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GIAPPONE - GEOMORFOLOGIA, LO STATO

geografia



GIAPPONE

(Nippon o Nihon) Stato dell'Asia, il più orient. del continente. Territorialmente corrisponde al grande arco insulare (Arcipelago Giapponese) che fronteggia l'Asia sul lato dell'Oceano Pacifico; due spazi marittimi, il Mar Cinese Orientale e il Mar del Giappone, lo separano dalle coste continentali della Cina, della Corea e della Russia asiatica. Nell'ambito dell'Asia il G. si pone in una posizione tutta particolare, essendo il Paese più economicamente progredito del continente, il 2º nel mondo dopo gli Stati Uniti per quanto riguarda la produzione industriale. Questo primato, stupefacente per uno Stato asiatico, lontano dai fuochi occid. promotori del fenomeno industriale, ha le sue dirette motivazioni nelle aperture commerciali del Paese dopo la restaurazione Meiji, nell'urgenza di convertire le strutture economiche e produttive di fronte alle necessità di una popolazione numerosa e povera di spazio (il G. è infatti uno degli Stati del mondo più densamente popolati, con oltre 125 milioni di ab. su un territorio, oltreché esiguo, eminentemente montuoso), infine nella sottomissione tutta “asiatica” delle masse ai poteri tradizionali, cui si deve quell'espansionismo imperialistico che ha portato il G. a occupare, agli inizi di questo secolo, diverse regioni dell'Asia orient. in omaggio a una politica colonialista non dissimile da quella delle potenze industriali europee e che ha lasciato i suoi segni in tutto l'Estremo Oriente. Perdute le sue conquiste con la II guerra mondiale, in seguito alla quale ha dovuto rinunciare a ogni ambizione egemonica sul Pacifico a vantaggio degli U.S.A. (solo nel 1972 ha riacquistato la piena sovranità sull'arcipelago di Okinawa, già sotto amministrazione statunitense), il G. si è impegnato in una corsa all'industrializzazione sostenuta dapprincipio dal capitalismo statunitense, dal quale poi si è via via emancipato raggiungendo in breve tempo, con un'avanzatissima tecnologia e una efficiente organizzazione delle strutture economiche, livelli di sviluppo straordinariamente elevati. Diversamente però dagli Stati Uniti e, fino al suo dissolvimento, dall'Unione Sovietica, e in ciò simile piuttosto ai Paesi industrializzati d'Europa, il G. è povero di risorse naturali: ciò rende sempre di tipo miracolistico i suoi primati economici, fondati su un'intensa attività commerciale, cui peraltro il Paese è votato per la sua stessa insularità e per le sue ampie aperture oceaniche.



LO STATO

In base alla Costituzione del 3 novembre 1946 (entrata in vigore il 3 maggio 1947), il G. è una monarchia costituzionale; funzioni eminentemente rappresentative ha l'imperatore – già sovrano assoluto ammantato di un carattere divino – oggi solamente “simbolo dello Stato e dell'unità del popolo”. Organo supremo dello Stato è il Parlamento o Dieta, che esercita il potere legislativo e che si compone di due Camere, entrambe elette a suffragio universale e diretto: la Camera dei Rappresentanti, eletta per 4 anni, e la Camera dei Consiglieri, eletta per 6 anni e rinnovabile per metà ogni 3 anni. Il potere esecutivo compete al gabinetto, responsabile nei confronti del Parlamento e formato dal primo ministro – designato dalla Dieta di cui deve far parte – e dai vari ministri. Amministrativamente  il Paese, che si estende per 372.839 km con una popolazione di 125.034.000 ab. (stima 1994), si divide in 47 prefetture (ken), comprese la prefettura di Okinawa, quella di Hokkaido, la metropoli (to) di Tokyo e le prefetture urbane (fu) di Kyoto e Osaka; capit. è Tokyo. Lingua nazionale è il giapponese; le religioni prevalenti sono lo shintoismo e il buddhismo (molti Giapponesi le professano entrambe), mentre oltre 1 milione sono i cristiani, di cui 734.000 protestanti. Unità monetaria: yen (suddiviso in 100 sen).

GEOMORFOLOGIA

Il territorio giapponese comprende oltre 3000 isole, piccole e grandi, che da Sahalin e dalle is. Curili (di cui il G. rivendica all'ex U.R.S.S. la sezione merid.) attraverso le Ryukyu portano a Taiwan (Formosa). Tuttavia la maggior parte della sua superficie (61%) rientra nell'is. di Honshu o Hondo (231.090 km ), cuore della civiltà nipponica e sede dei principali fulcri della sua organizzazione geografica. Le altre isole maggiori sono Hokkaido (78.523 km ), Kyushu (42.163 km ) e Shikoku (18.808 km ). La nascita dell'arcipelago si connette alle perturbazioni tettoniche proprie delle aree marginali dei continenti e, più in generale, al grande cerchio d'instabilità che circonda l'Oceano Pacifico. Già nell'era paleozoica esisteva, nell'area oggi occupata dall'arcipelago, una geosinclinale soggetta a incessanti processi evolutivi. Verso la fine di quell'era si ebbero le prime manifestazioni orogenetiche (orogenesi di Akiyoshi) coeve di quelle erciniche europee. Esse portarono all'emersione dei primi rilievi, i cui allineamenti si ritrovano nella parte più interna di Honshu. Alla fine del Mesozoico una nuova orogenesi (di Sakawa), parallela a quella alpina, determinò ulteriori sollevamenti. Questa fase orogenetica continuò fino alla metà del Cenozoico, epoca in cui gran parte del territorio giapponese era emersa dal mare. Nella seconda metà del Cenozoico si ebbero però nuove convulsioni: si delinearono così gli archi montuosi attuali, si formarono le depressioni oggi costituenti i mari di Ohotsk e del Giappone e prese vita quel vulcanesimo che ha edificato nuovi rilievi sopra, o ai margini, delle vecchie strutture. L'assestamento dell'area giapponese è ancora in atto e la sua instabilità è resa critica dall'esistenza delle profonde fosse oceaniche che delimitano l'arcipelago sul lato del Pacifico e che in più punti superano i 10.000 m di profondità (Fossa delle Curili, -10.542 m; Fossa del Giappone -10.680 m). L'instabilità strutturale dell'area giapponese – una delle più perturbate nell'ambito della cosiddetta “cintura di fuoco” del Pacifico – è concretamente rivelata dalla frequenza delle manifestazioni sismiche e dall'intensità dell'attività vulcanica, 717i85h che merita all'arcipelago la fama di “fucina di vulcani”. Strutturalmente l'arcipelago è costituito da diversi archi montuosi tra loro annodati. I principali sono quelli del Honshu sett. e del Shikoku (o di Honshu merid.); essi si allacciano con l'arco di Bonin-Volcano (posto in direzione quasi normale) nella sezione centr. del Honshu, in corrispondenza della cosiddetta Fossa Magna, area di sprofondamento, formata da alcune grandi faglie, che divide in due parti la maggiore isola giapponese. Gli altri archi sono a S quello delle Ryukyu, che nell'is. di Kyushu si annoda a quello di Shikoku, e a N gli archi delle Curili e di Sahalin, che nel Hokkaido si collegano con quello del Honshu settentrionale. Nelle sezioni insulari così definite le formazioni geologiche variano alquanto; in generale si riconoscono una zona interna rivolta al continente asiatico e una esterna verso l'Oceano Pacifico. Questa divisione geologica e strutturale è particolarmente netta nell'arco di Shikoku, essendo data da una frattura longitudinale che separa la parte interna, dominata da massicci di rocce granitoidi, da quella esterna, dove prevalgono le rocce scistose e sedimentarie fortemente corrugate. Tale divisione è meno chiara nella sezione sett. del Honshu, dove si hanno un po' ovunque le formazioni granitiche intrusive; le rocce scistose e sedimentarie appaiono invece nella sezione interna del Hokkaido, allacciandosi alla dorsale di Sahalin. Nel complesso però esiste in G. una grande varietà di formazioni geologiche anche in ambiti piuttosto ristretti, fenomeno dovuto all'intensità e alla complessità delle convulsioni orogenetiche. Su tutte le formazioni di base, granitiche o metamorfiche, si sovrappongono quelle vulcaniche recenti, che nel Honshu sett. e nel Hokkaido corrispondono alle dorsali montagnose mediane, mentre nella sezione merid. del Honshu e nel Shikoku danno luogo a un rilievo più frammentato. L'importanza delle formazioni vulcaniche in G. è rivelata da un semplice dato: esse interessano il 26% dell'intero arcipelago. L'attività vulcanica, 717i85h collegata ai perturbamenti cenozoici, è stata intensa anche in epoche recenti e ben 60 vulcani hanno avuto eruzioni in epoca storica. Oggi i vulcani attivi non sono numerosi; mancano del tutto nel Honshu sud-orient. e nel Shikoku, sono invece numerosi nel Kyushu, nel Honshu sett. e nel Hokkaido. Alcuni rappresentano le sommità delle aree montagnose cui appartengono e un vulcano è comunque la cima più alta di tutto l'arcipelago, il Fuji (3776 m), montagna-simbolo del paesaggio giapponese, sorta presso la Fossa Magna; il suggestivo cono rivaleggia con le vette delle Alpi Giapponesi, la sezione più elevata delle catene interne, che raggiungono i 3192 m nel Shirane. Questi rilievi sono il ringiovanimento delle catene paleozoiche e hanno forme giovanili; ciò vale anche per gli altri sistemi montuosi giapponesi, tutti più o meno soggetti ai grandiosi ringiovanimenti cenozoici. Nel complesso la morfologia è più dolce nelle aree dominate dalle formazioni vulcaniche, caratterizzate da espandimenti di lave molto elastiche che hanno smussato le asperità dei versanti. La massima parte del territorio giapponese è comunque montagnosa (si calcola che il 75% sia costituito da colline o montagne) e, a parte la sezione del Honshu dominata dalle Alpi Giapponesi e dal Fuji, tutte le dorsali spartiacque insulari toccano i 1500-2000 m d'altezza. L'andamento delle valli è complesso e in generale a un corso trasversale in prossimità delle coste succedono verso l'interno solchi longitudinali allineati nella direzione delle catene strutturali, da NE a SW. Sfociando sulle coste queste vallate danno origine alle poche pianure di cui disponga il G., formate dagli apporti alluvionali che hanno portato al colmamento degli sbocchi costieri. Un caso a sé è rappresentato dalla pianura del Kanto, la più estesa del Paese, formatasi in corrispondenza della Fossa Magna per sedimentazione di materiali recenti, in particolare vulcanici (loam) che rendono fertilissima questa regione, immediato entroterra di Tokyo (di cui può spiegare lo sviluppo eccezionale). Altra estesa pianura è quella di Tokachi, nel Hokkaido; l'isola dispone pure dell'ampia piana di Sapporo. Le coste dell'arcipelago giapponese (complessivamente 26.813 km) sono estremamente accidentate e varie. Nei loro profili attuali esse sono il risultato dei più recenti sollevamenti che hanno portato a emergere nuove superfici di aree già orograficamente complesse e tormentate. Il lato del Pacifico presenta il contorno più mosso e articolato, mentre le coste del Mar del Giappone sono complessivamente più lineari, con lunghi tratti di litorale basso e sabbioso; fa eccezione la penisola di Noto (is. di Honshu), lunga prominenza costituita da una lingua di terra saldatasi con vecchie formazioni insulari. Lungo il Pacifico il motivo dominante è offerto dalle profonde e articolate insenature (wan) e dalle ampie rade (umi), su cui si affacciano i grandi centri portuali che sono all'origine delle fortune commerciali del G.; spiccano, tutte nel Honshu, Tokyo-wan, con i porti di Tokyo e Yokohama; Ise-wan, che ospita Nagoya; Osaka-wan, sede del complesso portuale di Osaka-Kobe; e, nel Kyushu, Kagoshimawan e Ariakeno-umi. Elemento particolare del contorno costiero giapponese è lo spazio marittimo (Seto Naikai o Mare Interno) che separa il Shikoku dal Honshu sud-occid., un mare tutto cosparso di isole e isolette derivate dall'emersione dei rilievi compresi tra le dorsali montuose che dominano le due isole; la frammentazione insulare segue qui quella della costa, talora rotta da insenature a rías. Poche sono sul lato del Pacifico le coste basse: corrispondono ai tratti delle pianure più estese (specie nel Hokkaido, oltre a quella del Kanto) e alle falcature o alle espansioni deltizie agli sbocchi dei fondi vallivi.

IDROGRAFIA

In rapporto alla conformazione delle isole e all'orografia molto frammentata, la rete idrografica del G. manca di bacini estesi. I fiumi principali si sviluppano nel Honshu; tributano al Pacifico il Tone, che drena la sezione centrale dell'isola estendendo il suo bacino sulla piana del Kanto, e il Kitakami, mentre scende al Mar del Giappone lo Shinano. Diversamente da questi e da pochi altri che sviluppano i loro bacini in valli longitudinali, come l'Ishitaki e il Teshio, nel Hokkaido, il resto dei fiumi giapponesi ha corsi più o meno diretti tra lo spartiacque e la costa, verso la quale mantiene una direzione normale. Si capisce come il loro ruolo, nella geografia del G., sia piuttosto modesto. I loro corsi, giovanili nelle zone montagnose interne, presso la costa si distendono nelle piane alluvionali, diventando elementi di attrazione demografica. Nessuna importanza essi hanno ai fini della navigazione in un Paese come il G. tutto riversato sulle coste; d'altra parte hanno più o meno tutti corsi immaturi. Il loro regime è invece, nel complesso, piuttosto regolare. L'alimentazione è fornita massimamente dalle precipitazioni che, pur presentando dei massimi in periodi diversi passando da una regione all'altra, non mancano in quasi nessun mese dell'anno. In generale però piove soprattutto d'estate e d'autunno nella sezione sud-occid. dell'arcipelago, mentre in quella nord-orient. le abbondanti precipitazioni nevose invernali determinano piene primaverili. Se i fiumi giapponesi sono di scarso rilievo come assi di attrazione umana, hanno però un ruolo fondamentale come fonti idriche per l'irrigazione. Gran parte delle risaie irrigue (ca. il 68%) sfrutta le acque fluviali, specie nelle pianure costiere, che rappresentano le principali zone agricole del Paese. Ricche e numerose sono in tutto il G. le sorgenti, tra cui abbondano quelle termali e termo-minerali, legate alla natura vulcanica delle isole.

