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QUESTIONARIO SU "EUGENIE GRANDET" DI HONORE DE BALZAC

letteratura



QUESTIONARIO SU "EUGENIE GRANDET" DI HONORE DE BALZAC



Iniziato nel corso del 1833, il romanzo conobbe una scrittura piuttosto travagliata: il primo capitolo fu pubblicato sul numero del 19 settembre 1833 de "L'Europe littéraire" con il titolo "Physionomies bourgeoises"; il secondo capitolo, "le cousin de Paris", sarebbe dovuto uscire nel numero seguente, ma Balzac ruppe i rapporti con l'editore.

Dopo una breve interruzione, Balzac riprese la stesura e l'opera venne pubblicata a Parigi nel primo volume delle "Scènes de la vie de province" e messa in vendita il 15 dicembre 1833.



In seguito Balzac corresse la prima redazione con aggiunte e varianti, fino ad arrivare all'edizione definitiva che si trova nella "Comédie humaine" pubblicata tra il 1842 e il 1848 dal Furne, casa editrice parigina. A quest'edizione si ispirano quasi tutte le edizione moderne.




Honoré de Blazac nacque a Tours il 20 maggio 1799 da una famiglia borghese abbastanza agiata: il padre, d'origini contadina, aveva raggiunto una posizione di rilievo nell'amministrazione dello stato. Studiò in collegio prima a Tours e poi a Parigi, dove si trasferì con la famiglia 1814.

Iscritto alla facoltà di Giurisprudenza, s'impegnò come scrivano in uno studio notarile e, a vent'anni, scoprì la sua vocazione letteraria. In una mansarda del quartiere della Pastiglia, dal 1821 al 1829 scrisse opere di narrativa popolare, firmandoli come Horace de Sait-Aubin o Lord R'Hoone.

Le sue prime prove artistiche non furono molto apprezzate dalla critica, tanto che Balzac si diede ad altre attività: divenne editore, stampatore e infine compra una fonderia di 525f53f caratteri da stampa, ma tutte queste imprese si rivelarono fallimentari e lo indebitarono pesantemente.

Nel 1822 aveva conosciuto Laure de Berry, una donna matura che gli resterà accanto effettivamente fino alla morte. La presenza della donna ebbe molta influenza sull'autore che venne da lei incoraggiato a continuare a scrivere: nel 1829 pubblicò il suo primo romanzo con il proprio nome e cominciò a diventare famoso. Egli avrà, però numerose altre esperienze amorose, soprattutto con dame dell'aristocrazia che egli cominciò a frequentare; la più importante di queste avventure fu con Mme Hanska, una contessa polacca conosciuta nel 1833, che ebbe un ruolo importante nella stesura di "Eugénie Grandet" e che egli sposò nel 1850.

A partire dal 1830 l'attività letteraria di B. divenne frenetica: in 16 anni scrisse circa novanta romanzi.

Il lavoro eccessivo lo minò di fisico, ma era indispensabile per coprire le spese della sua vita fastosa (spendeva somme enormi per arredare le sue dimore con mobili antichi) e i suoi innumerevoli fallimenti nelle diverse attività commerciali intraprese via via.

Nel 1842 Balzac decise di organizzare la sua opera monumentale in una specie di gerarchia piramide con il titolo complessivo di "Commedie humaine": alla base di essa c'è il gruppo degli "Studi di costume del XX" diviso in "scene delle vita privata" "scene della vita di provincia", "Scene della vita parigina, della politica, della vita militare, della vita di campagna"; poi c'è il gruppo degli "Studi filosofici" ed infine quello progettato ma non realizzato degli "studi analitici". Si tratta di un grandioso progetto d'analisi della vita sociale e privata nelle Francia delle Restaurazione, l'epoca della monarchia borghese di Luigi Filippo D'Orleans. L'opera completata doveva raccogliere 150 romanzi con circa 2000 personaggi, ma il progetto fu realizzato solo per due terzi.

Accanito frequentatore di salotti, amante appassionato di nobildonne che soddisfacevano il suo snobismo e perseguitato dai debitori per le troppe speculazioni sbagliate, B. riuscì a realizzare, anche se per poco, i sogni di ricchezza e d'ascesa sociale grazie al rapporto con Eve Hanska.

Honoré de Balzac morì nel 1850 in seguito ad un colpo apoplettico.




"Eugénie Grandet" fa parte delle "Scene della vita di provincia". La provincia qui è cittadina di Saumur (sulla Loire, vicino a Tours) e la vicenda ha una struttura abbastanza semplice, centrata sull'innamoramento della protagonista per il cugino Charles, un damerino parigino dal guardaroba raffinato e dall'aspetto curatissimo, che, siamo nel 1819, inaspettatamente capita nella sua casa.

In conseguenza del fallimento economico e del suicidio del padre, appreso proprio mentre è ospite a Saumur, Charles, su consiglio del padre d'Eugénie, parte per le Indie in cerca di fortuna, ma prima i due cugini si dichiarono il loro amore reciproco, facendosi promesse di fedeltà e scambiandosi alcuni baci furtivi.

Eugénie si culla nel ricordo del cugino e attende, idealizzandolo sempre di più.

Dopo sette anni Charles ritorna: ha fatto fortuna, ma non pensa per nulla ad Eugénie, piuttosto si appresta a concludere un redditizio matrimonio che lo farà entrare nel mondo dell'aristocrazia parigina.

Eugénie è sopraffatta dal fallimento e dalla delusione, ma reagirà con grande dignità, avviandosi verso una vita solitaria e triste, consumandosi nell'occupazione ossessiva della gestione dell'immensa eredità lasciatele dall'avaro padre, il quale è l'altro grande protagonista della vicenda: un tipo esemplare dive Balzac condensa tutti i vizi e le fissazioni della tirchieria portata alla sublimazione ultima..

