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Niccolò Ugo Foscolo - ' il pensiero sta per divenire azione'

letteratura



Niccolò Ugo Foscolo


nasce a Zante ( Zacinto ), isola greca dello Ionio, il 6 febbraio del 1778, suo padre Andrea è medico di bordo della marina veneziana; sua madre Diamantina Spathis è una greca di 31 anni, 7 più del marito. E' il primo di quattro fratelli, dopo di lui nasceranno Rubina e Giovanni Dionigi. Giulio, l'ultimo verrà alla luce nel 1787, quando tutta la famiglia si è già trasferita a Spalato; lì Ugo frequenta il Seminario, dove attende agli studi con poco profitto e viene espulso, per aver picchiato due maestri; lo confesserà al Monti, con rimorso, non per l'atto compiuto quanto per aver perso le proficue lezioni di latino.

Sono comunque quelli gli anni più tranquilli fino al 1788, quando muore il padre. La madre parte quasi subito per Venezia, mentre i figli sono affidati alle cure della nonna materna e delle zie di Corfù; Ugo va a stare con una zia di Zacinto. Lì trascorre alcuni anni nel paesaggio selvatico e ridente dell'isola, libero di correre e vagare, saziando il suo animo curioso e irrequieto; compirà le prime galoppate e imparerà a nuotare in quell'infinito mare azzurro. E' di quel periodo un episodio "scandaloso" riportato da Spiridione De Biasi, raccoglitore di memorie locali, secondo il quale Ugo cercò di forzare le porte del ghetto ebraico della città, perché non poteva ammettere che venissero usate certe discriminazioni. L'età del colpevole e l'intercessione della zia fecero in modo che il gesto non avesse conseguenze, ma l'accaduto serve a spiegare l'intima natura del poeta, che prepotentemente andava manifestandosi.

Il 1792 è l'anno dell'arrivo a Venezia ed anche quella città esplorerà con interesse e ammirazione. Frequenta la scuola laica di San Cipriano a Murano, dove ha come primo maestro Angelo Dalmistro, il quale gli trae dall'animo l'amore, già latente, per la poesia. I primi anni a Venezia sono di dura povertà ma di studio intenso: non ancora diciottenne conosce i classici greci, latini e italiani ed i filosofi del settecento, poiché, insieme con la v 959f54j ena letteraria, è comparso un profondo interesse sul mistero della vita e del destino dell'uomo, dopo il tramonto definitivo della fede cristiana. Elabora un Piano di studi in cui determina un sistematico programma di letture. E compone le prime poesie, nelle quali si intravedono i suoi modelli, Parini, Alfieri e Monti. Frequenta, anche se saltuariamente le lezioni di Melchiorre Cesarotti, grande patriota e traduttore di Omero e di Ossian.



Raccoglie i primi successi e come uomo e come poeta, s'aggira per le vie e i caffè, con un logoro soprabito verde, come un bohemien ed è ammirato dalle donne. Una di queste, Isabella Teotochi Albrizzi, colta e affascinante, che lo accoglie nel suo salotto letterario, suscita in lui una grande passione, la prima di una lunga serie di amori, spesso infelici. Nel frattempo aderisce alle idee rivoluzionarie e giacobine, con il risultato di rendersi sospetto al governo oligarchico di Venezia e di essere costretto a rifugiarsi sui Colli Euganei, dove inizia un romanzo d'amore in lettere , Laura (l'abbozzo del futuro romanzo epistolare "Le ultime lettere di Jacopo Ortis"), e termina la prima tragedia, il Tieste, di stampo alfieriano. L'opera è rappresentata con enorme successo il 4 gennaio del 1797, nel teatro di Sant'Angiolo e replicata per trenta sere consecutive. Il pubblico, che apprezza la tragedia, è composto da giovani, democratici e patrioti.

Il suo temperamento impetuoso non permette a lungo una vita dedita soltanto alla scrittura e alla contemplazione filosofica, è tempo che quello spirito ruggente esploda in qualche modo.