CLIMA

Per il suo notevole sviluppo latitudinale e per la varietà degli influssi, il G. presenta un clima molto vario da parte a parte, nonostante la sua marittimità. Anche mutamenti stagionali del clima sono sensibili e a un'estate di tipo tropicale o subtropicale che investe quasi per intero le isole succede un inverno freddo e piovoso che si fa sentire anche nella parte sud-orient., la più tropicale dell'arcipelago. Il meccanismo degli influssi è piuttosto complesso, essendo collegato ai movimenti delle seguenti masse d'aria: le masse d'aria marittima polare (detta del Mare di Ohotsk), le masse d'aria continentale siberiana e, sul lato opposto, le masse d'aria marittima tropicale (masse di Bonin), le masse equatoriali e quelle tropicali continentali (dello Yangtze Kiang). L'inverno è massimamente soggetto, in tutta la sezione sett., alle masse d'aria d'origine siberiana, che portano freddi venti di NW. Sopra il Mare del Giappone questi venti assorbono molta umidità che scaricano sui rilievi occid. del Honshu, dove si hanno rilevanti precipitazioni invernali, spesso a carattere nevoso. Agli influssi dell'anticiclone siberiano succede, nella tarda primavera, lo stanziamento dell'anticiclone marittimo polare, cioè delle masse d'aria del Mare di Ohotsk, umide e fredde; scontrandosi con le masse d'aria di Bonin, tropicali marittime, esse formano un fronte depressionario, detto di Bai u, responsabile delle abbondanti precipitazioni estive che si scaricano soprattutto sul G. sud-occidentale. In genere l'estate giapponese è umida e nebulosa, anche se non ovunque necessariamente molto piovosa; la stagione si conclude in settembre con l'arrivo dei tifoni, che risalgono le coste dell'Asia orient., determinati dallo scontro di aria umida equatoriale con aria continentale fredda. Essi apportano precipitazioni abbondanti lungo le coste merid. dell'arcipelago e spesso hanno carattere violento e rovinoso. Autunno e primavera si configurano come le stagioni più calme e dolci del clima giapponese, i cui contrasti sono indicati dalle temperature estive e invernali di alcune località. Nel mese più freddo, il gennaio, le temperature più basse si registrano nel Hokkaido (a Sapporo -4 ºC); a Tokyo, che è però vicina al mare, sono di 4-5 ºC. A Kagoshima, cioè nel G. sud-occid., in piena area tropicale, sono di 6 ºC, valore molto basso in rapporto alla latitudine. L'estate registra valori ovunque elevati: nel mese più caldo, l'agosto, si hanno 26-27 ºC a Kagoshima, 25-26 ºC a Tokyo e 20-21 ºC a Sapporo. Anche per quanto riguarda le precipitazioni (oltre 1200 mm annui nella maggior parte del G.) si hanno contrasti notevoli. Le aree più piovose sono il versante interno del Honshu, dove si hanno oltre 2000 mm annui di precipitazioni (in larga parte a carattere nevoso) e il versante esterno del Kyushu e del Shikoku, dove pure si registrano oltre 2000 mm di piogge annue. Le precipitazioni diminuiscono verso N lungo la costa del Pacifico. Così a Tokyo si hanno mediamente 1500 mm annui, che si abbassano ancora nel Hokkaido (a Sapporo anche meno di 1000 mm). Nel quadro climatico del G. un'influenza non trascurabile hanno le correnti marine che lambiscono l'arcipelago: la calda Curoscivo, che ha un'azione umidificatrice e moderatamente temperante nelle zone costiere merid., e la fredda Ogascivo, che esercita un influsso soprattutto nel Hokkaido. All'incontro delle correnti si formano le condizioni adatte alla riproduzione del plancton, ciò che spiega l'eccezionale pescosità di certi tratti di mare giapponesi.

FLORA

Alla divisione dell'arcipelago in diversi domini climatici, uno subtropicale e l'altro temperato, si deve la varietà degli aspetti vegetali del Paese. A tale varietà hanno anche contribuito le oscillazioni climatiche delle epoche passate, cui si deve l'introduzione di specie di domini ancora differenti. La foresta subtropicale è, come quella sinica, caratterizzata da specie sempreverdi rappresentate da bambù, querce, alberi della canfora, ecc. Queste e altre specie formano spesso, nel Sud, una sorta di macchia o di boscaglia rada (genya) derivata dalla degradazione della foresta primaria e nella quale predomina sovente il bambù nano (sasa) in fitta associazione; le specie subtropicali si spingono verso N fin sulla costa del Honshu centrale. La foresta temperata è la più estesa ed è rappresentata da latifoglie (pioppi, querce, frassini, castagni, faggi) e da conifere varie, con prevalenza di pino rosso. Nelle zone elevate e nel Hokkaido compaiono le conifere d'ambiente boreale (abeti vari) che nelle aree più fredde e a maggiori livelli altitudinali lasciano il posto alle praterie (agli stessi livelli si hanno anche macchie arbustive di pini) e alle tundre d'ambiente nivale. In un Paese così popolato come il G. l'ammanto vegetale naturale è stato largamente alterato dall'uomo; tuttavia, dati la montuosità delle isole e il prevalere della popolazione lungo le coste, il manto boschivo è tuttora molto esteso, rappresentando ben il 67% dell'intera superficie dell'arcipelago; nelle zone montagnose interne meno accessibili vi sono estese aree boscose intatte.

GEOGRAFIA UMANA: DALLE ORIGINI ALLA RESTAURAZIONE MEIJI

L'occupazione umana del G. è avvenuta attraverso vicende complesse e non ancora ben chiare. Secondo vari studiosi, le genti giapponesi derivano dalla fusione di gruppi autoctoni Ainu con immigrati cinesi e malesi; secondo altri, da genti paleosiberiane fusesi con gruppi tungusi, coreani e cinesi; alcuni ritengono che l'origine dei giapponesi sia da ricollegarsi alle migrazioni dei più antichi gruppi asiatici del NE dai quali derivarono gli Amerindoidi e i Polinesiani. È certo, comunque, che nel sec. VI si erano caratterizzati due gruppi fondamentali, uno affine al tipo sinico (dolicocefalo ad alta statura) e l'altro al tipo sudmongolico (brachicefalo a bassa statura). Nell'ambito di questi due gruppi gli antropologi giapponesi distinguono molteplici varietà riconducibili a quattro forme principali: quella a statura bassa e forte brachicefalia (ihikawa) localizzata nel NE dell'arcipelago; quella a statura medio-bassa e modica brachicefalia (okayama) localizzata nelle regioni centro-occid. e costiere di Honshu; quella a statura medio-superiore e modica dolicocefalia (chikuzen) localizzata in gran parte di Kyushu; quella a statura alta e spiccata dolicocefalia (satsuma) localizzata nel Sud di Kyushu e in Shikoku. I tratti vagamente europoidi deriverebbero dal più antico substrato Ainu. Per quanto riguarda i processi inerenti all'acculturazione del Paese, sono state individuate correnti culturali e di popolamento provenienti non solo dalla Cina (attraverso il “ponte” della Corea) ma anche dall'Insulindia. La cultura neolitica di Jomon ha posto le prime basi dell'organizzazione umana, che si configurò in forme più precise con la successiva cultura di Yayoi, cui si connette l'ultima grande ondata immigratoria di genti del continente, quelle che hanno definito i caratteri del popolo giapponese. Con la cultura di Yayoi si ebbe anche l'introduzione della risicoltura, così com'è praticata in tutta l'Asia sinica e monsonica. Le principali aree di insediamento furono nel Honshu centro-merid. e nel Kyushu; ben presto il maggior centro di gravitazione di quell'originaria occupazione divenne il bacino di Nara. Ciò rese possibile, nel sec. VII d. C., quel processo di unificazione che si espresse nel primo dominio imperiale, esteso su gran parte della sezione centro-merid. dell'arcipelago. Con tale organizzazione politico-economica si realizzò quel sistema di occupazione delle terre, fondato sul sistema jori (divisione geometrica del territorio, cui corrisponde una parcellazione regolare a base modulare dei campi e corrispondente distribuzione degli insediamenti) che ha lasciato tracce sino a oggi nel paesaggio nipponico. Con la civiltà di Heian, che dominò il Paese tra il sec. VIII e il XII, si ebbero una espansione della popolazione giapponese verso nord e la costituzione di una trama territoriale molto ampia, con il suo vertice a Kyoto. Fu un periodo economicamente prospero e la popolazione raggiunse, secondo alcune valutazioni, i 6 milioni di ab.; ma proprio la conquista e la colonizzazione di nuove terre, assegnate a principi e a capi militari, posero le basi di quel feudalesimo che lasciò, fino al secolo scorso, tracce incancellabili nelle strutture territoriali. Tale organizzazione aveva il suo fulcro nelle città dei daimyo (i signori feudali) dominate da un castello intorno al quale erano i quartieri dei samurai, degli artigiani e dei commercianti. Nell'epoca dei Tokugawa, che irrigidì l'organizzazione politico-economica del Paese, il fulcro dell'impero si spostò a Edo, la futura Tokyo: essa contava nel sec. XVIII ca. un milione di ab. e probabilmente era già a quel tempo la più popolosa città del mondo. Tuttavia il G. conobbe, sotto il dominio imperiale, un lungo ristagno demografico, dovuto alle pessime condizioni della vita nelle campagne e al quale contribuì anche la brutale pratica del mabiki, il soffocamento dei neonati, in uso presso i contadini più poveri.

GEOGRAFIA UMANA: DOPO LA RESTAURAZIONE MEIJI

La restaurazione Meiji portò un soffio di vitalità nuova nel Paese: l'economia, non più soggetta alle restrizioni feudali, ebbe impulsi immediati, che si misurarono non solo nei centri urbani attivati da nuovi interessi commerciali e industriali, ma anche nel mondo rurale. Ebbe inizio in quest'epoca l'effettiva colonizzazione del Hokkaido fino allora rimasto pochissimo popolato (in maggioranza la popolazione era costituita da Ainu), con non più di 30.000 abitanti. L'immigrazione verso l'isola più sett. iniziò in forme massicce verso la fine del secolo, introducendo annualmente sino a 60.000 persone. Notevole fu anche la crescita dell'urbanesimo, la quale poi esplose, in tutto il suo parossismo, verso la fine del secolo. Al primo censimento, eseguito nel 1872, la popolazione giapponese ammontava a 34,8 milioni di abitanti. Essa aumentò successivamente in modo rapido, per effetto delle migliorate condizioni di vita del Paese. Nel 1920, cioè dopo circa mezzo secolo dal primo censimento, la popolazione risultò accresciuta del 56%, anche se nel frattempo il G. aveva perduto un certo numero di abitanti con le emigrazioni verso l'America anglosassone, le Hawaii e l'America Meridionale (però l'emigrazione più massiccia verso l'America Meridionale si verificò più tardi, negli anni Trenta, quando raggiunsero il Brasile ben 900.000 Giapponesi). Questa emigrazione fu la conseguenza dell'aumentato tasso d'incremento demografico verificatosi dopo il 1920 per effetto di una sensibile diminuzione della mortalità e che giunse a superare annualmente il 2% contro i precedenti 1-1,5%. Gli sviluppi demografici subirono un repentino arresto durante gli anni di guerra 1944-45, sia per la ridotta natalità sia per l'elevata mortalità dovuta alle perdite in guerra e ai bombardamenti nelle grandi città. Queste perdite sono state in parte bilanciate, alla fine della guerra, dai rimpatri dei numerosi Giapponesi che si erano stabiliti in Manciuria, a Formosa e in altri Paesi dell'Estremo Oriente. Negli anni 1946-47 vi è stato un forte e improvviso rialzo della natalità (34‰), via via diminuita successivamente, al pari della mortalità; la “maturità” del Paese ha portato così a una riduzione dell'incremento demografico, attestato oggi sullo 0,6%, che è più o meno al livello degli Stati industriali progrediti. La popolazione che nel 1950 era di 83,2 milioni, al censimento del 1985 risultò di 121 milioni, con una densità media di 325 ab./km . Questo valore nasconde però le fortissime differenze dovute all'irregolare distribuzione della popolazione. In generale i maggiori insediamenti si hanno nella fascia litoranea e ciò perché l'interno del Paese è montagnoso e poco agevole; l'organizzazione territoriale ha i suoi perni nelle metropoli della costa, sviluppatesi in rapporto alle loro attività commerciali e industriali, dove si elaborano cioè quei prodotti che stanno alla base dell'economia giapponese. Questo “riversamento” sulle coste degli uomini e delle attività vale per tutte le isole, ma in particolar modo per Honshu, la più densamente popolata, con 425 ab./km (Hokkaido, la meno popolata, ne ha 72 per km ). Ciò si deve al grande sviluppo che vi ha avuto l'urbanesimo, che allinea tutta una serie di metropoli lungo la costa orient. con densità che raggiungono in certe prefetture (escluse le aree considerate urbane) i 500 ab./km e in qualche caso superandole. Alle forti densità del litorale del Pacifico fanno riscontro i valori relativamente più bassi della costa del Mar del Giappone, dove pochi sono invece i grandi centri urbani (medie su 150-200 ab./km ). Le zone più spopolate sono quelle interne montagnose del Honshu e soprattutto del Hokkaido.