La vicenda, semplice nel suo procedere, risponde perfettamente all'intento di Balzac di dimostrare come la logica del sentimento sia destinata ad essere soprafatta nel mondo borghese dalla ricerca del prestigio, dall'arrampicata sociale, dalla sete del potere e del denaro " il solo Dio moderno in cui si abbia fede" (cap. I).




Dopo il congresso di Vienna in Francia era stata restaurata la monarchia borbonica nella persona di Luigi XVIII, il quale aveva varato una politica sostanzialmente moderata, conservando anche in parvenza di liberalismo con il concedere una Carta che poteva in qualche modo essere considerata una forma di Costituzione, anche se si trattava di Luigi XVIII non riuscì a soddisfare le aspettative né dei nostalgici dell'Impero romano napoleonico e dei liberali, né dei monarchici.

Si rafforzò sempre di più l'opposizione degli ultrarealisti che ottennero vistose affermazioni nelle elezioni dal 1815, tanto che il re fu obbligato a sciogliere la Camera per indire nuove elezioni con le quali fu eletto un Parlamento più disponibile nei confronti della politica moderata e conciliatrice del sovrano. Dopo la morte di Luigi gli ultras colsero un successo con la salita al trono di Carlo X, fratello del re ed esponente della destra reazionaria.

La sua politica intollerante, il richiamo ad un clericalismo retrivo, la protezione concesse alle classi privilegiate e parassitarie, portarono un clima di malessere generale soprattutto fra la borghesia degli affari che andava crescendo in numero ed importanza e tra gli intellettuali delle nuove generazione.

Carlo X tentò di stringere ancora di più la morsa della reazione con la proposta di quattro decreti fortemente antiliberali e ciò scatenò la rivolta popolare.

Dopo tre giorni (27-29 luglio 1830) di barricate e di combattimenti, Carlo X fu costretto a lasciare la Francia.

Soprattutto per merito dell'influenza dei gruppi borghesi fu chiamato al trono un esponente di ramo collaterale della dinastia borbonica: Luigi Filippo d'Orléans, figlio di quel duca d'Orléans che si era meritato il nome di Filippo "Egalité" per l'appoggio dato al Terzo Stato e al popolo di Parigi durante la Rivoluzione. Luigi Filippo venne acclamato "Re dei Francesi" e non "Re de Francia", decretando in questo modo la fine dell'assolutismo.

Egli avviò una politica di svecchiamento delle istituzioni e dei cerimoniali di corte, assunse il tricolore come bandiera nazionale, ma in realtà non introdusse delle autentiche novità a livello di concessioni democratiche: il suffragio elettorale fu solo leggermente ampliato e gli uomini che avevano guidato la rivolta contro al reazione, ora che erano giunti al potere, si dichiararono rigidi difensori dell'ordine politico e sociale. Il principale artefice della politica delle monarchia orleanista fu François Guizot, eminente storico e liberale moderato che dominò la scena politica francese dal 1840 al 1848: egli ispirò la sua azione a quella che lui stesso definì del "giusto mezzo" tra le spinte reazionarie della nobiltà filoborbonica e la sovversione rappresentata dai repubblicani e socialisti.

Di fattoli "giusto mezzo" perseguito da Guizot finì per coincidere con gli interessi dell'alta borghesia delle banche, della finanza, della grande industria e del commercio, riducendo la monarchia al governo di questi ristretti gruppi sociali.

Egli sosteneva che il paese vero era il paese legale dei possedimenti che godevano del diritto di voto. La strada perché tutti vi potessero accedere era, per Guizot, assai semplice: arricchitevi con il vostro lavoro, poi parteciperete al governo".

Durante il periodo della monarchia orleanistica la crescita e l'ammodernamento industriale della Francia ebbero un impulso rilevante, in particolare crebbe in modo consistente la meccanizzazione di vari settori. Tuttavia non si trattò di uno sviluppo globale in quanto nel paese si poteva ancora osservare la compresenza di località industrializzate tra le più moderne d'Europa (Parigi e Lione) e zone dove prevaleva la compresenza dove una parte ancora rilevante della popolazione viveva nella dimensione dell'autosussistenza.

Un dato significativo ad esempio la diffusione della ferrovia: nel 1848 in Francia ci sono 1800 Km di strade ferrate, contro i 9000 della Gran Bretagna e i 5000 della Germania.

In ogni caso lo sviluppo ci fu e, con l'andare del tempo, si crearono profonde tensioni tra il proletario crescente e le nuove categorie di borghesia da una parte, e il governo coi suoi alleati dell'altra: si andò delineando quindi il quadro politico, sociale ed ideologico che causò lo scoppio delle rivoluzioni del 1848 ed il crollo dei regime orleanistista..




I grandi personaggi balzachiani sono quasi sempre preda di passioni assolute, maniacali. Dominati da un'idea fissa, da una passione che progressivamente si impadronisce il loro fino a distruggerli, assieme a tutto quello che li circonda, non vedono più nulla al di fuori dell'oggetto del loro desiderio: così per l'avarizia in Papà Grandet e per l'amore in Eugénie.


Il tema dell'onnipotenza del denaro della società borghese trova un'esemplicazione chiarissima nel romanzo, sia nel cinismo con cui il giovane Charles tratta la dolce Eugénie, sia soprattutto nel ritratto che Balzac ci dà del padre di lei, in fondo il vero protagonista del racconto.