" il pensiero sta per divenire azione".


Preso, oltre che dalla poesia, anche dai capovolgimenti storici, abbandona Venezia, riparando a Bologna, nella Repubblica Cispadana, lì scrive l'ode "A Bonaparte liberatore", in cui esorta il francese a liberare l'Italia e si arruola come tenente tra i Cacciatori a cavallo. Ma pochi mesi durano le sue speranze: quando torna a Venezia, chiamato come segretario del Comitato del governo democratico, apprende del vergognoso trattato di Campoformio (17 ottobre 1797), con il quale il Bonaparte cede Venezia agli Austriaci, e fugge a Milano. Lì conosce Parini , stringe maggiori legami con Vincenzo Monti, della cui moglie, Teresa Pickler, si innamora vanamente; diviene infine redattore del "Monitore italiano ", soppresso molto presto per la spregiudicatezza con cui si giudica l'operato dei Francesi. Di nuovo a Bologna incomincia a scrivere "Le ultime lettere di Jacopo Ortis", interrotto per andare a combattere contro gli austro-russi, nell'esercito francese guidato dal Massena, in Emilia e in Romagna (1799); ferito a Cento, partecipa successivamente alla difesa di Genova.

Nella città ligure ristampa l'ode a Bonaparte, accompagnata da una sdegnosa lettera, che ammonisce il primo console a non farsi attirare dalla tirannide e a cancellare l'onta di Campoformio. Le imprese militari e le vicende amorose, da quel momento, saranno un susseguirsi ininterrotto, senza che lui tralasci la penna e da infaticabile scrittore qual è, compone l'ode " A Luigia Pallavicini caduta da cavallo"(1800), dedicata ad una nobildonna amica, rimasta sfigurata in seguito ad un incidente. Tra un'impresa militare e l'altra, a Firenze conosce Isabella Roncioni , che ama inutilmente, perché promessa ad un altro e dopo pochi mesi a Milano, dove è ritornato, dopo la vittoria francese di Marengo, intreccia una nuova relazione con Antonietta Fagnani Arese, per la quale scrive l'ode "All'amica risanata".

Nel 1802, compone per incarico del governo, l'Orazione a Bonaparte, per i comizi di Lione, dove il primo console aveva convocato i delegati d'Italia, volendo trasformare la Repubblica cisalpina in italiana. Pubblica le Ultime lettere di Jacopo Ortis e nel 1803 le Odi e i celebri dodici sonetti. E' di quest'epoca il Commento alla Chioma di Berenice, poema di Callimaco, tradotto in latino da Catullo.

Dal 1804 al 1806 emigra nella Francia del Nord, presso la divisione del generale Pino, per lo sbarco in Inghilterra, progettato dal Bonaparte e mai realizzato. Conosce l'inglese Fanny Emerytt e da quella relazione nasce una figlia di nome Floriana, della cui esistenza sarà ignaro fino al suo trasferimento in Inghilterra. Ritorna a Milano e nel 1807 pubblica il carme Dei Sepolcri, scritto dopo aver appreso la notizia dell'editto di Saint Cloud, emanato dal governo francese ( giugno del 1804), il quale comandava che i cadaveri dovessero essere seppelliti fuori della città, in pubblici cimiteri, senza distinzioni di classe. Un anno dopo sarà professore di eloquenza all'università di Pavia, ma la cattedra sarà soppressa da Napoleone, ormai sospettoso di ogni forma di libero pensiero. Da quella cattedra il Foscolo ha il torto di non proferire parole leziose nei confronti dell'imperatore e di richiamare gli Italiani, incitandoli alla rinascita e alla libertà. Nel contempo viene attaccato con satire ed epigrammi da maligni avversari e dal Monti, con cui rompe ogni rapporto. Risponde alle accuse, non rendendosi conto di prodigare troppi onori a coloro che non lo meritano, ma è consapevole della sua indole dignitosa fino all'estremo e rivolge al Monti queste memorabili e schiette parole: "Discenderemo entrambi nel sepolcro, voi più lodato certamente, io forse più compianto; il vostro epitaffio sarà un elogio; sul mio si leggerà che, nato e cresciuto fra tristi passioni, ho serbato la mia penna vergine di menzogne."

