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La nascita della commedia - Vita e oper: Aristofane

greco



La nascita della commedia Dopo avere concluso la nostra breve panoramica sul teatro tragico, ci apprestiamo a trattare un genere che, a tutta prima, può forse sembrare, nell'immaginario collettivo, meno impegnativo, ma che in realtà è pieno di dettagli e sfaccettature che lo rendono incredibilmente complesso fin dalle sue origini: la commedia. Sappiamo che essa nacque nell'antica Grecia intorno al IV secolo a.C.; prima di allora, il teatro comico era quasi inesistente, fatte salve alcune eccezioni. Tra queste va ricordata la <I<>. Essa fiorì in Magna Grecia tra il VI e il IV secolo a.C. e consisteva in una rozza recitazione da parte di attori (fliaci) travestiti in modo molto appariscente. È, però, con le festività dionisiache che la commedia, in quanto genere, conosce i suoi veri natali. Durante le processioni festose in onore di Dioniso, i devoti del dio portavano al tempio dei falli giganteschi per simboleggiare la fecondità. Nel corso della processione, detta kòmos, donde il termine commedia, i fedeli si abbandonavano a canti e danze sfrenate; in un secondo momento il kòmos si arricchì di scene mimiche, che si alternavano a parti corali. Fu solo nel 486 a.C. che Atene organizzò delle vere e proprie competizioni tra commediografi. Nelle prime commedie era presente un coro che si alternava nella recitazione con gli attori singoli; il momento in cui il coro si rivolgeva direttamente agli spettatori era chiamato parabasi.
Possiamo individuare tre diversi momenti che segnano lo sviluppo della commedia greca:
1) La commedia antica, il cui maggiore rappresentante fu Aristofane;
2) La commedia di mezzo, che conosce un abbandono progressivo dei temi sociali e la perdita di importanza del coro;
3) La cosiddetta commedia nuova, che ebbe in Menandro il suo maggiore esponente.



Vita e oper: Aristofane

Aristofane nacque nel 445 a.C. ca. ad Atene e morì nel 385 ca. Egli possedeva dei beni nell'isola di Egina, dove il padre era andato come colono ateniese.Ebbe un'ampia e accurata educazione letteraria e musicale: conobbe a fondo non solo la poesia, in modo particolare quella tragica, ma anche la filosofia e la sofistica. Non part 343f54d ecipò alla politica in modo attivo, non ricoprì mai cariche pubbliche. Aristofane fu il massimo rappresentante della commedia antica greca.Esordì molto giovane: nel 427, a diciassette anni, con i Banchettanti sotto il nome di Callistrato. Con questo nome ottenne la prima vittoria al Leneo del 425, con gli Arcanesi. Solo nel 424 il poeta presentò con il proprio nome i Cavalieri, conseguendo un'altra vittoria.Aristofane continuò, però, ad usare ancora il nome Callistrato per presentare Uccelli e Lisistrata; per Procagone, Calabroni, Anfiarao e Rane si presentò con il nome di Filonide. Di lui, unico fra tutti i comici greci, ci sono giunte alcune opere complete e precisamente: Arcanesi (Leneo 425), Cavalieri (Leneo 424), Nuvole (Dionisie 423), Calabroni (Leneo 422), Pace (Dionisie 421), Uccelli (Dionisie 414), Tesmoforiazuse (Leneo 411), Lisistrata (Dionisie 411), Rane (Leneo 405), Donne all'assemblea (Leneo 393), Pluto (leneo 388). Inoltre ci è pervenuto circa un migliaio di frammenti.

· Negli Arcanesi il coro è formato da dei contadini di Acarne, danneggiati dalla devastazione della guerra che dura ormai da sei anni. Di contro, Diceopoli (cittadino giusto) non si lasciò convincere dalla propaganda ed era a conoscenza delle vere cause della guerra. Egli era un uomo senza patria e senza ideali, curante solo del proprio benessere. Si apprestò a celebrare una Dionisie, quando entrò il coro che lo vuole mettere a morte come traditore. Diceopoli, però, ottenne di potersi difendere. Per farlo si travestì da Telefo, il più miserabile dei personaggi euripidei, e pronunciò un lungo discorso durante il quale riuscì a convincere i contadini a non ucciderlo. Nel prologo, due servi si lamentavano spesso con Demo del comportamento di Paflagone (Cleone) e anche per i suoi soprusi contro i compagni. Questi però erano a conoscenza della predizione di un oracolo: Paflagone sarà vinto da un salsicciaio. Quando l'uomo arrivò, venne a sapere della profezia dell'oracolo. Il salsicciaio (Agoracrito) però non si sentiva all'altezza della situazione, ma i due servi cercarono di convincerlo ugualmente.