In effetti, nonostante il titolo, possiamo notare come il personaggio di M. Grandet sia dominante fin dalle prime battute assomigliare sempre di più al padre stesso: "Malgrado le sue ottocentomila lire di rendita, vive come aveva vissuto la povera Eugénie Grandet, accende il fuoco in camera sua nei giorni in cui un tempo suo padre le permetteva di accedere il camino in sala, e lo spegne secondo il programma in vigore quando era giovane. Va vestita sempre come sua madre. Elle accumula con cura le entrate.. questo nobile cuore, che batteva solo per i sentimenti più teneri, soggetto ai calcoli dell'interesse umano. Il denaro finisce per trasmettere le sue tinte fredde a questa vita celeste e infonde diffidenza per i sentimenti a una donna che era tutta sentimento" (cap. VI).

Papà Grandet quindi gigantesca nel romanzo come incarnazione dell'avidità ed è presente anche quando non c'è fisicamente anche nei momenti più intimi della vita di Eugénie, per esempio quando lei ed il cugino si scambiano il loro primo bacio (cap. IV: "Dio! C'è mio padre alla finestra").

La descrizione di questo personaggio è fatta con particolare cura ed occupa una parte importante del primo capitolo, mescolandosi con la descrizione dell'ambiente come accade in molti romanzi di questo periodo e di questo tipo.

Balzac in particolare segue un preciso rituale nella descrizione della maggior parte dei protagonisti delle sue storie: l'età, la professione, i beni, il tipo di vita, l'aspetto fisico, l'abbigliamento, il carattere e i modi di fare, il tutto con lo scopo di fornire una specie di scheda segnaletica del personaggio.

Grandet viene presentato in tre fasi successive: prima la sua biografia inserita sui fatti della storia di Francia (Rivoluzione, impero e restaurazione), poi la sua descrizione fisica e infine il suo profilo psicologico e le sue abitudini.

Tutti e tre questi momenti però mirano ad un solo scopo e cioè a farci capire con chiarezza che il tratto dominante ed ossessivo di quest'uomo è la sua avarizia.

La storia della sua vita è in pratica il racconto della sua fortuna e gli stessi fatti storici non vengono presentati in se stessi ma solo di riflesso, in quanto occasioni che Grandet ha saputo sfruttare per arricchirsi. Manca qui l'interesse puro e semplice per la storia che invece troviamo così spesso nei "Promessi sposi", non assistiamo mai nel corso del romanzo di Balza alla descrizione dettagliata di qualche vicenda storica di grande portata (come fa Manzoni con le guerre, la carestia, la peste ecc.), la storia rimane sullo sfondo e se ne sente una lontana eco misura in cui essa intereagisce in qualche modo con la vicenda dei protagonisti.

Grandet quindi, da semplice bottegaio nel 1789, diventa uno degli uomini più ricchi della regione utilizzando un buon matrimonio che gli apporta una dote considerevole, venendo in possesso di ben tre eredità "la cui consistenza rimase sconosciuta a tutti" (cap. I) e sfruttando abilmente varie circostanze che lo portano ad esempio, ad acquistare i beni del clero sequestrati durante la Rivoluzione. Durante il periodo del Consolato napoleonico, poi, aveva rivestito la carica di sindaco e, in quanto tale, "nell'interesse della città aveva fatto costruire ottime strade che conducevano alle sue proprietà" (cap. I); successivamente aveva saputo sfruttare le difficoltà del proprietario del marchesato di Froidfond per acquistarlo a un prezzo stracciato e ottenendo persino uno sconto e più tardi, nel corso della vicenda, si dimostrerà spregiudicato quanto basta per ingannare gli altri produttori di vino del luogo vendendo di nascosto le sue riserve (cap. III). Ancora di più dimostrerà la sua abilità nell'utilizzare a suo vantaggio i nuovi strumenti per arricchirsi messi a disposizione dall'amplificarsi delle attività finanziarie legate allo sviluppo dell'industria (Grandet infatti decide di investire in titoli e di giocare in Borsa come si legge nel capitolo III; nel capitolo V poi si legge: ".. Egli aveva capito che cosa fossero i titoli, un investimento per il quale i provinciali hanno ripugnanza invincibile, e si vedeva padrone, nel giro di cinque anni, di un capitale di sei milioni accumulano senza molta fatica").

Ma il capolavoro di Grandet è l'inganno che decide di tessere ai danni dei creditori parigini del fratello: "Aveva concepito una trama per beffarsi dei parigini, per strizzarli in giro, tormentarli, farli andare e venire, sudare, sperare, impallidire; per divertirsi con loro, lui, ex bottaio, nella sua sala grigia, con la sua scala tarlata della casa di Saumur" (cap. III).


Anche la descrizione fisica di Papà Grandet tende a mettere in risalto la sua passione devastante per il denaro: i suoi occhi, ad esempio, sembravano gialli ed avari di Saumur pensano che quel colore derivi dal fatto che Grandet passa le sue notti a contemplare il suo oro. Non solo, quegli occhi possiedono anche tratti animaleschi: hanno infatti la fissità di quelli del basilisco. L'autore paragona spesso i suoi personaggi al mondo animale. Di Grandet dice ad esempio: ". aveva della tigre e del boa: sapeva accovacciarsi, rannicchiarsi, studiare a lungo la preda e alla fine balzarle addosso; poi spalancava le fauci della borsa, ingoiava una massa di scudi, e si acciambellava tranquillo, come il serpente che digerisce, impassibile, freddo, metodico" (cap.I).

Il resto della sua descrizione fisica ci dà una sgradevole impressione di rozzezza e anche di cattiveria e pericolosità ( "tozzo. quadrato. rotule nodose. la fronte non mancava di protuberanza significative. verruca gonfia di venuzze. piena di malizia. Quel volto rispecchiava una scaltrezza pericolosa, una proibità senza trasporto e l'egoismo di un uomo che riponeva ogni suo sentimento nel sentimento dell'avarizia", capitolo I).


