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La data del 25 aprile rappresenta un giorno fondamentale per la storia della giovane repubblica italiana. E' l'anniversario della rivolta armata partigiana e popolare contro le truppe di occupazione naziste tedesche e contro i loro fiancheggiatori fascisti della Repubblica Sociale Italiana.
Il 25 aprile 1945 segna il culmine del risveglio della coscienza nazionale e civile italiana impegnata nella riscossa contro gli invasori e come momento di riscatto morale di una importante parte della popolazione italiana dopo il ventennio di dittatura fascista.
Alla liberazione dell'Italia dalla dittatura si poté arrivare grazie al sacrificio di tanti giovani ragazzi e ragazze che, pur appartenendo ad un ampio ed eterogeneo schieramento politico (dai comunisti ai militari monarchici, passando per i gruppi cattolici, socialisti ed azionisti), si chiamavano con un solo nome: partigiani; combatterono al fianco di molti soldati provenienti da paesi diversi e lontani (dagli Stati Uniti all'Australia, senza dimenticare Inglesi e Francesi), ma tutti accolti come alleati. La stessa storia dell'Italia repubblicana fonda interamente le proprie basi nell'esperienza dell'antifascismo che Piero Calamandrei definì "quel monumento che si chiama ora e sempre Resistenza", elemento base di una nuova religione civile della nascitura giovane democrazia repubblicana. Si è parlato più volte e da più parti della Resistenza come di "un secondo Risorgimento i cui protagonisti furono le masse popolari" (S. Pertini).
Non è intenzione di chi scrive fornire una ricostruzione storica dei fatti e dei protagonisti, ma semplicemente sfatare una teoria storiografica revisionista che, negli ultimi anni, è molto di moda: la Resistenza come "guerra civile".
Benché
la Resistenza non sia stato un fatto coinvolgente la maggioranza degli
italiani, ma solo quella relativa degli abitanti delle aree
centro-settentrionali, essa non è stata affatto una guerra di italiani contro
italiani, come, in Spagna nel 1936, si era avuto uno scontro di spagnoli contro
spagnoli.
Infatti vi fu lo scontro tra soldati e combattenti italiani contro gli
invasori tedeschi ed i collaboratori repubblichini, i primi, nel rispetto della
pluralità politica, combattevano in nome della democrazia liberale o socialista
che fosse, i secondi combattevano a fianco delle SS hitleriane
sostenitrici della necessità di conquistare uno "spazio vitale" per la
Germania nazista. Chi scrive non vuole
assolutamente cadere nella retorica resistenziale, ma è fortemente concorde col
fatto che la Resistenza fu un momento edificante in cui si affrontarono i
sostenitori della libertà, della democrazia e della giustizia sociale contro
gli adulatori della tirannide di cui furono essi stessi le prime vittime,
se di "guerra civile" si vuole parlare la si deve intendere come "per la
civiltà" (Dante Livio Bianco), come "una guerra politica, popolare ...
.Una guerra democratica, in duplice senso, in quanto democratico è il suo
metodo ed è democratico il suo ultimo, l'abbattimento di una dittatura e
l'instaurazione di un regime fondato sulla partecipazione popolare al potere"
(Norberto Bobbio, ora in D. L. Bianco, Guerra partigiana, Einaudi, Torino
1973, p. VIII).
Con ciò non si vuole fare un discorso relativo alle singole persone che combatterono su entrambi i fronti in buona fede che vanno sempre e comunque rispettate, se non altro per i dolori e le sofferenze che furono costretti a subire. Premesso tale rispetto per tutti i morti mi sembra lecito oppormi a quanto proposto da più parti (politiche e non) di trasformare il 25 aprile nel giorno della pacificazione nazionale per ricordare i morti: i morti, tutti i morti, si commemorano il 2 novembre e la questione della pacificazione nazionale è già stata risolta, in chiave politica dall'amnistia promossa dall'allora Guardasigilli Palmiro Togliatti e, in chiave storiografica e letteraria da uno dei capi del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, il compianto senatore Leo Valiani, che, nel pubblicare il suo diario del periodo clandestino, nella dedica iniziale scrive "A Duccio Galimberti, per tutti i caduti,/ della nostra parte e dell'altra", volendo così separare gli aspetti personali ed umani ( e umanitari?) della questione da quelli politici e storici. Ciò che più rammarica è che la Resistenza, lungi dall'essere un momento corale di unità popolare e nazionale, sia divenuta "la resistenza incompiuta o interrotta destinata, come tutti i conati, a indicare una meta ideale più che non a prescrivere un risultato"(Norberto Bobbio, ora in D. L. Bianco, Guerra partigiana, op. cit., p. XI).
La Resistenza doveva divenire il "mito fondatore" su cui basare la Repubblica democratica scaturita dalle scelte dell'Assemblea costituente figlia della stessa esperienza partigiana, purtroppo ciò non è avvenuto completamente, ma quei valori di uguaglianza, democrazia e giustizia sociale, contenuti nella Prima Parte della nostra Costituzione sono sempre validi, attuabili ed a essi ogni democratico deve fare riferimento nella propria azione quotidiana. 636i84g
LA REPUBBLICA
La Repubblica italiana nasce dal libero e democratico voto del popolo il 2 giugno 1946. Insieme alla scelta relativa alla nuova forma di governo da dare al Paese il corpo elettorale fu chiamato a votare per l'elezione di un'Assemblea Costituente il cui compito fu la stesura e l'approvazione di una nuova Costituzione che vide la confluenza delle principali forze e delle maggiori idee dell'antifascismo e della cultura democratica laica, cattolica e marxista. Questa prima fase della storia repubblicana fu caratterizzata dalla collaborazione al governo dei maggiori partiti politici di massa (DC, PSI, PCI) e dei partiti laici minori. Fu compito di questa generazione politica traghettare sulle sicure rive della democrazia e della libertà un Paese in cui erano ancora bene evidenti i segni della dittatura fascista ed i danni della guerra. Per dirla con le parole dell'illustre giurista Piero Calamandrei, La Repubblica italiana fu un "patto fra uomini liberi e forti" e la Costituzione divenne la più nobile ed alta espressione dei valori democratici ed antifascisti e del rifiuto fermo e perpetuo della violenza e della prevaricazione delle libertà civili e politiche che avevano caratterizzato tutto il ventennio mussoliniano. Fu la Resistenza partigiana antifascista a riscattare l'onore e la dignità del nostro Paese aprendo una nuova e più proficua era di Pace e di sviluppo. La classe politica dell'immediato dopoguerra aveva, però, ben chiaro in testa che le prime vittime del fascismo erano stai tutti coloro (soprattutto le donne) che in buona fede e senza macchiarsi di gravi colpe, avevano appoggiato Mussolini: in quest'ottica va vista la famosa amnistia voluta dal Guardasigilli Palmiro Togliatti (PCI) attraverso la quale si imboccava la via della concordia nazionale e della pacificazione che non venne mai meno neanche negli anni successivi all'esclusione delle sinistre socialcomuniste dal governo (1947) ed all'inizio della lunga egemonia democristiana nella guida del Paese (1948). Gli anni del centrismo degasperiano, grazie all'opera ed alla figura dello statista democristiano, posero le basi, grazie al lavoro ed al sacrificio del popolo italiano, del futuro progresso civile ed economico dell'Italia repubblicana. Proprio in quegli anni l'Italia è fra le protagoniste dell'avvio di quel processo di unificazione europeo, di carattere economico e politico, di cui oggi stiamo raccogliendo i frutti (EURO ed Unione Europea).