Con questa commedia, Aristofane colpì Cleone nel momento di maggior potere. Tutti e tre i personaggi principali della commedia sono persone che si servono solo delle adulazioni, delle bassezze per ottenere i loro scopi. Con la rappresentazione di questa commedia Aristofane raggiunge la fama e diede inizio anche alla commedia intesa come satira.

· La scena delle Nuvole si svolgeva in una piazza ad Atene, nella quale da un lato c'era la casa di Socrate e dall'altro l'abitazione di Strepsiade. Una sera, quest'ultimo non riusciva a dormire, angosciato dai debiti che aveva dovuto contrarre per soddisfare la rovinosa passione del figlio per i cavalli. Il povero Strepsiade non sapeva proprio cosa fare fino a quando ebbe un'idea: nella casa di fronte abitava Socrate che insegnava ai suoi discepoli a vincere le cause con il solo uso della parola. Così decise di mandarci il figlio, che però non era d'accordo e perciò, alla fine, fu costretto ad andare lui stesso, benché ormai fosse vecchio.Qui Aristofane si scaglia contro la nuova forma di educazione della quale fa responsabile Socrate e i sofisti: queste nuove correnti di pensiero sono, a parer suo, dannose per i giovani.

· Nella commedia intitolata Calabroni Aristofane narra di un'altra mania degli Ateniesi: quella per i processi. La commedia, confrontata con le altre, è molto più leggera. Si pensa che la mancanza di ispirazione sia stata causata dall'insuccesso di Nuvole.

· In Pace il protagonista è un anziano contadino ateniese, Trigeo, il quale, stanco delle devastazioni della guerra decise di recarsi personalmente da Zeus per pregarlo di metter fine al flagello. Preso uno scarafaggio alato, giunse alla dimora celeste dove però trovò solo Ermes: gli dei si erano recati in un altro luogo, stanchi dei Greci. Era rimasto solo Polemo (guerra), che aveva imprigionato Pace. Trigeo venne a sapere che Brasida e Cleone, i massimi fautori della guerra, erano morti, e per questo chiamo a raccolta i Greci, annunciandogli che era un momento favorevole per liberare Pace. Con un po' di fatica riescono a liberare Pace e con lei anche Opora (la stagione dei frutti) e Teoria (festa). Alla fine Trigeo sposerà Opora.La gioia della pace ritrovata coinvolge anche Aristofane che illude anche se stesso nella speranza della pace duratura, cosa che poi non fu, dato che era solo una tregua. Qui per la prima volta chiama in aiuto tutti i Greci, creando una situazione di solidarietà.La pace invoca in lui un senso di serenità e libertà, che esprime con la sua poesia.

· Tre anni dopo fu rappresentata Lisistrata. Per porre fine ad un interminabile guerra, l'ateniese Lisistrata (colei che dissolve gli eserciti), convocò alcune concittadine e le rappresentanti delle città coinvolte direttamente nel conflitto: una Spartana, una Beota, una Corinzia. Espose loro il piano: le donne si vieteranno ai propri uomini fino a quando prometteranno di far pace.Degli uomini cercano invano di far ragionare le donne che resistevano, anche se ad alcune di esse comincia a risultare difficile rinunciare al proprio uomo. Lisistrata cerca di convincerle, assicurando loro che la vittoria era vicina, quindi dovevano resistere ancora per poco.Così fu, e, agli Spartani, che erano venuti a parlare con lei, assicurò che gli avrebbe restituito le donne nona appena avrebbero finito i patti per la tregua. Gli uomini cedettero e, fra canti di esultanza, Ateniesi e Spartani non più nemici ricondussero felici a casa le loro spose.Aristofane in questa commedia ha fatto trasparire la sua comicità ed originalità. Ha saputo riconoscere la forza e la debolezza delle donne davanti ad un sacrificio così grande senza malizia, come un fatto normale. Anche in questa commedia, se pur non in modo evidente è sottolineata una cosa molto grave: la guerra come un fatto contro natura e l'abdicazione degli uomini al senso del valore. Se prima gli uomini avevano un senso della patria e dell'onore ora sono poco più che animali che combattono per niente.

