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IL GATTOPARDO
Il romanzo, presumibilmente scritto tra il 1955 e il 1956, quindi in tempi brevi, ma a seguito di una lunga meditazione interiore, fu pubblicato nel 1958 da Feltrinelli, a cura di Giorgio Bassani. La vicenda, ambientata in Sicilia, si apre nel e racconta la storia del Principe Fabrizio Corbera di Salina e della sua famiglia. Il romanzo è in otto capitoli (o "parti", come riporta il manoscritto) e a ciascuno l'autore ha premesso una breve didascalia riassuntiva.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa cominciò a scrivere il suo romanzo
probabilmente dopo il giugno del 1955 e terminò la prima stesura alla fine del
1956. L'opera non nasceva a caso, ma era il frutto di un'esperienza che era
durata tutta una vita. Secondo la testimonianza della vedova, Lampedusa aveva
già manifestato l'intenzione di comporre qualcosa, diciotto anni prima di
iniziare la stesura del Gattopardo. I motivi che spinsero Lampedusa a rinviare
la composizione del suo romanzo furono soprattutto i fatti esterni che
condizionarono la vita dello scrittore.
Il progetto iniziale di Lampedusa era quello di narrare la giornata di un
principe siciliano nel 1860; col tempo l'idea si chiarì nella sua mente e
all'inizio della sua prima stesura del romanzo, Tomasi disse a Gioacchino
Lanza: "Saranno 24 ore della vita del mio bisnonno il giorno dello sbarco
di Garibaldi". Più tardi però si rese conto che questa organizzazione del
libro era limitativa, così decise di ripiegare sullo schema di tre tappe di 25
anni: il 1860, 1885 con la morte del Principe (che è anche la morte del
bisnonno e che nella finzione romanzesca diventerà il 1883) ed infine il 1910.
In uno dei primi mesi del 1956, Tomasi presentò ai suoi amici il primo
capitolo, ancora senza titolo, ma in una stesura quasi definitiva. A questa si
aggiunsero, una dopo l'altra fino al marzo 1957, tutte le altre parti scritte a
mano su grandi quaderni formato protocollo. E' il cosiddetto "Gattopardo
(completo)", come si legge nell'intestazione del manoscritto. Di questa
stesura si servì Bassani per confrontarla con le parti dattiloscritte, se pure
incomplete, di cui disponeva. Anche se Tomasi disse che si trattava della prima
stesura del romanzo, la vedova rivelò che in realtà una stesura antecedente a
questa esisteva e presentava rispetto a quella definitiva, alcune varianti.
Il manoscritto del 1957, nelle sua integrità, senza alcuna revisione,
mantenendo intatta anche la punteggiatura dell'autore, venne pubblicato da
Feltrinelli nel dicembre del 1969.
ROMANZO STORICO, PSICOLOGICO O AUTOBIOGRAFICO?
Si potrebbe dire che il Gattopardo è troppo introspettivo-psicologico per essere solo un romanzo storico, troppo documentato sull'epoca dei fatti per essere solo un romanzo psicologico. Nelle preziose lettere a Guido Lajolo, 616b17g Tomasi si pose il problema del proprio rapporto con il protagonista e anche quello del "genere" dell'opera.
Tempo storico e tempo esistenziale scorrano insieme all'interno del romanzo; se la componente storica non deve essere sottovalutata, tuttavia la ricostruzione delle vicende della famiglia Salina nel contesto degli anni che vanno dal 1860 al 1910 non rappresenta il fine autonomo dell'opera. Il romanzo, accentrato sulla figura del protagonista principe di Salina, col quale il narratore instaura un rapporto di "relativa" identificazione, concede poco all'oggettivismo documentario e naturalistico, mentre vi prevalgono la ricostruzione familiare e autobiografica, la ricerca psicologica, i valori simbolici.
1860: I democratici con la spedizione garibaldina in Sicilia rilanciarono con successo la via rivoluzionaria per il raggiungimento dell'unità italiana. L'occasione per la conquista garibaldina del Regno delle Due Sicilie, dove dal 1859 regnava il giovane Francesco II, si presentò in seguito al fallimento dell'insurrezione di Palermo del 4 aprile del 1860. Il moto fu infatti facilmente domato, ma l'agitazione si diffuse nelle campagne, mentre un gruppo di intellettuali di orientamento democratico, tra cui Francesco Crispi e Rosolino Pilo, chiesero a Garibaldi di intervenire militarmente in Sicilia. Ebbe così inizio la preparazione materiale della spedizione dei mille volontari garibaldini, che all'alba del 6 maggio 1860 salpò da Quarto, in Liguria, e l'11 maggio approdò a Marsala (inizio del romanzo).