Tutti i comportamenti e le abitudini che Balzac descrive non fanno altro che precisare ulteriormente il ritratto dell'avaro: Papà Grandet "non comprava mai né carne né pane. I suoi fittavoli ogni settimana, come quota in natura, gli portavano provviste sufficienti di capponi, polli, uova, burro e grano. Ogni sabato Nanon. faceva il pane per la casa. gli ortolani, suoi affittuari. fornivano la verdura. la legna da ardere era tagliata dalle sue siepi. e i fittavoli gliela trasportavano in città bella e segata, gliela sistemavano per cortesia nella legnaia e ricevevano i suoi ringraziamenti" (cap. I).

"Non andava mai a trovare nessuno, non voleva ricevere né avere gente a cena; non faceva mai rumore e sembrava economizzare su tutto, anche sui movimenti" (cap.I).

"Da tempo l'avaro distribuiva personalmente la candela alla figlia e alla grande Nanon,così come ogni mattino distribuiva il pane e le derrate necessarie per i pasti quotidiani".

In questa situazione stagnante e ripetitiva, l'arrivo di Charles porta un cambiamento improvviso e inaspettato: la casa, le donne da lui tiranneggiate e considerate da lui sua proprietà esclusiva tendono a sfuggirgli di mano.

Eugénie prende finalmente coscienza di sé e dei suoi sentimenti e prende decisioni che contrastano con le regole rigidissime della casa (pensiamo soprattutto alla ricca colazione che offre al cugino e alle nuove preoccupazioni per l'arredamento e le suppellettili della sua camera), M.me Grandet, per amore della figlia è disposta persino a sfidare la collera del marito fino a praticamente morirne, persino la serva Nanon che viene più volte descritta con le caratteristiche del cane fedele e sottomesso al suo padrone, si schiera dalla parte di Eugénie e fa di tutto per sostenere il suo gioco (pensare ad esempio quando riesce a convincere il padrone a farsi dare farina e zucchero per cucinare una torta:Grandet all'inizio resiste: ". Nanon non ti avevo mai vista così. Si può sapere cosa ti passa per la testa? Sei forse la padrona qui?", ma poi cede "E va bene, Nanon" disse Grandet.. Aprì la madia dove c'era la farina, gliene diede una misura, e aggiunge qualche oncia di burro al pezzo che aveva già tagliato."Ci vorrà della legna per scaldare il forno", disse l'implacabile Nanon."Prendine quanta ne serve disse malinconicamente Grandet", cap.III).

L'ossessiva predilezione per il denaro fa sì che Grandet appaia caratterizzato da una estrema aridità sentimentale, dalla più completa indifferenza morale che viene messa in evidenza più volte durante tutto il corso del racconto, ma soprattutto in tre momenti:

quando egli riceve la notizia della morte di suo fratello e i comportamenti che egli tiene nei confronti del dolore del nipote:"Grandet non era imbarazzato del fatto di dover comunicare a Charles la morte del padre, ma provava una specie di compassione perché lo sapeva senza un soldo e cercava le parole per addolcirgli questa crudele verità"; di fronte alle lacrime del nipote non sa far altro che sentenziare:"Ma questo giovanotto non è buono per niente, si preoccupa più dei morti che del denaro". Più tardi parlando della sciagura accorsa al ragazzo con la moglie e la figlia, le rimprovera per la loro generosità nei suoi confronti e dice: "charles non è niente per noi, non ha il becco di un quattrino; suo padre è un fallito; quando quel zerbino avrà finito di piangere, se ne andrà via da qui; non voglio che metta a soqquadro la mia casa".

Quando scopre che Eugènie ha donato il suo donzello al cugino fa una scenata terribile alla figlia, causando anche il peggioramento delle condizioni della moglie.

Durante una schermata con la figlia che si rifiuta di rivelare a chi ha dato il suo oro, grandet usa tutte le sue risorse per piegarla, ma lei, resa astuta e forte dal suo amore per Charles, non cede, fino a quando il padre intuisce la verità a arriva persino a maledirla:". Grandet impallidì, pestò i piedi, bestemmiò; poi, trovando finalmente le parole, gridò: "Maledetto serpente di una figlia! Ah! Erba cattiva, tu sai che ti amo e ne approfitti. Costei scanna il proprio padre! Perdio! Tu hai gettato la nostra fortuna ai piedi di quello squattrinato  che se ne va in giro con gli stivali da marocchino. Per la roncola di mio padre! Non posso diseredarti, corpo di un barile! Ma maledico, te, tuo cugino, e i tuoi figli" (cap.V).

Successivamente la farà chiudere nella sua camera a pane e acqua.

il suo comportamento con la moglie malata che accusa di essere complice della figlia e nei confronti della sofferenza della quale mostra una sostanziale indifferenza: a M.me Des Grassins che si dice preoccupata per la salute della donna e gli raccomanda di chiamare un medico, dice:"Si vedrà" rispose il vignaiolo con il tono distratto" (cap.V). quando la moglie gli rivolge preghiere perché liberi la figlia lui risponde: "Sei un po' pallidina oggi, povera moglie mia". L'oblio totale della figlia sembrava stampato su quella fronte terrea, su quelle labbra strette. Non si commuoveva neanche per le lacrime che le sue risposte vaghe facevano calare sul viso sbiancato della moglie" (cap.V).

alla fine si deciderà a cedere, ma solamente perché il notaio Cruchot lo mette al corrente che, morta la madre, Eugenia avrebbe ereditato i suoi beni e avrebbe potuto decidere di sottrarli al padre che non poteva per legge ereditare dalla moglie. A seguito di questa notizia, che è per Grandet "un fulmine a ciel sereno", egli diventa il più gentile e irremovibile degli uomini, perdona Eugénie e si decide a chiamare il medico per far curare la moglie.