Drammaturgia e personaggi; lingua e stile

La maggior parte delle opere di Aristofane è costituita da uno schema ben preciso: un progetto ideato dal protagonista per porre fine ad un male che colpisce la città, viene realizzato attraverso varie vicende verso la metà delle commedia; dopo l'intervallo della parabasi, vale a dire quando il corifeo si rivolgeva al pubblico in nome dell'autore, una serie di scene presenta realisticamente le conseguenze della situazione mutata dopo i fatti narrati precedentemente, e spesso si chiude con un banchetto, un corteo nuziale o una festa.Nelle altre commedie, invece, il progetto e l'azione si concludono alla fine della commedia, molto spesso con una lunga contesa. In ogni modo, anche queste, generalmente, hanno un lieto fine, ad eccezione delle Nuvole nella quale muore Socrate in un incendio provocato dal protagonista della storia.In Aristofane la parte drammatica è evidente e seria, in quanto, anche se con una vena ironica, affronta temi di pubblico interesse: i continui riferimenti alla guerra, l'educazione dei giovani, il governo della città, la funzione sociale della poesia, la ormai inesistente democrazia.Da questo interesse politico di Aristofane deriva il fatto che quasi mai una sua commedia abbia un solo argomento: per mezzo di allusioni, episodi, caricature, il tema predominante viene sempre ampliato in una visuale più larga. La semplicità della drammaturgia è contrapposta allo scarso rilievo che ha il personaggio comico: in tutto il tetro di Aristofane è difficile trovare un personaggio in quanto tale, in pratica, definito con una personalità tale da portare avanti il dramma.In qualunque genere di rappresentazione teatrale, l'espressione è la cosa fondamentale. Aristofane fu aiutato dalle grandi possibilità della lingua greca, di cui fa un uso ampio e variegato: passa dalla volgarità all'allusione sottile; dall'esprimere la realtà umile all'ispirazione lirica; dal teorizzare riguardo alle situazioni più difficili all'utilizzazione delle parole più difficili; dai metodi del canto popolare alla parodia tragica e filosofica. La lingua di Aristofane è molto realistica: fu creatore di molte parole composte, nei corali più solenni utilizza espressioni della grande lirica. Nella parodia, invece, si divertiva nel riprendere il linguaggio tragico, non solo euripideo.



Aristofane e Atene

La vera ispiratrice delle opere di Aristofane è Atene: la vita quotidiana, la ricchezza spirituale, la tragedia di Atene.Aristofane è innamorato della sua città. Bella, grande, felice, libera negli anni della sua adolescenza, decade completamente a causa della guerra che viene ripetutamente citata da Aristofane nella maggior parte delle sue opere. Egli però cerca di rimediare con la fantasia al dolore della città ridotta in quel modo, anche solamente con la poesia che era la gloria di Atene.

La poesia

Aristofane non è solo un comico, tutte le sue opere sono caratterizzate dalla poesia e dalla capacità di rappresentare la realtà anche con la fantasia. La sua inesauribile fantasia fa sì che la realtà sia sospesa oltre l'inverosimile. Fra il sogno e la realtà riesce ad esprimere le sue sensazioni e ad incantare come in Uccelli.Aristofane si inserisce nel momento più glorioso della commedia attica e rimane l'ultimo grande poeta della sua amata Atene.

La transizione: da Aristofane a Menandro
 Dopo il grande Aristofane, nel IV secolo la Grecia conoscerà un declino sempre maggiore, che dal piano politico si sposterà, inevitabilmente, su quello culturale. Cos
era successo? Era successo che Atene aveva perso la propria supremazia politica, che Sparta aveva portato avanti l effimera esperienza dei Trenta Tiranni e che si erano messi ormai in atto quei processi che avrebbero portato al dominio di Alessandro Magno prima e dei romani dopo.

Cosa ne è del teatro in quella situazione? Abbiamo visto che con Aristofane si parla di Commedia attica antica; dopo di lui e nel periodo (e nel contesto) che abbiamo descritto, nasce la Commedia di mezzo, che avrà vita breve e che lascerà presto il posto alla Commedia attica nuova, con Menandro quale suo principale esponente.