Un momento molto importante della vita politica e sociale italiana lo si ebbe negli anni '60 quando, accanto al boom economico che caratterizzò quel decennio, nacque, grazie a Fanfani, Moro e Nenni, una nuova formula di governo: il centro-sinistra, ossia la collaborazione al vertice della guida del Paese tra la DC ed il Partito Socialista che avrebbe dovuto portare alla realizzazione di riforme strutturali del sistema Italia, ma le più innovative ed incisive furono abbandonate a seguito delle pressioni degli ambienti più reazionari del Paese che minacciarono di ricorrere anche a forme estreme come il colpo di stato (il famoso "rumor di sciabole" di cui parla l'on. Nenni nei suoi diari).
Un'altra opportunità di rinnovamento e di modernizzazione del Paese la si ebbe a metà degli anni '70 quando, dopo la bufera del '68 studentesco, dell'autunno caldo operaio e le lotte per il divorzio, era ormai all'orizzonte l'incontro tra i due massimi partiti popolari di massa, la DC di Moro ed il PCI di Berlinguer. Fu la grande occasione del Compromesso storico, ossia la formazione di governi che prevedevano la partecipazione di personalità appartenenti a tutti i partiti democratici per una modernizzazione ed uno sviluppo sostenibile del Paese in un decennio caratterizzato dalla crisi economica e dalla violenza del terrorismo (nero o rosso che fosse). Il rapimento e l'omicidio dell'on. Moro misero fine a questo tentativo innovativo ed aprirono le porte ad un decennio, gli anni '80, in cui si è svolta una lotta aspra tra due Italie: l'una, quella di Sandro Pertini, Enrico Berlinguer e Giovanni Spadolini, sottolineava l'importanza decisiva della "questione morale", metteva in guardia contro la degenerazione del sistema politico e denunciava le trame occulte come la P2. L'altra, quella dei nani e delle ballerine, assecondava il rampantismo dilagante, cementificava tutto il cementificabile dimenticando l'insegnamento di Andrè Malraux secondo cui "Non si fa politica con la morale, ma non la si fa meglio senza".
La Costituzione del 1948 cominciava a segnare, solo per quanto riguarda la parte tecnica-ingegneristica, il passo, ma ogni tentativo di riforma fallì poiché boicottati e bloccati dai veti da chi vedeva messa in discussione la propria egemonia o il proprio potere di ricatto e di interferenza: la Grande Riforma sognata e declamata dal pentapartito degli anni '80 divenne il Grande Alibi per non fare alcuna riforma e lasciare incancrenire la situazione per più di un decennio.
Sono
stati molto più efficaci i referendum elettorali dei primi anni '90 che hanno
intaccato alla base le personali posizioni di una parte della fauna politica
del nostro Paese ormai sclerotizzata.
L'azione della magistratura (lotta alla corruzione ed alla criminalità
organizzata) dei primi anni '90 ha avuto il grande merito, nonostante limiti ed
errori, di aver permesso la ripresa di un processo di risanamento morale della
vita pubblica italiana che, però, è ancora lontano dall'essere risolto.
Questo risanamento morale si è accompagnato con il processo di risanamento economico avviato dal governo del socialista Giuliano Amato (1992), proseguito dai successivi cosiddetti governi tecnici di Carlo Azeglio Ciampi e di Lamberto Dini e portati a termine dai governi di centrosinistra presieduti da Romano Prodi e da Massimo D'Alema. L'opera di questi Governi ha permesso all'Italia di entrare da subito nella moneta unica europea (EURO) e di essere protagonista (la Presidenza della Commissione europea a Romano Prodi ne è un segno tangibile) del processo di unificazione politica del Vecchio Continente per realizzare una vasta area geopolitica aperta a tutte quelle nazioni che ne condividano i primari obiettivi di pace e di sviluppo.
di LUCA MOLINARI
Costituzione italiana del 1947
Il bozzetto del nuovo emblema della Repubblica Italiana scelto dalla Costituente fra 197 bozzetti. L'opera è del pittore Paolo Paschetto. Il Presidente del Consiglio dei ministri convalida, il 28 dicembre si staglia nella nuova Costituzione.
LA COSTITUZIONE ITALIANA
16 SETTEMBRE 1947 - Roma - "Terminata la seduta pubblica, l'assemblea Costituente si
è riunita in Comitato segreto. Discussione per decidere l'indennità
parlamentare e quella di presenza. E' stata fissata in lire 45.000 mensili per
ogni onorevole, e in lire
22 DICEMBRE 1947 - L'APPROVAZIONE FINALE DELLA CARTA COSTITUZIONALE - Comunica l'Agenzia Ansa alle ore 19,30. "Alle ore 17,15 si aperta la seduta a Montecitorio con le tribune affollate fino all'inverosimile. Prende la parola l'on. Ruini che ha presieduto la commissione dei settantacinque incaricati di elaborare il testo della Costituzione: li ha innanzitutto ringraziati per l'altissimo contributo dato alla loro opera, e ha poi consegnato al presidente il testo definitivo della Carta Costituzionale, aggiungendo che durerà a lungo, anche se incompleta e difettosa, poichè sono state lasciate aperte le vie alle eventuali rettifiche. Ma è una Costituzione all'avanguardia, specie in alcuni capitoli, su tutte le altre. Opera democratica e opera collettiva, esprime dalle correnti diverse la fede nell'avvenire della repubblica italiana. "Ho l'onore di consegnarla a lei signor presidente". Il Presidente comunica quindi che la votazione a scrutinio segreto avverrà su chiamata nominale dei singoli deputati per ordine alfabetico. E dà il via alla votazione stessa. Alle 18.30 il presidente dichiara chiusa la votazione e si procede al conteggio. Presenti votanti 515; maggioranza 258; hanno votato "sì" 453; votato "no" 62. Il presidente proclama solennemente: "L'assemblea approva la costituzione della Repubblica Italiana".
27 DICEMBRE 1947 - Presentata il 23 corrente, è avvenuta oggi a palazzo Giustiniani, la firma dell'atto di promulgazione della nuova Carta Costituzionale della Repubblica Italiana. Il testo sarà pubblicato domani 28 dicembre in un numero speciale della "Gazzetta Ufficiale" ed entrerà in vigore il 1° gennaio 1948. (Ag. Ansa, 27 dicembre 1947, ore 18.40).
Art.1 L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art.2 La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art.3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art.4 La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Art.5 La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.
Art.6 La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.
Art.7 Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.
Art.8 Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
Art.9 La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Art.10 L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici.
Art.11 L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Art.12 La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.