Il 1811 vede nascere un'altra sua tragedia, l'Aiace, nella quale si intravedono allusioni antinapoleoniche, è di nuovo ramingo da Milano a Venezia, da Bologna a Firenze. Nuovi amori, nuove passioni: con la milanese Maddalena Bignami, con la contessa Cornelia Martinetti e a Firenze con Quirina Mocenni Magiotti. Nella villa di Bellosguardo, dove si è rifugiato, per trovare un po' di pace, si dedica alla composizione dell'ultimo capolavoro, le Grazie e nel 1813 termina la terza tragedia, la Ricciarda, che ottiene maggiore successo della seconda.

All'annuncio della sconfitta napoleonica a Lipsia (1813), corre di nuovo in battaglia per la difesa dell'Italia. Porta, nel frattempo a compimento, la traduzione del Viaggio sentimentale dell'inglese Lorenzo Sterne e la Notizia intorno a Didimo Chierico, satira contro i letterati suoi avversari, in cui traccia un nuovo e più disincantato ritratto ideale di sé. Nel 1814 Napoleone abdica e la Lombardia è annessa all'Austria.
L'esilio




Viene invitato dal governo austriaco a collaborare alle iniziative culturali del regime, in un primo momento è incerto se accettare o meno, però alla vigilia del giorno in cui deve prestare giuramento di fedeltà agli invasori, non ha più esitazioni e lascia definitivamente l'Italia per andare in volontario esilio, prima in Svizzera e poi in Inghilterra. Si congeda dalla famiglia con una bellissima lettera, in cui scrive, tra l'altro:" L'onore mio e la mia coscienza mi vietano di dare un giuramento che il presente governo domanda per obbligarmi a servire nella milizia, dalla quale le mie occupazioni e l'età mia e i miei interessi mi hanno tolta ogni vocazione. Inoltre tradirei la nobiltà, incontaminata fino ad ora, del mio carattere col giurare cose che non potrei attenere, e con vendermi a qualunque governo. Se dunque, mia cara madre, io mi esilio, tu non puoi né devi né vorrai querelartene, perché tu stessa mi hai ispirati e radicati col latte questi generosi sentimenti; e mi hai più volte raccomandato di sostenerli". E' l'atto conclusivo della vita di un uomo, che non piegò mai la testa di fronte al tiranno e che preferì una terra straniera, per non barattare la sua libertà con le lusinghe e le ricompense dei nemici.

In Svizzera dimora fino al 1816, incalzato dalle ristrettezze finanziarie e dalle persecuzioni della polizia austriaca, unico sollievo sono le lettere di Quirina Mocenni, che lo conforta col proprio affetto e lo aiuta economicamente. Decide comunque di approdare in Inghilterra e, prima di andarsene, riconoscente, scrive una commovente lettera alla donna, chiedendola in moglie. La risposta di lei ,che lo conosce nel profondo, forse più di qualunque altro, è sincera e nobile :"Tu perderesti il solo bene che ti resta, la libertà e l'indipendenza assoluta; io non potrei offrirti quel che vorrei di cui madre natura mi fu avara, e che l'età mi toglie. Vorrei piuttosto morire che essere cagione del tuo malcontento. Tu puoi trovare una compagna che sia degna di te, nobile, giovane, ricca, avvenente, amabile..io, non avendo nessuna di queste doti, ti sarei a carico come moglie".