È il tempo della quotidianità. Caduti i grandi temi socio-politici, trasposizione scenica di un popolo vivace, ben addentro ai ritmi e all essenza della polis e animato da un grande attivismo, ecco che sulla scena giungono i piccoli episodi della vita di ogni giorno, scompare la satira politica, vera linfa vitale del teatro precedente (lo si è visto) e-soprattutto- scompare il Coro.

L abolizione della satira era quanto di più scontato si potesse immaginare, dato che di libertà politica ne era rimasta poca o punto. La scomparsa del Coro, però, suscita in noi altre riflessioni. Ufficialmente, esso scomparve per ragioni economiche, ma le ragioni vere affondano le loro radici nel nuovo modo di fare teatro e nei nuovi soggetti che -abbiamo detto- da quel momento si rappresentarono. In verità, i temi quotidiani, lontani dall importanza- sia pure comica- di quelli trattati da Aristofane, mal si prestavano ad essere gestiti dal Coro che, quasi per definizione, richiama alla mente immagini di imponenza e solennità.

Con la Commedia nuova altri elementi giungeranno a farsi vedere e sottolineeranno ancor più le differenze con il passato. In primo luogo, la scena: non più palazzi fastosi né regni degli Inferi, ma semplicemente una strada con due case poste l una di fronte all altra, due famiglie, il loro habitat quotidiano e nulla più. Una soluzione banale ed elementare, forse, ma tanto valida da essere mantenuta -lo sappiamo- fino al teatro del nostro Rinascimento e alla Commedia dell Arte.

La Commedia nuova era divisa, per lo più, in cinque atti. Negli intervalli tra essi, pare che ci fosse la presenza di un Coro, ma non quale noi abbiamo imparato a conoscerlo, quanto piuttosto con la semplice funzione di allietare lo spettatore nell intervallo fra un atto e l altro. I personaggi della Commedia nuova erano riconoscibili dai colori degli abiti: rosso per gli uomini liberi, azzurro per le donne, nero o grigio per i parassiti, ecc.


Menandro

Menandro si distaccò a poco a poco dalle forme della commedia di mezzo (che era, in fondo, commedia di intreccio e di avventure complicate) e giunse ad esprimere quelle che appaiono come le disposizioni sue proprie e caratteristiche.

Per quanto riguarda il contenuto delle sue commedie, sembra naturale un confronto con il massimo esponente della Commedia Antica: Aristofane. Questi concepisce un disegno d'interesse pubblico e privato; per Diceopoli, Trigeo, Lisistrata è quello di mettere fine alla guerra; per Gabbra compagna quello di fondare Nulicuculie; per Lesina quello distogliere il figliolo dalla vita spendereccia, etc. etc.

L'azione consiste nelle peripezie incontrate dai personaggi che si affaticano verso la meta; il mezzo onde la raggiungono è la "contiene", spessissimo un dibattito. A questa prima parte deduttoria o costruttiva ne segue una seconda, in cui per mezzo di una sfilata di tipi e di scenette buffe meccanicamente sovrapposte, si espongono gli effetti del nuovo stato di cose. Compiendosi, per ciò, la vera azione nella prima parte, la seconda riusciva superflua e frammentaria; una apparente unità veniva offerta a questo punto da qualche legame ideologico più o meno efficace. In generale, invece, l'azione della commedia nuova rappresenta il passaggio da una certa situazione ordinariamente precaria e sopportata con impazienza da un personaggio ad un'altra situazione stabile e definita. Quando si è pervenuti a questo, la commedia finisce.