GEOGRAFIA UMANA: L'URBANIZZAZIONE

Le generali elevate densità del G. si spiegano comunque con l'alto indice di urbanizzazione del Paese, dove ormai meno del 24% della popolazione è considerata rurale. Questa vive ancor oggi nel buraku, il tipico villaggio nipponico, che conserva in molti casi quegli aspetti tradizionali legati a una precisa e, in certa misura, autonoma organizzazione. Il buraku è formato in generale da abitazioni compatte e fa capo al tempio shintoista. Alle epoche di colonizzazione imposta si devono i numerosi villaggi di strada e i villaggi inquadrati entro la maglia delle divisioni jori del terreno. Le città hanno ormai allargato su vasti dintorni il loro influsso diretto, e ciò anche perché le migrazioni pendolari di manodopera dalla campagna alla città investono aree molto estese, fatto reso possibile dal grande sviluppo dei trasporti intorno alle aree urbanizzate. Le città ospitano oggi il 76,9% della popolazione. La misura dell'urbanesimo giapponese può essere data dalla graduatoria delle città, che ne annovera 11 con più di un milione di ab. e 10 con oltre 500.000 abitanti. Nel campo dell'urbanesimo il G. conta un primato mondiale, quello di avere in Tokyo una delle più popolose città del mondo, la grande rivale di New York, con un'area metropolitana di 11,9 milioni di ab. La capitale, che nella sua baia ospita uno dei porti più attivi del mondo, è la più sett. delle grandi città che si allineano lungo la costa orient. del Honshu: Kyoto, Osaka, Kobe, Nagoya, Shizuoka, Kawasaki, Yokohama, ecc. Questa straordinaria concentrazione urbana può essere paragonata per molti aspetti alle megalopoli americane, schierate lungo la costa atlantica: ne ha le dimensioni, l'imponenza e anche la funzionalità, in quanto costituita da grandi centri portuali e industriali. Manca, alla megalopoli giapponese, il vasto entroterra di quelle statunitensi, sostituito dall'ampio spazio commerciale extranazionale, mondiale, su cui si basano le fortune di questi giganteschi complessi urbani giapponesi. La fioritura di queste metropoli si è avuta per motivi diversi. Anzitutto esse sono situate presso le pianure costiere del G. centr., che nella zona di Nara e di Kyoto ha avuto nei secoli passati i centri originari e motori dell'organizzazione politica, economica e culturale del Paese. Secondariamente esse sono state favorite, nel loro sviluppo economico e commerciale, dalla loro posizione portualmente felice, all'interno di belle e ben protette baie. La vicinanza di piane agricole popolose ha infine consentito il facile e immediato assorbimento dell'abbondante popolazione rurale. Nell'ambito del complessivo schieramento urbano si possono individuare delle conurbazioni distinte, tra cui si impongono quella che fa capo al triangolo di Kyoto-Osaka-Kobe (con ca. 13 milioni di ab.), quella di Nagoya-Gifu, quella di Tokyo-Yokohama (con oltre 20 milioni di ab.). Altre concentrazioni si trovano lungo le coste del Kyushu; la principale è quella che fa capo a Kitakyushu-Fukuoka, cui si associa la città di Shimonoseki nella vicina estremità del Honshu sud-occid.; quelle di Nagasaki e Sasebo, di Kumamoto e di Kagoshima. Relativamente meno sviluppato è l'urbanesimo del Shikoku, dove le città maggiori (Takamatsu, Matsuyama) si allineano sulla costa del Mare Interno. Nel Nord del Honshu (Tohoku) grossi centri sono gli sbocchi portuali di Sendai, Akita e Aomori, la quale ultima funge da tramite tra Honshu e Hokkaido. Le città di quest'isola sono tutte recenti ma già sviluppatissime, come Hakodate, dirimpetto ad Aomori, e Sapporo, nella più popolosa pianura dell'isola. Le città giapponesi hanno volti e strutture più o meno eguali. Molte di esse sono sorte come sedi feudali e sono dominate dal castello del daimyo, che è un po' il centro simbolico, al di fuori del quale non esistono nuclei coordinatori del tessuto urbano (paragonabili, p. es., alla piazza centrale delle città occidentali). La città è formata da una giustapposizione di quartieri con funzioni diverse, che li qualificano: così la Ginza, a Tokyo, è il grande e vivace quartiere degli affari. Alla funzionalità per quartieri si aggiunge quella generale delle città nell'ambito del Paese. In tale quadro Tokyo fa parte a sé per il suo ruolo molteplice, la dimensione mondiale dei suoi interessi culturali, commerciali, industriali, finanziari. Il suo porto è tra i più attivi del mondo; esso è integrato da quello della vicina Yokohama, che è sede soprattutto delle grandi industrie di trasformazione (siderurgica, petrolifera, ecc.). Più a S, Nagoya è un centro a funzioni regionali molteplici. Nella conurbazione Kyoto-Osaka-Kobe, un ruolo culturale, universitario e turistico ha Kyoto, la più bella città del G., scrigno delle sue tradizioni, mentre Osaka è soprattutto centro finanziario e degli affari; Kobe è invece grande porto dell'industria pesante. Kitakyushu e le vicine città sono anch'esse prevalentemente legate all'industria di trasformazione. Funzioni industriali hanno più o meno tutte le metropoli giapponesi, benché in generale quelle che non formano delle conurbazioni abbiano un ruolo di centri regionali con attività molteplici. Compiti più strettamente locali, come capol. di prefetture o di zone limitate, hanno infine le altre città e cittadine, tra cui molte sono qualificate per essere essenzialmente centri religiosi (Nikko) o turistici, termali (Horobetsu), o come porti di pesca.

ECONOMIA: CARATTERI GENERALI

Il prodigioso sviluppo dell’economia giapponese ebbe inizio nel 1868, con l’avvento del Meiji (Governo Illuminato), che, abbattendo il preesistente regime feudale, dava concreta risposta alle sollecitazioni sempre più pressanti di una nuova borghesia, prima mercantile poi imprenditoriale, e nel contempo reale soluzione per l'ormai insostenibile situazione di un Paese sovrappopolato, povero quindi di spazio oltre che di risorse naturali, per il quale appariva indispensabile un rinnovamento economico e sociale. Lo Stato, facendo propri i poteri degli antichi feudatari, poté accumulare rapidamente ingenti capitali, che ben presto investì in imprese di tipo industriale, favorendo così l'affermarsi della nascente classe imprenditoriale; nello stesso tempo, anche se inizialmente contrastate, le aperture commerciali con l'estero allargarono gli orizzonti dell'economia. L'industria divenne ben presto arbitra della situazione interna del Paese; sorsero gli zaibatsu, concentrazioni di industrie dominate da grandi famiglie, che a poco a poco raccolsero nelle loro mani le preesistenti piccole e medie aziende, per lo più di ex commercianti, in ciò favorite dalla politica governativa, volta appunto ad accelerare lo sviluppo del Paese mediante il sostegno a pochi grandi complessi a carattere monopolistico. Questa fase di iniziale espansione si avvantaggiò inoltre di un forte protezionismo doganale, necessario per difendere dalla concorrenza straniera i prodotti nazionali, ancora tecnicamente poco avanzati, mentre si affermava una spregiudicata propensione ad imitare le produzioni già sicuramente affermatesi all'estero. Il rapido sviluppo industriale determinò inevitabilmente il progressivo decadimento dell'economia agricola, nonostante l'avvenuta riforma fondiaria che, con l'abolizione dei latifondi feudali, aveva assegnato la terra ai contadini; ma ne erano seguiti l'estrema frammentazione dei fondi e, quindi, redditi agrari del tutto insufficienti. Si ebbe l'esodo dalle campagne di masse di contadini tradizionalmente ligi al dovere, di abitudini frugalissime e per i quali lo zaibatsu continuava, di fatto, a incarnare il potere feudale; e proprio questa sovrabbondanza di manodopera a costi estremamente bassi fu uno dei fattori determinanti della rapida industrializzazione del G., che per gli approvvigionamenti di materie prime fu spinto a perseguire una politica militare ed espansionistica, conclusasi con l'occupazione della Manciuria e della Corea. Superata senza gravi conseguenze la crisi degli anni Trenta, in virtù di una politica, dapprima, di restrizione monetaria e di austerità e, poi, di liberalizzazione e di investimenti pubblici, il G. vedeva rafforzarsi le industrie di base (metalmeccaniche, chimiche, elettriche) e crescere il proprio peso commerciale (4% delle esportazioni mondiali), trovando nell’Asia orientale e nell’area del Pacifico importanti fattori di sviluppo, dalle materie prime alla manodopera e a nuovi sbocchi di mercato. Nonostante l’esito catastrofico del secondo conflitto mondiale, il Paese, grazie a una straordinaria capacità di ripresa, superiore a quella pur formidabile della stessa Germania, si è posto, nel prosieguo del sec. XX, come la maggiore potenza economica del pianeta dopo gli Stati Uniti, e anzi, dagli anni Ottanta, la prima in assoluto sotto il profilo finanziario. Inizialmente, la ricostruzione postbellica fu decisamente favorita dagli stessi Stati Uniti, che videro nel G. una barriera all’espansione politica della Cina comunista e pertanto, oltre a fornire cospicui aiuti finanziari, contribuirono a reinserirlo nel novero dei Paesi capitalisti. Emersero ben presto, però, i fattori endogeni della ripresa, prima fra tutti l’organizzazione di nuove e agguerrite holdings (le keiretsu-ka, che sostituivano gli zaibatsu, aboliti con una legge antimonopolistica), imperniate su grandi banche e pertanto dotate di capacità imprenditoriali idonee alla gestione di grandi mezzi finanziari. La disponibilità di questi ultimi, derivante dalla spiccata propensione al risparmio (v. oltre), si associava alla forte domanda del mercato interno, grazie a una continua e sensibile crescita dei salari reali, che moltiplicava di ben 4,5 volte il potere di acquisto nel periodo 1955-70. Inoltre lo Stato esercitava un’accorta politica di incentivi e sosteneva un’eccellente organizzazione commerciale, coordinata dal Ministero del Commercio Internazionale e dell’Industria (M.I.T.I.), il quale, agendo come tramite fra potere politico ed economico, finiva per orientare le strategie produttive di fondo. Pur rimanendo fedele ai principi dell’economia liberista, dunque, il governo giapponese veniva assumendo un ruolo sempre più rilevante nella programmazione economica, che, pur dichiaratamente orientativa, si dimostrava, alla prova dei fatti, vincolante e foriera di ottimi successi. Dalla metà degli anni Cinquanta si succedevano una serie di veri e propri “boom” economici, con tassi di crescita del P.I.L. addirittura superiori al 10% annuo (il doppio degli altri grandi Paesi industriali), intervallati da brevi fasi recessive; la produzione industriale aumentava del 15% nei soli anni Sessanta, con una spiccata diversificazione settoriale, alla base della quale stava comunque il peso dei grandi complessi siderurgici e petrolchimici, localizzati nelle aree portuali per far fronte ai costi di trasporto delle materie prime, pressoché totalmente di importazione. Il primo “shock” petrolifero, nel 1973-74, determinava pertanto un notevole contraccolpo per un Paese il cui fabbisogno di greggio era cresciuto di ben 30 volte in meno di un ventennio, raggiungendo i 290 milioni di t annue. Si rendeva necessario, pertanto, riconvertire i settori a più elevato consumo energetico e, nello stesso tempo, orientare la ricerca di base e applicata sulle fonti alternative, fra cui, in primo piano, quella nucleare; inoltre, trasferire progressivamente gli impianti produttivi, dapprima nei Paesi asiatici vicini (Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Thailandia, ecc.), dove la manodopera aveva un costo di gran lunga inferiore, poi direttamente sui mercati di esportazione americani ed europei. L’internazionalizzazione dell’economia giapponese, in tal modo, si faceva sempre più marcata durante gli anni Ottanta, nonostante il perdurare di atteggiamenti più o meno larvatamente protezionistici, volti a mantenere l’integrità del mercato interno, cui si contrapponeva il tentativo di frenare l’invasione dei prodotti nipponici da parte degli Stati Uniti e della Comunità Europea. Disponendo, grazie all’elevatissima capacità di risparmio delle famiglie e delle imprese, di un’enorme quantità di capitali (calcolata in 9000 miliardi di dollari), il G. investiva, infatti, ben 800 miliardi di dollari nel debito pubblico di tutto il mondo (di cui il 40% in titoli del Tesoro statunitense) e accumulava valuta pregiata per 200 miliardi di dollari; sette delle sue grandi banche entravano fra le prime venti del mondo. Gli straordinari successi – accentuati dal contenimento sia dell’inflazione, sia della disoccupazione – lasciavano tuttavia aperti rilevanti problemi di ordine sociale, che solo in un Paese in cui, per molteplici fattori storici e culturali, erano tanto marcati lo spirito nazionale, l'autodisciplina, il senso di rispetto all'autorità (con ciò anche intendendo la fedeltà alla “famiglia aziendale” come riflesso dell'atavico attaccamento alla famiglia patriarcale) si sono potuti così a lungo trascurare. Innanzi tutto si pone il tipico carattere “dualista” dell'economia, specie dell'industria, nella quale, accanto ai grandi e moderni complessi dove i lavoratori godono di una situazione assolutamente privilegiata e per vari aspetti invidiabile anche nei Paesi occidentali più avanzati, esiste un tessuto di piccole e medie industrie più fragili e più arretrate, che svolgono ruoli complementari a quelli dei colossi industriali e in cui i salari sono molto bassi e pressoché totale è la possibilità di licenziamento o l'obbligo alla mobilità del lavoro, in quanto assolvono a funzioni di "cuscinetto" nei periodi di crisi. Inoltre il destinare i capitali quasi esclusivamente ai settori produttivi e finanziari ha di necessità determinato enormi carenze negli investimenti sociali (previdenza, sanità, ecc.), mentre il costante ricorso a criteri di immediata redditività e di intensissimo sfruttamento delle aree più economicamente utili ha causato non meno profondi squilibri sotto il profilo insediativo e ambientale: in particolare, nella megalopoli di Tokyo risiede ormai quasi un quarto della popolazione totale, in condizioni di abitabilità sempre meno accettabili; più in generale l'incontrollata crescita urbana e l'indiscriminato uso del territorio hanno determinato dissesti ecologici forse ormai irreparabili. Negli anni Novanta, tuttavia, molti elementi sono intervenuti a turbare gli equilibri che si erano andati così delineando: innanzi tutto, la concorrenza ormai apertamente esercitata dai primi fra i N.I.C. (Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong, Singapore), che hanno fortemente migliorato la qualità tecnologica dei loro prodotti mantenendone la competitività, e l'esplosione dell'economia cinese, con tassi di crescita del P.I.L. dieci volte superiori a quelli del Giappone, frattanto molto ridimensionati (v. oltre). Iniziata con la fuoriuscita di flussi di manodopera, spesso clandestini, che hanno contribuito a turbare il mercato del lavoro giapponese, l'influenza del grande vicino si è fatta più preoccupante con l'apertura delle “zone economiche speciali”, lo sviluppo dei trasporti marittimi e la messa in campo di una quantità crescente di risorse, la cui disponibilità risulta davvero schiacciante. A ciò si sono aggiunti la calamità naturale del terremoto di Kobe (gennaio 1995) che, oltre ad arrecare gravissimi danni economici nel cuore portuale della megalopoli giapponese (5000 morti, 280.000 senza tetto, il 90% delle attrezzature danneggiate), ha fatto emergere inefficienza e corruzione latenti, con effetti psicologici non meno pesanti di quelli materiali. La crisi economica presentava già sintomi congiunturali preoccupanti: nel 1993, quando la ripresa si manifestava negli Stati Uniti e nei maggiori Paesi europei, il tasso di crescita del prodotto lordo giapponese risultava addirittura negativo (–0,5%, a fronte di una media di +4,4% nel periodo 1985-92). Il valore tornava positivo nel 1995 (+0,9%), risultando, tuttavia, di gran lunga il più basso dell'area asiatica orientale e meridionale. Nello stesso anno, la rivalutazione dello yen (+20% nei confronti del dollaro) e la forzata apertura del mercato interno, sotto la pressione statunitense, determinavano un'improvvisa e forte riduzione dell'attivo commerciale. Le piccole e medie imprese, i cui prodotti hanno cessato di essere più competitivi, hanno subito un contraccolpo tale da determinarne in molti casi la chiusura; il tasso di disoccupazione – fenomeno pressoché sconosciuto nel Paese fino a un recentissimo passato – è salito al 3,4% (1996), tendendo alla soglia del 5%, oltre la quale esso non potrebbe più essere considerato ancora fisiologico. Per singolare contraddizione, i prezzi al consumo sono diminuiti, ma è calata anche la domanda interna, che si è rivolta comunque, massicciamente, ai prodotti esteri, più vantaggiosi, venduti nei nuovi supermercati e discount delle periferie metropolitane. In più, paradossalmente, la formidabile ricchezza finanziaria del Paese (v. sopra) si è tradotta in un fattore di debolezza nel momento in cui la classe politica e manageriale giapponese si è rivelata incapace di gestirla, determinando, con ciò, una caduta di fiducia, sia interna che internazionale, alla base della pesante crisi che ha attanagliato il Paese sul finire del secolo. Particolarmente negativo è risultato il gonfiamento delle rendite fondiarie e immobiliari, innescato dalle ricordate carenze di spazio, ma che ha finito per generare “bolle” speculative la cui esplosione ha coinvolto in un vero e proprio tracollo grandi imprese del settore edile, numerose società finanziarie e assicurative, nonché le stesse banche (con sofferenze stimate, nel 1998, in ben 500 miliardi di dollari), costrette pertanto a restringere drasticamente il credito anche negli altri settori e, talora, a smobilizzare grosse partite di titoli. Di conseguenza, l’apparato produttivo è entrato in recessione, con le inevitabili ripercussioni sul mercato mobiliare: l’indice Nikkei della borsa di Tokyo, che aveva quotato fino a 35.000 punti nel 1990, è precipitato al di sotto dei 15.000 punti nel 1997. Effetti ulteriormente devastanti sul sistema bancario si sono aggiunti in seguito alla parallela crisi dei Paesi dell’Asia orientale e meridionale, in cui esso vantava crediti per circa 120 milioni di dollari, i due terzi dei quali investiti direttamente su impianti produttivi di aziende giapponesi (v. sopra). La progressiva svalutazione dello yen ha, se non altro, favorito le esportazioni, facendo crescere il saldo della bilancia commerciale: questo, tuttavia, ha cominciato ad alimentarsi soprattutto della diminuzione delle importazioni, danneggiando i maggiori partners mondiali del G. e inducendoli a sollecitare riforme strutturali mirate ad aprire il mercato giapponese e a rilanciarne i consumi, certamente a discapito della piena occupazione e delle garanzie sociali. Sono venuti in discussione, pertanto, i fondamenti stessi del “modello giapponese”, protezionista e fortemente controllato dallo Stato, e ciò ha provocato notevoli tensioni interne, che accompagnano il G. verso le scadenze degli anni 2000, prime fra le quali il risanamento – troppo a lungo differito – del bilancio pubblico e il recupero di credibilità indispensabile a mantenere un ruolo di leadership nell’area emergente del Pacifico.