Eccole nell'ordine:
CAP. I : Il rosario e la presentazione del principe - il giardino e il soldato morto - le udienze reali - la cena - in vettura per Palermo - l'andata da Mariannina - il ritorno a San Lorenzo - la conversazione con Tancredi - in Amministrazione: i feudi e i ragionamenti politici - in osservatorio con padre Pirrone - distensione al pranzo - Don Fabrizio e i contadini - Don Fabrizio e il figlio Paolo - la notizia dello sbarco e di nuovo il rosario.
CAP. II : il viaggio per Donnafugata - precedenti e svolgimento del viaggio - l'arrivo a Donnafugata - in chiesa - Don Onofrio Rotolo - la conversazione nel bagno - la fontana di Anfitride - la sorpresa prima del pranzo - il pranzo e le varie reazioni - Don Fabrizio e le stelle - la visita al monastero - ciò che si vede da una finestra.
CAP III : la partenza per la caccia - i fastidi di Don Fabrizio - la lettera di Tancredi - la caccia e il Plebiscito - Don Ciccio Tumeo inveisce - come si mangia un rospo - epiloghetto.
CAP IV : Don Fabrizio e Don Calogero - la prima visita di Angelica - l'arrivo di Tancredi e Caviraghi - l'arrivo di Angelica - il ciclone amoroso - il rilassamento dopo il ciclone - un piemontese arriva a Donnafugata - un giretto in paese - Chevalley e Don Fabrizio - la partenza all'alba.
CAP. V: L'arrivo di padre Pirrone a S. Cono - la conversazione con gli amici e l'erbario - i guai familiari di un gesuita - la risoluzione dei guai - la conversazione con "l'uomo d'onore" - Il ritorno a Palermo.
CAP VI: Andando al ballo - il ballo: ingresso di Pallavicino e dei Sedàra - il malcontento di Don Fabrizio - in biblioteca - Don Fabrizio balla con Angelica - la cena; la conversazione con Pallavicino - il ballo appassisce, si ritorna a casa.
CAP VII: La morte del principe.
CAP VIII: La visita di Monsignor Vicario - il quadro e le reliquie - la camera di Concetta - la visita di Angelica e del senatore Tassoni - il Cardinale: la fine delle reliquie - Fine di tutto.
Nel maggio 1860, dopo lo sbarco dei garibaldini in Sicilia, Don
Fabrizio, Principe di Salina, un aristocratico molto colto, dedito a studi di
astronomia, assiste con distacco e con malinconia alla fine del suo ceto. La
classe aristocratica capisce che è ormai vicina la fine della sua stessa
supremazia, infatti approfittano della nuova situazione politica gli amministratori
e i mezzadri, nuova classe sociale in ascesa. Don Fabrizio, appartenente ad una
famiglia di antica nobiltà, viene rassicurato dal nipote Tancredi, che,
combattendo nelle file garibaldine, cerca di controllare gli esiti degli eventi
volgendoli a proprio vantaggio: "Se si vuole che tutto rimanga com'è,
bisogna che tutto cambi".
Quando, come tutti gli anni, il Principe con tutta la famiglia si reca nella
residenza estiva di Donnafugata, trova come nuovo sindaco del paese Don
Calogero Sedara, un borghese di umili origini che si è arricchito ed ha fatto
carriera in campo politico: è questo il simbolo della nuova classe dirigente
che prende il posto della vecchia aristocrazia.
Tancredi, che in precedenza aveva manifestato qualche simpatia per Concetta, la
figlia maggiore del Principe, volge ora le sue attenzioni verso Angelica,
figlia di Don Calogero, che riuscirà a sposare, attratto non solo dalla sua
vistosa bellezza, ma anche dal suo notevole patrimonio.
Altrettanto significativo è l'arrivo a Donnafugata di un funzionario
piemontese, Chevalley di Monterzuolo, che offre a Don Fabrizio la nomina a
senatore del nuovo Regno. Il Principe rifiuta sentendosi legato al "mondo
vecchio" e immobile della sua Sicilia e non crede nella possibilità di un
progresso storico che porti un rinnovamento.
