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SECONDA SOFISTICA

greco



SECONDA SOFISTICA


Il termine non è nostro, ma è quello che si sono dati loro: infatti c'è un certo Filostrato che scrive "Le vite dei sofisti"(parlando di questi sofisti qui) e li definisce così; a lui dobbiamo anche la definizione di sofistica, ovvero retorica filosofeggiante: non è filosofia! Con questo termine riconosce che l'aspetto primario di questo periodo è quello del parlare; infatti lo stesso Filostrato dice che tra la prima e la seconda sofistica ci sono gli oratori attici per accentuare l'elemento retorico. I filosofi della seconda sofistica si riallacciano alla prima, ma attraverso un passaggio non diretto. I 10 ORATORI ATTICI accentuano l'elemento retorico. Questo sistema si riallaccia alla decadenza della retorica e dell'oratoria: avendo perso il suo campo privilegiato (quello politico) diventa retorica d'apparato: spettacolo. si rinchiude nelle scuole e le esibizioni che prima erano solamente di propaganda, ora diventano esibizioni vere e proprie fine a se stesse.

Gli autori di questo periodo sono persone che viaggiano: quasi tutte passano da Roma e si esibiscono, facendo orazioni il cui argomento veniva scelto dal pubblico: tutto questo per far vedere la loro abilità nel trattare qualunque argomento e nel saper elogiare anche elementi negativi (è così che abbiamo elogi della calvizie, del fumo, della polvere, addirittura della pulce). La retorica viene dunque vuotata del suo significato portante: se si riprende la questione natura-ars, ormai ciò che importa è solo più la ars. Non potendo più docere, delectava soltanto; doveva anche esserci un piacere musicale che noi non cogliamo neanche più. E la seconda sofistica è questa, anche se gli autori di questo periodo hanno pretese maggiori: infatti c'è chi si crede la reincarnazione di Isocrate (richiamo agli oratori attici, più che a quelli vecchi). Comunque Isocrate, non Gorgia: si rifanno agli oratori più moderni, non a quelli della prima sofistica.



Filostrato sottolinea inoltre che la differenza tra prima e seconda sofistica è l'argomento: mentre la prima tratta grossi temi astratti, come la giustizia e la virtù, la seconda sofistica tratta argomenti concreti (la pulce e la polvere!!!). La tradizione di oratoria che hanno alle spalle tratta di giustizia e virtù fino alla nausea: devono cambiare argomento se vogliono divertire! Le vite dei sofisti di cui lui parla sono frutto di documentazione, ecc.. ma 525g68f presenta i sofisti come esuli: questo è un topos che piace; i retori che hanno anche pretese filosofiche hanno il topos dell'esilio e del martire, come se fossero puniti per i loro ideali. Per esilio, in realtà, si intende la caduta del loro protettore, e quindi la conseguente perdita di prestigio.

Due esponenti importanti di questo periodo sono Dione di Prusa e Elio Aristide.


Dione di Prusa parla della regalità: infatti scrisse 4 discorsi, "περί βασιλειας"; parla di un filosofo (se stesso) che è consigliere di un principe: torna la figura dell'intellettuale che cerca di controllare l'imperatore; da qui si deduce la necessità dell'imperatore di appoggiarsi a un filosofo; però questo è un concetto cambiato da Dione, che non definisce φιλοσοφος il consigliere, ma πεπαιδευμενος, ovvero educato, colto riprende Isocrate che aveva detto ευ-πεπαιδευμενος. Non è ben chiaro perché faccia questo passaggio, in un'opera dice in un modo, in un'altra in un altro modo. Si denota così l'illusione dell'intellettuale di poter consigliare l'imperatore e l'idea di essere conosciuti pubblicamente come colti. Sono le due facce della medaglia.


Elio Aristide si crede un'incarnazione di Isocrate, infatti scrive un panatenaico e un panegirico. Fa un discorso a Roma che fa un po' ridere; si notano tre aspetti importanti:

F L'impero romano è considerato come un aggregato di libere πολεις (città stato alla greca): una specie di confederazione. Questo è in contraddizione con quando poi dice che Roma ha fatto del mondo una μια πολις (una sola città stato): però usa questo termine per indicare l'omogeneità dell'impero. L'idea di μια πολις verrà ripresa da Rutilio quando Roma avrà già subito un sacco, dirà: "hai fatto città ciò che era mondo" → gioca sull'allitterazione urbem - orbis. Si riferisce all'equiparazione delle province tra loro e tra le province e Roma.