Tutte le parti della commedia sono rivolte a determinare questa soluzione; tutte le scene ci riconducono all'argomento che è trattato. L'orditura dei drammi di Menandro risulta informata da una evidente unità che tiene legata in un nucleo comico le varie fila dell'azione. Il senso dell'equilibrio è sempre conservato. Se, infatti, la parte principale, dopo il suo compiuto sviluppo, rischia di avere una soluzione tragica, interviene sempre una parte secondaria a mantenere l'azione entro i limiti nell'ambito della commedia, secondo le leggi della necessità della verosomiglianza. Se la cerchia degli intrecci non presenta, specialmente quando il poeta non si è liberato ancora dei motivi tradizionali, quella varietà di situazioni che avrebbe reso più duttile anche la tecnica, tali situazioni sono sempre coordinate e fatte convergere verso uno scioglimento, che presumiamo lieto anche in commedie oggi lacunose. Il poeta sa, con fine accorgimento, mettere i personaggi in relazione fra loro, sì da far culminare la trama principale in una lotta dialettica sempre composta e, in genere, far derivare senza sforzo una situazione da un'altra. Un aspetto caratteristico dell'arte di Menandro consiste nella semplicità di mezzi con cui sono tratteggiate alcune descrizioni che riescono notevolmente drammatizzate. Al vigile senso menandreo della realtà si deve l'innovazione ottenuta con una sobrietà da vero classicista. L'intima farsa della poesia menandrea, inoltre, sta nel fatto che, pur muovendosi nella limitatezza di un ristretto mondo spirituale, è tutta tesa ali'"approfondimento" degli interni moti del cuore ed alla rappresentazione delle più intime sfumature psicologiche.

I mezzi scenici adoperati da Menandro furono più numerosi di quelli dei suoi predecessori. Nell'argomento dell'Heros sono numerati nove personaggi; gli Epitrepontes ne contengono almeno dieci; la Tosata undici. Nella maggior parte delle commedie c'erano almeno due case; qualche volta la scena ne presentava tre. I movimenti degli attori erano della più grande libertà: avveniva non di rado che qualcuno venisse cacciato di casa a viva forza o facesse irruzione violenta in casa d'altri e perfino la cingesse d'assedio. Con tutta probabilità già nella commedia di mezzo, proprio come in quella nuova, i canti corali non sono più se non semplici intermezzi, che servono soltanto a dividere l'un atto dallo altro, ma non si riferiscono più all'azione della commedia, non fanno più parte di essa, tanto che nei manoscritti non erano più riportati. Scrive Evanzio (De com. Ili, 1): "La commedia all'inizio fu coro e a poco a poco col numero dei personaggi passò a cinque atti; così a poco a poco indebolitasi e ridotta la parte del coro, si giunse alla commedia nuova, nella quale non solo non è introdotto il coro, ma non è più lasciato luogo ad esso. Infatti lo spettatore si infastidiva delle perdite di tempo e, quando nella commedia finiva la parte degli attori e si passava al coro, cominciò ad alzarsi e ad andare via: ciò indusse i poeti a togliere i cori lasciando, tuttavia, da principio il posto per essi, come fece Menandro per il suddetto motivo e non per altre ragioni; in ultimo non lasciarono più neppure posto al coro, come fecero i commediografi latini, sicché è difficile distinguere presso di essi i cinque atti".

La complessità di Menandro Qualcuno forse si stupirà leggendo questo titolo. Qualcuno andrà forse a riprendere i propri testi di letteratura greca o i volumi di storia del teatro che parlano di Menandro, per capire cosa possa esserci di tanto complesso in questo autore da influenzare il titolo di questa nostra nuova parte del viaggio nella storia del teatro. In verità, non potremmo comprendere le ragioni profonde che ci spingono a considerare il commediografo greco come un autore controverso, se non facessimo riferimento (ancora una volta) alla realtà storico-sociale del tempo in cui egli visse.

Abbiamo detto, negli scorsi numeri, che la Grecia di Menandro ha ormai abbandonato le velleità di dominio degli anni d'oro. Caduto il mito dei formidabili opliti di Sparta, della poderosa flotta di Atene, con l'egemonia di Tebe ridotta ormai a nostalgico ricordo del tempo che fu, la Grecia cerca se stessa, ma non sul piano militare, ché ormai non potrebbe, quanto a livello di realtà sociale, culturale, svuotata, lo si è detto in precedenza, perfino di quella vivacità di spirito che ne aveva fatto il regno anche della satira politica.

In questo contesto, lo ripetiamo a beneficio dei lettori, il teatro comico greco attinge a temi desunti dal quotidiano, abbandonando la grandiosità aristofanesca. In questo contesto, Menandro crea i suoi personaggi.