La sua vita continua monotona e sempre più sconsolata, fino alla morte che lo
coglie in una anonima stanza di albergo nel 1883, di ritorno da un viaggio a
Napoli, intrapreso per sottoporsi a visite mediche .
Nella sua casa resteranno, povere custodi di inutili memorie, le tre figlie
nubili, inasprite da un'esistenza chiusa e solitaria; il romanzo si conclude
nel 1910.
METELLO
Il Metello (1955) si pone
all'apice dello sviluppo dei temi pratoliniani e ne rappresenta il momento
narrativamente risolutivo in chiave realistica. Il romanzo, che vuol essere in
modo autonomo la prima parte di una trilogia, Una storia italiana, sul periodo
che va dal 1875 al 1945, narra le vicende umane, amorose, politiche di un
muratore fiorentino socialista che vanno dal 1875 al 1902, tessendo l'epopea di
un famoso sciopero di edili che piegò la durezza degli industriali con la
vittoria degli operai.
Metello Salani, rimasto orfano ancora in fasce, viene allevato da una famiglia
di contadini. Ancora giovanissimo, si trasferisce a Firenze dalla campagna in
cerca di lavoro.
Ovviamente della città egli non sa niente e, per interna vitalità e per
destino, appena gli mettono la prima cassa sulle spalle, prima ancora di
diventare operaio, è socialista istintivamente. Qui incontrerà alcuni amici del
padre che era morto annegato nell'Arno mentre lavorava come renaiolo. Su di lui
trovatello fuggito dalla campagna, come in una tabula rasa di ogni esperienza
collettiva, fiorisce la pianta del socialismo, quello più naturale e istintivo.
L'unica scuola gli viene offerta dalle difficoltà della vita che deve
affrontare e dai contatti con i compagni di lavoro. In un primo tempo lavora
come manovale in un cantiere, poi come muratore prende coscienza della propria
condizione di operaio sfruttato dal padrone, l'ingegner Badolati, che è un
brav'uomo e anche lui lavoratore insieme agli operai.
Sarà la situazione stessa che si è venuta a creare per l'aumento del costo
della vita che lo farà avvicinare al socialismo di fine Ottocento, assai vicino
all'anarchismo.
Il racconto indugia molto sulla formazione di Metello; prima è l'influenza dei
compagni anziani, poi è l'esperienza del carcere ove ha stretto amicizia con
compagni socialisti, poi è anche l'esperienza sentimentale e amorosa, prima con
la vedova-maestra, poi con Ersilia, la ragazza orfana di un anarchico morto sul
lavoro, che egli sposerà con piena coscienza sentimentale e politica, dato che
ella rinuncerà a sposare il suo padrone, per solidarizzare con lui durante
l'arresto a causa di uno sciopero. Sentimento amoroso quello di Ersilia che è
anche coscienza politica di classe, e come tale diventa, in Metello, la molla
istintiva della sua solidarietà con gli altri compagni. Era la morale sociale
che si desumeva dalle parole dell'ex partigiano Faliero in Un eroe del nostro
tempo.
La seconda parte del romanzo narra di un estenuante sciopero dei muratori nel
1902, in cui Metello è impegnato insieme ai suoi compagni in una dura lotta per
il trionfo delle proposte della Camera del Lavoro illustrate da Del Buono.
Egli ha giurato con gli altri compagni di non cedere per nessuna ragione; anzi
è uno dei responsabili del suo cantiere. Viene distratto per un po' dalla sua
relazione amorosa con la bella Idina, ma poi ben presto in lui subentra la
piena consapevolezza del proprio dovere, ed egli sostiene fino in fondo lo
sciopero, affrontando con forza coloro che volevano disertare, affrontando
anche il padrone con fierezza e dignità. In conseguenza dello sciopero
vittorioso, viene arrestato e dopo un periodo di detenzione in carcere
finalmente esce e trova ad aspettarlo la sua Ersilia, sempre affettuosa e
fedele "col bambino in braccio e i capelli ben pettinati, uno scialle rosa
sulle spalle".