F Definisce Roma come τροφης: strano dato che Plutarco parla del calzare romano sulla testa; quando la definisce così, però, non è iperbolico, ma sincero: ne è convinto perché vede le città rifiorire sotto l'impero.

F Sostiene che siano da compiangere gli esseri umani che vivono fuori dall'impero, perchè non sanno di quali beni siano privi: Aristide sottolinea la bellezza delle città, ma si ferma a questo. I cittadini ricchi facevano a gara a donare a Roma dei monumenti, per lasciare traccia di sé; Elio non vede cosa c'è fuori, la povertà delle campagne → i romani si preoccupavano della collaborazione tra classi alte, ma non con i contadini!

La seconda sofistica usa un linguaggio atticista, il Rossi nota che i termini si possono definire atticisti; l'intonazione è asiana, senza però ricorrere ad abbellimenti asiani giungono alla stessa enfasi.

Ma l'aspetto più singolare della produzione di Aristide è rappresentato da Sei discorsi sacri, di contenuto autobiografico, nei quali egli traccia una storia della sua malattia e delle terapie suggeritegli da Asclepio. Si riferiva il sogno mandato da Asclepion al sacerdote, e loro trovavano la cura. Il tempio più bello di questo dio era l'Asclepion di Pergamo, nel quale si era sviluppata una scola medica; abbellito da Adriano, si trasforma in una sorta di clinica per esaurimenti nervosi. Queste orazioni hanno un duplice valore: da un lato rappresentano la psicologia di un infermo, dall'altro costituiscono la testimonianza della particolare religiosità di un uomo di cultura, che sceglie di trovare conforto ai suoi mali in una superstiziosa fiducia nelle cure del dio, a cui totalmente egli si affida. Contro il suo male non riuscirono a fare nulla i medici; Asclepio non soltanto gli ha restituito la salute, ma lo ha anche aiutato nella professione di retore, suggerendogli temi, pensieri ed espressioni

Anche per quanto riguarda la Seconda sofistica c'è il dibattito tra i sostenitori della retorica asiana e quelli della maniera attica. Rientra nella tendenza asiana il loro progetto di sbalordire e affascinare il pubblico con la ricercatezza artificiosa dei concetti e dello stile; ma in genere essi subirono la suggestione linguistica del purismo arcaizzante di stampo atticistico, tanto più che lo stesso modello della Sofistica antica imponeva loro di guardare all'antica Atene come all'esemplare perfetto di quell'espressione esatta ed elegante che si proponevano di imitare.




LUCIANO


La definizione che il Leschi dà di Luciano è "scetticismo come concezione del mondo". Retore, specchio del vuoto di ideali del mondo greco. Il razionale dell'ellenismo porta all'irrazionalità perché fallisce: entra il misticismo, la superstizione, la magia. È logico: la fede totale nella ragione viene delusa, la mente cerca qualcosa di irrazionale in cui credere. Luciano non è un mago, ma l'espressione del cinismo dell'epoca (oggi cinico = privo di sentimenti, invece per la filosofia è il rifiuto, il non credere). È l'uomo che guarda da un lato con cinismo, ma anche con satira. Deride tutto perché non riesce più a credere in niente. Scrive:


Dialoghi degli dei

Demolisce gli dei, ma ormai sono già morti. Non è un razionalista che vuole mostrare l'irrazionalità degli dei, perché tanto non ci crede più nessuno: è una moda dell'epoca.


Dialoghi dei morti

L'eroe è Menippo, che vive infischiandosene delle convenzioni sociali: arriva nell'Acheronte, e Caronte gli chiede l'obolo per pagare il passaggio (che mettevano in bocca ai morti), lui non ce l'ha, e allora gli dice "bè, non portarmi", dimostrando indifferenza; poi alla fine Caronte stufo lo porta dall'altra parte. Va da Ermes, gli chiede di vedere Elena, e scopre solo un teschio: allora non c'è più differenza tra lei e Tersite, hanno combattuto una guerra per un teschio → non è egualitarismo o polemica alla guerra di Troia, ma è espressione del suo non credere più a nulla.

Luciano è una persona di cultura, e lo si nota dalle reminiscenze letterarie. È stato in contraddizione con se stesso: ha scritto un'apologia per difendersi.


Il sogno

Da questo dialogo abbiamo notizie della sua stessa vita: racconta che la sua famiglia aveva deciso di mandarlo dallo zio scultore, il primo giorno rovina il marmo e si fa anche male, viene cacciato, torna a casa e fa un sogno: riprende il sogno di Eracle in Senofonte, argomento che verrà trattato da Cicerone → Eracle si trova di fronte a due donne, Aretè e Edonè, lui sceglie l'Aretè; per Eracle gli era successo veramente, Luciano lo trasforma in un sogno. Le due sono scultura e retorica, vantano i propri pregi e lui sceglie la retorica. In Senofonte è scelta etica, per lui è scelta pratica (a parte che la scultura era già eliminata perché si era fatto cacciare!), comunque è la scelta tra un mestiere creativo e uno filosofico.


