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LUCIO ANNEO SENECA - Le opere

latino



LUCIO ANNEO SENECA


Figlio di Seneca il Vecchio, nacque a Cordoba, in Spagna, il 4 a.C., in una famiglia di origine italica appartenente all'ordine equestre. Trasferitosi in giovane età a Roma, iniziò a studiare filosofia e retorica e, a partire dalla fine degli anni 20, a circa 30 anni, iniziò sempre a Roma la sua carriera politica. Nel 41 d.C., dopo aver fatto ingelosire l'imperatore Caligola per le sue ottime doti da oratore e dopo esser stato accusato da Claudio, successore di Caligola, di adulterio con la giovane sorella di Caligola, venne esiliato in Corsica. La trama studiata da Messalina, prima moglie di Claudio, gelosa della sorella di Caligola, fallì quando nel 49 Claudio si risposò e prese in moglie Agrippina, sua nipote, che voleva a tutti i costi che al suo nuovo marito succedesse suo figlio Nerone, avuto da una relazione precedente, e non il legittimo erede Britannico, figlio di Claudio e Messalina. Per raggiungere ciò Agrippina fece sposare il giovane Nerone con Ottavia, sorella di Britannico, e lo fece adottare da Claudio. Per volere della madre inoltre Nerone ebbe come precettore Seneca, richiamato in tutta fretta dall'esilio dalla Corsica. Quando nel 54 d.C. morì Claudio, Nerone non ancora diciottenne gli succedette e di fatto Seneca, aiutato dalla madre del nuovo imperatore e da Afranio Burro, il prefetto, si trovò a reggere l'amministrazione imperiale. Dopo soli cinque anni di buon governo, nel 59, Nerone sentendosi oppresso dalla madre e dalla moglie, le fece assassinare entrambe e si sposò con Poppea, poi, a partire dal 62, quando morto Burro venne sostituito da Tigellino, la situazione si fece insostenibile e allora anche Seneca chiese di potersi ritirare a vita private e ottenne il permesso poco dopo. Nel 65 d.C. Seneca venne coinvolto nella congiura di Pisone, congiura ordita contro l'imperatore e per questo Seneca ricevette ordine da Nerone di suicidarsi e così fece tagliandosi le vene mentre banchettava con dei suoi amici.





Le opere


DIALOGI: si tratta di dieci trattati filosofici di argomento morale e sono:

Consolatio ad Marciam: consolazione dedicata a Marcia, figlia dello storico Cordo, in occasione della perdita del figlio Metilio;

De ira: Snneca affronta il vizio dell'ira, i suoi sintomi le sue modalità, affermando che l'ira può esser

tenuta sotto controllo dalla ragione;

Consolatio ad Helviam: composta durante l'esilio, è una consolazione rivolta alla madre preoccupata

per la sorte del figlio;

Consolatio ad Polybium: composta durante l'esilio, consolazione adulatoria nei confronti di Polibio

scritta dopo la morte del fratello del princeps;

De brevitate vitae: scritta durante l'esilio e dedicata a Paolino affronta il tema della brevità della vita,

dovuta non al fatto che ci vien dato poco tempo ma che noi lo sprechiamo;

De constantia sapientis: Seneca sostiene la tesi stoica secondo la quale il sapiente non può soffrire

offesa;

De vita beata: rapporto tra felicità e virtù: la virtù è il fondamento della felicità, la virtù è il sommo

bene;

De tranquillitate animi: Seneca suggerisce di trovare una via di mezza tra il far troppo e il far nulla;

De otio: Seneca, ritiratosi da poco dalla vita politica, giustifica la scelta dicendo di apprezzare i vantaggi della vita contemplativa cercando così di migliorare il suo spirito;

De providentia: viene affrontata la problematica relativa alla provvidenza divina e Seneca afferma

che ai buoni vengono imposte sofferenze per metterli alla prova.


