nel carme sono presenti diverse opposizioni di simboli. La principale è quella tra l'ombra, l'acqua e il deserto,l'aridità. I primi due simboli sono riferiti alle tombe che sono ricordate dai familiari, i secondi alle tombe dimenticate. I primi due secondo la concezione foscoliana si associano alla vita e quindi all'illusione, mentre gli ultimi sono simboli dell'assenza totale di vita in cui l'uomo sprofonda se la tomba non garantisce la memoria.

Le Grazie

Al progetto delle Grazie Foscolo lavorò a più riprese, ma non riuscì a completarlo. Egli, come aveva annunciato al Monti in una lettera, aveva intenzione di scrivere un inno alle Grazie in cui dovevano essere idoleggiate tutte le idee metafisiche sul bello. Il progetto cominciò a prendere forma a Firenze, e si ebbe una prima stampa a Londra, ma era una cosa frammentaria e del tutto incompleta dal titolo "Dissertazione di un antico inno alle Grazie".

Qui il progetto di un inno unico cade, in quanto il Foscolo ha intenzione di comporre tre inni dedicati a Venere (dea della bella natura), Vesta (custode del fuoco eterno che anima i cuori gentili) e Pallade (dea delle arti consolatrici della vita e maestra degli ingegni). Le grazie sono dee intermedie tra il cielo e la terra che hanno il compito di far suscitare sentimenti nobili negli uomini attraverso il senso della bellezza, e di farli così uscire da uno stato di ferocia primitiva che è nella loro natura.

Nel primo inno Foscolo narra la nascita di Venere e delle Grazie dal Mar Ionio e gli uomini, ancora allo stato primitivo, ne subiscono la bellezza e percepiscono per la prima volta l'armonia dell'universo, disponendosi a coltivare le arti civili. Nel secondo inno Foscolo immagina un rito in onore delle Grazie nella villa di Bellosguardo, dove lui aveva iniziato a scrivere le Grazie, celebrato da 3 donne gentili che rappresentavano la musica, la poesia e la danza. Il terzo inno è inscenato nella mitica isola di Atlantide in cui si rifugia Pallade per sfuggire alle passioni ferine degli uomini che avevano scatenato una guerra.

Nell'opera quindi Foscolo vuole calare un complesso disegno concettuale sulla bellezza serena e l'armonia, e lo vuole fare attraverso una "melodia pittrice", cioè la ricerca di una estrema melodiosità musicale,ben diversa dai vari toni dei Sepolcri, unendola a immagini intensamente plastiche e colorite, dalle linee ferme ed armoniche.

In queste figurazioni devono prendere corpo i concetti: Foscolo ha così intenzione di comporre una poesia allegorica, inmodo che entri più facilmente nei sentimenti e nelle emozioni degli uomini. Per questo motivo l'opera rimase incompiuta, in quanto Foscolo cerca di compiere un'opera unitaria allegoricain un periodo storico con una grossa crisi di valori e non consentiva un'opera del genere.

Il vagheggiamento della bellezza, la ricerca di immagini squisite e versi melodiosi non rappresentano però in Foscolo una involuzione rispetto alle opere precedenti, in quanto anche nelle Grazie è presente l'impegno civile, anzi non potremmo guardare le Grazie senza rapportarle all'impegno civile, in quanto esse fanno uscire dalle ferocie dell guerra per entrare in un mondo di pace e serenità (scritto durante le campagne napoleoniche ha un suo effetto.....)

Foscolo quindi è convinto della funzione civilizzatrice della poesia e delle arti e della loro possibilità di agire sul mondo sociale per renderlo veramente più umano.






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