Nigrino

Comincia a fare il retore, arriva anche a Roma dove scrive Nigrino: parla di un filosofo cinico che scrive in estrema povertà  voluta, ideale per Luciano. Elogia Nigrino la scelta controcorrente di non approfittare delle occasioni che Roma offriva. conduce una vita povera , nei confronti del lusso, dello spreco della vita di Roma. Luciano lo esalata quasi volendo scegliere la stessa strada; peccato che poi trovi un protettore che gli trova un lavoro e diventa segretario del prefetto dell'Egitto, carica che rendeva da matti: come ha l'occasione, si inserisce nella società romana. Questo dimostra incoerenza! infatti dovrà scrivere un'apologia per difendersi dall'accusa. Basa la sua difesa sul fatto che se uno si vende per poco, allora è un venduto, ma se si vende per molto, come lavorare per l'imperatore, allora cambia tutto. Può anche essere che abbia avuto un momento di ammirazione sincera nei confronti di Nerone, e che poi abbia cambiato idea. O che abbia cambiato idea davanti alla prospettiva di uno stipendio alto. Poi la sua carriera si interrompe all'improvviso, forse è stato coinvolto nella caduta del prefetto d'Egitto. Si descrive come vecchio, ma i conti non tornano: è solo il topos del povero vecchietto. Comunque ebbe una vita lunga, viaggiò molto, tornò anche a casa, continuò a svolgere contemporaneamente l'attività dell'oratore e itinerante e scrittore. Scrive dialoghi, qualcuno disapprova la sua scelta di fare dialoghi come Platone per fare una satira.


Due volte accusato

Scrive anche questo dialogo di autodifesa: immagina di essere chiamato in tribunale dalla retorica che pensa di essere tradita per il dialogo, e il dialogo arrabbiato dice di essere stato trasformato da qualcosa di serio un ridicolo. Luciano si difende e vince dicendo che prima il dialogo era noioso, almeno adesso lo leggono tutti. Capisce di aver trovato la strada giusta per il successo. Luciano nella sua vita ha praticamente preso di mira tutti.


Come si deve scrivere la storia

In quest'opera spiega come si scrive un'opera di storia. In quel periodo c'era un eccessivo fiorire di opere di storici che pretendevano di essere tutti Tucidide; Luciano non li apprezzava: ancorato a Tucidide, dice che bisogna seguirlo. Ma cerca anche qui di essere spiritoso: la gente copiava da Tucidide l'introduzione, ma non basta dire "Pinco Pallino scrive", come aveva cominciato l'opera Tucidide, per scrivere come lui; per citare il nome di Pinco Pallino se ne inventa uno in -ano, facile, assonante, fa ridere.


Peregrino

Parla di un filosofo cinico che si fa cristiano, poi rinnega anche il cristianesimo, muore dandosi fuoco a olimpia durante le olimpiadi mescolando le origini greche (olimpiadi), con il bruciarsi, che invece è tipicamente indiano: è tutto un insieme di esperienze diverse che aveva fatto durante la vita senza trovare una vera soluzione ai problemi, senza trovare qualcosa in cui credere. Quest'opera ha ricevuto giudizi opposti:

  1. il Canfora la vede come presa in giro di Peregrino di pessimo gusto, lo prende in giro per tutto, pure per il mar di mare. Basa la sua critica su Aulo Gallio, un Romano contemporaneo che parla anche lui di peregrino, ma bene, presentandolo come una persona seria in questo momento di incertezza. Il canfora difende la figura di Peregrino e attacca la posizione di Luciano.
  2. il Montanari invece sostiene l'esatto opposto, cioè che ha ragione Luciano a criticarlo così. Non cita però Aulo Gallio. Il Montanari vede Peregrino come una specie di "santone", un individuo che non è alla ricerca di una vera soluzione, non nel senso che è un imbroglione (non aveva bisogno di ricchezze) ma un esaltato, che vuole essere al centro dell'attenzione: passa da una cultura all'altra non per ricerca personale, ma per mettersi in mostra. Il Montanari non spiega poi bene perché si sia ucciso.

Il fatto che l'opera sia stata interpretata in modo diametralmente opposto fa capire come possa essere letto come critico serio della sua epoca che ha smascherato gli ipocriti, oltre alle apparenze.