TRATTATI: si tratta di tre trattati di argomento fisico-morale:

De clementia: dedicata a Nerone con l'intento di proporre al princeps un modello ideale di buon    governo, ispirato a principi di moderazione che devono esser alimentati nella coscienza dello stesso imperatore, la clemenza è una virtù naturale indice di animo nobile;

De beneficiis: a fronte del diffuso problema del vizio dell'ingratitudine, Seneca affronta il problema della beneficenza e della gratitudine;

Naturales quaestiones: dedicata a Lucilio, qui Seneca cerca di dare spiegazioni a fenomeni scientifici attraverso argomentazioni di carattere filosofico-morale, cerca qui di spiegare l'origine dell'eclissi di sole, delle maree ma la più interessante è quella dedicata all'origine dei terremoti ovvero quelli ondulatori sono dovuti a aria presente nel sottosuolo, quelli sussultori invece alla caduta di massi nel sottoterra.



EPISTULAE gli argomenti delle lettere sono molto vari ma tendono tutti alla ricerca della perfezione morale e della

MORALES AD saggezza. Nell'opera possiamo vedere come questo sia un Seneca molto maturo e si capisce inoltre il

LUCILIUM suo scopo fondamentale ovvero scrivere per i posteri.



TRAGEDIE: Seneca oltre a comporre trattati scritti realizzò anche nove tragedie di argomento mitologico, nelle quali è facilmente riconoscibile il gusto per l'orrido e del macabro dell'autore. inoltre Seneca si sofferma molto a lungo sulle scene truculente mettendo in rilievo i minimi particolari e per questo alcuni pensano che fossero tragedie destinate alla lettura e non alla rappresentazione. Nelle sue tragedie Seneca fa prevalere l'aspetto morale sulla vicenda drammatica, rivelando i suoi interessi personali e mettendo a nudo i vizi e le passioni più irrazionali della società del suo tempo.


OPERETTA: un'altra importante realizzazione di Seneca fu appunto un'operetta che prese il nome di Apokolokyntosis, ispirata alle satire menippee composta in parte da prosa in parte da poesia, la satira parla della divinizzazione di una zucca con sarcastica allusione alla ben nota ignoranza dell'imperatore Claudio. Ancora una volta il poeta da sfoggio a uno stile originalissimo e scoppiettante, riuscendo a conciliare diversi toni e linguaggi.








De Brevitate Vitae


Una protesta sbagliata. (1)


La maggior parte degli uomini, Paolino, si lamenta dell'avarizia della natura, perché siamo generati per un brave spazio di tempo, perché questo periodo di tempo che ci è stato dato scorre via tanto velocemente e in maniera travolgente, cosicché la vita, fatta eccezione per pochissimi, pianta in asso tutti gli altri proprio nel momento in cui si apprestano a vivere. Non soltanto la folla e lo sciocco volgo piange su questo malanno comune, come credono; questo stato d'animo provoca le lamentele anche di uomini illustri. Da qui deriva quella famosa affermazione del più grande dei medici: da qui la lite, per niente conveniente ad un uomo saggio, di Aristotele, che discute con la natura: "Non abbiamo poco tempo,ma molto ne abbiamo perso. Ci è stata data con generosità una vita abbastanza lunga, anche per la realizzazione delle più grandi imprese, sempre che venga tutta ben investita; ma quando essa svanisce nella mollezza e nella trascuratezza, quando non viene spesa per nessuna buona occupazione, solo quando ci costringe l'estrema necessità, ci accorgiamo che è trascorsa quella vita che non ci siamo accorti che passava". E' così: non riceviamo una vita breve ma l'abbiamo fatta tale e non ne siamo sprovvisti, ma spreconi. Come le ricchezze abbondanti e regali, quando sono giunte nelle mani di un cattivo padrone, vengono dilapidate in un attimo, mentre le ricchezze modeste quanto vuoi, se sono state affidate ad un buon amministratore,si moltiplicano con l'uso, allo stesso modo la nostra esistenza si estende molto a chi ne dispone bene.