Riforma costituzionale 2005 (Ddl Senato 23.3.2005)
Cambia la Costituzione. Il voto finale sul provvedimento è
avvenuto il 23 marzo a palazzo Madama tra le proteste dell'Unione che ha
abbandonato l'Aula del Senato. Il voto rappresenta la conclusione della prima
deliberazione del Parlamento: a partire da questo voto del Senato dovranno
passare almeno tre mesi per la seconda e definitiva ratifica (la Camera, avendo
approvato a ottobre, potrebbe varare il provvedimento per la seconda volta già
domani). Le novità più significative riguardano il premier: il nuovo sistema
prevede, di fatto, una forma di elezione diretta del presidente del consiglio,
che avrà il potere di nominare e revocare i suoi ministri e di sciogliere la
Camera. Nasce poi il Senato Federale, sparisce il bicameralismo perfetto,
mentre con la devolution le regioni potranno approvare leggi propri su nuove
materie. Perchè la riforma diventi legge in via definitiva, però, dovrà
trascorrere altro tempo: trattandosi di un disegno di legge costituzionale è
infatti prevista una doppia lettura, a distanza di tre mesi dal primo passaggio
parlamentare, su un testo che non deve essere modificato. Ora il testo torna
alla Camera, ma in ogni caso per la seconda deliberazione da parte del Senato
occorrerà attendere la fine di giugno. Inoltre la riforma stessa prevede che
solo una parte entri in vigore subito dopo l'eventuale referendum confermativo,
che invece non può essere chiesto se la legge è stata approvata nella seconda
votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi
componenti. Si tratta delle norme su eleggibilità e immunità dei parlamentari,
età per il Quirinale, Authority (che entrano così in Costituzione),federalismo,
interesse nazionale. Una seconda parte andrà in vigore solo a partire dal 2011:
Senato federale, iter delle leggi, nuovi poteri del presidente della
Repubblica, premierato. Un'ultima parte della riforma andrà in vigore nel 2016,
ossia 5 anni dopo l'elezione del primo Senato Federale: riduzione dei
parlamentari, età per essere eletti alla Camera, contestualità tra elezione del
Senato federale e dei consigli regionali. Ecco, in sintesi, le principali
novità della legge. PARLAMENTO: È composto dalla Camera dei deputati e dal
Senato federale. I senatori saranno eletti in ciascuna regione contestualmente
ai rispettivi consigli. Ogni regione dovrà eleggere almeno sei senatori (ma a
Molise e Val d'Aosta ne spettano rispettivamente due e uno). Ai lavori del
Senato partecipano, ma senza poter votare, rappresentanti delle regioni e delle
autonomie locali. RIDUZIONE DEL NUMERO DEI PARLAMENTARI. I deputati scendono da
Esempio di modifiche
Ddl Senato 2544-B- Modifiche alla Parte II della Costituzione (2544-B)
Capo I
MODIFICHE AL TITOLO I DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE
Articolo 1.
(Senato federale della Repubblica)
1. All'articolo 55 della Costituzione, il primo comma è sostituito dal seguente:
"Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato federale della Repubblica".
Articolo 2.
(Camera dei deputati)
1. L'articolo 56 della Costituzione è sostituito dal seguente:
"Articolo 56. - La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto.
La Camera dei deputati è composta da cinquecentodiciotto deputati elettivi, diciotto dei quali eletti nella circoscrizione Estero, e dai deputati a vita di cui all'articolo 59.
Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i ventuno anni di età.
La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione, per cinquecento e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti".
Articolo 3.
(Struttura del Senato federale della Repubblica)
1. L'articolo 57 della Costituzione è sostituito dal seguente:
"Articolo 57. - Il Senato federale della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto su base regionale.
Il Senato federale della Repubblica è composto da duecentocinquantadue senatori eletti in ciascuna Regione contestualmente all'elezione del rispettivo Consiglio regionale o Assemblea regionale e, per la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, dei Consigli delle Province autonome.
L'elezione del Senato federale della Repubblica è disciplinata con legge dello Stato, che garantisce la rappresentanza territoriale da parte dei senatori.
Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sei; il Molise ne ha due, la Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste uno.
La ripartizione dei seggi tra le Regioni, previa applicazione delle disposizioni del quarto comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall'ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
Partecipano all'attività del Senato federale della Repubblica, senza diritto di voto, secondo le modalità previste dal suo regolamento, rappresentanti delle Regioni e delle autonomie locali. All'inizio di ogni legislatura regionale, ciascun Consiglio o Assemblea regionale elegge un rappresentante tra i propri componenti e ciascun Consiglio delle autonomie locali elegge un rappresentante tra i sindaci e i presidenti di Provincia o di Città metropolitana della Regione. Per la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol i Consigli delle Province autonome e i rispettivi Consigli delle autonomie locali eleggono ciascuno un proprio rappresentante".
Capo II
MODIFICHE AL TITOLO II DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE
Articolo 22.
(Elezione del Presidente della Repubblica)
1. L'articolo 83 della Costituzione è sostituito dal seguente:
"Articolo 83. - Il Presidente della Repubblica è eletto dall'Assemblea della Repubblica, presieduta dal Presidente della Camera dei deputati, costituita dai componenti delle due Camere, dai Presidenti delle Giunte delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano e dai delegati eletti dal Consiglio o dall'Assemblea regionale. Ciascun Consiglio o Assemblea regionale elegge due delegati. Per il Trentino-Alto Adige/Südtirol ciascun Consiglio provinciale elegge un delegato. La Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste ha un solo delegato. Ciascun Consiglio o Assemblea regionale elegge altresì un numero ulteriore di delegati in ragione di un delegato per ogni milione di abitanti nella Regione. L'elezione di tutti i delegati avviene in modo che sia assicurata comunque la rappresentanza delle minoranze.
Il Presidente della Repubblica è eletto a scrutinio segreto con la maggioranza dei due terzi dei componenti l'Assemblea della Repubblica. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei componenti. Dopo il quinto scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta dei componenti".
Articolo 23.
(Età minima del Presidente della Repubblica)
1. All'articolo 84, primo comma, della Costituzione, le parole: "cinquanta anni" sono sostituite dalle seguenti: "quaranta anni".
Capo III
MODIFICHE AL TITOLO III DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE
Articolo 30.
(Governo e Primo ministro)
1. L'articolo 92 della Costituzione è sostituito dal seguente:
"Articolo 92. - Il Governo della Repubblica è composto dal Primo ministro e dai ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.
La candidatura alla carica di Primo ministro avviene mediante collegamento con i candidati ovvero con una o più liste di candidati all'elezione della Camera dei deputati, secondo modalità stabilite dalla legge. La legge disciplina l'elezione dei deputati in modo da favorire la formazione di una maggioranza, collegata al candidato alla carica di Primo ministro.
Il Presidente della Repubblica, sulla base dei risultati delle elezioni della Camera dei deputati, nomina il Primo ministro.
Articolo 33.
(Poteri del Primo ministro e dei ministri)
1. L'articolo 95 della Costituzione è sostituito dal seguente:
"Articolo 95. - I ministri sono nominati e revocati dal Primo ministro.
Il Primo ministro determina la politica generale del Governo e ne è responsabile. Garantisce l'unità di indirizzo politico e amministrativo, dirigendo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri.
I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri e individualmente degli atti dei loro dicasteri.
La legge provvede all'ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l'organizzazione dei ministeri".
Opinioni (DESTRA)
Il 23 marzo 2005 il Senato ha approvato in prima lettura il disegno di legge di riforma costituzionale che innova profondamente l'architettura dello Stato. Cambiano i rapporti tra Governo e Parlamento e tra Stato e Regioni, finisce il bicameralismo perfetto. Ad opera del più lungo governo della storia della Repubblica avviene una svolta storica che ha lo scopo di rendere più efficiente l'organizzazione dello Stato e più stabili i Governi. Per diventare legge il provvedimento deve essere nuovamente approvato dalle due Camere e sottoposto a referendum confermativo.
Di fronte alla riforma federale, la sinistra diffonde cifre allarmanti sull'aumento della spesa determinato dal federalismo, sostiene che aumenteranno le tasse a livello locale, afferma che l'Italia si spaccherà tra regioni più ricche e regioni meno ricche.