Il pescatore

Attacca tutti, anche i filosofi della sua epoca. Nel Pescatore sostiene che basta gettare dall'Acropoli delle monetine di rame, si tira su la lenza e tutti i filosofi sono lì.


Assemblea degli dei

In questo dialogo immagina un concilio degli dei, nel quale interviene Apollo e si lamenta: perché tutti sono chiamati "padri" e io "il bello"?! come se fosse il bel deficiente.

Ama creare scandalo, attira l'attenzione su di sé. Si difende: dice che voleva attaccare solo i filosofi moderni: sembra che cerchi di attirare l'attenzione forzando e poi si tiri indietro.


La storia vera

È un romanzo, nel quale, secondo il procedimento già adottato in tutta la sua opera, arriva al paradosso e alla polemica con se stesso. Nell'introduzione dice che è una storia vera, e poi dice che l'unica cosa vera che dirà è che non dirà la verità. A differenza del romanzo greco tradizionale, questo non è ambientato nel lusso e nel mistero dell'oriente, ma in luoghi impossibili, come la luna, la pancia della balena. Non c'è amore a guidare la storia, ma sono avventure da un posto all'altro, irrealizzabili: in questo sono diverse dall'oriente, che era comunque verosimile come ambientazione, per lo meno esisteva sulla terra!!

Nel prologo entra in polemica con chi ha scritto i romanzi tradizionali, prima di tutto critica Ulisse di Omero, che narra cose strane: questo è indice del fatto che Omero non era più il maestro; l'Odissea viene presa in giro perché irreale, e i Feaci sono dei cretini perché ci credono. È una voluta presa di posizione: Luciano non costruisce, ma demolisce: prende in giro gli uomini di cultura a partire da Omero, gli storici, qualcuno pensa che abbia fatto allusioni anche ad Erodoto perché parla di cose che non ha mai visto né sentito da altri; forse critica anche Platone per l'uso dei miti → lui dice chiaramente che nel suo romanzo non c'è niente di vero, e il lettore non deve credere a nulla di quello che lui dice.

Parla di uno che naviga per mare con dei compagni, sorpresi da una tempesta, volano sulla luna, che è abitata e coltivata; vengono presi dagli ippogrifi, uomini che andavano sopra dei grifi: era una figura mitica, e Luciano li trasforma in cavalli normali, mezzi di trasporto. Gli abitanti della luna guardano i loro vestiti e chiedono se sono greci → è una presa in giro del Filottete dove dice che i Greci si riconoscono dai vestiti. È in corso una guerra tra il sole e la luna, Fetonte manda contro di loro i Cavaiformiche (incroci tra cavalli e formiche). Tornano sulla terra, ma sbagliano l'atterraggio e finiscono in mare: si trovano nel ventre di una balena (Pinocchio è in debito con Luciano; forse anche Ariosto per l'avventura sulla luna, se ai suoi tempi il libro circolava in versione latina). Descrive la balena: nella pancia c'è una caverna immensa con una città di 10.000 uomini. Trovano una zattera e si fermano su un'isola. Incontrano un vecchio con cui si alleano e uccidono la balena: vanno nell'isola dei beati, posto nel quale, secondo il mito, finivano le anime dei grandi (ne parla anche Platone), non raggiungibile dall'uomo; ha le caratteristiche della terra, ma con un potenziamento, ha tutte le caratteristiche migliori: non è un'età dell'oro con la lana già colorata, ma è tipo l'isola dei Feaci, ci sono raccolti continui, è sempre primavera, con ruscelletti e fiorellini. Le persone parlano con una voce piacevole come il suono della cetra, armoniosa. Trova Aiace, Socrate, Nestore, Licurgo, Numa, pure Annibale! C'è tutto quello che ci può essere di prezioso: pietre, unguenti. Non è un'età dell'oro dove l'uomo trova tutto ciò di cui ha bisogno senza doverlo lavorare, qui c'è tutto il lusso di cui le corti si circondavano; è tutto colorato. Solo Platone non c'era, ma si dice che è andato in quella repubblica che lui stesso si era creato → solo un pubblico colto poteva cogliere le allusioni che lui non spiega: non è un romanzo diretto alla classe media, come quelli tradizionali, ma si rivolge alle classi colte. Va a cercare Omero, e prende posizione sulla questione omerica: in quel tempo c'erano tantissime città che vantavano di essere la patria di Omero, Luciano invece gli fa dire che viene da Babilonia, che non c'entrava niente! In questo modo irride le città che si vantavano di essere la patria di Omero. Accoglie l'etimologia del nome ομερος = ostaggio, negando quella ομερος = ο μη ορων = non vedente → non era cieco. E non scrisse prima l'Odissea, come sostenevano alcuni, ma prima l'Iliade. Tersite gli fa causa per essere stato insultato, ma Omero vince perché si prende Ulisse come avvocato.