Il tempo sprecato. (2)


Quale delle cose della natura lamentiamo? Essa si è comportata con generosità: la vita è lunga se sai usarla. Ma uno è schiavo di un'avidità insaziabile, un altro di un affannarsi premuroso in occupazioni del tutto vano, uno è fradicio di vino, un altro è abbruttito dall'ozio, uno è sfiancato dall'inibizione che è sempre sospesa ai giudizi altrui, un altro con la speranza di guadagnare è condotto dallo sfrenato desiderio di commerciare per tutte le terre e per tutti i mari; alcuni sono tormentati dalla passione per la guerra, sempre intenti agli altrui pericoli e poco ai propri, vi sono altri consumati dall'ingrato ossequio dei potenti, molti sono detenuti dall'aspirazione delle fortune altrui e lamentano le proprie, la solubilità e il non sentirsi bene li scaglia in progetti sempre nuovi; a certuni non piace alcuna meta verso cui fare rotta, ma sorprendono quelli che languiscono e quelli indifferenti verso il destino (morte): secondo quanto si dice presso i massimi poeti secondo l'oracolo, per non dubitare il vero: "La vita è un'esigua parte nella quale siamo veramente vivi". Tutto lo spazio temporale che rimane in realtà non è vita, ma tempo.






Gli uomini rinviano la vera vita. (3)


Quand'anche si mettessero d'accordo su quest'unico punto tutti i cervelli che brillarono, giammai si stupirebbero abbastanza di questo offuscamento delle menti umane: non sopportano che i loro terreni vengono occupati da qualcuno e se l'esigua contesa è sul limite del loro territorio, ricorrono alle armi e alle pietre: lasciamo che gli altri mettano piede nella loro vita, anzi vi introducano anche i futuri padroni di esse; non si trova nessuno che voglia dividere la propria ricchezza: a quanti ciascuno distribuisce la vita! Sono taccagni nel tenere il patrimonio, ma non appena si tratta di perdere tempo, sono generosissimi in questo, della cui cosa è rispettabile la parsimonia .Prendiamo pure uno della folla dei vecchi e diciamogli:"Vediamo che tu sei giunto alla fine dell'età umana, il centesimo anno e anche più è da te premuto: orsù , richiama la tua vita a fare i conti. Calcola quanto di questo tempo ti ha tolto il creditore quanto l'amico, quanto un re, quanto la punizione degli schiavi, quanto il correre qua e là per la città, imposto dal dolore, aggiungi le malattie, che ci procuriamo con le nostre mani, aggiungi quello il tempo che giace inutilizzato, vedrai che hai meno tempo di quanto ne conti


Che cosa per tanto è in causa? Vivete come chi è destinato a vivere sempre, ma vi viene in mente la vostra fragilità, non fate attenzione, quanto di tempo sarà già passato: come da una riserva piena e abbondante continuate a perdere, quando nel frattempo per caso il giorno stesso che o per qualche affare di uomo o per qualcosa data sia l'ultimo giorno. Così come ogni cosa tenete i mortali, così come ogni cosa desiderate gli immortali. Ascolterai molti dire;"a partire dal cinquantesimo anno mi ritirerò dalla vita politica". E' chi prendi come garante di una vita così lunga? Chi ti permetterà di andare così come tu disponi? Non vergognarti di riservare a te gli avanzi della vita e di destinare solo questo tempo alla saggezza, che cosa può essere dedicato a nessuna azione pratica? Quanto è tardi ora che si comincia a vivere, poiché si deve morire! Quale stupida dimenticanza della propria condizione di mortali nel cinquantesimo e sessantesimo anno dichiarare i buoni propositi e dopo ciò incominciare a volere la vita,al punto in cui pochi sono riusciti a protrarla.