La sinistra ha scelto di rinunciare a un dibattito serio e costruttivo in vista dell'interesse nazionale: ciò nonostante governo e maggioranza hanno accolto molte delle osservazioni formulate dall'opposizione, la maggior parte delle quali erano peraltro state proposte anche da alcuni settori del centrodestra.
Oggi la sinistra accusa la maggioranza di varare la riforma federale senza avere prima fatto il conto dei costi, utilizzando in maniera propagandistica e scorretta cifre che non tengono conto della nuova e diversa impostazione della riforma costituzionale. In realtà è stato il centrosinistra ad approvare, per soli quattro voti alla fine della scorsa legislatura nella primavera del 2001, una parziale riforma federale senza accertarne il costo. Una riforma che ha irresponsabilmente portato a un aumento delle spese e a una esplosione del contenzioso tra Stato e Regioni.
Infatti la riforma della sinistra:
ha addossato ulteriori competenze agli Enti locali senza dotarli delle necessarie risorse finanziarie
ha soppresso i trasferimenti statali per il finanziamento del trasporto pubblico e della spesa sanitaria, senza precisare la quota dei tributi erariali che lo Stato può e deve girare automaticamente alle autonomie locali
ha menzionato l'esigenza di coordinare la finanza statale con quella regionale e comunale, ma ha evitato di stabilirne le modalità, le procedure e i tempi tecnici.
La conseguenza è stata che a livello locale ci sono state nuove spese e nuove imposte, che hanno fatto aumentare i costi in misura pari al 2-4%, una cifra compresa tra i 25 e i 50 mila miliardi di vecchie lire.
Secondo l'Isae (Istituto di Studi e Analisi Economica), se attuato pienamente nella sua forma originaria, il federalismo approvato dall'Ulivo costa ad oggi 61 miliardi di euro. In realtà le correzioni apportate dal centrodestra faranno diminuire i costi perché le regioni non avranno più 18 materie su cui legiferare in modo esclusivo ma al massimo sette. Ciò comporterà notevoli risparmi perché diminuendo le competenze delle regioni di conseguenza diminuisce la necessità di maggiori trasferimenti di personale e di risorse: questi risparmi sono stimati intorno al 40% rispetto ai costi della riforma varata dal centrosinistra.
In secondo luogo, i costi sono comunque diluiti nel tempo in quanto la riforma federale non è un'operazione immediata ma è un processo che avrà bisogno di anni per entrare a regime. Inoltre si sta studiando un piano per consentire che il passaggio di personale della Pubblica amministrazione dal livello centrale a quello locale avvenga in modo indolore e soprattutto più economico. Cosa che la sinistra non ha fatto con la sua riforma.
Quello che la riforma vuole conseguire è un obiettivo generale di maggiore trasparenza nella gestione del denaro pubblico, sia da parte dello Stato sia da parte degli Enti locali. Infatti con una buona attuazione del federalismo non solo non si corre il rischio di una duplicazione dei costi, ma si ottiene una loro diminuzione, come avvenuto in Spagna. Il problema, infatti, non è quanta autonomia viene data alle regioni ma bensì come le regioni utilizzano i poteri a loro riservati.
La sinistra afferma che con il nuovo assetto federale aumenteranno le tasse a livello locale. Per evitare questo pericolo e introdurre una ulteriore garanzia contro ogni aumento dei costi della struttura federale, la nuova Costituzione prevede che in nessun caso l'autonomia impositiva delle regioni, delle province, delle città metropolitane e dei comuni può determinare un aumento della pressione fiscale totale, che deve essere mantenuta inalterata.
La nostra riforma costituzionale non spacca ma anzi ricompatta il Paese perché definisce con chiarezza le materie assegnate alla competenza delle regioni e determina il ritorno di alcune materie importanti alla competenza dello Stato. Lo si è fatto allo scopo di realizzare un federalismo solidale, molto più equilibrato e comunitario di quello voluto dalla sinistra.
Le materie riportate in capo allo Stato sono: le norme generali sulla tutela della salute, la sicurezza e la qualità alimentare, l'ordinamento della Capitale federale, le reti strategiche di trasporto e navigazione di interesse nazionale e le relative norme di sicurezza, l'ordinamento della comunicazione, l'ordinamento delle professioni intellettuali, l'ordinamento sportivo, la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, la promozione internazionale del sistema economico e produttivo italiano come la politica monetaria, la tutela del credito, le organizzazioni comuni di mercato. Il trasferimento allo Stato di queste materie è il miglior antidoto per evitare che nascano processi di divaricazione tra le regioni.
La devoluzione, invece, assegna alle regioni materie che possono gestire meglio dal punto di vista organizzativo e finanziario, poiché è innegabile che gli enti locali sono più vicini al cittadino di quanto non possa essere un governo centrale. Per esempio:
Sanità. Le regioni avranno competenza legislativa esclusiva su assistenza sanitaria e organizzazione ospedaliera. Allo Stato spettano le norme generali sulla tutela della salute;
Scuola. Le regioni avranno competenza legislativa su l'organizzazione degli istituti scolastici e di formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche. Potranno definire programmi scolastici e di formazione di interesse regionale. Allo Stato il compito di assicurare l'omogeneità complessiva degli studi;
Polizia. Le regioni avranno competenza legislativa sulla organizzazione della polizia amministrativa e locale, la cui attività andrà coordinata con quella degli altri corpi dello Stato.
Finora, senza federalismo, e con oltre un secolo e mezzo di centralismo alle spalle, non sono stati colmati i diversi divari - sociali, economici, organizzativi - tra Nord e Sud. La sinistra afferma che il federalismo aumenterà questo divario. Ma quello che è certo è che il centralismo, finora, non lo ha eliminato mentre il federalismo può essere la grande risposta veramente innovativa al problema del divario Nord-Sud.
La riforma federalista può essere una grande opportunità di modernizzazione del Paese. Federalismo significa responsabilità, semplificazione, burocratizzazione, collaborazione tra pubblico e privato. Le regioni, assumendo una responsabilità esclusiva, dovranno dimostrare di essere responsabili nel varare le leggi. Buone leggi consentiranno di utilizzare le risorse in modo più efficiente. Il passaggio di competenze dallo Stato alle Regioni può rendere più trasparente l'utilizzo delle risorse attraverso la responsabilità delle autonomie locali, la cui spesa diventa molto più controllata dai cittadini che non a livello centrale.
Le linee guida
La nuova Costituzione italiana
Forza Italia con la riforma delle istituzioni vuole modernizzare il nostro Paese e fare sì che la nostra democrazia possa funzionare meglio e in modo adeguato ai tempi che stiamo vivendo.
La nostra riforma intende:
Rendere il nostro sistema legislativo più efficiente: riducendo il numero dei parlamentari e riformando un bicameralismo perfetto che si è dimostrato eccessivamente lento e macchinoso.
Garantire la governabilità del Paese: attraverso un esecutivo scelto dai cittadini, stabile e al riparo da ribaltoni e trasformismi.
Ampliare il federalismo perché dove c'è più autonomia, dove c'è più possibilità da parte dei cittadini di controllare cosa fanno coloro che hanno eletto e che li amministrano, lì c'è la vera democrazia.
Si tratta di una riforma efficace, che rappresenta un passo atteso da più di trent'anni. Ha un impianto equilibrato che bilancia i poteri tra centro e periferia e completa il percorso del federalismo con nuovi e importanti ruoli alle Regioni.