ECONOMIA: AGRICOLTURA E ALLEVAMENTO

Contrariamente agli altri settori economici e nonostante gli sforzi governativi per introdurre sistemi moderni, l'agricoltura, che interessa appena l'11% della superficie nazionale, non ha certo conseguito sensibili progressi né ha compiuto trasformazioni di rilievo nelle tecniche produttive. Essa occupa il 6,8% della popolazione attiva, percentuale però in continua e forte diminuzione (ancora nel 1960 era del 33%) dato l'ingentissimo esodo dalle campagne e la grande attrazione esercitata dall'industria. In seguito alla riforma fondiaria, realizzata negli anni 1947-49 e che ha portato all'abolizione dei preesistenti latifondi, l'attività agricola è svolta essenzialmente da piccoli proprietari terrieri. Data la generale limitatezza dei redditi agricoli, molti contadini lavorano anche in vicine aziende manifatturiere o comunque dedicano parte del loro tempo ad altre attività produttive; la polverizzazione fondiaria (le proprietà terriere sono in media inferiori a 1 ha: in particolare nelle aree merid. moltissime sono addirittura inferiori a 0,5 ha, mentre raggiungono dimensioni maggiori in Hokkaido, dove in buona parte i fondi superano i 5 ha) non consente di realizzare grandi progressi tecnici, benché sia sensibilmente cresciuto l'impiego tanto di macchine agricole quanto di fertilizzanti. Nonostante, quindi, una certa modernizzazione, sostenuta anche dalla tradizionale attività del movimento cooperativo, l'agricoltura è fondamentalmente rimasta con i suoi tipici caratteri asiatici, il che significa netta prevalenza della risicoltura intensiva su gran parte dell'arcipelago (in pratica fino al 37º parallelo); essa però rende possibili due raccolti all'anno. Il riso occupa più di metà dell'arativo e, con una produzione annua di oltre 130 milioni di q, riesce a coprire il fabbisogno interno (molto elevato l'impiego del riso anche per la fabbricazione del sake, il liquore nazionale del Giappone). Dopo varie sperimentazioni, i tecnici giapponesi sono riusciti a creare una varietà di riso che si adatta anche all'ambiente freddo dell'is. di Hokkaido; la maggior parte della produzione proviene però dalle aree irrigue di Shikoku, Kyushu e del Honshu centro-meridionale. Un certo sviluppo aveva assunto la coltivazione del frumento, praticata soprattutto in Hokkaido ma anche nelle altre isole come coltura invernale, che segue quella estiva del riso; la produzione, ora in diminuzione, è di 5,5 milioni di q e non copre la richiesta interna. Abbastanza diffuso è anche l'orzo (ca. 2 milioni di q), esso pure seminato dopo la raccolta del riso; molto meno rilevanti sono le produzioni degli altri cereali, come mais, avena e miglio, mentre ben rappresentate sono le patate (34 milioni di q) e le patate dolci (12 milioni di q). Tuttavia i consumi alimentari della popolazione (nel loro complesso coperti per 3/4 dalle produzioni nazionali) sono in via di graduale trasformazione, soprattutto per le mutate richieste di chi abita nelle città: così, mentre nel complesso è diminuito il consumo pro capite del riso, particolare importanza ha assunto la coltivazione di ortaggi, come pomodori (7,8 milioni di q), cipolle (12 milioni di q), cavoli (29 milioni di q), ecc., sia nelle immediate vicinanze dei grandi centri urbani, sia in aree lontane ma particolarmente favorite dal clima, come le pianure costiere dell'Oceano Pacifico, influenzate dalla Corrente di Curoscivo. Anche la frutticoltura ha registrato un notevole incremento per l'accresciuta richiesta nazionale e per il rifornimento all'industria conserviera, largamente al servizio dell'esportazione; si producono annualmente oltre 16 milioni di q di agrumi (arance, mandaranci, mandarini, ecc.), 10 milioni di q di mele, quindi buoni quantitativi di pere, pesche, uva, prugne, ecc. Tra le colture industriali è largamente diffusa quella del tè (con 900.000 q annui il G. è il settimo produttore del mondo), coltivato sui pendii montuosi del G. centrale e meridionale e in gran parte esportato. Tra le colture oleaginose prevale la soia; tra quelle tessili, tutte piuttosto modeste, il lino e la canapa. Benché la seta non sia più così prestigiosa come un tempo, dato l'affermarsi delle fibre tessili artificiali, il G. è tra i Paesi che maggiormente praticano la gelsicoltura per l'allevamento del baco da seta (con 3500 t di seta grezza il Paese è il terzo produttore mondiale, dopo la Cina e l'India); discreta è anche la produzione del tabacco (ca. 700.000 q) che, con il luppolo, la canna e la barbabietola da zucchero, completa il quadro delle principali colture industriali. Assai esteso è il patrimonio forestale, specie per un Paese di così antico e fitto popolamento; ben il 67% della superficie territoriale è ricoperto da foreste, con prevalenza di conifere o latifoglie a seconda delle varietà climatiche; le maggiori distese di conifere (come quelle di cedri giapponesi o sugi, di cipressi giapponesi o hinoki, di abeti, ecc.) sono strettamente controllate da un apposito organismo governativo allo scopo di non depauperare eccessivamente le risorse nazionali. La produzione annua di legname, largamente utilizzato come materiale da costruzione e per pasta da carta, si aggira sui 23 milioni di m ; si ricorre quindi in larga misura a legname d'importazione. Come nella maggior parte dei Paesi dell'Estremo Oriente, anche in G. il ruolo dell'allevamento è molto limitato; d'altronde estremamente esigue sono le aree a prato e a pascolo permanente, pari ad appena l'1,6% del territorio nazionale. Tuttavia, in relazione alle già menzionate trasformazioni indotte dalle richieste urbane nel settore dell'alimentazione, e in modo specifico per la sempre crescente domanda di carni e latticini, il G. dispone oggi, soprattutto per bovini (4,9 milioni di capi), di complessi zootecnici moderni e assai razionali; dipende invece per lo più dai piccoli agricoltori il tradizionale allevamento di suini (10 milioni) e quello importantissimo dei volatili da cortile (oltre 300 milioni di capi).

ECONOMIA: PESCA

Settore fondamentale dell'economia giapponese, la pesca dà lavoro a oltre 900.000 addetti; con ca. 7 milioni di t di pescato il G. occupa il quarto posto su scala mondiale. L'attività è organizzata in modo moderno, con tecniche d'avanguardia e sperimentazioni attraverso le quali si cerca di valorizzare tutte le possibili risorse del mare, che per il G., Paese insulare, è ovviamente uno spazio vitale. La pesca è praticata sia da numerosissime imprese di piccole dimensioni, che la esercitano però lungo le coste (gamberi, sgombri, molluschi, ecc.), sia da imponenti complessi industriali, cui si deve oltre il 70% dell'intero pescato. Questi complessi sono attrezzatissimi, con potenti flottiglie di battelli che solcano non solo i mari giapponesi, ma spaziano nel Pacifico, specie nella sezione sett. (dove peraltro le delimitazioni delle aree di pesca, basate su accordi internazionali, hanno posto un certo freno alle “invasioni” dei pescatori giapponesi), e si spingono anche nell'Atlantico e nel Mar Glaciale Antartico. Nei mari giapponesi le zone di pesca migliori sono quelle dove si incontrano la Curoscivo e la Ogascivo, ricche insieme di fauna ittica di acque tropicali e di acque fredde; qui si catturano salmoni, merluzzi, aringhe, ecc., mentre nelle altre aree predomina il tonno. I porti di pesca attrezzati sono numerosi lungo le coste di Hokkaido, Honshu e Kyushu (dove, tra i tanti, sono rispettivamente situati quelli di Wakkanai, Hachinohe e Fukuoka) e ad essi sono annesse grosse industrie conserviere. Molto redditizia è stata anche la caccia alla balena (3700 catture nel 1987, la metà del totale mondiale), per la quale il G. disponeva di una flotta ben attrezzata. Tale pratica, tuttavia, è stata sospesa nel 1988 a seguito di un accordo internazionale tendente a tutelare la specie. Alla pesca si aggiungono altre attività di sfruttamento del mare, tra cui la raccolta delle perle naturali e la coltivazione delle ostriche perlifere (vivai a Toba), per la quale i Giapponesi vantano la priorità mondiale. Rilevanza ha assunto anche la raccolta delle alghe, usate per alimentazione. Circa l'importanza della pesca per il G. può essere indicativo il fatto che oltre il 50% delle proteine animali di cui si alimenta la popolazione è rappresentato dai prodotti del mare.