LE TERRE DEL SACRAMENTO
Le terre del Sacramento
prendono titolo dal nome di un antico feudo posto al centro della complessa
vicenda con la sua antichissima storia che è poi la storia della gente che
visse e vive tra la gramigna e le sue macchie. L'autore ha raccontato questa
storia nei suoi aspetti recenti, ma vi ha riconosciuti i segni di un dramma
secolare; ha tentato una trasposizione nel tempo senza salti di cronologia, ma
cercando gli echi perduti di un discorso remoto.
Il romanzo si svolge nell'Italia meridionale in un villaggio e in una cittadina
situati ai margini dell'Appennino; ma i suoi personaggi emigrano verso le
grandi città e oltre l'Oceano, come accade sempre agli abitanti della provincia
del Sud. Migrazioni per miseria o per superare l'angustia fisica
dell'orizzonte.
Le terre del Sacramento hanno venti o trenta personaggi di primo piano, decine
di personaggi visti di scorcio e movimenti di folle contadine e di città. Il
libro è tutto mosso, narrato senza concessioni, sia pur minime, ad abbandoni
descrittivi o lirici.
Le terre del Sacramento sono un feudo molisano, il protagonista che appare e
dispare nel romanzo; l'avvocato Cannavale, detto "capra del diavolo",
ne è il proprietario, apatico nervoso, smemorato, disordinato; attorno a lui
tutta una progenie di piccoli parassiti e di sfruttatori. Alla fine una cugina,
Laura de Martiis, diventata la sua sposa, prende le redini dell'amministrazione
e servendosi di tutti i mezzi riconduce le terre alla piú rigorosa ed esclusiva
proprietà. Si serve anche dell'aiuto di un giovane, Luca Marano, ex
seminarista, guadagnato alle idee socialistiche, che si giova del suo
prestigio, per far lavorare i contadini in quella sassaia e legnaia a cui è
ridotto il feudo. Le terre saranno di chi le ha lavorate; ma sopravviene un
torbido movimento, che fu poi nominato il fascismo, e Luca Marano non ha tempo
di scoprire l'inganno in cui è rimasto avvolto e cade, impallinato come fosse
una lepre, in un conflitto con i carabinieri e le camicie nere.
Laura Cannavale, innocente e tenace restauratrice dei diritti della proprietà
feudale, parte, dimenticando tutte le sue promesse, e si reca a San Remo, con
piena tranquillità d'animo.
Questo lo schema del romanzo, ma l'arte dello scrittore ha condotto il racconto
in modo che non se ne intravede mai il fatale epilogo.
Lo scrittore si lascia sapientemente distrarre da molti quadri della vita di
provincia che però, sottilmente legati tra loro perché necessari e
indispensabili , conducono ad un epilogo compreso nella logica di quei quadri.
Proprio per la sapienza dell'artista nessuna parte del racconto è condotta con
la manifesta preoccupazione di arrivare a quella catastrofe, che poi via via si
viene determinando.
La vicenda inizia durante le prime luci dell'alba, quando scoppia un incendio in casa Trao, dove vivono Don Ferdinando, don Diego e la sorella Bianca,un tempo ricchi, ma ora ridotti in miseria, scoppia un incendio, dove accorre tutto il paese. Nel parapiglia generale, i due fratelli cercano Bianca, mentre mastro don Gesualdo tenta di convincere la gente a spegnere il fuoco, preoccupato che si possa estendere fino a casa sua. Bianca viene scoperta dal fratello con un uomo, Don Ninì, figlio della baronessa Rubiera, una loro parente ricca.
Il giorno seguente, Don Diego si reca dalla Baronessa che si dichiara pronta ad aiutarli, anche se senza troppa convinzione, e, quando viene sapere della relazione del figlio con Bianca, si arrabbia molto ma fa intendere che non ha intenzione di farli sposare. Oltretutto, Don Ninì deve sposare Donna Fifì, una ragazza ricca e superba.
Durante un ricevimento, i parenti dei Trao discutono sull'eventualità di far sposare Bianca con Mastro Don Gesualdo.
Pensano che permettere a Don Gesualdo di imparentarsi con loro sia un disonore, ma d'altronde per Bianca non ci sono molte altre possibilità, in quanto senza dote e disonorata, e pensano che sia la soluzione migliore.
Don Gesualdo non sa se sposare Bianca o meno. Si reca a controllare i muratori che aveva lasciato sotto la sorveglianza del fratello Santo e si arrabbia con lui, perché non si impegna affatto nel lavoro. Parla con Diodata, sua serva fedele ed innamorata, le chiede scherzando se ha qualcuno che la corteggia. Infine le dice dell'opportunità di imparentarsi con i Trao e la ragazza si rattrista.