Questa riforma ci porta uno Stato più efficiente e vicino ai cittadini; non è certamente un fattore di disgregazione ma piuttosto di crescita del sentimento di appartenenza nazionale.
Il 25 marzo 2004, il Senato ha approvato in prima lettura il disegno di legge costituzionale del Governo che prevede un'ampia revisione del testo della Costituzione, in particolare le disposizioni riguardanti il Senato, il Presidente del Consiglio, le competenze delle Regioni e la Corte costituzionale.
La riforma riguarda gli articoli 55, 56, 57, 58, 59, 60, 64, 65, 67, 69, 70, 71, 72, 80, 81, 83, 85, 86, 87, 88, 89, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 104, 114, 116, 117, 126, 127, 135 e 138 della Costituzione.
Cosa cambia nelle istituzioni
Presidente della Repubblica |
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com'è |
come diventa |
Elezione: eletto da Camera e Senato in seduta comune con l'aggiunta di
tre delegati per Regione eletti dai Consigli regionali in modo che sia
assicurato il rispetto delle minoranze. Votazione a scrutinio segreto con
maggioranza dei due terzi degli aventi diritto al voto. Dal quarto scrutinio
è sufficiente la maggioranza assoluta. |
Elezione: eletto dall'Assemblea della Repubblica presieduta dal
Presidente dalla Camera dei Deputati: due Camere, Presidenti di Regione e
delle Province di Trento e Bolzano e da un numero di delegati eletti dai
Consigli regionali. Votazione a scrutinio segreto con maggioranza dei due
terzi per i primi tre scrutini, dei tre quinti per il quarto e il quinto,
della maggioranza assoluta dal sesto in poi. |
Governo |
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com'è |
come diventa |
Capo del governo: nominato dal Capo dello Stato, dirige la politica generale
del Governo. |
Primo ministro o Premier: nominato dal Capo dello Stato sulla base
dei risultati delle elezioni, determina la politica generale del Governo e
dirige l'attività dei Ministri. |
Parlamento |
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com'è |
come diventa |
Camera dei Deputati: 630 deputati. Approvazione del Regolamento interno a
maggioranza assoluta dei componenti. Età minima per essere eletti: 25 anni. |
Camera dei Deputati: 518 deputati più deputati a vita (ex presidenti della
Repubblica e non più di 3 nominati). Approvazione del Regolamento interno a
maggioranza di tre quinti dei votanti. Età minima per essere eletti: 21 anni. |
Scioglimento delle Camere |
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com'è |
come diventa |
Sentiti i Presidenti di Camera e Senato, il Capo dello Stato può sciogliere le assemblee o anche solo una di esse. |
Camera dei Deputati: in caso di mozione di sfiducia al Capo del Governo, lo
scioglimento è automatico. In caso di richiesta di fiducia negata, il Premier
può chiedere al Capo dello Stato lo scioglimento, oppure la maggioranza può
presentare una mozione in cui indica il nuovo capo del Governo. |
Corte costituzionale (Consulta) |
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com'è |
come diventa |
Composizione: 15 giudici, nominati dal Presidente della Repubblica
(cinque), dal Parlamento in seduta comune (cinque) e dalle supreme
magistrature (cinque). |
Composizione: 15 giudici, nominati dal Presidente della Repubblica
(quattro), dalla Camera (tre), dal Senato federale (quattro) e dalle supreme
magistrature (quattro). |
Consiglio superiore della magistratura (Csm) |
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com'è |
come diventa |
Presidenza e membri di diritto: è presieduto dal Presidente della
Repubblica. I membri di diritto sono il primo presidente e il Procuratore
generale della Corte di Cassazione. |
Presidenza e membri di diritto: non cambia |
Federalismo e devoluzione |
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com'è |
come diventa |
Regioni: potestà legislativa in ogni materia non espressamente
riservata alla legislazione dello Stato. |
Regioni: potestà legislativa esclusiva in materia di assistenza
sanitaria, organizzazione scolastica (e programmi scolastici regionali) e
polizia locale. |
Opinioni (SINISTRA)
La Costituzione personale e l'impunità
di Daniela Gaudenti
Dopo le leggi ad personam si sta approssimando in tempi rapidi la Costituzione personale : andando ben a vedere (e non senza difficoltà, perché l'unica testata che ne dà notizia venerdì 24 settembre è l'Unità), l'Unto non pretende di assicurare a se stesso "solo" un premierato assoluto e alla Lega un "federalismo" targato Calderoli, ma anche un'impunità assoluta e condivisa con i "suoi pari".
Si realizza insomma il presupposto del pronunciamento a reti unificate dopo la sentenza della Corte di Cassazione rea di non aver assecondato le pretese di impunità e di non aver scippato il processo Sme al giudice naturale precostituito per legge, lasciandolo al tribunale di Milano.
In quella occasione il premier aveva scandito con malcelato livore che "in una democrazia liberale" chi è stato scelto dal popolo può essere giudicato solo dai suoi "pari" e che andava dunque al più presto ripristinata l'immunità parlamentare soppressa da un parlamento "intimidito" dall'ondata giustizialista.
Adesso ci siamo e i tempi sono stretti; di qui la determinazione ad andare avanti a testa bassa facendo un uso improprio dell'articolo 138 per rivoltare come un guanto l'intero assetto costituzionale. Ciò che conta nel nuovo assetto devono essere solo i deputati, ridotti come è sempre più manifesto a "cloni" dell'autocrate, basti vedere l'ultimo tentativo di salvataggio dell' on. Previti con l'apertura di un secondo conflitto di attribuzioni davanti alla Corte Costituzionale per ottenere l'annullamento di due sentenze legittime e super motivate che lo hanno condannato rispettivamente ad 11 e 5 anni per corruzione di magistrati. (Il primo conflitto, che non aveva dato gli esiti sperati, era stato promosso dall'allora presidente della camera Luciano Violante).
Accanto ad un mix ibrido di federalismo e devolution dalle finalità inaccettabili e dai costi insostenibili si delinea un governo che Franco Cordero definisce come "affare autocratico" in presenza di un affievolimento vicino all'evanescenza dei poteri di controllo e di garanzia: primo fra tutti quello del presidente della Repubblica che da garante della Costituzione e parte super partes degrada ad impotente ratificatore.
Nella nomina del primo ministro infatti, la nuova formulazione dell'art.92 non gli consente alcun margine di discrezionalità: deve nominare. Analogamente, per evitare una qualsiasi altra incresciosa impuntatura del Colle, come avvenne nel lontano '94, quando Cesare Previti fu "retrocesso" dalla giustizia alla difesa, l'art 95 riformato prevede pari pari che "i ministri sono nominati e revocati dal primo ministro". E' la sicurezza di avere sempre l'uomo giusto al posto giusto: con il senno di poi è difficile contestare che Cesarone fosse più competente di "giustizia" che di difesa e che fosse influente presso taluni magistrati, quelli, peraltro, di cui la politica non si è mai lagnata perché "riservati" e molto indaffarati.
L'altra fondamentale garanzia per un governo che non deve essere soggetto agli oscillamenti e ai condizionamenti di altri poteri è la gestione diretta dello scioglimento delle camere: mai più "ribaltoni" e controllo assoluto e preventivo su eventuali onorevoli "recalcitranti" qualora ne esistano.
