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Marco Valerio Marziale

latino



Marco Valerio Marziale


Nacque nel sud della Spagna nel 40 d.C, venne a Roma a 24 anni per cercare fortuna poichè aveva una buona formazione culturale ma non un patrimonio consistente, quindi non riuscendo nemmeno ad entrare in contatto con le famiglie più influenti non trovò nessun protettore e dovette adattarsi a svolgere la professione del cliens,cliente, soprattutto trovandosi a Roma senza mezzi sotto l'impero di Vespasiano, poi di Tito e Domiziano,imperatori che inaugurarono un potere assolutistico e dispotico; Marziale dovette adattarsi a svolgere anche il compito di poeta di corte soprattutto per salvarsi la pelle perché l'impero dei Flavi fu caratterizzato da una durissima repressione culturale e raccolse nelle loro mani tutto il potere, in particolare Domiziano fu un vero despota e instaurò un governo assoluto ripristinando anche la venerazione (prostratio). Sotto questi imperatori l'opposizione fu debolissima, rimasero solo alcune scuole di stoici, però non manifestavano apertamente le loro idee; vi furono molte condanne all'esilio e a morte, ma gli intellettuali fecero la scelta di tacere, come avevano fatto Tacito e Giovenale.

La prima opera di Marziale fu Liber spectaculorum formata da 12 libri di epigrammi sugli spettacoli organizzati da Tito per l'inaugurazione dell'anfiteatro Flavio, il Colosseo, nell'80 d.C e i 333c24d n cambio di questa opera ottenne alcuni compensi e lo ius trium liberorum, anche se Marziale non era sposato e non aveva figli. Nei confronti dell'imperatore Marziale si comportò da cortigiano; in quest'opera celebra assieme al Colosseo anche tutti i monumenti dell'antichità, come le piramidi, i palazzi di Babilonia, ma nessuno di essi poteva competere con il Colosseo, che era stato costruito in legno, con forma semicircolare cavea del teatro greco, poi venne raddoppiato per accogliere un pubblico più numeroso e venne chiamato Colosseo perché all'entrata c'era il colosso in bronzo di Nerone. Questo ci testimonia quanto fosse importante per la politica imperiale l'aspetto ludico per intrattenere il pubblico; l'inaugurazione del Colosseo durò 100 giorni, vennero uccise qualche migliaia di belve al giorno. Successivamente Marziale compose altri epigrammi per un totale di 12 libri e 1200 epigrammi tra i quali sono comprese delle raccolte tematiche intitolate "Xenia" e "Apophoreta" che significano rispettivamente doni per gli ospiti e piccoli componimenti attaccati a regali durante i banchetti e venivano entrambi usati durante le feste, soprattutto durante i Saturnali, dal 17 dicembre per circa 6 giorni. Marziale sceglie come genere in assoluto l'epigramma, perché è un genere di antichissima tradizione che Marziale ritiene adatto e consono al suo temperamento in quanto consente di riflettere la realtà della vita quotidiana e allo stesso tempo sulla condizione umana e sui vizi e le mancanze.




La poetica

Nonostante l'apparente affinità con la poesia di facili consumi (poesia d'occasione), la produzione di Marziale rivela che il poeta possiede una grande consapevolezza critica, infatti in più punti delle sue opere troviamo chiarimenti della sua concezione poetica; Marziale sceglie come genere l'epigramma, genere molto antico ma poco regolamentato perché era considerato un genere minore; Marziale invece sostiene la necessità di produrre una poesia profondamente radicata nella quotidianità e imperniata sull'essere umano. Rifiuta di fare ricorso alla mitologia, che era già presente in altri suoi contemporanei come Giovenale e Persio, i quali avevano criticato la vacuità della letteratura mitologica. Marziale sceglie il realismo e di trattare dei comportamenti umani, come dirà nell'ottavo libro dove fa dire alla musa questa frase "At tu romano lepidos sale intinge libellos / agnoscat mores vita legatque suos" (Ma tu, o poeta, intingi i tuoi spiritosi libretti nel sale romano, arguzia- che la vita vi legga e vi riconosca i suoi costumi). Marziale intende trattare i costumi dei suoi contemporanei con l'arguzia, il tradizionale spirito romano, senza ricorrere alla satira, senza moralismo. Rispetto alla satira del suo tempo, come quella di Persio, che aveva messo in satira i costumi del suo tempo, in Marziale c'è una differenza; anziché la questione moralista, Marziale si prefigge lo scopo di procurare al lettore un piacevole intrattenimento. Egli stesso ammette di ricorrere con disinvoltura ai contenuti licenziosi e volgari, e si giustifica come nel famoso verso "Licenziosa è la mia pagina, onesta è la mia vita" in cui si intende che lo scopo delle poesia è divertimento e la poesia è un lusus o iocus e che non vuole colpire nessuno; nei suoi epigrammi, anche i più volgari, Marziale esclude gli attacchi personali e i nomi, perché Domiziano aveva emesso un editto contro gli scritti diffamatori verso precisi personaggi; Marziale dirige i suoi scritti non contro i colpevoli bensì contro la culpa, anche per questo motivo sceglie un linguaggio semplice, schietto, scrive poesie accessibili a un vasto pubblico. A proposito del realismo di Marziale, molti critici hanno discusso sul fatto che non si tratta di un quadro completo della sua società perché Marziale resta in superficie e sceglie di descrivere gli sfaccendati delle metropoli, quelli che avevano tempo per andare alle terme e al circo e indugia sui contenuti osceni anche deridendo personaggi di infimo livello, le prostitute, gli invertiti e impotenti oppure sui vizi e difetti dei poveracci, le donne vecchi, oppure è molto crudele e impietoso nei confronti dei difetti fisici, deride la vecchiaia, la miseria, i guerci e critica le donne infedeli e gli uomini cornuti, i medici che fanno morire i pazienti e i tic. In molti casi questi epigrammi riflettono la vita del poeta, costretto a vivere da cliens e abituato ad aspettare gli avanzi dei banchetti quindi conosceva la povertà e gli manca l'indignazione tipica di Giovenale. Il fatto che si limiti a descrivere questa realtà è giustificata dalla mancanza di tutte le libertà sotto Domiziano.