A Londra trova migliore accoglienza, per la sua fama di autore dei Sepolcri e per non essersi piegato di fronte a Napoleone, acerrimo nemico dell' Inghilterra. Ciò nonostante la sua personalità singolare e i suoi scatti di ira, creano qualche perplessità nella imperturbabile e composta società inglese. Si raccontano gustosi episodi, accaduti nei migliori salotti, dove Foscolo, oltre a fare sfoggio della sua eloquenza, si abbandonava a gesti impulsivi come, quando, dopo aver perso ad una partita a scacchi, si strappava i capelli e faceva volare dal tavolo tutto quello che vi era sopra; oppure quando, preso dai suoi discorsi enfatici ed appassionati, camminava in lungo e in largo per la stanza, dimenandosi e gesticolando. Non di meno il suo aspetto arruffato, il suo sguardo di fuoco, creavano disagio nei malcapitati spettatori. Lo scrittore Walter Scott, ci dà un convincente ritratto del poeta, descrivendolo con l'ironia tipica degli Anglosassoni, in una pagina del suo diario, datata 24 novembre 1825: "A proposito di forestieri, a Londra albergava, un quattro o cinque anni fa, uno di quegli animali che sono Leoni (inteso, il termine, come celebrità letteraria)dapprima, ma che in un paio di stagioni diventano con regolare metamorfosi cinghiali (seccatori), un certo Ugo Foscolo, immancabile nella bottega dell'editore Murray e nei ritrovi letterari. Brutto come un babbuino e insopportabile presuntuoso schiamazzava, infuriava e disputava senza aver nemmeno un'idea dei principi secondo i quali gli uomini di giudizio ragionavano, e strepitava tutto il tempo come un maiale quando gli tagliano la gola". Ma il suo genio superava di gran lunga il suo carattere irascibile e, se alcuni lo abbandonarono per il suo caratteraccio, altri continuarono ad apprezzarlo per l'ingegno, che oscurava fortunatamente la sua indole bizzosa. La vita lussuosa della città, gli fa spendere più denaro di quanto possa permettersi, perciò è costretto a lavorare alacremente, per pagare i debiti.

Finalmente incontra la figlia Floriana, dalla quale ha tremila sterline, avute in eredità dal nonno, Foscolo le spende per la costruzione di una magnifica villa, che chiama Digamma - Cottage e fa arredare con gusto raffinato. Il sogno dura fino al 1823, poiché il numero dei creditori si fa pressante ed è costretto lasciare la villa per andare ad abitare in un modesto appartamento. Scrive incessantemente soprattutto opere critiche come il Discorso sul testo della Divina Commedia e il Discorso storico sul testo del Decamerone. Ridotto agli estremi, vende i suoi libri e dà lezioni private.

Rifiuta sdegnosamente l'aiuto sincero di alcuni amici e preferisce vagare sotto falso nome di quartiere in quartiere, per sfuggire ai creditori e all'arresto. La sua forte fibra e il suo morale cominciano a cedere e pensa di tornare a morire nella sua terra, ma il destino sta per compiersi, quello che lui ha temuto e profetizzato nei suoi scritti, sta per accadere. Trattenuto da varie incombenze, non riuscirà a partire e si ritira in un villaggio poco distante da Londra, Turnham Green, assieme alla figlia, che, devota e affettuosa, non lo abbandonerà mai fino alla morte.

Gli stenti, le delusioni, la nostalgia hanno ragione di lui, ammalato di idropisia, si spegne il 10 settembre 1827, alle ore 8 e tre quarti di sera. Viene seppellito nel cimitero di Chiswick. Davanti a quella tomba si inginocchieranno altri due "grandi", Mazzini e Garibaldi. Essi, come tanti eroi del Risorgimento, lo riterranno un esempio e un maestro di grandi virtù, capace di accendere gli animi per la rinascita della propria terra.

Le sue spoglie dovranno attendere molti anni per poter riposare in patria: nel 1871,quando l'unificazione italiana è finalmente del tutto compiuta, vengono trasportate a Firenze e tumulate in Santa Croce, dove riposano accanto agli illustri, che egli ha celebrato nei Sepolcri.









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