È tutta un'allusione a miti, personaggi, luoghi, autori precedenti. È un mondo incredibile che non pretende di avere nulla di verosimile: è una presa di posizione nei confronti della presunta veridicità del romanzo, che era assurdo. Il romanzo era un genere d'evasione, non aveva la pretesa di verità storica, però avevano quella patina di verosimile data dall'ambientazione in Oriente, luogo reale, dove poteva capitare qualsiasi cosa. Non crede nell'isola dei beati, presenta questo e altri luoghi e miti come inverosimili, come antitesi delle stranezze tipiche dei romanzi.


Lucio, o L'asino

Per tanto tempo è stata accreditata a Luciano, ma ora un critico dice che assomiglia troppo ad un romanzo di Lucio di Potre, che però è andata perduta, tanto che non si sa chi abbia influenzato l'altro. Probabilmente nell'altro c'è confusione tra autore e personaggio, e poi è strano che due romanzi siano tanto simili. Il romanzo infatti non risponde a regole, ma solo all'esigenza di evasione da un mondo monotono, quindi è difficile che si copino, se cercano la novità! Va bene che ci siano episodi simili, ma qui sarebbero proprio le stesse vicende! Poi è strano che un romanzo circoli con il nome del personaggio: vuol dire che non si conosceva già più l'autore. Probabilmente c'è un pasticcio di mezzo, in cui non siamo più in grado di fare ordine: sono venuti fuori due romanzi tanto simili tra loro, che non caratteristica del romanzo che cerca l'invenzione sempre nuova. Non ci poteva neanche essere emulazione per un genere che non aveva neanche dignità letteraria. Forse è un romanzo solo che nelle trascrizioni ha acquisito varianti, minimi particolari diversi, e poi sono scomparsi i nomi degli autori. Adesso la critica pensa che non sia di Luciano, ma non siamo in grado di dirlo perché i dotti non se ne sono occupati, considerandolo un genere inferiore.

Parla di un uomo che per un errore di filtro si è trasformato in un asino; è un romanzo picaresco: c'è un'avventura dopo l'altra finchè non riesce a tornare umano mangiando delle rose. È un asino esternamente ma dentro è umano: è un uomo chiuso in un corpo non suo. Risponde alle caratteristiche dell'epoca, che non riesce a trovare valori, c'è la ricerca del soprannaturale quando la religione entra in crisi, la magia si accompagna al gusto per il mirabilia, tutto ciò che esce dalle regole deve avere un significato. Tutto ciò è irrazionale, però c'è anche il desiderio di andare oltre la natura e fare trasformazioni: è un atteggiamento tipico, ne abbiamo esempio in Ovidio nelle Metamorfosi, in Callimaco con gli Aitia. La mania per questo passaggio rimane per tutto il medioevo, con l'alchimia, dove la trasformazione dei metalli in oro nasconde anche una questione economica. È l'aspirazione dell'uomo a modificare la natura. L'interesse per la magia era un momento caratteristico del mondo antico, e corrispondeva alla crisi dei valori, la risposta che il paganesimo nei confronti del cristianesimo, che trova terreno fertile nella diffusione del neoplatonismo (la parte mistica di Platone è l'unica considerata in questo periodo). Platone aveva già parzialmente teorizzato la magia, pratica non razionale che dipende dalla stregoneria. Dall'oriente arrivavano piante con effetti allucinogeni → la distanza tra il mago e chi forniva veleni era minima, infatti spesso erano la stessa persona. Dentro gli intrugli c'erano strane erbe orientali. Il "poter uscire dal proprio corpo"con la magia le dà popolarità. Per questo Lucio può anche non essere di quest'epoca: c'è una trasformazione di apparenza, non di sostanza, che appartiene ai mirabilia; forse c'è un riferimento a Platone che vede una differenza tra il mondo invisibile e l'aspetto esteriore, tra materia e spirito. Lucio cambia aspetto, ma rimane un uomo. Lucio non è colpevole, non ha un intento morale, caratteristica estranea al romanzo, nel mangiare le rose non c'è purificazione perché non c'era una colpa iniziale, è solo uno sbaglio: è una vicenda che può dar luogo a uno o più romanzi nei momenti in cui la magia è credibile.





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