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Analisi del seguente passaggio sulla natura umana capitolo 28
" Non crediate però che non ci fosse qualche fastidiuccio anche lí. L'uomo (dice il nostro anonimo: e già sapete per prova che aveva un gusto un po' strano in fatto di similitudini; ma passategli anche questa, che avrebbe a esser l'ultima), l'uomo, fin che sta in questo mondo, è un infermo che si trova sur un letto scomodo piú o meno, e vede intorno a sé altri letti, ben rifatti al di fuori, piani, a livello: e si figura che ci si deve star benone. Ma se gli riesce di cambiare, appena s'è accomodato nel nuovo, comincia, pigiando, a sentire qui una lisca che lo punge, lí un bernoccolo che lo preme: siamo in somma, a un di presso, alla storia di p 111d34b rima. E per questo, soggiunge l'anonimo, si dovrebbe pensare piú a far bene, che a star bene: e cosí si finirebbe anche a star meglio.
Il racconto prosegue sulla stessa linea ideologica:
.È tirata un po' con gli argani, e proprio da secentista; ma in fondo ha ragione. Per altro, prosegue, dolori e imbrogli della qualità e della forza di quelli che abbiam raccontati, non ce ne furon piú per la nostra buona gente: fu, da quel punto in poi, una vita delle piú tranquille, delle piú felici, delle piú invidiabili; di maniera che, se ve l'avessi a raccontare, vi seccherebbe a morte.
Manzoni elabora in questo paragrafo una sintesi che mette a fuoco la sua
concezione poetica: l'opera letteraria ha "l'utile per iscopo, il vero per oggetto e l'interessante per mezzo".
Ossia deve esistere una letteratura che sappia educare
attraverso la narrazione di vicende realistiche e proprio per loro stessa
natura , interessanti. Lo scopo della storia è bene esemplificato attraverso
l'uso di una metafora gli uomini non sono capaci di
accontentarsi di ciò che hanno e desiderano sempre di più, nonostante le
durezze della vita abbiano insegnato loro che a volte sarebbe meglio accettare ciò che
Oggi questo stile narrativo risulterebbe forse molto pesante e soprattutto pomposo, ma tra i suoi contemporanei Manzoni fu certo un riformatore. Uno degli elementi che rende peculiari e originali i suoi testi è il ricorso ad un artificio letterario oggi abbastanza comune: inventa un suo doppio, ovvero il narratore onnisciente, che ne sa più dei personaggi, conosce quello che pensano e quello che faranno, che interviene di continuo commentando o con una digressione o con un appello al lettore. Gli interventi non interrompono però la dinamica del racconto, ma permettono un approfondimento psicologico, storico, morale e religioso. Questo artificio permette a Manzoni di prendere moralmente le distanze dall' ambiente socio-politico del suo tempo che lui condanna, se non apertamente, certo in modo chiaramente comprensibile ai lettori del tempo. Egli mescola spesso il punto di vista del personaggio a quello del narratore, ovvero quello soggettivo e quello oggettivo. E la voce del narratore mostra ironia, un'ironia che non è quella spregiudicata e distruttiva dell'Illuminismo o un'ironia come quella Romantica, che crea una frattura tra soggettività e oggettività, essa suggerisce, invece, una mediazione tra quest'ultime.
Per comprendere il suo stile letterario è necessario fare attenzione al contesto storico e politico che porta alla nascita del romanzo: Manzoni vive in pieno il Romanticismo e aderisce quindi all'idea di un'arte diretta ad un ampio pubblico borghese, che miri a raccontare i problemi degli uomini, calati nella realtà e che si proponga la funzione di educare le menti e i cuori.
Vi aderisce con entusiasmo,nonostante non si pronunci per iscritto. Conosciamo le sue
idee su questo movimento dalla lettera Sul Romanticismo, inviata al
marchese Cesare D'azeglio nel 1823 e pubblicata senza
il suo consenso nel 1846. Dalla lettera si evince che ritiene assurdo l'uso
della mitologia, massicciamente presente nella poesia neoclassica, perché crea
una letteratura d'evasione, elaborata secondo l'imitazione acritica, pedissequa
e anacronistica dei classici. Invece l'opera d'arte deve essere educativa, cioè
deve aiutare l'uomo a conoscere meglio se stesso e il mondo in cui vive. Il
passo tratta della infelicità e insoddisfazioni intrinseche nella natura umana,
ma il male e l'infelicità non sono temi trattati unicamente da Manzoni molti furono gli autori
che ne trattarono diffusamente nei loro
scritti. Un esempio fra tutti è il poeta pessimista per eccellenza: Giacomo
Leopardi. Non sono molti gli aspetti comuni tra questi due scrittori, ma la
vicinanza degli intenti sicuramente li rende simili. Come Manzoni, Leopardi partecipa alla
polemica fra classicisti e romantici sul valore della poesia moderna essa è uno strumento di conoscenza di sé, è voce del
cuore e dell'anima del poeta. Sia i
promessi Sposi che Le Operette Morali servono a demistificare la falsità del loro
tempo e a dissacrare gli eccessivi ottimismi del Diciannovesimo secolo. In questo modo entrambi i poeti possono porsi come educatori
degli uomini assumendo il ruolo di guida (il cosiddetto poeta-vate leopardiano).
In entrambi si mescolano pietà e riso per quella falsa grandezza degli uomini,
animati da filosofie idealistiche e spiritualiste. Entrambi manifestano un atteggiamento
disincantato e disilluso, e per questo accettano con rassegnazione la condizione
umana. Lo scopo dei loro lavori morale sta nel far conoscere agli uomini l' "arido vero" così da avere un comportamento adeguato. Penso
però che Manzoni avesse , in
fondo al buio del proprio pessimismo,
una luce che rischiarasse i suoi pensieri:
Il romanzo si chiude con un lieto fine, ma è comunque necessaria qualche riflessione: esso non può essere ristretto nell'ambito di una piccola vicenda di un matrimonio impedito e poi concluso, la metafora stessa non smentisce una storia permeata di dolore, disillusioni e molti soprusi. Sebbene uomini e cose paiano riconciliarsi dopo il passaggio livellatore della peste, il protrarsi della storia e la serie di rilievi amari che compaiono nei paragrafi successivi portano a pensare che il lieto fine non sia poi così lieto. Bisogna comunque considerare che tra tutti i possibili finali l'autore preferisce un compromesso: dice di voler passare ancora un po' di tempo con i suoi "burattini" anche dopo il matrimonio, descrivendo la vita dei due sposi. Quindi, anche a lui piace il lieto fine. L'autore aveva però avvertito il pericolo di terminare il romanzo in maniera idillica e questo paragrafo pedagogico richiama alla concreta realtà della vita di tutti i giorni, carica di difficoltà e desideri disillusi. Il romanzo è un continuo riferimento a questa concezione dualistica: negatività e ottimismo si alternano e spesso sfumano l'una nell'altro. Tale atteggiamento nasce dalla consapevolezza che la situazione storico-politica è immodificabile e negativa. Quindi rappresentando la negatività della storia sempre infestata di violenze e menzogne, si rivela facilmente la sua concezione pessimistica della storia. Ma al di sopra di questo pessimismo si erge l'ottimismo dato dalla fede che spinge, nonostante tutto, all' impegno e al sacrificio.
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