Il potere è dunque garantito, la "governabilità" assicurata, i deputati sono molto malleabili, i ministri diventano materiale umano a totale disposizione, le "incursioni" di qualsiasi tipo di qualsivoglia presidente della repubblica scongiurate. Il "quarto potere" o come dicono gli americani "il cane da guardia della democrazia" è già da molto tempo (per un buon 80/°) una deliziosa bestiolina da salotto.
Manca un dettaglio: il controllo di legalità in un paese in cui esiste ancora l'uguaglianza formale: "tutti i cittadini... sono uguali davanti alla legge senza distinzione.di condizioni personali e sociali" (Art. 3 co.1°).
Per quanto riguarda i soggetti che devono esercitarlo si sta provvedendo a "riformarli" con la nuova disciplina dell'ordinamento giudiziario. Ma potrebbe non bastare.
E c'è pure stata una spiacevole complicazione: la Corte Costituzionale ha bocciato senza appello sia sotto il profilo meramente giuridico che in termini "politici"[1][1] con la sentenza 24/2004 il cosiddetto Lodo Maccanico Schifani che introduceva un'immunità priva di nesso funzionale e reiterabile per le cinque più alte cariche dello Stato.
Per realizzare dunque il modello made in Arcore tracciato nel proclama eversivo a reti unificate non bastava, come è stato superficialmente scritto, ritornare semplicemente a prima del '93, prima cioè del "golpe giudiziario" instaurato nel paese con Mani pulite.
E, infatti, "gli emendamenti sospetti" segnalati solo da l'Unità vanno oltre la reintroduzione della pura e semplice autorizzazione a procedere (in senso tecnico una mera condizione di procedibilità) prevista nella "vecchia" formulazione dell'art.68 che recitava al 2° co: "Senza autorizzazione della camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale; né può essere arrestato, o altrimenti privato della libertà personale o domiciliare, o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, salvo che sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato o l'ordine di cattura."
L'emendamento Saponara prevede che "Su richiesta delle Camere di appartenenza, sono sospesi nei confronti dei deputati e dei senatori le indagini e i processi penali in corso in ogni fase, stato e grado, per qualsiasi reato, anche riguardanti fatti antecedenti all'assunzione della funzione e fino alla cessazione della medesima". Qui l'antica autorizzazione a procedere c'entra fino ad un certo punto; il modello contingente a cui si ispira è di immediata evidenza e si tratta della costituzionalizzazione di una previsione dichiarata manifestamente incostituzionale sotto una pluralità di profili. Tale previsione viene estesa a tutti gli eletti, rectius, unti che si assolvono tra loro.
A completamento dello scudo globale c'è l'emendamento Taormina (11.02) "Nessun membro del parlamento può essere tratto in arresto o mantenuto in detenzione in esecuzione di una sentenza, anche irrevocabile, fino alla scadenza del mandato". In questo caso verrebbe riscritto l'attuale articolo 68 là dove prevede che "senza autorizzazione della camera a cui appartiene nessun membro del parlamento.. può essere arrestato.o mantenuto in detenzione salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna". Dunque per gli eletti non valgono più nemmeno le sentenze passate in giudicato; e d'altronde per evitarle pressoché all'infinito basta farsi eleggere per più legislature.
Infine, almeno per ora, un elemento di ulteriore e definitiva chiarezza al limite di una ripetitività un po' obsoleta. Con una serie di emendamenti Chiara Moroni introduce nell'art. 68 l' "immunità" tout court che non compariva nemmeno prima di Tangentopoli e che ora alla luce di tale "riforma" è semplicemente sinonimo di impunità. "I membri del parlamento beneficiano dell'immunità parlamentare e non possono essere perseguiti per l'espressione di un'opinione o di un voto nell'esercizio del loro mandato". Una formulazione che sembra oltretutto ridondante e pleonastica rispetto a quella attuale.
L'aspetto più sconcertante rimane la pervicacia nel voler costituzionalizzare, estendendo a tutti i membri del parlamento (per il momento) una ingiustificata situazione di privilegio che il Lodo Maccanico Schifani riservava alle cinque più alte cariche dello Stato.
Nella pronuncia della Corte, al di là di molte altre considerazioni "è chiara la censura al Lodo Schifani sul doppio fronte dei valori sottesi al principio di uguaglianza: rispetto alle vicende processuali penali questo assicura che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge e che tutti (anche la collettività offesa e/o il singolo danneggiato) hanno diritto ad uguale garanzia giurisdizionale; garanzie annullate se l'imputato si sottrae al processo.Che quella legge fosse segnata da originaria, endemica e plurima incostituzionalità risulta, in maniera debole, dai lavori parlamentari.ma con accenti sicuri nel pensiero giuridico, non solo dei tribunali." (Giuseppe Riccio[2][2] "Dalla vicenda del Lodo Schifani arriva un richiamo alla legalità, Diritto e Giustizia 14 febbraio 2004).
L'autore riporta brani molto eloquenti di tre ordinanze di cui la legge 140/03 è stata oggetto prima della pronuncia della Corte, tra cui una del tribunale di Milano che centra un punto cruciale ".Ma l'attenzione si è spostata anche sull'art. 3 e sull'art. 24 [diritto alla difesa] Costituzione, poiché con quella legge il cittadino, offeso da comportamenti extrafunzionali del parlamentare, anch'essi scriminati, non è più 'nelle condizioni di tutelare i propri diritti ' ".
E non dimenticava una considerazione in vista di una prossima costituzionalizzazione a cui purtroppo molti "autorevoli" esponenti dell'opposizione hanno assicurato e continuano ad assicurare piena disponibilità. "Su queste premesse, appare evidente che se si volesse regolare la materia con legge costituzionale - come si è affrettatamente sostenuto durante il dibattito sul 'Lodo Schifani'- anche in tal caso dovrebbe essere valutata la sopportabilità costituzionale di una disposizione che volesse stabilire immunità/impunità - anche temporali- per determinati soggetti accusati di fatti che non ineriscono alla loro funzione istituzionale". (Giuseppe Riccio, ibidem).
Le destre giovani
Non è facile scrivere dei giovani e della destra. Già è complicato definire i concetti che si usano: vai a capire oggi cos'è la sinistra (che perde regolarmente nelle banlieu e vince a Parigi), e cosa tiene insieme la destra, fra le tre i del sapere usa e getta di Forza Italia e la tradizione classica e cristiana da difendere dall'americanizzazione del centrosinistra... E poi chi riesce più a trovare qualche ragazzo o ragazza che "si dichiari" di destra o di sinistra?
Anche durante le occupazioni, quando qualcosa di simile alla tradizionale politica sembra avvenire (assemblee, volantini), in realtà la frase chiave è sempre noi non facciamo politica, la nostra scuola è apolitica, siamo solo "noi giovani" che vogliamo farci sentire (e nessuno ci ascolta).
Allora penso che i segnali vadano cercati su altri terreni, dove si definisce l'immagine di un certo rapporto con gli altri e con se stessi, nella sfera dei desideri e dei sogni, come dei bisogni e consumi.
Qui qualcosa di nuovo succede, mi sembra.
L'acchiappatore nella segale
Se leggiamo in classe (una seconda superiore) il vecchio giovane Holden, scopro che per alcuni e alcune è davvero "l'acchiappatore nella segale", cioè un personaggio incomprensibile, lontano ed estraneo (come la sua copertina disperatamente bianca). La discussione sembra una triste fotocopia dei dibattiti giovanili da Maria De Filippi: ma non gli va bene nessuno, che cosa pretende, perché non si domanda se non c'è in lui qualcosa che non va, perché non si adatta al mondo che lo circonda?