Opere: LIBER DE SPECTACULIS

Comprende 30 carmi dedicati ai giochi dell'80 d.C organizzati da Tito in occasione dell'inaugurazione del Colosseo; si tratta di una tipica poesia d'occasione, nella quale Marziale coglie la vita di Roma solo in un particolare aspetto, quello del divertimento. C'è anche il motivo adulatorio, esplicitamente diretto all'imperatore, e l'intento di descrivere gli aspetti strani della vita e di queste feste. Marziale nei confronti dell'imperatore ebbe un atteggiamento da cortigiano e in cambio ottenne il titolo di tribuno militum che gli permise di iscriversi all'albo dei cavalieri. Da Domiziano ottenne un compenso che spettava ai padri di tre figli ( IUS TRIUM LIBERORUM).

Dopo la morte di Domiziano il clima politico cambiò e sotto Traiano Marziale fu emarginato e per questo forse si decise a tornare in patria, in Spagna, grazie al prestito di denaro di Plinio il Giovane. Il liber de spectaculis descrive moti monumenti di Roma. Le altre opere, Xena e Apophoreta sono poesie d'occasione durante i Saturnali; gli Xena sono invece 127 epigrammi di un solo distico, fatta eccezione per i 3 epigrammi che fanno da proemio, i quali sono brevi descrizioni di cibi e bevande, leggere e divertenti. Gli Apophoreta sono di argomento più vario, molto corti, accompagnavano i regali che venivano estratti a sorte, 223, e descrivono doni come oggetti di d'uso (coppe, libri, vestiti), piccole cose preziose o schiavi e animali, i quali ci restituiscono un inventario degli oggetti della vita quotidiana. Gli Xena e gli Apophoreta occupano rispettivamente il 13° e il 14° libro dell'Epigrammata mentre gli altri epigrammi sono di argomento vario e seguono diversi filoni: descrittivi, celebrativi, dedicati alla figura di un atleta, artista, potenti, rievocativi di fatti recenti; ci sono epigrammi di carattere riflessivo in cui Marziale riflette sulla sua filosofia di vita, che rispecchia quella del giusto mezzo (METRIOTES - come diceva Orazio), che Marziale ricerca altrimenti dovrebbe scegliere la miseria. Ci sono epigrammi in cui Marziale rimpiange la sua terra "Vibilis", la vita della campagna comparata a Roma (topos letterario città-campagna); epigrammi con toni funerari, molto struggenti, commoventi ed erotici, che prendono spunto dalla poesia greca ellenistica, detta anche priapea, arrivata a Roma grazie a Catullo e Tibullo.




Stile

Marziale si esprime in modo schietto e ricorrendo a espressioni volgari secondo la tradizione che assegnava all'epigramma grande libertà; troviamo ambiguità, giochi di parole, doppi sensi; Marziale usa una grande varietà di metri per rendere vivaci i suoi epigrammi perché si pensa dovessero essere recitati nelle sale di declamazione. La caratteristica degli epigrammi di Marziale è la concisione e la pregnanza, che prende dai modelli come Catullo e i neoteroi e li rinnova, ad esempio prende l'usanza di concentrare l'elemento comico nella parte finale concludendo con una battuta inaspettata; in Marziale questa battuta diventa uno strumento privilegiato perché in esse si concentra tutto il senso del componimento. Si tratta di battute incisive, paradossali, iperboliche, con l'effetto a sorpresa (Aprosdoketon o fulmen in clausola).





Giovenale


Si chiamava Decimo Giovenale, della sua vita abbiamo poche notizie attendibili, ma probabilmente nacque ad Aquino, in Campania, fra il 50 e il 60 d.C, nel cuore della provincia italica; era di origini modeste e quando giunse a Roma dovette subito cercare appoggi e protezioni e condusse la vita dei clientes, che facevano da anticamera nella casa dei ricchi. Fece anche il retore e il declamatore e forse anche il maestro, ma non riuscì a migliorare di molto le proprie condizioni. Da questo deriva il suo stato d'animo perennemente amareggiato e a volte astioso. La satira fu il genere che so adattò meglio ad esprimere il suo stato d'animo.