Il carattere di Papà Grandet rimane identico dall'inizio alla fine del romanzo, infatti anche negli momenti della sua vita la passione per il denaro e la malia dell'oro soprattutto diventano l'unica cosa che ancora lo tengono in vita nonostante la paralisi.

"Quando riusciva da aprire gli occhi, l'unica parte viva di lui, li voltava subito verso la porta dello studio dov'erano i suoi tesori e diceva alla figli:"Ci sono? Ci sono?" e nel tono della voce si avvertiva una specie di timor panico". Egli non si stanca di raccontare alla figlia di avere cura di tutto e le dice:" Me ne renderai conto laggiù".

L'immagine però forse più agghiacciante e più rivelatrice è questa:" quando il prete gli avvicinò alle labbra il crocifisso dorato per fargli baciare l'immagine di Cristo, egli fece un gesto spaventato per afferrarlo e quest'ultimo sforzo gli costò la vita" (cap.V).

Suona particolarmente significativo a questo punto ciò che Balzac dice nel capitolo terzo: "Gli avari non credono a una vita futura, il presente è tutto loro. Questa riflessione getta una luce orribile sull'epoca attuale, nella quale, più che in qualsiasi altro tempo, il denaro domina le leggi, la politica e i costumi".




Se papà Grandet è il ritratto dell'avarizia, Eugénie è il ritratto di un'altra passione, l'amore, di per sé una passione positiva e sublime, che però può assumere connotati distributivi nel momento in cui diventa e dominante.

All'inizio del racconto la figura di Eugénie appare un po' sottotono e la sua descrzione viene presentata un modo diluito da parte dell'autore che sembra voler far emergere lentamente il personaggio fino a portarlo a dominare la scena alla fine del testo.

Il principio Eugénie appare come una fanciulla molto ingenua e sprovveduta, quasi del tutto inconsapevole di se stessa e di ciò che le accade intorno. Non sa che il padre è ricco, non sa che si può vivere in un modo diverso da come elle e la madre sono obbligate a vivere della tirchieria paterna, è allo scuro dei maneggi dei crusciottiani e dei grassinisti di appropriarsi della sua eredità attraverso il matrimonio:". quella fanciulla. simile a certi uccelli vittime ignare del loro prezzo elevato, era braccata, incalzata dalle dimostrazioni di amicizia con le quali la abbindolavano" (cap.I).

Appare subito tuttavia come una persona di grande bontà e di sentimenti semplici e sinceri: le prime parole che pronuncia nel romanzo sono "ti sei fatta male?" e le rivolge con interesse  e preoccupazione alla serva di casa che era caduta dalle scale.

È anche una giovane virtuosa e riservata e lo dimostra quando Charles de Bonfons le porge i fiori per il suo compleanno e la bacia ai lati del collo". con un compiacimento che riempì di vergogna Eugenia". Un'altra scena interessante per mettere in luce la sua semplicità è quella in cui apre il regalo, peraltro dozzinale, dei Des Grassinis: ". provò una di quelle gioie insperate e complete che fanno arrossire, trasalire e tremare du felicità le fanciulle".

Eugènie è immersa nel gelo e nella ripetitività della sua povera vita, in cui gli eventi e le giornate si susseguono tutte uguali tutte ugualmente monotone: l'arrivo di C. è il fatto che cambia tutto in pochi istanti. C. è il principe azzurro di cui è inevitabile innamorarsi, come sarebbe accaduto a qualsiasi giovane donna vissuta come lei nel vuoto desolato di una piccola città di provincia.

Il carattere di eugénia si trasforma sotto il peso degli avvenimenti, delle emozioni completamente nuove che cominciano a provare fin dal primissimo istante in cui vede C.: "Di tanto in tanto la giovane ereditiera gettava al cugino degli sguardi furtivi, nel quale la moglie del banchiere, riuscì a scorgere un crescendo di stupore e curiosità". Quella notte stessa le preghiere di Eugènie rimangono a metà perché la ragazza non può fare a meno di pensare a quanto sia bello il cugino, quasi fosse "una creatura scesa da una sfera angelica".

La giovane ignorante, ingenua e sempliciotta acquista ben presto consapevolezza di se stessa, si sente brutta se paragonata a dame che certo il cugino conosceva e frequentava e inizia allora a curare meglio il suo aspetto ("Mattiniera come tutte le ragazze di provincia, si alzò di buon'ora, disse le preghiere, e fece toeletta, un'occupazione che ora cominciava ad avere un senso. Si spazzolò i capelli castani, li avvolse in un grosso chignon sul capo con molta attenzione. e mise sulla sua acconciatura una simmetria che accentuò il timido candore del viso. si lavava più volte le mani con acqua pura e semplice che le induriva e el arrossava la pelle, guardava le sue braccia rotonde e si chiedeva che cosa facesse il cugino ad avere le m,ani di un bianco così tenero"), i suoi vestiti (la mattina del secondo giorno indossa un abito "in ordine, ben fatto, che la rendeva attraente"), ma soprattutto la ragazza comincia a guardare con occhi nuovi tutto quello che la circonda:"Eugénie scoprì così un fascino del tutto nuovo in quelle cose che prima per lei erano così comuni"; persino il piccolo e trascurato giardino della casa ora si colora di nuove inaspettate bellezze.

Eugénie comincia a vedere con occhi diversi anche il padre di cui comincia a scoprire spetti e verità prima sconosciute: immagina infatti che sia ricco e si chiede perché non abbia aiutato il padre di Charles, comincia anche a capire cos'è il denaro e quale uso se ne può fare, soprattutto impara a conoscere veramente il padre con cui inizia ad avere terrore: "Per la prima volta il cuore le si riempì di terrore alla vista di suo padre, lo considerò come l'arbitro del suo destino e si sentì in colpa perché gli taceva una parte dei suoi pensieri".