Se poi capita di discutere dei rapporti con i padri e le madri, dei disastri e le violenze e gli orrori vicini, "normali", il discorso di alcuni su se stessi sembra ricalcare un argomento adulto diffuso: noi giovani ormai abbiamo tutto, i padri non sono più padri e sono "amici", i valori non ci sono più - dunque appena ci negano qualcosa non lo sopportiamo ed esplode la violenza. Senza ordine non c'è autorità possibile.
Sembra di sentire all'opera il modello di S.Patrignano, la comunità organizzata, ciascuno che sta al suo posto e il padre padrone della tradizione patriarcale a stabilire le norme. Paterno e rassicurante. Oppure l'altro modello forte del comunitarismo giovanile di destra, quello di CL - a modo suo anche di riconoscimento e mutuo soccorso giovanile - fondato intorno ai "buoni maestri" e nel riferimento costante alla trascendenza. In fondo per molti cattolici - anche di sinistra, temo - la libertà individuale richiama sempre Wall Street, il mercato o l'orrore del gay-pride; e una comunità di base può esistere solo se i valori di riferimento sono altrove e al di sopra: altrimenti l'umano precipita nel disordine (o nel relativismo della scuola pubblica, di tutti quindi di nessuna verità). Il loro grande nemico mi sembra sempre il vecchio Leopardi e la sua ricerca di un senso per la polis tanto fragile quanto umano, senza Padri ma con molti fratelli e sorelle.
Il punto è che poi molte ragazze e ragazzi, tanto saggi nell'invocare i valori della famiglia, sono anche profondamente insofferenti di fronte ad ogni sollecitazione che li allontani (o minacci di allontanarli) da ciò che sono immediatamente; tanto disponibili in generale ad adattarsi alla società, mi sembrano rifiutare allo stesso tempo qualunque discorso entri in conflitto con le loro istintive propensioni, con il loro desiderio di essere accettati e accettarsi così come sono: io la penso così profe, cosa vuole, cambiarmi? non è giusto.
Proprietari giovanili
Ecco allora il profondo odio verso rom, albanesi, cinesi, immigrati in genere. Ovviamente ti dicono che non è razzismo, perché gli "ismi" sono già troppo impegnativi: è che vogliono stare tranquilli "a casa loro" (nei non-luoghi stile McDonald che cercano dappertutto), non avere i problemi degli altri. I buoni valori della carità e dell'accoglienza raramente vanno oltre il giardino di casa propria, o un ambiguo volontariato ridotto a credito certificabile per la propria coscienza, tutto dover-essere, nessuna cura delle esistenze reali, cresciuto nella distruzione del legame sociale postmoderno.
E poi il ragionamento sui paesi poveri e ricchi, sulla disperazione di chi arriva (come degli italiani che andavano, ed è argomento "patrio" che ancora un po' funziona, ma non ci sono più nonni narrativi, l'anello della memoria si è spezzato ed è come parlare di preistoria o di resistenza.) sembra appartenere al "politico", sa di considerazioni generali, non personali: il personale è apolitico. (Che sia qui il cuore la destra?).
La sinistra invece è come se invitasse sempre un po' al senso di colpa, sempre in conflitto col mondo e mai con gli altri.
In un certo senso è la felicità il problema.
Mi pare sia in crisi fra questi ragazzi e queste ragazze l'idea di una dimensione pubblica dell'esistenza e della felicità; l'idea che abbia a che fare con la polis, che esista una dimensione interpersonale oltre la propria persona, la propria famiglia, le strade dei propri negozi.
Politica senza polis
Più in generale, la cancellazione dello spazio pubblico della politica potrebbe essere il segno della destra e della sua forza oggi. Berlusconi parla al pubblico con tutto il suo kit di bamboline giovanili operaie imprenditrici, ma non in uno spazio pubblico. Fa una strepitosa televendita, ipnotica e affabulatoria come tutte le televendite (e oggi la comunicazione pubblicitaria "ordinaria" imita i suoi manifesti politici, così il cerchio si chiude); si indirizza ai consumatori atomizzati e aggressivi dello spettacolo politico e in questo campo della politica senza polis, non c'è proprio gara: il messaggio della destra è già della stessa forma del contesto che lo raccoglie, lo ha già prodotto nelle relazioni sociali. I discorsi degli altri restano discorsi di "politici": di gente che non ha mai vissuto, mai lavorato, mai rubato. Come fare a fidarsi? Quello che questo popolo-plebe di proprietari chiede alle istituzioni è di offrire servizi che aumentino non la qualità della vita ma la sua facilità privata; poi chi vale si farà valere, gli altri dovranno vivere il senso di colpa dei perdenti.
Quando da ragazzo io e mio fratello ascoltavamo Bandiera gialla o Per voi giovani (già il mitico Renzo Arbore), ci sentivamo addosso l'orgoglio di appartenere a quella parte del mondo che avrebbe cambiato il mondo. Tutto ci toccava. Oggi mi sembra che molte ragazze e ragazzi abbiano come razionalizzato il loro essere nicchia di mercato, target. Il loro essere ex politico. E cercano di scavarsi uno spazio da coltivare in proprio, al massimo col proprio gruppo.
Attraversa le scuole una specie di disastro del discorso.
Se dai le pagelle o leggi i voti dei compiti, in classe ti chiedono di abbassare la voce, di non farsi sentire - già i compagni sono altri da te e maledettamente vicini. Ma mentre si invoca la "legge sulla privacy" per il gruppo classe, si dichiara senza troppi problemi tutto "l'intimo" in televisione, magari urlando dal tetto della scuola oppure raccontando-recitando (ma fa molta differenza?) le proprie pene in qualche pomeriggio televisivo dove tutti poi giudicheranno tutto. Non c'è vergogna perché sei nello show: nessuno ti conoscerà e tutti ti riconosceranno. Quasi fosse questo l'unico tessuto sociale possibile nell'epoca della felice solitudine del soddisfatto consumatore.
(Tuttavia magari non proprio felice).
1. Cosa c'entra la politica con Ga?
In un testo di Ga degli anni '70 c'è questa frase: La politica è la dimensione nella quale la mia storia entra in relazione con la storia del mondo. Ancora oggi, molti si meravigliano del fatto che la nostra organizzazione giovanile si autodefinisca politica e, anche se non ci siamo mai presentati alle elezioni e mai lo faremo, perché non è il nostro mestiere, la nostra dimensione d'impegno e di azione ha una fortissima valenza politica, apartitica naturalmente. Ga è stata, ed è tuttora, il luogo associativo dove, sia per le dinamiche democratiche sia per gli intenti educativi, moltissimi giovani hanno maturato una forte passione civile, un desiderio di partecipare alla vita della comunità e di farsi carico dell'altro, con una scelta di servizio.