ECONOMIA: RISORSE MINERARIE

Come si è detto, le risorse minerarie del G. sono limitate e comunque largamente insufficienti rispetto alle richieste del suo potente apparato industriale. Gli unici minerali metallici di cui esistono buoni giacimenti sono quelli di zinco (95.000 t); di minor rilievo sono rame, piombo, oro (ca. 10.000 kg), argento (150.000 kg), stagno, cromo, manganese, tungsteno, mercurio, ecc. Inconsistenti sono le risorse di minerali ferrosi, che debbono essere importati in quantità notevolissima da varie parti del mondo. Tra i minerali non metallici, buoni sono i giacimenti di zolfo. Per quanto riguarda le risorse energetiche, il G. dispone quasi unicamente di carbone, non però di eccelsa qualità e neppure di facile estraibilità. I maggiori giacimenti si trovano in Kyushu e Hokkaido e il loro sfruttamento (attualmente di 6 milioni di t) è stato assicurato solo per l'intervento del governo. Il petrolio è presente in quantitativi del tutto irrisori rispetto all'enormità dei consumi nazionali: i giacimenti lungo le coste nord-occid. di Honshu danno ca. 500.000 t annue; nella stessa zona si ricava anche gas naturale. Per garantirsi l'approvvigionamento delle materie prime di cui necessita, il G. ha attuato con successo una politica economica di forti investimenti proprio nei Paesi produttori di materie prime; in particolare per il petrolio, che da solo concorre per oltre un terzo al valore complessivo delle importazioni, la dipendenza dall'estero è pressoché totale. Ovviamente il rifornimento è di fondamentale importanza per un Paese eminentemente industriale come il Giappone. Il potenziale idrico, sfruttato più o meno interamente nei limiti della convenienza, fornisce oggi solo il 15% del totale (ancora all’inizio degli anni Sessanta la maggior parte della produzione era di origine idrica); la principale fonte d'energia è ormai costituita dalle centrali termiche che operano con petrolio d'importazione e sono dislocate lungo le coste, dove sorgono le grandi raffinerie che alimentano i consumi delle aree industrializzate e urbanizzate (Yokohama, Tokuyama, Kudamatsu, ecc.). Un notevole contributo (30%) proviene anche dalle centrali nucleari, con forte incremento negli anni Ottanta nonostante la carenza di uranio e la dipendenza tecnologica dagli Stati Uniti.

ECONOMIA: INDUSTRIA

Il settore industriale ha rappresentato, fin dal periodo Meiji, il fondamento dell’economia giapponese, e ancora oggi, nonostante il ruolo progressivamente assunto dal terziario (58% del P.I.L. e 63% della popolazione attiva), partecipa per circa il 40% alla formazione del prodotto interno lordo, occupando poco più del 30 % della forza di lavoro totale. Accanto al tradizionale ramo tessile, notevolmente modernizzatosi a partire dal 1890, il fulcro dello sviluppo industriale fu rappresentato, all’origine, dai rami di base (metalmeccanico, chimico, cementiero), che favorirono il grande processo di infrastrutturazione del Paese e ne sostennero la potenza militare. Anche nel secondo dopoguerra, come si è detto, furono la siderurgia e la petrolchimica a guidare la ripresa e lo sviluppo, portando il G. ai primissimi posti delle relative graduatorie mondiali e rifornendo il settore propriamente manifatturiero di semilavorati e beni di investimento. Caratterizzata da un marcato dualismo strutturale e dimensionale (v. sopra), l’industria giapponese ha dato luogo a poderose concentrazioni di grandi impianti nelle maggiori aree urbane costiere, mentre le piccole e medie imprese si sono distribuite più ampiamente sul territorio, pur restando fortemente legate alle maggiori. Dagli anni Settanta, in seguito alle prime crisi petrolifere (v. sopra), l’industria di base ha subito – come in tutti i Paesi avanzati – un netto ridimensionamento e i grandi gruppi imprenditoriali hanno adottato strategie di decentramento produttivo che hanno portato a localizzare gli impianti là dove i fattori di produzione (materie prime, costo del lavoro) risultavano più favorevoli oppure direttamente sui mercati. Ciò ha evidenziato un ulteriore carattere evolutivo dell’industria giapponese, che, all’inizio fortemente imitativa delle tecnologie americane ed europee, si è decisamente trasformata in senso innovativo, esportando i segmenti più “maturi” e conservando i rami high tech, sostenuti da significativi investimenti nella ricerca. Nonostante la riduzione delle quantità prodotte, in linea con i processi di riconversione sopra richiamati, il G. resta il secondo produttore mondiale – dopo l’emergente Rep. Popolare Cinese – sia di acciaio (quasi 100 milioni di t all’anno) che di ghisa e ferroleghe (75 milioni di t). La distribuzione dei complessi siderurgici è piuttosto vasta; comunque le aree privilegiate restano quelle costiere collegate ai grandi centri marittimi d'importazione di materie prime, in particolare la zona di Tokyo-Yokohama, di Osaka-Kobe e di Hiroshima. Quanto alle lavorazioni metallurgiche, di notevole rilievo è quella dell'alluminio (ca. 1,2 milioni di t di metallo), che poggia interamente su bauxite d'importazione; del rame (2,5 milioni di t, al secondo posto nel mondo dopo gli U.S.A.; grande centro di produzione a Onahama), mentre per lo zinco (oltre 600.000 t) il G. è il terzo produttore mondiale; elevate sono anche le produzioni di piombo, magnesio, ecc. Potentissimo è il settore cantieristico, legato alle necessità vitali del G., nettamente al primo posto in questo campo, avendo varato nel 1995 oltre 5,5 milioni di t di stazza, largamente rappresentati da navi da trasporto e da petroliere giganti; i cantieri maggiori, direttamente connessi all'industria siderurgica sono quelli di Kobe, Nagasaki, Yokohama, Aioi, Osaka, Hiroshima, ecc. In espansione anche l'industria automobilistica, rappresentata da fabbriche (come la Toyota, la Nissan, ecc.) che riescono a esportare in tutto il mondo. La dislocazione dell'industria automobilistica è legata ai grandi centri industriali della costa di Honshu (Tokyo-Yokohama, Nagoya, Fujisawa, Osaka, Ikeda, ecc.); annualmente si fabbricano ca. 10 milioni di autoveicoli, di cui 7,5 milioni di autovetture. Molto importante è anche l'industria del ciclo e del motociclo, che ha conquistato numerosi mercati. L'industria di precisione è forse la più peculiare del G. ed è il risultato di una oculatissima scelta economica, dato che i prodotti sono molto elaborati o poco ingombranti, mentre la fabbricazione richiede numerosa e qualificata manodopera. Strumenti ottici giapponesi, tra cui soprattutto macchine fotografiche e cinematografiche, binocoli, microscopi, proiettori, strumenti geodetici, ecc. sono diffusi in tutto il mondo insieme con i prodotti dell'industria radiotecnica (apparecchi radio e televisori, il cui numero di produzione annua è di 15 milioni) e con gli orologi (il G. ne produce, tra orologi da polso e di altro genere, ca. 400 milioni di pezzi all'anno), con una colossale avanzata sui mercati internazionali, cui si contrappone il calo della presenza svizzera. Affermatissimi e diffusissimi sono altresì i calcolatori e in genere i prodotti dell'industria elettronica. Non meno poderosa è l'industria chimica, che dispone di numerosi impianti, pure in larga misura dislocati presso i centri portuali; tra le principali produzioni del settore si annoverano quella dell'acido solforico (ca. 7 milioni di t), della soda caustica (quasi 4 milioni di t), dei fertilizzanti azotati (1,4 milioni di t), delle materie plastiche e resine artificiali (5 milioni di t), quindi di coloranti, prodotti farmaceutici, ecc. Anche l'industria della gomma è ottimamente rappresentata: il G. produce oltre 1 milione di t di caucciù sintetico (principali impianti a Kobe, Tokyo e Osaka) in gran parte impiegato per pneumatici (di cui, con ca. 150 milioni di unità, il G. è al secondo posto nel mondo dopo gli Stati Uniti) e per le calzature. Un altro settore dell'industria di base in enorme sviluppo è quello cementiero (ca. 90 milioni di t di cemento). In espansione è altresì l'industria della carta, anche se oggi si approvvigiona soprattutto all'estero; si producono annualmente in G. oltre 10 milioni di t di pasta di legno (meccanica e chimica) e ca. 30 milioni di t di carta (secondo produttore mondiale); poderosa è la cartiera di Tomakomai, nell'is. di Hokkaido. Il G. è tuttora uno dei massimi fornitori mondiali di fibre e di tessuti, benché rispetto ad altri e più dinamici settori produttivi l'industria tessile abbia visto diminuire la propria importanza; comunque la tendenza in atto è quella di installare in altri Paesi, dove la manodopera lavora a costi bassissimi (Hong Kong, Taiwan, ecc.), nuovi stabilimenti controllati da capitale giapponese. Il settore tradizionale è ancora quello del setificio (65 milioni di m² di tessuti), ma assai più rilevante è il campo delle fibre tessili artificiali e sintetiche (di queste ultime, tra fibra e fiocco, la produzione è di quasi 1,4 milioni di t); relativamente limitato è il lanificio, mentre sviluppatissimo è il cotonificio, con centro principale a Osaka (250.000 t di filati, 1200 milioni di m² di tessuti). Sono molto attive la fabbricazione delle ceramiche (celebri quelle di Seto presso Nagoya) e l'industria vetraria, che trova nel Paese gran parte della materia prima occorrente. Notevole, infine, lo sviluppo del ramo agroalimentare, che raggiunge il 10% del prodotto industriale complessivo, occupando oltre 1,2 milioni di addetti: esso comprende zuccherifici e conservifici di pesce, carne (insaccati), frutta e verdura, cui si sono aggiunte importanti industrie lattiere. Nel settore delle bevande alcoliche elevata è naturalmente la produzione di sake, ma enormemente sviluppato è il birrificio (con 68 milioni di hl il G. è uno dei massimi produttori mondiali); fiorente infine è la manifattura del tabacco, che produce annualmente oltre 280.000 milioni di sigarette e quantitativi elevatissimi di sigari, tabacco, ecc.

ECONOMIA: COMUNICAZIONI E COMMERCIO

La frammentazione insulare e il notevole sviluppo orografico hanno costituito, in G., un forte ostacolo alla realizzazione di una rete unitaria di vie di comunicazione; fin dai secoli più lontani la trama delle comunicazioni stradali (in seguito, anche di quelle ferroviarie) si articolò lungo le coste, sulle quali ebbe sempre i suoi nodi principali. Comunque il Paese è dotato oggi di un sistema sufficientemente organico di vie di comunicazione, anche se non forse all'altezza della sua economia globale. Le ferrovie, in larghissima parte statali, si sviluppano per oltre 20.000 km e hanno la loro massima concentrazione nelle aree convergenti sulle grandi città che, per i trasporti urbani, si avvalgono ampiamente di metropolitane; celebri sono alcuni treni assai veloci, in particolare quelli in servizio sulla cosiddetta linea del Tokaido, tra Osaka e Tokyo. Honshu è naturalmente l'isola meglio servita; ma numerosi ferry-boats e poderosi tunnel sottomarini assicurano i raccordi nell'intero arcipelago: il G. può contare sulla più lunga galleria ferroviaria del mondo, la Seikan, di oltre 53 km, un tunnel sottomarino che attraversa lo stretto di Tsugaru tra le isole di Hokkaido e Honshu. Come si è detto, anche le strade, che si sviluppano complessivamente per oltre 1 milione di km, si snodano per lo più lungo i litorali, allacciando tra loro le città costiere (esistono tuttavia anche numerose arterie trasversali) e sopportando un movimento di ben 67 milioni di autoveicoli. Dimensioni gigantesche e attrezzature tecnologicamente d'avanguardia hanno naturalmente i principali porti il cui movimento è veramente poderoso; tra i maggiori scali marittimi, tutti con oltre 100 milioni di t annualmente sbarcate e imbarcate, sono Chiba, Kobe, Yokohama e Nagoya; di poco inferiore è il porto di Kawasaki. Gran parte del traffico marittimo è svolto da navi giapponesi che battono tutte le rotte del globo, ma specialmente quelle del Pacifico; la marina mercantile nazionale dispone di ca. 10.000 navi, con una stazza totale lorda di 20 milioni di t, ed è preceduta solo da quelle della Liberia e di Panamá, Paesi che notoriamente hanno pressoché solo formalmente una propria flotta. Per le comunicazioni aeree internazionali il G. si avvale della compagnia Japan Airlines (JAL), che effettua collegamenti diretti si può dire in tutto il mondo, incluse le rotte transpolari e transiberiane; esistono numerosissime altre compagnie minori, tra cui la più importante, destinata ai servizi interni, è la All Nippon Airways; i passeggeri annualmente trasportati assommano a ca. 80 milioni sulle linee interne e 15 milioni su quelle internazionali. I maggiori aeroporti sono quelli internazionali di Tokyo (Narita) e di Osaka. Il commercio estero  è il settore più straordinariamente organizzato dell'intero sistema economico giapponese, grazie soprattutto all’attività del M.I.T.I. (v. sopra). La caratteristica di Paese importatore di materie prime ed esportatore di manufatti ha dominato le strategie commerciali e ha visto la crescita vertiginosa del saldo attivo dagli anni Settanta, quando il G. ha avviato una riconversione industriale ed energetica tendente a ridurre la dipendenza dall’esterno, mentre i suoi prodotti sono andati dilagando non solo nelle aree in via di sviluppo, ma soprattutto in quelle più avanzate: Stati Uniti ed Europa comunitaria. Queste ultime sono arrivate ad assorbire ben oltre il 50% delle esportazioni giapponesi, fornendo poco meno della metà delle importazioni. Per il resto, le relazioni sono particolarmente intense con la Corea del Sud, Taiwan, i Paesi dell’A.S.E.A.N. e, negli anni più recenti, con la Cina, entrata prepotentemente sui mercati internazionali. Il G. esporta soprattutto prodotti siderurgici e metallurgici, autoveicoli e motoveicoli, naviglio, strumenti ottici, apparecchi radio e televisori, componenti elettronici, fertilizzanti, fibre sintetiche, tessuti e prodotti dell’abbigliamento, mentre importa petrolio, minerali metallici, prodotti agricoli. La bilancia commerciale, pur con oscillazioni nel tempo, si è sempre mantenuta tendenzialmente positiva, con “picchi” del saldo attivo negli anni Ottanta e Novanta; anche la bilancia dei pagamenti, nonostante le recenti crisi finanziarie interne e internazionali, può contare sui colossali interessi che provengono dai più rilevanti investimenti in numerosi Stati del Terzo Mondo, ma altresì in molti Paesi altamente industrializzati. Quanto al turismo, sono ormai 3,5 milioni gli stranieri che annualmente visitano il G., ma, in effetti, è assai più alto il numero dei Giapponesi che si recano all'estero: il saldo sulla bilancia valutaria è, pertanto, fortemente negativo (ca. 3,5 miliardi di dollari di entrate contro 30 miliardi di uscite).