Il valore del tempo. (8)


[...] Nessuno ti restituirà gli anni, nessuno ti renderà nuovamente a te stesso; la vita andrà per dove ha avuto principio e non muterà né arresterà il suo corso; non farà alcun rumore, non lascerà nessuna traccia della propria velocità: scorrerà silenziosamente; non si estenderà oltre né per ordine di re né per favor di popolo: correrà così come ha avuto inizio dal primo giorno, non cambierà mai traiettoria, mai si attarderà. Cosa accadrà? Tu sei tutto preso, la vita si affretta: nel frattempo si avvicinerà la morte, per la quale, volente o nolente, bisogna avere tempo.



Perchè ingannare se stessi? (11)


Vuoi dunque sapere quanto poco tempo (gli affaccendati) vivano? Vedi quanto desiderano vivere a lungo. Vecchi decrepiti mendicano con suppliche l'aggiunta di pochi anni: fingono di essere più giovani; si lusingano con la bugia e illudono se stessi così volentieri come se ingannassero al tempo stesso il destino. Però quando qualche infermità (li) ammonisce del loro stato mortale, come muoiono terrorizzati, non come uscendo dalla vita, ma come se ne fossero tirati fuori! Van gridando di essere stati stolti, tanto da non aver vissuto e se in qualche modo vengono fuori da quella malattia, di voler vivere in pace; allora pensano a quante cose si siano procurate invano, e delle quali non avrebbero fatto uso, come nel vuoto sia caduta ogni loro fatica. Ma per chi la vita trascorre lungi da ogni faccenda, perché non dovrebbe essere di lunga durata? Nulla di essa è affidato ad altri, nulla è sparpagliato qua e là, nulla perciò è affidato alla fortuna, nulla si consuma per noncuranza, nulla si dissipa per prodigalità, nulla è superfluo: tutta la vita, per così dire, produce un reddito. Per quanto breve, dunque, è abbondantemente sufficiente, e perciò, quando che venga il giorno estremo, il saggio non esiterà ad andare incontro alla morte con passo fermo.



Solo i saggi vivono davvero. (14)


Soli tra tutti sono sfaccendati coloro che si dedicano alla saggezza, essi soli vivono; e infatti non solo custodiscono bene la propria vita: aggiungono ogni età alla propria; qualsiasi cosa degli anni prima di essi è stata fatta, per essi è cosa acquisita. Se non siamo persone molto ingrate, quegli illustrissimi fondatori di sacre dottrine sono nati per noi, per noi hanno preparato la vita. Siamo guidati dalla fatica altrui verso nobilissime imprese, fatte uscire fuori dalle tenebre verso la luce; non siamo vietati a nessun secolo, in tutti siamo ammessi e, se ci aggrada di venir fuori con la grandezza dell'animo dalle angustie della debolezza umana, vi è molto tempo attraverso cui potremo spaziare. Possiamo discorrere con Socrate, dubitare con Carneade, riposare con Epicuro, vincere con gli Stoici la natura dell'uomo, andarvi oltre con i Cinici. Permettendoci la natura di estenderci nella partecipazione di ogni tempo, perché non (elevarci) con tutto il nostro spirito da questo esiguo e caduco passar del tempo verso quelle cose che sono immense, eterne e in comune con i migliori? Costoro, che corrono di qua e di là per gli impegni, che non lasciano in pace se stessi e gli altri, quando sono bene impazziti, quando hanno quotidianamente peregrinato per gli usci gli tutti e non hanno trascurato nessuna porta aperta, quando hanno portato per case lontanissime il saluto interessato, quanto e chi hanno potuto vedere di una città tanto immensa e avvinta in varie passioni?



Morire senza aver vissuto. (20)


Certamente miserevole è la condizione di tutti gli affaccendati, ma ancor più misera di coloro che non si danno da fare nemmeno per le loro faccende, dormono in relazione al sonno altrui, camminano secondo il passo altrui, a cui viene prescritto (come) amare e odiare, cose che sono le più spontanee di tutte.