Accade un incidente: il crollo di un ponte e tutti se la prendono con Mastro Don Gesualdo
Don Luca cerca di convincere Bianca a sposarsi con Don Gesualdo. Infine la ragazza accetta solo per salvare l'onore macchiato dalla sua storia con il cugino.
Mastro don Gesualdo e Bianca si sposano, benché non abbiano la benedizione dei fratelli di lei.
Parte II
Nel paese si mettono all'asta le terre comunali, e Mastro Don Gesualdo le compra. Ciolla vuole scatenare una sommossa contro di lui.
Inizia la rivolta per protestare; nel paese si pensa che non sia giusto che le terre comunali vadano tutte a Don Gesualdo
Don Diego, il fratello di Bianca, si ammala e muore. Bianca, incinta da vari mesi, sviene per il dolore, e viene chiamato un medico.
Mastro Titta, il parrucchiere delle attrici, consegna a donna Fifì una lettera lasciva di Don Ninì indirizzata ad una commediante.
Bianca partorisce una bambina che assomiglia incredibilmente a Ninì Rubiera.
Donna Fifì dice a Don Ninì della lettera e lo lascia. Si crea un gran trambusto a teatro, ma l'attrice dichiara di non conoscere e di non voler conoscere Antonio Rubiera, ma dopo vari regali di Ninì, che si indebita per comprarli, decide di incontrarlo.
La baronessa Rubiera scopre della storia tra Ninì e l'attrice e degli sperperi fatti dal figlio e per la rabbia si ammala e diventa muta.
Isabella, la figlia di Bianca e di Mastro Don Gesualdo, ma in realtà concepita da Don Ninì, viene mandata in collegio per volere di Gesualdo, anche se Bianca era contraria. Isabella si rifiuta di farsi chiamare Motta, perché è una Trao e prova una forte ostilità verso il padre.
Scoppia un'epidemia di colera a Palermo e Isabella viene mandata a casa.
La famiglia di Mastro don Gesualdo si trasferisce in campagna per scampare al colera. Bianca sta male.
Isabella conosce un giovane poeta, Corrado la Gurna, di cui si innamora.
Si presenta Nanni l'orbo, sposato con Diodata, con i figli della moglie e di Mastro Don Gesualdo, che hanno chiamato Nunzio e Gesualdo, chiedendo delle terre. Di malavoglia, Don Gesualdo gliele concede.
Mastro Don Gesualdo torna in paese, perché il padre Nunzio sta male. Nunzio muore, Nanni l'orbo si ripresenta con i figli illegittimi di don Gesualdo e chiede delle altre terre.
I fratelli di Gesualdo si spartiscono l'eredità.
Mastro Don Gesualdo fa arrestare Corrado, lo vede come una minaccia per la figlia, che manda momentaneamente in monastero.
Decide di far sposare a Isabella il Duca di Leya; la ragazza non vuole ma infine cede al volere del padre e si trasferisce nel palazzo del Duca a Palermo.
Parte IV
Capitolo 1
Isabella minaccia di suicidarsi perché è infelice con il Duca, uomo spietato non innamorato di lei e che ha sperperato la dote.
Bianca sta per morire e vorrebbe vedere la figlia, anch'essa cagionevole di salute.
Mastro don Gesualdo viene abbandonato anche dai servi.
Bianca fa promettere al marito di non risposarsi e muore.
Mastro Don Gesualdo rimane solo e sofferente, torturato da atroci dolori di stomaco.
Gesualdo si fa ospitare dal marchese Limoli, ma poi si trasferisce da Don Ferdinando.
Il genero, che lo disprezza ma vuole a tutti i costi accaparrarsi l'eredità, lo costringe a trasferirirsi anche lui a Palermo.
Mastro don Gesualdo sta per morire. Vorrebbe fare testamento per lasciare una parte dell'eredità ai figli illegittimi, ma dato che legalmente Isabella è l'unica erede, le chiede di fare una donazione. Muore assistito solo da un servitore, che ritiene questo compito indegno persino per lui.
Nel racconto i personaggi sono davvero numerosissimi, alcuni dei quali presentati dettagliatamente, altri guardati solamente di sfuggita.