ISTRUZIONE

Prima dell'introduzione del sistema moderno di educazione, si faceva distinzione fra i bambini appartenenti alla classe guerriera (samurai), che venivano educati in scuole speciali, e i figli di commercianti o artigiani, che frequentavano le scuole dei templi. La modernizzazione avvenne nel 1872; la scuola fu aperta a tutti, senza distinzione di classe, e le fu data la struttura attuale. Negli anni seguenti furono promulgate nuove disposizioni fra le quali quella dell'obbligatorietà scolastica (oggi fino a 15 anni ed è in programma un prolungamento fino a 18 anni). Dal 1916 al 1940 l'istruzione ebbe notevole sviluppo; con la nuova Costituzione del 1947 l'organizzazione della scuola acquisì un carattere democratico e decentralizzato. L'analfabetismo è pressoché inesistente. La scuola primaria ha la durata di sei anni, alla fine dei quali è obbligatoria la frequenza della scuola secondaria inferiore di tre anni. La secondaria superiore prevede un ulteriore ciclo triennale a indirizzo generale o tecnico. L'istruzione superiore è affidata alle università, i cui corsi durano per lo più quattro anni, e a colleges con corsi biennali o triennali. Sia le università sia i colleges sono organizzati per la formazione di docenti, mentre i colleges a indirizzo tecnico forniscono esperti in molti campi dell'ingegneria. Il G. occupa il secondo posto al mondo, dopo gli Stati Uniti d'America, nella proporzione fra università, scuole superiori e popolazione: ve ne sono circa 400 in tutto il Paese. Le università sono statali, private o dipendenti dalle autorità locali. Sedi di alcune università statali sono: Chibashi (1949), Sapporo (1918), Kobe (1949), Kyoto (1897), Fukuoka (1910), Nagoya (1939), Osaka (1931), Sendai (1907), Tokyo (1877). Numerose le università private: Yokohama (1949), Osaka (1925), Tokyo (Kokugakuin, 1882; Komazawa, 1952; Meiji, 1903; Nihon, 1903; Waseda, 1882), ecc. Si devono menzionare poi varie scuole superiori d'arte, musica, tecnica, agraria, ecc.

SERVIZI D'INFORMAZIONE

Durante il sec. XVII si ebbe una diffusa informazione periodica e questa situazione durò fino all'intervento degli occidentali. Nel 1861 fu pubblicato il primo periodico in inglese. Un quotidiano in giapponese fu pubblicato nel 1862; il primo periodico, Shimbushi, comparve poco dopo. L'Osaka Mainichi, uscito nel 1876, adottò le tecniche di stampa e di diffusione americane. Nel 1879 iniziò il processo di formazione della catena Asahi in connessione con il New York Times; nel 1935 l'Asahi controllava tutto il Paese in concorrenza con altri trusts informativi. Prima della II guerra mondiale venivano pubblicati 1200 quotidiani ma il periodo di guerra e il processo di concentrazione delle imprese che seguì nell'epoca postbellica ridussero il numero dei quotidiani e dei settimanali. Tuttavia la stampa giapponese è oggi fra le più sviluppate del mondo. A Tokyo e Osaka si pubblicano: Asahi Shimbun, Mainichi Shimbun, Yomiuri Shimbun, i quotidiani più diffusi nel Paese; altri fogli influenti sono Nihon Keizai Shimbun e Sankei Shimbun (Tokyo e Osaka), Chunichi Shimbun (Nagoya). Il G. fu la prima nazione asiatica, e una delle prime al mondo, a disporre di una programmazione radiofonica regolare (dal 1925). L'organismo che amministra radio e televisione è la N.H.K. (Nippon Hoso Kyokay), che diffonde molti programmi in lingue straniere e in lingue orientali e polinesiane ed è una delle più importanti fonti informative asiatiche. Nel 1988 erano stimati in circolazione 105.500.000 apparecchi radio. La TV emette programmi regolari dal 1954 e nel 1960 alcune emissioni erano già a colori. Vi sono due reti televisive pubbliche e numerosi networks privati. Nel 1988 erano in circolazione 72.000.000 di televisori.

ORGANIZZAZIONE MILITARE

La Costituzione giapponese, pur prevedendo il diritto alla difesa del suolo nazionale, rinuncia a tutte le azioni belliche in territorio straniero, per questo ha assunto notevole valore la decisione del governo, nel giugno 1992, di consentire l'invio di truppe giapponesi all'estero nell'ambito delle missioni di pace dell'O.N.U. L'esercito giapponese dispone di ca. 156.000 uomini più 46.000 della riserva suddivisi in 12 divisioni di fanteria e in varie altre unità minori. La marina comprende 44.000 uomini a cui vanno aggiunti i 12.000 della guardia costiera. Tra le numerose moderne unità da guerra a disposizione della marina nipponica vi sono incrociatori lanciamissili, sottomarini, posamine e dragamine. Le unità navali sono affiancate dall'aviazione della marina. Le forze aeree comprendono: squadroni di F104J Starfighters e di F4 EJ Phantom, squadroni di Mitsubishi F1, di RF 4E, di Kawasaki C 1 e NAMC YS 11 da trasporto; battaglioni di missili terra-aria e elicotteri. Complessivamente le forze aeree nipponiche dispongono di ca. 46.000 uomini.

PREISTORIA

Tra i ritrovamenti più antichi in G. si segnalano le industrie a schegge e bifacciali rinvenute a Sozudai, nell'isola di Kyushu (G. meridionale) che potrebbero risalire a circa 70.000 anni fa. Leggermente più recenti sono le industrie più antiche del sito di Hoshino, 80 km a nord di Tokyo, datate a ca. 50.000 anni fa, mentre quelle dei livelli più recenti dello stesso sito risalgono al Paleolitico superiore. A 30.000 anni datano i materiali provenienti dal riparo di Fukui (isola di Kyushu). Numerose sono le testimonianze di industrie del Paleolitico superiore; tra esse si ricordano Nogawa, vicino a Tokyo, con date comprese tra 18.500 e 7500 anni a. C.; Yasumiba, nell'isola di Honshu (G. centrale) con manufatti datati a ca. 14.000 anni fa; Uenodaira, ca. 150 km a nord di Tokyo, con punte foliacee bifacciali datate tra 14.000 e 12.000 anni a. C., e Shirataki con punte foliacee, grattatoi e armature di giavellotto in ossidiana, con datazioni tra 18.000 e 10.000 anni a. C. Molto più conosciuti sono i complessi culturali dei tempi successivi, che per il Neolitico e l'Eneolitico si concentrano nel gruppo di Jomon e suoi attardamenti, nonché nella successiva cultura di Yayoi.

STORIA: DALLE ORIGINI DELL'IMPERO ALLA DECADENZA DELLA FAMIGLIA DEI FUJIWARA

La storia giapponese dei periodi più antichi è ricostruibile attraverso le scarne testimonianze delle fonti storiografiche cinesi, l'esame dei reperti archeologici e la lettura delle opere storiografiche locali come il Kojiki e il Nihongi. Queste sono state tuttavia redatte solo nel sec. VIII e risentono del desiderio di rivaleggiare con la veneranda antichità cinese, elemento che le rende poco attendibili per quanto riguarda i periodi più antichi. Secondo la mitologia del Kojiki, infatti, le origini dell'Impero sarebbero da collocare nel 660 a. C. con la discesa dal cielo di Jimmu Tenno, il nipote della Dea del Sole e primo sovrano della dinastia tuttora regnante. In realtà, solo nei primi secoli dell'era volgare, grazie a rinnovati flussi migratori dal continente, il G. conobbe un'epoca che si può definire protostorica e che è caratterizzata dalle grandi “tombe a tumulo”. In quel momento il Paese sembrava presentarsi come un'allentata confederazione di entità semitribali, gli uji, uniti da vincoli veri o presunti di sangue e dall'adorazione di una divinità comune. Il sovrano del G. (o, meglio, di una ridotta parte dell'odierno arcipelago, forse limitata all'isola di Kyushu) non era che il capo dell'uji più potente, una figura (spesso si trattava di donne con caratteristiche sciamaniche) i cui poteri politici effettivi erano, in pratica, piuttosto circoscritti. La società del tempo conosceva, attraverso la mediazione sino-coreana, l'uso dei metalli, l'agricoltura e la scrittura. La religione era costituita dall'insieme di culti, riti e credenze che presero più tardi il nome di shinto. L'avvento dell'epoca storica ha coinciso sostanzialmente con l'introduzione del buddhismo (metà del sec. VI) che scatenò lunghe lotte fra le tre famiglie più potenti: i Soga, i Mononobe e i Nakatomi. Questi ultimi, nel sostegno del culto indigeno shintoista, rivendicavano la concezione tradizionale dello Stato, mentre i Soga (pur senza rendersene perfettamente conto) con la difesa del buddhismo miravano alla creazione di uno Stato a potere centrale sull'esempio cinese. Il trionfo dei Soga trovò in Shotoku Taishi (573-621), reggente ed erede al trono dell'imperatrice Suiko, il propagatore più efficace della nuova religione. Sotto di lui si ebbe la totale affermazione del buddhismo e la svolta decisiva nella trasformazione del G. in un impero centralizzato. I legami con la Cina si fecero più stretti: nel 604 Shotoku Taishi decise l'adozione del calendario cinese e promulgò il “Codice in 17 articoli”, che sanciva i mutamenti istituzionali del nuovo Impero giapponese; nel 607 ebbero inizio le “ambascerie giapponesi” in Cina che accentuarono l'influenza continentale sull'arcipelago. I principi politici propugnati da Shotoku Taishi presero forma definitiva nel 646 con la Riforma Taika, un tentativo di dare al nuovo Impero giapponese la struttura burocratica di quello cinese con lo scioglimento di alcuni uji, la nomina di governatori per le province, un nuovo sistema fiscale e un censimento. Con la centralizzazione dello Stato si iniziò anche la storia urbana del Paese: cadde infatti l'usanza di mutare capitale alla morte di ogni sovrano, e nel 710 l'imperatrice Gemmyo ordinò la costruzione della città di Nara, su modello cinese, facendo di essa la prima autentica capitale. Il periodo di Nara (710-784) è una tappa importante nella storia culturale del Paese: a essa contribuirono in modo determinante i bonzi, che tuttavia presero parte troppo attiva alla vita politica della corte. I loro legami (nonché i loro intrighi) costrinsero l'imperatore Kammu a trasferire la capitale dapprima a Nagaoka e infine, nel 794, a Heian (l'odierna Kyoto), destinata a rimanere sede della corte imperiale fino al 1868. Il periodo che seguì, detto appunto Heian (794-1185), rivelò l'impossibilità a realizzare il processo di sinizzazione della società giapponese e sottolineò, proprio nei suoi aspetti culturali più positivi, il divario tra la corte e il resto del Paese. Mentre sul piano istituzionale si assisteva al fenomeno delle due corti (quella dell'imperatore in carica e quella dell'imperatore abdicatario), il potere effettivo era nelle mani della famiglia Fujiwara, che non riuscì però a evitare il sorgere di nuove e potenti famiglie militari nei vasti territori orientali. Infatti la continua cessione dei diritti di proprietà della terra a monasteri buddhisti e alle famiglie dell'aristocrazia aveva facilitato la formazione di latifondi e questi a loro volta avevano provocato il nascere di gruppi armati semiautonomi. Della presenza di tali milizie approfittarono alcune famiglie di lontana ascendenza imperiale, come i Taira e i Minamoto, per formare veri e propri eserciti in grado di minacciare il potere dei Fujiwara. Il pericolo fu avvertito troppo tardi, dall'ultimo “grande” dei Fujiwara, Michinaga (965-1027), che allacciò vanamente strette relazioni con i clan militari.

STORIA: DAL CLAN DEI TAIRA AL 1478

Decaduti i Fujiwara, dopo un iniziale prevalere del clan dei Taira furono i Minamoto a prendere le redini del potere sconfiggendo i rivali nella più famosa battaglia navale del G. antico: quella di Dan no Ura nel 1185. Questa data non segnò solo il passaggio dal periodo Heian a quello di Kamakura (1185-1333), ma anche un radicale cambiamento nella società giapponese. Il vincitore, Minamoto-no Yoritomo, trasferì la sua corte a Kamakura, instaurò un governo militare (il bakufu, “governo della tenda”) e prese il titolo di shogun. Tale carica non era in contrasto con la figura dell'imperatore, anche se in realtà il potere effettivo restò quasi ininterrottamente nelle mani dello shogun fino alla restaurazione Meiji del 1868. Ma il sorgere di poteri locali costrinse Yoritomo a un gioco sapiente di alleanze con i feudatari più forti, e quando tale senso politico mancava nei suoi discendenti il potere passava gradatamente nelle mani di reggenti, gli Hojo, con la stessa funzione che la famiglia Fujiwara aveva in periodo Heian nei confronti degli imperatori. Nel 1274, per la prima volta nella sua storia, il pericolo di un'invasione minacciò il Giappone. Offeso per il ripetuto rifiuto dello shogun a farsi suo vassallo, Qubilai Khan lanciò i suoi Mongoli alla conquista dell'arcipelago, attaccando a Hakata nel Kyushu settentrionale. La strenua difesa dei feudatari locali e un provvido ciclone respinsero l'assalto. L'impresa fu ritentata nel 1281, di nuovo senza successo, date le misure di difesa prese dagli Hojo e dal bakufu. Paradossalmente fu proprio questa vittoria a segnare la fine degli Hojo. A differenza delle precedenti lotte intestine, infatti, non esistevano questa volta le spoglie di un vinto da distribuire in premio ai feudatari che avevano sostenuto il peso della lotta e gli Hojo dovettero quindi premiare i vassalli ridimensionando la potenza familiare che era alla base della loro supremazia. A questa situazione si deve aggiungere la grave crisi causata da una lotta dinastica per la successione al trono scoppiata nella capitale. Il periodo 1333-92 (detto Nanboku-cho, periodo delle corti del sud e del nord) vide infatti contrapporsi due distinti rami della famiglia imperiale ciascuno dei quali rivendicava i diritti alla legittimità. Fra le personalità che lo hanno caratterizzato sono l'imperatore Go-Daigo, accanito difensore della legittimità della corte del sud, il suo grande antagonista, lo shogun Ashikaga Takauji e Kitabatake Chikafusa, autore del Jinno Shotoki, opera storico-politica a difesa della tesi di Go-Daigo. Se con Takauji ha avuto inizio l'effettivo shogunato Ashikaga, fu a cominciare con il 3º shogun, Yoshimitsu, che il Paese godette di una pace relativa. La capitale politica fu di nuovo trasportata a Kyoto, in un quartiere detto Muromachi che ha dato anche il nome al periodo (1392-1573). Il tentativo di centralizzazione del potere da parte degli Ashikaga fu frustrato da un elemento nuovo: la crescente influenza di numerosi feudatari, specialmente di quelli delle regioni occidentali. Per ovvie ragioni geografiche, lungo queste coste si era sviluppato sempre più il commercio con la Cina e la Corea, e tale commercio finì poi per influenzare beneficamente anche le zone centrali del Paese. Il periodo Ashikaga infatti ha registrato un notevole sviluppo economico, sostenuto anche dal diffondersi di un regime monetario a sostituzione della merce di scambio. I legami commerciali con il continente favorirono l'intensificarsi degli scambi culturali, e lo zen permeò la vita sociale del periodo. Fra gli shogun Ashikaga ci furono degli ottimi mecenati: la pittura, l'architettura, il teatro no, la cerimonia del tè li ebbero a loro protettori. Ma questo mondo che cominciava a cristallizzarsi in un'apparente tranquillità fu improvvisamente scosso, verso il 1465, dalle lotte per la scelta del successore dell'8º shogun, Yoshimasa. Lo shogunato fu travolto (ma non annullato) dalle lotte che coinvolsero grandi famiglie di feudatari (daimyo) (era di Önin, 1467-78): quando queste cessarono il Paese era in preda alla più completa anarchia.