Nel frattempo, mentre sono rapinati e rapinano, mentre vicendevolmente si tolgono la pace, mentre sono reciprocamente infelici, la vita è senza frutto, senza piacere, senza nessun progresso dello spirito: nessuno ha la morte davanti agli occhi, nessuno non proietta lontano le speranze, alcuni poi organizzano pure quelle cose che sono oltre la vita, grandi moli di sepolcri e dediche di opere pubbliche e giochi funebri ed esequie sfarzose. Ma sicuramente i funerali di costoro, come se avessero vissuto pochissimo, devono celebrarsi alla luce di fiaccole e ceri.





Il Prossimo


Gli schiavi sono uomini (47, 1-6; 16-17)


Ho sentito con piacere da persone provenienti da Siracusa che tratti familiarmente i tuoi servi: questo comportamento si confà alla tua saggezza e alla tua istruzione. "Sono schiavi." No, sono uomini. "Sono schiavi". No, vivono nella tua stessa casa. "Sono schiavi". No, umili amici. "Sono schiavi." No, compagni di schiavitù, se pensi che la sorte ha uguale potere su noi e su loro. Perciò rido di chi giudica disonorevole cenare in compagnia del proprio schiavo; e per quale motivo, poi, se non perché è una consuetudine dettata dalla più grande superbia che intorno al padrone, mentre mangia, ci sia una turba di servi in piedi? Egli mangia oltre la capacità del suo stomaco e con grande avidità riempie il ventre rigonfio ormai disavvezzo alle sue funzioni: è più affaticato a vomitare il cibo che a ingerirlo. Ma a quegli schiavi infelici non è permesso neppure muovere le labbra per parlare: ogni bisbiglio è represso col bastone e non sfuggono alle percosse neppure i rumori casuali, la tosse, gli starnuti, il singhiozzo: interrompere il silenzio con una parola si sconta a caro prezzo; devono stare tutta la notte in piedi digiuni e zitti. Così accade che costoro, che non possono parlare in presenza del padrone, ne parlino male. Invece quei servi che potevano parlare non solo in presenza del padrone, ma anche col padrone stesso, quelli che non avevano la bocca cucita, erano pronti a offrire la testa per lui e a stornare su di sé un pericolo che lo minacciasse; parlavano durante i banchetti, ma tacevano sotto tortura. Inoltre, viene spesso ripetuto quel proverbio frutto della medesima arroganza: "Tanti nemici, quanti schiavi": loro non ci sono nemici, ce li rendiamo tali noi. Tralascio per ora maltrattamenti crudeli e disumani: abusiamo di loro quasi non fossero uomini, ma bestie. Quando ci mettiamo a tavola, uno deterge gli sputi, un altro, stando sotto il divano, raccoglie gli avanzi dei convitati ubriachi. Uno scalca volatili costosi; muovendo la mano esperta con tratti sicuri attraverso il petto e le cosce, ne stacca piccoli pezzi; poveraccio: vive solo per trinciare il pollame come si conviene; ma è più sventurato chi insegna tutto questo per suo piacere di chi impara per necessità.


Non devi, caro Lucilio, cercare gli amici solo nel foro o nel senato: se farai attenzione, li troverai anche in casa. Spesso un buon materiale rimane inservibile senza un abile artefice: prova a farne esperienza. Se uno al momento di comprare un cavallo non lo esamina, ma guarda la sella e le briglie, è stupido; così è ancora più stupido chi giudica un uomo dall'abbigliamento e dalla condizione sociale, che ci sta addosso come un vestito. "È uno schiavo." Ma forse è libero nell'animo. "È uno schiavo." E questo lo danneggerà? Mostrami chi non lo è: c'è chi è schiavo della lussuria, chi dell'avidità, chi dell'ambizione, tutti sono schiavi della speranza, tutti della paura.















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