E. si sente sempre più a disagio nei suoi confronti, soprattutto nella misura in cui gli sembra non capire e non avere compassione per il dolore di Charles.

Da qui nasce il desiderio e le necessità di sfidare più o meno apertamente la volontà del genitore: questo è evidente nell'episodio della ricca colazione, quando riporta in tavola la zucchero oppure osa offrire al padre l'uva che aveva appositamente colto per il cugino oppure quando decide di offrire a Charles il suo oro.

Appena nata all'amore (in effetti Balzac paragona l'innamoramento a una vera e propria nascita) Eugénie viene privata dell'oggetto di quel sentimento così nuovo e potente: Charles parte e lei non ha modo di conoscere a fondo il cugini. Alla fine E. non ama charles, ma l'immagine che si è creata di lui, immagine che ha corrispettivo concreto nel necessaire che egli le ha dato in pegno di un cambio dell'oro.

A questo semplice oggetto è così legata che addirittura minaccerà di uccidersi se il padre glielo porterà via, difendendolo quindi come se esso racchiudesse tutto il senso della sua vita.

Quando Charles parte è come se la vita di Eugénie, dopo la rapida accelerata subita, si cristallizzasse di nuovo: "In ogni circostanza è come se le donne hanno più motivi di dolore di quanti ne abbia l'uomo, e soffrono di più di lui. L'uomo ha la sua forza e l'esercizio del suo potere, agisce, si muove, si occupa, pensa, contempla l'avvenire e si trova delle consolazioni. Così faceva Charles, ma la donna non si muove, rimane faccia a faccia con il dolore dal quale nulla la distrae, scende fino al fondo dell'abisso che l'uomo ha aperto, lo misura e spesso lo colma con i suoi vuoti e le sue lacrime. Questo è ciò che faceva Eugénie" (cap.).

Con l'andare degli anni quella passione intravista solo per un attimo diventa l'unico obbiettivo di sopravvivenza, ma anche la fonte di dolori e malinconie legate alle maledizioni del padre, al rimorso di essere stata in parte motivo della morte della amatissima madre, al fatto di non ricevere alcuna notizia da colui al quale aveva donato la sua intera persona: " Eugènie cominciava a soffrire. Per lei la ricchezza non significava potere e neppure consolazione. Si ritraeva in se stessa, amando e credendosi amata. Dopo sette anni la sua passione aveva invaso tutto" (cap. VI).

Quando poi si rende conto della inutilità della sua devozione e della sua fedeltà, diventa fredda e calcolatrice: quasi con intendo di sfida e forse anche un po' di umiliare Charles paga tutti i creditori e lo libera dall'infamia di essere il figlio di un fallito, dopo di che, quasi per capriccio, ma anche perché astutamente spinta da Padre Cruchot che vuole beneficiare il nipote, si sposa anche se si tratta di un matrimonio che non verrà mai consumato e quindi non conoscerà la benedizione di una discendenza, cosa commentata assai severamente dagli abitanti di Saumur.

Ella sa anche che il marito non la ama veramente e vuole solo i suoi soldi: "Eugénie sapeva che il presidente desiderava la sua morte per ritrovarsi padrone di quella immensa fortuna. La povera reclusa aveva pietà del presidente. La Provvidenza la vendicò dei calcoli e dell'infama indifferenza di uno sposso che rispettava, come la più forte delle garanzia, la passione senza speranza di cui si nutriva Eugénie. Dare la vita a un figlio non sarebbe stato come distruggere le speranze dell'egoismo, le gioie dell'ambizione vagheggiate dal presidente? Mme De Bonfons rimase vedova a trentatrè anni, con una rendita di ottocentomila lire, e ancora bella. Ella ha la nobiltà del dolore, la santità di una persona che non si è macchiata l'anima a contatto con il mondo, ma anche la rigidità della vecchia zitella e le abitudini meschine che derivano dalla limitata vita di provincia" (cap. VI).

Anche Balzac dipinge con affetto il ritratto di Eugénie, non si può dire che egli si senta in sintonia con il suo personaggio, così diverso, eppure così simile al padre nel concepire la vita come perseguimento univoco di qualcosa che diventa una fissazione, alla fine una fallace illusione.

Una donna come Eugénie "non appartiene al mondo pur standoci in mezzo. fatta per essere una sposa e madre magnifica, non ha né marito né  figli, né una famiglia", dunque il suo consacrarsi a ideali e valori certamente più virtuosi e validi di quelli che avevano consumato suo padre, non serve a darle la felicità, anzi la condanna alla tragedia di una vita che non è vita, anzi sembra più morte vivente fatta di solitudine e silenzio, tanto più triste e vuota quanto più la giovane donna aveva vissuto con intensità la stagione felice dell'illusione d'amore. Forse proprio questo destino che condanna Eugènie dimostra più di ogni altro fatto che, per Balzac, non c'è più alcun posto nel mondo moderno per i sentimenti veri e profondi come l'amore disinteressato, la fedeltà, la generosità e la purezza d'animo.





Accanto e intorno ai protagonisti si muovono numerosi personaggi secondari, in particolare risultano importanti per procedere delle vicende delle manovre messe in atto dai due partiti dei cruchottiani e dei grassinisti che fanno capo appunto ai tre Cruchot (il notaio, suo nipote e lo zio prete) da una parte e ai tre Des Grassins (madre, padre e l'insulso figlio Adolphe) dall'altra.

Sono loro gli unici ammessi in casa Grandet e durante tutto il corso del romanzo assistiamo ai loro tentativi più o meno riusciti di entrare nelle grazie di Papà Grandet per avere la possibilità di mettere le mani sulla sua fortuna.