STORIA: DAL PERIODO SENGOKU AL 1867

Si aprì così un periodo chiamato Sengoku (degli Stati Combattenti, 1482-1568) in cui si assisté alla trasformazione di numerosi feudi in vere e proprie signorie. Il sec. XVI portò un profondo mutamento nelle strutture del Paese con lo sviluppo del commercio privato in quasi tutta l'area asiatica, la nascita di città libere, l'arrivo degli Occidentali con l'introduzione delle armi da fuoco e del cristianesimo, la riunificazione del Paese sotto dittatura militare e il primo tentativo di una politica espansionistica panasiatica. L'iniziatore della riunificazione del G. fu Oda Nobunaga (1534-1582), un piccolo daimyo delle province centrali cui presto si unirono Toyotomi Hideyoshi (1536-1598) e Tokugawa Ieyasu (1542-1616) a formare la triade a cui il G. deve l'unificazione. Hideyoshi può forse essere considerato la maggior figura politica e militare della storia giapponese. Morto Nobunaga, accordatosi con Ieyasu, egli, abile stratega e ottimo politico, in pochi anni riuscì a legare a sé anche i daimyo più riottosi. Si servì del cristianesimo, per la lotta contro i monaci buddhisti ribelli e per godere del commercio che i Portoghesi avevano con la Cina. Approfittò poi della diffusa convinzione che gli Occidentali cattolici fossero una potenziale “quinta colonna” dell'espansionismo europeo, e, essendo già bene avviato il commercio, li espulse. In una vasta strategia di conquista che doveva comprendere anche la Cina, Hideyoshi occupò nel 1592 la Corea. Ma dopo un iniziale successo l'esercito giapponese fu fermato dall'intervento di quello cinese e la posizione di stallo durò sino alla morte di Hideyoshi nel 1598: poi le truppe vennero ritirate. Nella successiva lotta per il potere ebbe la meglio Ieyasu che sconfisse il figlio e i seguaci di Hideyoshi e, proclamato shogun nel 1603, trasferì la capitale politica a Edo, l'odierna Tokyo (a Kyoto rimasero l'imperatore e la corte), dando inizio al periodo Tokugawa (1603-1868) che condusse il G. alle soglie del mondo moderno. Lo Stato fu riorganizzato secondo criteri ispirati al pensiero neoconfuciano di Chu Hsi e tutte le classi sociali furono sottoposte a uno stretto controllo. La rigidezza nel sistema interno fu accompagnata da una totale chiusura verso l'esterno, chiusura che bloccava i commerci e comportava la proibizione e la persecuzione del cristianesimo. Ma i contatti con l'estero non furono del tutto troncati: restavano gli Olandesi confinati a Deshima (Nagasaki), tenue canale attraverso il quale però la curiosità giapponese si rivolse allo studio delle cose occidentali (rangaku). Per ca. 200 anni il Paese conobbe una relativa pace e prosperità. Intensa fu la vita culturale che vide l'affermarsi della letteratura borghese, del teatro kabuki, della poesia, gli sviluppi della scuola filocinese (cioè confuciana) e di quella nazionalista (cioè shintoista) a danno del buddhismo. Ma all'inizio del secolo scorso, per ragioni interne dovute a pressioni internazionali, il sistema entrò in una crisi culminata nel 1853 con l'arrivo del commodoro Perry latore delle richieste americane di apertura. In un clima di grande incertezza politica, il 31 marzo 1854 venne firmato il Trattato di Kanagawa che aprì alle navi americane i porti di Shimoda e Hakodate e insediò nel primo un console statunitense. Seguirono analoghi trattati con Gran Bretagna, Russia, Francia e Olanda e nel 1858 nuovi accordi che portarono all'instaurazione dei diritti doganali. Ciò portò a un periodo di forti tensioni interne e nel 1867 le forze nazionaliste ottenevano la resa dell'ultimo shogun e la caduta definitiva del bakufu. Così, dopo secoli, il potere effettivo ritornò nelle mani dell'imperatore, nella persona di Mutsuhito che trasferì la capitale da Kyoto a Edo, ribattezzandola Tokyo

STORIA: IL GOVERNO ILLUMINATO DI MUTSUHITO

Gli anni noti con il nome di Meiji (Governo Illuminato, 1868-1912) sono degni di attenzione sia per la storia interna del G. sia per le sue vicende di politica estera che stupirono allora il mondo, del tutto impreparato all'ipotesi che un Paese estraneo alla civiltà occidentale potesse affermarsi tra le maggiori potenze del globo. Il G. si modernizzò mutuando nuovi valori dallo stesso Occidente. L'antica tradizione estremo-orientale di rispetto per il sapere facilitava la diffusione della cultura e quindi la mobilitazione intelligente di tutte le forze. D'altro canto, la conversione in senso produttivo delle ricchezze della nobiltà feudale e lo sfruttamento del lavoro della campagna rendeva possibile una rapidissima opera di industrializzazione. In politica estera il G. ebbe in una prima fase relazioni soprattutto con la Russia, alla quale cedette Sahalin in cambio delle is. Curili. Subentrò poi, a causa delle comuni mire sulla Corea, la diatriba con la Cina che portò nel 1894 alla guerra. Era il primo conflitto internazionale rilevante che il G. affrontava dopo l'apertura all'Occidente. La sua efficiente macchina bellica s'impose al colosso cinese ormai in decadenza. Occupati posti chiave come Dalny e Port Arthur, i Giapponesi dilagarono in Manciuria e arrivarono a minacciare Pechino. Il 17 aprile 1895 venne firmato il Trattato di Shimonoseki: la Cina cedette Taiwan, le Pescadores, il Liaotung, riconobbe l'indipendenza della Corea, pagò una forte indennità e aprì quattro porti al commercio nipponico. Il successo del G. preoccupava però le potenze occidentali e Francia, Russia e Germania premettero affinché il G. rinunciasse al Liaotung in cambio di un'altra indennità. Il governo fu costretto ad accettare, ma tale decisione provocò malumori soprattutto nei confronti dell'impero zarista che aveva approfittato subito della situazione per occupare proprio quei territori, come Port Arthur, che erano stati negati al Giappone. Inoltre, la continua ingerenza russa nei territori della Manciuria e in Corea portò il G. a una seconda grande sfida: nel 1904 attaccò l'impero dello zar. Il mondo assistette stupito a un'altra clamorosa vittoria del piccolo Stato asiatico. Con il Trattato di Portsmouth del 1905 la Russia fu costretta a cedere la parte a sud del 50º parallelo dell'isola di Sahalin, la zona del Liaotung già sottratta alla Cina, i propri interessi in Manciuria, e a lasciar via libera ai progetti nipponici sulla Corea. La definitiva annessione della penisola da parte del governo di Tokyo avvenne nel 1910, dopo che i contrasti interni sulla politica da seguire avevano portato clamorosamente alla ribalta il disaccordo tra il partito dei civili e quello dei militari.

STORIA: DAL 1912 ALLA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

Nel 1912 morì Mutsuhito e gli succedette il figlio Yoshihito, il cui regno (1912-26) è noto con l'appellativo di Taisho (Grande Rettitudine). Allo scoppio della I guerra mondiale il G. trovò il pretesto per dichiarare guerra alla Germania e il 24 agosto 1914 entrava nel conflitto. Conquistò rapidamente Tsingtao e Kiaochow e le isole tedesche del Pacifico, cioè le Marianne, le Caroline e le Marshall: conquiste che furono ratificate dalla Conferenza di Versailles del 1919. Ma l'attenzione nipponica era in quegli anni tutta rivolta alla Cina e, approfittando del momento favorevole, il 18 gennaio 1915 il governo giapponese presentava a quello cinese le famose “Ventun Domande”, in pratica un ultimatum, con le quali si inseriva perentoriamente nella vita politica cinese. La fine della guerra vedeva il G. tra le grandi potenze mondiali. Crisi di politica interna non avevano arrestato un processo di sviluppo economico molto accentuato che stimolava i grandi gruppi monopolistici (zaibatsu) a premere per una politica antimilitarista nell'interesse di liberi scambi. Quando nel 1926 salì al trono l'imperatore Hirohito, che assunse il nome di Showa (Pace Illuminata), il futuro del Paese pareva avviato secondo programmi pacifici e ordinati. Invece l'equilibrio entrò quasi subito in crisi. La politica antisovietica, le mire sulla Cina, il risentimento per le misure americane contro l'immigrazione spinsero il G. verso una politica espansionista che, dopo l'ingerenza indiretta in Manciuria, sfociò nella crisi con la Cina. Del 1932 è la proclamazione dell'Impero indipendente (ma in realtà vassallo) del Manchu kuo; del 1937 è l'inizio del conflitto diretto con la Cina che portò all'occupazione di vastissime aree e alla creazione in esse di un governo fantoccio con capitale a Nanchino, a capo del quale era un ex collaboratore di Chiang Kai-shek, Wang Ching-wei. I militari, sempre più potenti, condizionavano la vita politica e diffondevano un'ideologia per alcuni aspetti comune ai fascismi occidentali. Il G. usciva dalle Nazioni Unite, firmava il Patto Anticomintern con la Germania nel 1936 (al quale l'Italia aderiva nel 1937) e il Patto tripartito con Italia e Germania nel 1940. Intanto peggioravano i rapporti con gli Stati Uniti (i quali chiedevano al G. la rinuncia all'espansionismo coloniale) e il 7 dicembre 1941, con l'attacco giapponese a Pearl Harbor, iniziava in Estremo Oriente la II guerra mondiale. Per circa un anno l'avanzata nipponica fu inarrestabile: dalle Aleutine alla Nuova Guinea e alle porte dell'India. Poi le sorti si rovesciarono gradatamente e lo scoppio delle atomiche su Hiroshima e Nagasaki in un Paese già prostrato indusse l'imperatore a offrire la resa, accettata il 14 agosto 1945 e ratificata il 2 settembre successivo.