"Mastro Don Gesualdo" è diviso in quattro parti ed ha come centro Vizzini nella Sicilia borbonica degli anni venti prima dell'unità d'Italia. Il racconto inizia all'alba del giorno di San Giovanni, santo patrono di Vizzini, quando le campane svegliano gli abitanti del paesello per accorrere al palazzo dei Trao, in fiamme. Tutto il Paese accorre per spegnere l'incendio e anche per spettegolare sui Trao, ma in quel trambusto don Diego scopre la sorella Bianca in camera con il cugino Ninì, se si venisse a sapere sarebbe uno scandalo, ma il fatto passa Inosservato tra i paesani intenti a spegnere il fuoco capitanati dall'operoso Gesualdo che fa quanto gli è possibile per evitare che succeda qualcosa alla sua roba. Il giorno successivo don Diego si reca dalla cugina Rubiera, madre di Ninì, chiedendo un matrimonio riparatore tra i due, ma la ricca e operosa cugina va su tutte le furie, suo figlio dovrà mettere la testa e sposare una donna ricca e d'alto rango, in quanto a Bianca non sarà difficile trovarle un11 gennaio 2000 marito adeguato. E così grazie all'aiuto del canonico Lupi, gia compagno d'affari meno santi con la baronessa si decide di maritare Ninì con Fifì Margarone e Bianca con don Gesualdo. Il primo matrimonio non andrà in porto, mentre il secondo si, anche se Bianca accetta di sposare Gesualdo solo per riparare al danno commesso con Ninì. Ma Gesualdo è un brav'uomo, sempre pronto con i suoi soldi ad aiutare perenti ed amici, e pensa che Bianca, anche senza dote è pur sempre una nobile: lei metterà il nome e lui la ricchezza. Infatti quando nascerà una figlia prematura (frutto infatti degli amori prematrimoniali di Bianca), verrà chiamata Trao Motta Isabella. Il padre vuole che lei sia una vera signora, e la manda in collegio, ma lei lo delude innamorandosi con un cugino poeta e spiantato: Corrado La Gurna. La relazione è duramente ostacolata da Gesualdo che così facendo si fa odiare anche dalla figlia che però poi finisce per cedere, accondiscendendo al padre e accettando di sposare, con l'aiuto del marchese Limolì un attempato nobile, Alvaro Filippo Maria Gargantas de Leyra, andando a vivere nella sua casa. Con la partenza di Isabella iniziano i guai di don Gesualdo: infatti il genero non fa altro che attingere alle sue casse, parenti, amici e vicini si accaniscono contro di lui infangando il suo nome e le sue ricchezze e Bianca muore consumata dalla tisi e dal dolore della lontananza della figlia. Gesualdo rimane solo, tormentato dai dolori allo stomaco causatigli dal cancro e anche i più quotati medici non sanno che fare per lui. A questo il genero che lo detesta con tutto il cuore decide di trascinarlo nella sua casa di Palermo per guadagnarne l'eredità e promettendogli le cure dei migliori medici. Non c'è però nessuna speranza per il vecchio leone che morirà roso dal cancro in una casa non sua Trascorrendo le ultime ore della vita in compagnia solo di un servo che lo sbeffeggerà. Nemmeno dopo la sua morte qualcuno avrà delle belle parole da destinargli.
"Mastro Don Gesualdo" è un libro difficile e pieno di messaggi, rispecchia la vita dei borghesi dell'epoca al confronto con i nobili, l'arroccata e rapace nobiltà, con i trasandati Trao Verga vuole forse mandare un massaggio alla nobiltà stupida e zuccona, la nobiltà che vuole vivere solo di rendita, che non scende a compromessi anche a costo d'andare in rovina, mai disposta a mollare né a rimboccarsi le maniche e a lavorare a fianco dei "plebei", in questo caso l'unica eccezione sta per la Baronessa di Rubiera, indaffarata anch'essa nel lavoro dei suoi campi e nella vendita del suo grano. Gli eroi del Verga sono infatti i poveri e gli umili e se qualcuno come Gesualdo tenta di invertire le regole si troverà tutti contro, dai parenti agli amici, dai vicini a persino i famigliari; attorno al cadavere del Mastro, infatti si svolge il chiacchiericcio persino dei servi, cosa che in una normale circostanza non si sarebbero mai permessi di fare.
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