Ma perché complesso? Perché in Menandro coesistono due elementi: l'uno, quello della scelta della vicenda, mai scialba, quanto piuttosto movimentata e romanzesca; l'altro, della scelta di far gestire la vicenda in questione a personaggi che invece sono quanto di più scontato possa esistere, per quei tempi e quel tessuto sociale. Non più, quindi, il dio Dioniso che va a cercare Eschilo ed Euripide negli inferi, ma Cnemone, il misantropo de Il selvatico alle prese con il pretendente della figlia.

Rileva giustamente Silvio D'Amico che anche l'affermazione secondo cui Menandro è stato poeta dell'amore va interpretata secondo la concezione che di questo sentimento si aveva allora: non, come noi oggi potremmo pensare, l'incontro tra due anime che scoprono di voler trascorrere la vita insieme, quanto le varie avventure che il prestante giovanotto di turno aveva con questa o quella cortigiana, relegando il matrimonio vero e proprio e la moglie ufficiale rispettivamente l'uno a un fatto di convenienza sociale e l'altra al gineceo a filare la lana.

Eppure, noi stiamo proponendo questo commediografo perché in lui rintracciamo, sia concesso dirlo, una pietra miliare del teatro comico per molti dei secoli a venire.

Vediamo: in Menandro troviamo il vecchio avaro, il soldato vanaglorioso, il servo intraprendente e dotato di grande inventiva e quello lento a capire e ad agire; ci sono la cortigiana, la serva, l'adulatore


Della Commedia ne parla Aristotele nella "Poetica", ma egli stesso dice che ne sa poco.

Nel 486 a.C. ad Atene ci sarebbe stata la 1° rappresentazione di una Commedia fatta da Cnionide. Prima, la Commedia veniva rappresentata da "volontari".

Aristotele accenna al fatto che anche la Commedia provenga dai Dori (VI - V sec. a.C.).

Anche nella Commedia, come nel Dramma Satiresco, c'è la presenza del fallo.

Κωμω(ι)δία - komodìa - da κωμω(ι)δός - komodòs "cantore del κω̃μω(ι)ς - kòmos.

Il κω̃μω(ι)ς - kòmos, era una danza sfrenata, oppure un corteo festoso contenente ogni tipo di improvvisazione. I Cori erano composti da esseri fantastici. Il Coro nella Commedia ha vita propria e non fa parte del contesto. Questo indica, forse!, un'origine autonoma del Coro comico.



Nella festa in onore di Artemide a Siracusa si ha una processione di contadini, che sfilano in un κω̃μω(ι)ς - kòmos, organizzando canti e gare. Tutti tengono fra le mani pani in forma di animali. Coloro che perdevano nelle gare, se ne andavano per la campagna a mendicare. Mentre i vincitori si accomiatavano dal pubblico con un canto di saluto e di buon augurio.

Nella Commedia il Coro intesse un dialogo, in un crescendo di assurdità, con gli attori, e poi anch'esso si accomiata dal pubblico, con un canto di buon augurio.

Struttura della Commedia

1) Si ha un prologo in trimetri giambici (la lingua che più si avvicina al parlato - vedi infra), fatto da personaggi strani.

L'introduzione del soggetto della Commedia avviene attraverso trovate bizzarre.

2) Ingresso del Coro, il quale entra in modo tumultuoso (forse per ricorrdare l'antico κω̃μω(ι)ς - kòmos - vedi sopra).

Non sempre il Coro fa un canto introduttivo, ma spesso dialoga subito con gli attori.

L ' ẳγών - agòn, è il centro del dramma. Esso ha il seguente sviluppo.

'ω(ι)δή - odè; canto del Coro che esorta un attore a prendere la parola κατακελευσμός -katakeleusmòs "esortazione/incoraggiamento".

'επίρρημα - epìrrema "1° discorso". È il discorso del 1° personaggio buffonesco βωμολόχος - bomolòchos "buffone".

πνι̃γος - pnìgos "strozzatura". È il momento in cui ha termine il discorso del personaggio.

La 2° parte dell' 'αγών - agòn, è analoga alla prima.

Quando l'azione è ferma perché ha raggiunto una svolta, gli attori scompaiono e il Coro si rivolge direttamente al pubblico; è questa la

παράβασις - paràbasis "digressione". A questo punto il corifèo rivolto al pubblico, parla di sé e di politica attuale, sempre in riferimento al tempo presente. Dopo ciò si ha un

inno più o meno serio, dedicato a divinità.

Alla fine della Commedia il protagonista esce di scena insieme con il Coro, per andare entrambi ad un immaginario banchetto.