La satira in età imperiale

La satira latina ha un'antica tradizione, che comincia con Lucilio, il quale trattava i problemi morali e culturali, ma non fu mai in opposizione al potere anche se il suo fu un genere molto libero e non legato a regole fisse; la satira di Orazio, più avanti, fu una sorta di conversazione ironica di contenuto vario con pochissime allusioni alla politica; in seguito arrivò a Roma il modello della satira menippea da Menippo di Gadara , uno stile misto di prosa e poesia adottato da Petronio nel Satyricon e da Seneca con la satira sull'imperatore Claudio e questi furono generi realistici sotto alcuni aspetti parodistici e caricaturali ma non vi è alcuna denuncia sociale. Successivamente nel periodo degli imperatori della dinastia Giulio-Claudia e dei Flavi, si verificò la rinascita della satira intesa come genere realistico spesso sarcastico e che si rivolge però alla critica dei costumi e dei vizi della società romana spesso sfociando nel surreale, ma anche con questi autori non vi sarà nessuna reale proposta di riforma sociale. Le opere di questo genere sono molto interessanti in quanto sono l'unico genere letterario che nella letteratura latina prende come soggetto i ceti medio-bassi quindi ci fornisce delle informazioni sul livello della vita delle classi subalterne di cui non si era occupato nessun autore ad eccezione di Plauto e nel I sec d.C l'unico ad occuparsi di problemi della gente comune sarà Fedro con la favola. La satira di Giovenale è rivolta contro le situazioni sociali e i fenomeni dei costumi romani, egli scrisse 16 satire divise in 5 libri e passa in rassegna la vita nella capitale descrivendola come un ambiente caotico, dove non c'è nessun rispetto per la morale e dove i clientes e i liberti subivano continuamente umiliazioni così come gli intellettuali, che si trovano in una posizione inferiore anche ai liberti e soprattutto a quelli che lui considera gli arrivisti, arricchiti con imbrogli e traffici illeciti. In particolare Giovenale si scaglia contro i "divi" dei giochi sportivi, quelli dello spettacolo e le donne che si arricchivano o prostituendosi o dedicandosi anch'esse agli sport, mettendosi in mostra come se fossero uomini. Si può notare che in Giovenale c'è un atteggiamento di rivolta contro le ingiustizie ma anche contro il sovvertimento dell'ordine tradizionale per cui Roma è in mano a questi ricchi, in gran parte stranieri, che egli detesta, come greci o orientali, che ostentano il loro lusso e al contempo sono avari con gli schiavi e i clientes, che spesso fanno violenza anche contro le donne e le ancelle. Giovenale si fa portavoce di questo malcontento abbastanza qualunquista e razzista e il suo atteggiamento è il segno di una profonda crisi sociale, che ormai ha intaccato i costumi dell'impero. (p. 385)



Nelle satire di Giovenale sembra che la società sia spaccata nettamente in due parti, da un lato le umiliazioni subite dai clienti costretti a tollerare l'avarizia dei ricchi e dall'altro la società di ricchi privi di umanità, in cui anche i giudizi morali usano due misure, perché per i poveri i vizi e l'adulterio sono cose turpi mentre per i ricchi sono prove di virilità e dimostrazione di grande spirito perché sotto il manto della ricchezza tutto diventa rispettabile. Temi analoghi a quelli di Giovenale si trovano anche nella letteratura greca del tempo e si troveranno anche nella prima letteratura latina cristiana soprattutto per quanto riguarda la critica ai ricchi e il moralismo sulle donne oltre alle donne, ai ricchi e agli intellettuali; altro tema presente è quello della metropoli. Giovenale mostra una ripugnanza per la vita cittadina, lo spettacolo di spreco e corruzione e per le ingiustizie delle differenze sociali. La soluzione sarebbe quella di ritirarsi alla vita agreste, in campagna, simbolo della sanità morale e della serenità, è tuttavia solamente una forma di fuga dalla realtà poiché la situazione è senza rimedio, quindi Giovenale resta di stampo pessimista. Si può dire che la sua poesia sia impegnata in senso moderno perché nasce da una reale indignazione e si concentra su un argomento usando immagini originali e procedendo con un ritmo tumultuoso e incalzante, usa per esempio il procedimento delle domande retoriche non con il tono della declamazione scolastica bensì per esprimere la sua indignatio. Come Seneca utilizza la sententia conclusiva dopo aver creato un ritratto feroce di un personaggio, esse sono molto proverbiali per la loro incisività, ad esempio "panem et circenses" o "Quis custodiet custodes?" oppure ancora "maxima debetur puero reverentia" e "probitas laudatur et alget" (La bontà è lodata ma muore di freddo/ detto a proposito della I satira sulla povertà in cui critica anche Cicerone e Seneca che con falso stoicismo elogiavano la miseria).

Giovenale non voleva essere un moralista ma semplicemente fare della satira, che è riflessiva, pesante e amara, che si scaglia contro lo stoicismo che insegnava l'apatheia (indifferenza) e l'autarchia (il non avere bisogno di nulla).










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