Proprio l'avidità e la logica spietata dell'interesse sono gli unici sentimenti che li spingono ad agire: interessati sono a questo proposito le scene iniziali che vengono presentate da Balzac con un tono misto di ironia e commiserazione che fa apparire i protagonisti ora come gli attori di una subdola commedia ("Gli attori di questa commedia interessante, seppure in apparenza volgare, minuti di cartelle colorate, numerate e di gettoni di vetro blu, sembravano ascoltare le piacevolezze del vecchio notaio. ma tutti pensavano ai milioni di M. Grandet"), ora come soldati impegnati in una dura battaglia ("Così i sei antagonisti si preparavano, con tutte le armi al loro disposizione, a incontrarsi nella sala e a gareggiare in dimostrazione di amicizia").

Grandet è però perfettamente consapevole di ciò, anzi alla fine in realtà è lui quello che riesce a spremere di più da ciascuno di loro:"Sono isposizione, a incontrarsi nella sala a

qui per i miei scudi! Vengono ad annoiarsi per mia figli. Eh! Mia figlia non toccherà né gli uni, né gli altri, tutti costoro mi servono solo come ami per pescare").

I personaggi in questione sono rappresentati più come macchiette che come caratteri veri e propri, ciascuno dotato però di qualche tratto particolare che li distingue: accanto al giovane Adolphe che appare il più insipido e sciocco, troviamo l'ambizioso e scaltro M. de Bonfons che alla fine diventerà il marito di Eugénie, senza trarne tuttavia il frutto che sperava. Padre Cruchot, dal canto suo, incarna il sacerdote molto ben addentro alle cose del mondo e a volte le sue osservazioni maliziose coinvolgono direttamente la sua diretta rivale, Mme. De grassins, ancora bella civettuola quanto basta per architettare addirittura la possibilità di sedurre il giovane Chermes per distogliere la sua attenzione da Eugénie. Manovra solo accennata, ma subito rilevata e rinfacciata dal prete zelante. Per raggiungere i suoi scopi, la vivace signora non si premura certo di nascondere le sue idee sui Grandet dice di Charles:. Vostro zio è un avaraccio che pensa solo alle vigne; vostra zia è una pia donna che non sa mettere insieme due idee, e vostra cugina è un'ochetta senza educazione, ordinaria, senza doti, e che passa la vita a rammendare stracci".

A proposito della gara tra Padre Cruchot e la Des Grassins la gente di saumur diceva: ". tra una donna e un prete la partita era ad armi pari. "Sono sottana a sottana". Il suo capolavoro però è il modo in cui convince Eugénie a non entrare in convento e a scegliere piuttosto il matrimonio: ". figlia mia. il matrimonio è a vita, il velo è morte. voi avete degli obblighi verso la società. non siete forse la madre dei poveri. la vostra grande pochezza è un prestito che bisogna restituire. seppellirvi il convento sarebbe egoismo; e non dovete nemmeno restare nubile. sareste capace di amministrare da sola la vostra immensa fortuna? Forse la perdereste. Credete al vostro pastore: uno sposo vi sarà utile, voi dovete conservare ciò che Dio vi ha dato".

Il resto della compagnia annovera M. Des Grassins, il banchiere, che asseconda le manovre della moglie facendo a M. Grandet numerosi favori ". trovandosi sempre al momento opportuno sul campo di battaglia" lui che, tra l'altro, era proprio un ex militare ferito ad Austerlitz, ma ora impegnato in ben altre battaglie. Sarà lui a recarsi a Parigi per sistemare la faccenda dei creditori, ma qui egli verrà risucchiato dalla città e finirà per rovinarsi tra feste, spese folli e donne diventando quello che a Saumur si diceva "un pessimo soggetto".

Per quanto concerne il notaio mostra di essere forse il più astuto e colui che conosce meglio il vecchio Grandet, cosa che dimostra soprattutto verso la fine del racconto quando mette in guardia l'avaro nel non trattare troppo male la figlia che poteva sottrargli l'eredità della madre oppure quando Charles lascia Saumur ringraziando lo zio che gli ha promesso che si occuperà di ristabilire l'onore del padre: "Sono il notaio sorrideva ammirato l'astuzia di Grandet, perché lui solo aveva capito il brav'uomo".

In definitiva abbiamo quindi il panorama di una umanità degradata, intenta unicamente a salvaguardare i propri interessi, disposta a usare ogni mezzo, compreso la menzogna, l'inganno, il raggiro, la maldicenza, pur di realizzare i propri scopi, insomma come dice efficacemente Balzac:    ". Un'accolta di persone la cui vita era solo materiale".




A parte la fisionomia di Eugénie di cui abbiamo parlato, ci sono nel romanzo altri personaggi che sfuggono alla logica dell'interesse e dell'avidità e, curiosamente, si tratta di donne le quali, appaiono a Balzac le uniche creature ancora in grado di dare importanza ai sentimenti più sublimi.

Si tratta in particolare della madre di Eugénie e della grande Nanon.

Di Mm. Grandet Balzac ci dà un ritratto che cresce in bellezza e purezza a mano a mano che la vicenda va avanti e che la sofferenza da lei patita la santifica fino a farla diventare quasi martire.

All'inizio ella appare una creatura priva di fascino ed interesse: "era una donna rinsecchita e magra, gialla come una cotogna, goffa, lenta; una di quelle donne che sembrano fatte apposta per essere tiranneggiate".

Si dice che "languiva" nella soggezione maritale, viene paragonata all'insetto che sopporta pazientemente le torture dei bambini, più volte viene chiamata la povera schiava".

Eppure è una donna dolce e piena di sensibilità, capace di cogliere con un solo sguardo i turbamenti della figlia, il suo unico, vero tesoro, ma anche abbastanza astuta da prevedere le furie del marito e disinnescarle per tempo: "Spinta dalla crisi nervosa in cui si trovava a dalla sventura della figlia che ingigantiva il suo affetto e la sua intelligenza, la perspicacia di Mme. Grandet le fece notare un movimento terribile della verruca del marito, nel momento in cui stava per rispondere; ella cambiò idea.".