Le Commedie venivano inventate su argomenti completamente ridicolizzati, ed investivano la vita di uomini politici, di filosofi e degli dèi stessi. Fatto, quest'ultimo, che non è mai più avvenuto in nessun'altra epoca!

Come la tragedia, anche la commedia conosce il periodo di massimo splendore nell'Atene del V sec. a. C.. I motivi sono molti ma potremmo identificarne uno di particolare rilievo nella esigenza della società ateniese di riappropriarsi del patrimonio culturale tradizionale, quale si era espresso nel mito. Il patrimonio mitico, cresciuto su di un terreno sociale ben diverso (la società tribale dei re, sacerdoti e pastori), poteva essere reinterpretato in funzione dei nuovi problemi della città e della sua politica. La reinterpretazione del mito in senso moderno fu assolta soprattutto dal teatro tragico, che divenne un momento centrale nella vita della comunità ateniese; fu, nello stesso tempo, rito religioso, dibattito ideologico e riflessione collettiva a cui partecipavano, spesso a spese dello Stato, tutti i cittadini ateniesi. Ma, anche la commedia giocò un ruolo determinante nell'omogeneizzazione del corpo sociale fornendo un riferimento culturale del procedere dell'esperienza politica della polis.

Aristotele, nella Poetica, indica l'origine della commedia nelle antiche processioni dei fallofori (portatori dì fallo) che avanzavano a ritmo di marcia. La definisce "imitazione dì persone più volgari dell'ordinario, non però volgari di qual si voglia specie di bruttezza o fisica o morale, bensì di quella sola specie che è il ridicolo: perché il ridicolo è una partizione del brutto. Il ridicolo è qualcosa come di sbagliato e di deforme, senza però essere cagione di dolore e di danno. Così, per esempio, tanto per non uscir dall'argomento che trattiamo, la maschera romana: la quale è qualcosa di brutto e come di stravolto, ma senza dolore". Il filosofo greco traccia una brevissima storia delle trasformazioni della commedia indicandone il territorio originario nella Sicilia della Magna Grecia e, i precursori, in Epicarmo e Formide e, il primo autore significativo, in Cratete.

A questo punto vale la pena definire precisamente il significato del termine "commedia". Di etimo incerto è voce dotta derivante dal greco "kòmoidia" e dal latino "comoedia"; Dante la definì: "composizione drammatica di origine classica in versi e in prosa divisa in atti e in scene, che ritrae personaggi e fatti comuni con esito spesso lieto e destando frequentemente il riso".

I poeti comici guardavano alla realtà contemporanea in tutta la sua ricca varietà: con la sua vita politica, i suoi costumi e le sue abitudini, le sue manie e le mode, le aspirazioni, i vizi, le idee nuove e le tradizioni sorpassate, i generali e i soldati, i contadini e i filosofi, gli efebi e gli schiavi.Gli scrittori comici impiegavano tutti gli espedienti stilistici immaginabili per riversare torrenti di ridicolo e di ingiuria sulle persone e sulle idee, e neppure gli dei sfuggivano alla loro aggressività.Forse non c'è altro, come la commedia, che riflette così esattamente certe qualità dell'Atene del V sec. a.C., le sue ampie libertà, la fiducia in se stessa, la vitalità e l'esuberanza, la capacità del "demos" di ridere di se stesso; eppure Aristofane era profondamente conservatore.La commedia del IV sec. a.C. fu più tranquilla nel tono, meno pungente e aggressiva, ma anche meno immediata nel contenuto sociale e politico.È la cosiddetta Commedia nuova, che avrà come massimo esponente Menandro. Essa abbandonò le idee politiche correnti e le grandi questioni sociali, per divenire commedia di costume, rispettabile, moderata, e molto meno oscena. Si limitava a personaggi fìttizi e monotoni intrecci convenzionali: fu dunque una vera e propria commedia degli equivoci in cui la virtù trionfava sempre.Gli elementi fondamentali della commedia palliata furono l'astuzia e la fortuna: l'astuzia animava e combinava la trama dell'azione, la fortuna ne determinava lo scioglimento. La comicità fu quasi sempre costituita dal gioco combinato di imbroglioni e di imbrogliati e l'espediente risolutivo era il riconoscimento (come ad esempio Anfitrione).







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