2. Come viene vista la politica dai giovani?
A questo riguardo abbiamo avuto modo di fare un'esperienza alquanto singolare in un circolo del bresciano. Giovani e adulti si sono confrontati per un paio di serate rispetto alle accezioni ed ai significati della parola politica. Se i dati dell'astensionismo sono noti e se il luogo comune ci porta a definire la politica come una cosa sporca, è interessante l'analisi degli aggettivi che differenti generazioni attribuiscono a questa parola. Gli anziani, quelli della briscola aggressiva e del calice di bianco, con l'occhio a fessura, ne parlano con delusione, come se tutti i valori propinati in anni in cui tutto era politico, siano stati oggetto di tradimento; ecco che ricorrono così parole come partito burocrate, svuotamento di valore, distacco dalla realtà. I giovani, dall'occhiale all'ultima moda e dalla brillantina che indica chiaro che la serata non finisce al circolo, sono contrastati tra partito e partitocrazia, bene comune e interesse personale, governo e oligarchia, servizio per gli altri e carriera politica personale. Sono cresciuti politicamente negli anni del dopo muro di Berlino, senza blocchi ideologici o frontiere invalicabili, con i giudici che mettevano in carcere i vecchi e famosi politici per tangenti. Vedono la politica con spietata lucidità e stanno coscientemente fuori da una certa maniera di fare politica, che oggi sembra andare per la maggiore.
3. Allora, è giusto non interessarsi, non andare a votare?
Il disinteresse e il non voto non sono scelte superficiali, ma spesso l'unica alternativa rimasta. Alternativa che comunque noi comprendiamo, ma non condividiamo. In quest'ottica il non voto, il distacco progressivo da tutte le forme di mediazione tra cittadino e cosa pubblica, la fuga nel privato, assumono il valore politico del disagio. Il disincanto, dopo le aspettative degli anni '70, le delusioni della fine degli anni '80 e la transizione infinita, anzi bloccata, segnano un sentimento diffuso tra i giovani: la voglia di sostare a tempo indeterminato in una dimensione personale. Il quadro complessivo è poi avvalorato dall'assenza di testimoni, di qualcuno di credibile che sia in grado di articolare una proposta di impegno seria, di battere sulla spalla e dire Andiamo! Ne vale la pena!.
4. Qual è il valore della politica oggi?
La politica purtroppo rischia di rimanere disoccupata. La deriva populista dell'informazione e dell'azione politica tende a semplificare i messaggi, fino a toglierne la sostanza. La politica, anche nei nostri Comuni, si sta trasformando sempre di più in tecnocrazia e la figura del politico coincide spesso con quella dell'amministratore. Si perde così il significato della progettazione sociale. Il politico, invece, non è colui che stila un freddo atto amministrativo, ma colui che opera una scelta. È poi chiaro a tutti che la politica, strumento principe di regolazione sociale e spazio di riferimento etico fondamentale per il vivere civile, sembra essere insignificante rispetto all'economia e alla finanza. Quest'ultima, soprattutto, non sembra per ora averne molte di finalità etiche, visto che nel mondo della finanza il plusvalore a volte si ottiene annunciando licenziamenti di massa.
Le domande chi mi rappresenta?, a quale progetto politico faccio riferimento?, chi intercetta i miei bisogni? sono irrisolte un po' per tutti, non solo per i giovani. Il fenomeno allarmante invece è l'assenza di agorà - come scrive Bauman - quello spazio, privato e pubblico allo stesso tempo, dove le istanze dei singoli assumono significati condivisi come bene comune e giustizia sociale. Rischiamo di iscrivere il nostro tempo libero a pacchetti preconfezionati, fatti di frenesia, centri commerciali, cinema, megastore, e dimenticarci che abbiamo dei doni che non sono a nostro utilizzo esclusivo, ma che dovrebbero essere condivisi. L'immensa libertà di partecipare in maniera diretta e non mediata costituisce allo stesso tempo un'opportunità di crescita e un rischio di giocarsi al ribasso. Ga si candida ad essere agorà, ovvero, quello spazio di socialità dove la storia di ciascuno di noi assume senso in una dimensione di ricerca e di impegno comune, anche in politica.
6. Ma la politica ha ancora un valore oggi?
Non solo la politica oggi ha valore, ma c'è un diffuso bisogno di politica. Le ingiustizie, i conflitti, le povertà, i totalitarismi, in Italia e a livello mondiale, esistono. Questo è un chiaro segnale che la politica è necessaria, forse per gli stessi e semplici motivi per cui lo è sempre stata. La politica è uno strumento complesso di regolazione sociale, che lega la sorte di coloro che assumono responsabilità a quella di coloro che li hanno delegati. Il vero valore della politica oggi nasce da un'assunzione di responsabilità in un orizzonte etico. La politica è etica, anche se in maniera laica.
Giovani e Politica, un dialogo ancora possibile?
di Vincenzo Curcio, responsabile organizzazione segreteria provinciale Sg
Nell'ultimo decennio abbiamo assistito ad una progressiva crisi di partecipazione alle strutture politiche tradizionali. Questa crisi ha coinvolto in modo predominante il mondo dei giovani. Possiamo brevemente riassumere le cause di questo progressivo allontanamento, cominciando dalla crisi della Prima Repubblica e dal fenomeno "Tangentopoli" che sicuramente ha portato moltissima gente a non credere più nel sistema dei partiti e soprattutto in chi era all'apice della loro struttura gerarchica. A questa motivazione e al fenomeno della corruzione in generale, vanno aggiunte considerazioni di tipo sociologico.
Innanzitutto si è venuto a creare una sorta di barriera tra il politico di professione e il cittadino, nel senso che chi diventa dirigente di partito o amministratore di un ente pubblico, perde completamente il contatto con la gente. Anche chi è interessato a fare politica, è fortemente condizionato da due fattori: la disponibilità di tempo e le condizione economiche. Infatti sembra proprio che la politica a grossi livelli venga fatta da chi se lo può permettere e da chi ha un posto occupazionale ben definito, non a caso è grande il numero di imprenditori e liberi professionisti che si convertono alla politica, e il partito Forza Italia ne è un esempio lampante.
Le uniche categorie che sembrano tenere loro testa sono i dipendenti pubblici e gli insegnanti, che riescono a trovare il tempo di far politica poichè non hanno tutta la giornata occupata dall'impegno lavorativo.
In questo contesto il modello di personaggio politico in voga è il cosiddetto "Kennediano" (che prende il nome dalla famiglia del Presidente degli Stati Uniti John Kennedy): giovane maschio, di razza bianca, con istruzione superiore, con posto di lavoro fisso e proveniente da famiglia in cui si è sempre fatta politica.
Dopo questa breve analisi concludiamo che lo scopo di un organizzazione politica attuale deve essere anche quello di garantire che entrino a far politica giovani che abbiano capacità e idealità, e non solo questi modelli Kennediani, la cui dote principale sembra essere l'appartenenza a famiglie influenti e benestanti.
Un altro importante fattore per un buon politico è la sua istruzione e cultura. Scomparse le scuole di partito come quella del PCI che sembravano per lo più educare il giovane sulle linee politiche di chi era a capo del partito, oggi questa funzione di scuola è demandata indirettamente alle Università,ma poiché non tutti possono permettersi gli studi universitari si andrebbe a ricreare una sorta di discriminazione.
Si deve cercare allora attraverso i seminari, gli incontri con professori e amministratori con esperienza,le nuove tecnologie di comunicazione di migliorare la preparazione di chi si avvicina alla macchina politica.
I movimenti "No Global" e i girotondi hanno rappresentato negli ultimi anni una sorta di riavvicinamento della società civile alla politica, bisogna però che essi non vengano strumentalizzati da partiti e personaggi che li utilizzano nel momento in cui sono in minoranza su decisioni importanti.
E allora la soluzione per riaprire in modo permanente il dialogo tra giovani e politica sembra proprio quello di moltiplicare il più possibile i luoghi e le occasioni di confronto, garantire processi decisionali democratici e il più partecipati possibile, specialmente nei partiti che rappresentiamo.
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