Con il peggiorare della malattia ella diventa un angelo, la bruttezza svanisce, cancellata dalle qualità morali che fiorivano sul suo volto: "Ella era tutta anima".

Ma più della malattia ciò che la costringe è la pena per la reclusione della figlia: per questo oserà sfidare il marito, richiamandolo con le più accorate preghiere per il suo affetto di padre.

Di fronte alla sua insensibilità arriverà a chiedere aiuto ai Cruchot che si dimostrano molto generosi e convincono poi il vecchio avaro a cedere, ma non certo per affetto, bensì per questioni di interesse economico.

La sua morte viene accompagnata da una specie di apoteosi, in cui Balzac paragona la povera donna a una creatura sublime, ad un agnello senza macchia che lascia felice la terra, turbata solo al pensiero la lasciare su di essa, abbandonata, la figlia: "quella pecorella candida come lei, sola in un mondo egoista che voleva strapparle il vello, i suoi tesori" (cap.V).

Un discorso diverso merita la Grande Nanon la quale viene presentata in tutto e per tutto come fosse un animale, in particolare viene spesso paragonata ad un cane che si affeziona al padrone per la vita e gli dimostra la più totale fedeltà e deferenza: ". difendeva come un cane fedele i beni del padrone"; ". Grandet aveva finito per amarla come si ama un cane e Nanon si era lasciata mettere il collare guarnito di punte di cui non sentiva più le punture"; "Quell'animale (un cane lupo, n.d.r.) di una notevole ferocia, non riconosceva che Nanon. Erano due creature campagnole che si capivano". Eppure questo essere sgraziato, goffo, ignorante, rozzo, dal viso "repellente" dimostra nel corso della vicenda un'umanità sorprendente, una sensibilità che risulta significativa quanto inaspettata.

Senza mai tradire la sua fedeltà al padrone, la sua totale sottomissione, tuttavia sa sviluppare uan personalità autonoma e decisa che si rivela soprattutto nelle schermaglie con il padrone (quasi sempre vinte da lei), nell'impressione che il giovane Charles provoca in lei (". Signore- dice a Grandet per convincerlo a lasciare mettere uno scaletto al nipote- le lenzuola sono umide e questo signore è proprio carino come una donna" e ancora quando Charles le promette di regalarle la sua vestaglia di seta verde a fiori oro: "Nanon rimase impietrita a guardare Charles senza riuscire a credere alle sue parole"), ma soprattutto nella dedizione e nell'affetto che dimostra per Eugénie (cosa che al fanciulla sa riconoscere ed apprezzare: "Non ci sei che tu a volermi bene2 le dirà alla fine), attenzione che dimostra come condiscendenza verso la passione della padroncina, ma anche un istinto quasi primordiale che la porta a difenderla contro la prepotenza paterna (sarà lei per esempio a portare il padrone alla ragionevolezza quando egli tenta di scassinare il neccesaire di Chermes ed eugénie minaccia di uccidersi).

È significativo anche il fatto che Nanon, alla fine, sarà forse l'unico personaggio a realizzarsi compiutamente, infatti non solo diventa ricca grazie alle economie di una vita e alle donazioni di Eugénie, ma arriva persino a sposarsi, piena di salute e invidiata da molti a Saumur.

Come già accennato, nel romanzo sono soprattutto le donne ad essere portatrici di sentimenti puri e sublimi e, cosa ancora più interessante, è che non si tratta di donne bellissime, anzi le donne più belle del racconto sono rappresentate come fatue o superficiali o grette e materiali (pensare a Mme Grassins oppure ad Annette, l'amante parigina di Charles).

Durante tutto il corso del romanzo Balzac si spreca nel dare della donna un'immagine sublimata e moltissimi sono i riferimenti al fatto che solo la donna sa capire veramente il dolore, sa condividere le sofferenze, sa consolare e dare un senso alla delusione e alla perdita, sa ospitare in sé solo i sentimenti più umani e amabili: "Il cuore le si strinse come quando la compassione, suscitata dalla sventura dell'uomo amato, invade tutto il corpo di una donna"; "Andiamo subito a consolarlo, mamma.. Mme Grandet si sentì disarmata di fronte alla voce armoniosa della figlia. Eugénie era sublime, era donna"; "Eugénie ebbe la felicità di potersi occupare. del suo beneamato cugino, profondere su di lui. i tesori della sua pietà, una delle sublimi superiorità della donna, la sola che ella voglia far sentire"; "La donna ha questo in comune con gli angeli, che i sofferenti le appartengono" e via di questo passo.

Anche se l'immagine della donna che ne deriva appare sicuramente positiva, tuttavia l'eccessiva insistenza su certuni aspetti non possono non far pensare ad un atteggiamento comunque maschilista e convenzionale dell'autore nei confronti soprattutto del ruolo sociale dell'altra metà del cielo: insomma, alla fine, egli ritiene che la donna, pur sapendo dare un tocco di umanità e di dolcezza alle miserie umane, deve comunque rassegnarsi, stando al suo posto a soffrire e sopportare la superiorità dell'uomo, l'unico in realtà che risulta essere il vero motore degli avvenimenti.




8. dopo aver analizzato il comportamento dei vari personaggi, individua quali sono gli aspetti più significativi del panorama storico-sociale contemporaneo (cfr. risposta n. 4) sui quali l'autore ha concentrato la sua attenzione, viene concesso ampio spazio ai grandi avvenimenti e personaggi della storia?


Proseguendo su una strada già imboccata da Stendhal, ma con maggiore consapevolezza e lucidità










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