STORIA: DAL DOPOGUERRA AD OGGI

La storia giapponese dal secondo dopoguerra è scandita in fasi abbastanza distinte. La prima si è chiusa tre anni dopo la firma del trattato di pace a San Francisco (1951) e del trattato nippo-statunitense di sicurezza firmato a Tokyo nello stesso anno. Questo periodo, che si identifica in sede interna col mandato del primo ministro Yoshida Shigeru (1947-54), è stato caratterizzato dall'accettazione dell'occupazione statunitense, dalla fondazione del nuovo assetto istituzionale (1947) d'ispirazione democratica, dal formarsi di nuovi equilibri partitici e anche dall'inizio della ricostruzione economica. Il governo di Hatoyama Ichiro (1954-56) costituisce la seconda fase: affermazione definitiva del predominio politico dei conservatori, provvisoria riunificazione dei due partiti socialisti, miglioramento dei rapporti con l'U.R.S.S. Segue la fase che si identifica con la presidenza di Kishi Nobusuke (1957-60), in cui si rafforzò il carattere filoamericano della politica nipponica, ma si giunse anche alla modifica del trattato di mutua difesa in senso meno sfavorevole al G., mentre veniva avviato il difficile colloquio con i Paesi dell'Asia sud-orient., dove era ancora vivo il ricordo dell'occupazione giapponese. I governi di Ikeda Hayato (1960-64) e di Sato Eisaku (1964-72) segnarono la fase caratterizzata dal miracolo economico, durante la quale il G. si affermò in un brevissimo volgere di anni come la terza potenza economica del globo. Nel 1972 si ebbe l'avvento al potere di Tanaka Kakuei, il quale affrontò e risolse il problema delle relazioni diplomatiche con Pechino. Ma nel 1974 Tanaka fu costretto a dimettersi per sospetti di illeciti che investirono tutto il Partito liberaldemocratico. Il governo venne affidato a Takeo Miki, che si dimise nel 1976, lasciando il posto a Takeo Fukuda che tentò di ammorbidire i rapporti con l'U.R.S.S. dopo che, nell'agosto del 1978, il G. ebbe firmato un trattato di amicizia con la Cina. Una crisi interna del Partito liberaldemocratico costrinse Fukuda a lasciare il potere a Ohira Masayoshi, alla cui morte (giugno 1980) fu eletto primo ministro Zenko Suzuki, che fu costretto a dimettersi nel 1982. Gli subentrò Yasuhiro Nakasone, rieletto alla fine del 1984 e rimasto in carica fino al 1987, dopo aver ottenuto per il suo partito la più forte affermazione elettorale nel luglio 1986. Un grande scandalo nel settore immobiliare determinò quindi le dimissioni del suo successore, Noboru Takeshita; a pochi mesi dalla morte dell'imperatore Hirohito (gennaio 1989) e dall'ascesa al trono del figlio Akihito. Ciò inaugurò un periodo di instabilità politica che coinvolse anche il nuovo primo ministro, Sosuke Uno. Questi nel luglio dello stesso anno, a seguito delle elezioni per la Camera dei Consiglieri (che registrarono l'importante affermazione del Partito socialista guidato fino al luglio 1991 dalla signora Takako Doi), perse la guida sia del proprio partito sia del governo. Il nuovo leader del Partito liberaldemocratico, Toshihi Kaifu divenne primo ministro solo grazie a una norma della Costituzione (mai applicata in passato) che permise di risolvere la contrapposizione politica creatasi tra le due Camere che avevano espresso due primi ministri: Kaifu alla Camera dei Rappresentanti e Doi alla Camera dei Consiglieri. Nel 1990 le elezioni anticipate per il rinnovo della Camera dei Rappresentanti, malgrado il grande successo del Partito socialista, riconfermarono Kaifu nella carica di primo ministro, assegnando al suo partito la maggioranza dei seggi. Nel 1991 Kaifu fu sostituito alla presidenza dello stesso da Kiichi Miyazawa il quale, in base a regole interne del partito, divenne anche primo ministro. Con il crollo del Partito liberaldemocratico del 1993, una composita coalizione di partiti di nuova formazione esprimeva come capo del governo Morihiro Hosokawa, cui si doveva il varo di una serie di misure contro la corruzione e l'adozione di un sistema elettorale misto, senza che per questo il Paese trovasse una maggiore stabilità. Nel 1994 diveniva capo del governo Tomiichi Murayama, alla guida di una coalizione composta da socialisti e liberaldemocratici. Nel gennaio 1995 un terremoto distruggeva la città di Kobe; nel marzo si registrava una violenta ondata terroristica (con un grave attentato alla metropolitana di Tokyo) promossa da una setta clandestina di ispirazione buddista (la “Suprema Verità”) i cui principali esponenti erano in seguito tratti in arresto. Nonostante il succedersi di fatti di tale gravità, la stabilità del governo era indebolita dai contrasti interni tra socialisti e liberaldemocratici (riguardanti anche la delicata questione delle "scuse" ufficiali da presentare ai Paesi asiatici vittime dell'aggressione giapponese nella II guerra mondiale), che favorivano la sconfitta delle due forze politiche alle elezioni per il rinnovo della metà della Camera dei Consiglieri e alle dimissioni, in seguito ad accuse o sospetti di corruzione, di alcuni esponenti dell'esecutivo. La crisi politica portava alla guida del governo Ryutaro Hashimoto, il cui partito otteneva un lieve incremento nelle elezioni per la Camera dei deputati nell’ottobre 1996. Tuttavia, in seguito alla perdurante crisi economica e agli scandali finanziari, nel 1998 Hashimoto era costretto alle dimissioni; per le elezioni del luglio dello stesso anno i liberaldemocratici designavano al suo posto Keizo Obuchi che, pur sconfitto nella Camera Alta da Naoto Kan, leader del Partito democratico, otteneva la fiducia del parlamento giapponese. Morto prematuramente Keizo Obuchi, nel maggio 2000, gli succedeva Yoshiro Mori che indiceva per il giugno successivo nuove elezioni politiche. Nonostante l’impopolarità del nuovo leader democratico, i risultati delle elezioni riconfermavano la precedente coalizione di governo e il primo ministro.

RELIGIONE

Nel sec. VI d. C. arrivò in G., insieme con la cultura cinese, anche il buddhismo e probabilmente in tale occasione i Giapponesi organizzarono in forme nuove la loro religione nazionale, chiamandola, in contrapposizione alla “via del Buddha”, “via degli dei”, o shinto (v. shintoismo). Tra shintoismo e buddhismo vi è dapprima armonia in quanto perseguenti scopi diversi: l'uno la salvezza mondana e l'altro quella extramondana. In seguito, la formazione di sette sincretistiche ha comportato una loro concorrenza, ma nelle sue linee essenziali la storia religiosa giapponese rimane caratterizzata da un culto pubblico shintoista (ivi compresi i culti privati, ma ugualmente civici, degli antenati), e una religiosità privata espressa prevalentemente nelle varie forme di buddhismo, di cui le principali sono il tendai, lo zen e il jodo.

LETTERATURA: GENERALITÀ

Della produzione delle origini si è tramandato solo quanto perpetuato dalla tradizione orale e affidato più tardi alla scrittura. È il caso dei norito (parole pronunciate), sorta di allocuzioni solenni di carattere religioso e magico-incantatorio, legate alla formazione della religione shintoista e della nazione giapponese. All'introduzione del buddhismo e della cultura cinese in generale seguirono radicali innovazioni nella struttura socio-politica del Paese e nella sua cultura. A Shotoku Taishi (573-621), massimo statista ed erudito del G. antico, si deve il “Codice in 17 articoli”, il primo corpo di leggi scritte basate prevalentemente sul pensiero confuciano. Shotoku fu anche il propagatore del buddhismo e il primo commentatore di sacre scritture (sutra). A partire dai primi documenti certi di epoca Nara si suole dividere la letteratura giapponese nei sei grandi periodi attraverso i quali si è svolta la storia del Paese: Nara, Heian, Kamakura, Muromachi e Momoyama, Edo (o dei Tokugawa), moderno e contemporaneo.

LETTERATURA: IL PERIODO NARA

Nel periodo Nara (710-784), dal nome della prima residenza imperiale, massima realizzazione fu la storiografia. Nel 712 fu completato il Kojiki (Memorie di antichi eventi), nel 720 il Nihongi (Annali del Giappone). Redatti su modelli storiografici cinesi, raccolgono tutto il patrimonio mitologico e leggendario e delineano la discendenza divina della dinastia imperiale, della quale vengono narrati i primi secoli di storia. Del sec. VIII sono i fudoki, relazioni topografiche che illustravano le caratteristiche delle singole zone del Paese. L'unico conservatoci integralmente è l'Izumo Fudoki. Il repertorio più ampio e antico di poesie in lingua giapponese è il Man'yoshu (Raccolta di diecimila foglie). Il compilatore è incerto, ma forse più rimaneggiatori hanno apportato successivi ampliamenti a un'edizione originale andata perduta. Fra i 561 poeti, prevalentemente del genere tanka, emergono i cosiddetti “cinque grandi” del Man'yoshu: Hitomaro, Akahito, Okura, Tabito, Yakamochi. L'opera è considerata la pagina più preziosa della lirica giapponese.

LETTERATURA: IL PERIODO HEIAN

Il periodo Heian (794-1185), dal nome della nuova capitale, Heian-kyo (più tardi Kyoto), fu caratterizzato da una raffinata cultura imbevuta di gusto cinese. Nel sec. X fu ordinato il Kokinshu (Raccolta di poesie antiche e moderne), di cui è famosa la prefazione di Ki no Tsurayuki (ca. 868-946), che vi traccia una breve storia della poesia giapponese. Di questo primo critico è anche il primo diario, il Tosa Nikki (Il diario di Tosa), genere sempre largamente coltivato, nel quale eccelsero le tre più grandi scrittrici dell'epoca: Izumi Shikibu (ca. 966-1030), Sei Shonagon (n. 966 ca.), Murasaki Shikibu (978-ca. 1015). Quest'ultima però è ben più famosa per l'opera che è considerata uno dei capolavori della letteratura mondiale: il Genji Monogatari. Esso costituisce l'espressione letterariamente più matura del genere narrativo detto monogatari di cui il racconto fiabesco anonimo, Taketori Monogatari (Il racconto del tagliatore di bambù), costituisce il primo esemplare pervenutoci. A un'altra famosa poetessa, Akazome Emon (965-1027), è attribuito l'Eiga Monogatari (Storia di splendori), che è il primo esempio di monogatari di tipo storico. Di argomento storico è anche il corpo degli Shi Kagami (Quattro specchi), che introducono il fatto storico come argomento di dialogo fra più persone.

LETTERATURA: IL PERIODO KAMAKURA

Con il periodo Kamakura (1185-1333), dal nome della città sede del primo governo militare o shogunato, la storiografia di corte perse prestigio a favore di quella shogunale. Traccia la storia del Paese dal 1180 al 1266 l'Azuma Kagami (Specchi delle province orientali). In narrativa si ebbe lo sviluppo del gunki monogatari (racconto di guerra), di tono epico, ispirato alle recenti lotte tra le grandi famiglie feudali. Famosi: l'Hogen Monogatari (Storia dell'era Hogen), l'Heiji Monogatari (Storia dell'era Heiji), l'Heike Monogatari (Storia degli Heike) e il Genpei Seisuiki (Prosperità e decadenza dei Taira e dei Minamoto). Più tardo il Taiheiki (Cronaca della grande pace), che narra la caduta dello shogunato di Kamakura e l'instaurazione di quello degli Ashikaga. Del genere zuihitsu (note sparse) sono celebri due opere: l'Hojoki (Ricordi della mia capanna) di Kamo-no-Chomei (1154-1216) e lo Tsurezuregusa (Varietà dei momenti d'ozio) di Kenko Hoshi (1283-1350). Un bel diario di viaggio è l'Izayoi Nikki (Diario della sedicesima notte) della monaca Abutsu-ni (1209-1283). Altro lungo diario è il Meigetsuki (Note scritte al chiaro di luna) di Fujiwara Teika (1162-1241), uno dei compilatori dello Shinkokinshu e altre antologie ufficiali, ma soprattutto famoso per una fortunata scelta di tanka dei sec. VI-XIII, lo Hyakunin Isshu (Cento poesie di cento poeti).

LETTERATURA: IL PERIODO MUROMACHI A MOMOYAMA

Durante i periodi Muromachi e Momoyama (1392-1603), dall'instaurazione dello shogunato degli Ashikaga dopo lunghe lotte (in cui si inserisce il breve periodo del Nanboku-cho, 1333-92), si ripristinò Kyoto come capitale effettiva. Una nuova forma poetica, il renga (poesia a catena), era nata dall'artificio dei tornei poetici e dei giochi di composizione di moda a corte. Celebre autore di renga fu Iio Sogi (1421-1502), che nell'Azuma Mondo ne dettava i principi di composizione. Suo discepolo fu Shohaku Botanka (1443-1527). Più tardi la parte iniziale del renga si staccò in una minuscola poesia di tre versi di contenuto per lo più umoristico, detta haiku e largamente coltivata nei secoli successivi. Ma la grande realizzazione del periodo fu il teatro no.

LETTERATURA: IL PERIODO EDO O DEI TOKUGAWA

Nel periodo Edo o dei Tokugawa (1603-1868), in cui il governo shogunale passò ai Tokugawa e la sua sede a Edo (odierna Tokyo), l'incremento delle industrie e dei commerci determinò l'ascesa di un ceto urbano e mercantile, per le cui esigenze sorse una narrativa di destinazione popolare, interamente in kana e di contenuto avventuroso o favolistico o aneddotico. Noto cultore del genere fu Asai Ryoi (1621-1691). Su una traduzione olandese fu condotta una versione in giapponese delle favole di Esopo, l'Isoppu Monogatari. Si erano già instaurati, infatti, i primi contatti con gli Europei ed era iniziata anche l'introduzione del cristianesimo, poi osteggiato e perseguitato. Queste vicende non influenzarono molto la letteratura, ma ispirarono opere narrative come il Kirishitan Taiji Monogatari (Storia dello sterminio dei cristiani). Grande successo ebbe un nuovo tipo di romanzo, l'ukiyozoshi (libri del mondo fluttuante), ispirato alla vita di tutti i giorni nelle grandi città. Principale autore del genere fu Ihara Saikaku (1642-1739), le cui numerose opere – tra cui Koshoku ichidai otoko (1682; Vita di un libertino), Koshoku ichidai onna (1686; Vita di una mondana), Nihon eitaigura (1688; Il magazzino eterno del Giappone) – rivelano una grande inventiva e una straordinaria capacità di creare nuovi modelli che mescolano elementi romantici con un realismo scettico e privo di sentimentalismi. La via iniziata da Saikaku fu portata avanti, seppure con risultati meno brillanti, da Ejima Kiseki (1667-1736) e Nishizawa Ippu (1665-1731). A partire dalla seconda metà del Settecento si affermarono altri generi di narrativa in prosa: i kibyoshi (copertina gialla), umoristici e spesso satirici, e gli sharebon (libri alla moda), ambientati nei quartieri di piacere delle grandi città e in particolare nello Yushiwara di Edo. Dedicati alle relazioni fra clienti e prostitute, alla complicata etichetta e al sistema di valori che le regolava, essi contano fra gli scrittori più rappresentativi Ota Nanpo (1749-1823) e Santo Kyoden (1761-1816). Proibiti nel 1790 per ragioni di pubblica morale, gli sharebon cedettero il passo ai ninjobon (libri di sentimenti) che, pur trattando in sostanza gli stessi argomenti e gli stessi ambienti, accentuavano l'elemento dell'amore romantico. Fra gli autori di maggior rilievo si ricorda Tamenaga Shunsui (1790-1843). Un altro genere di grande importanza fu costituito dai cosiddetti yomihon (libri da leggere), racconti storici e avventurosi, spesso ispirati alla letteratura popolare cinese, che riservavano particolare attenzione all'intreccio e allo stile, imponendosi un maggior impegno letterario e artistico. Interprete insuperato di questo tipo di racconto fu Ueda Akinari (1734-1809): le sue raccolte, Ugetsu monogatari (Racconti di pioggia e di luna) e Harusame monogatari (Racconti della pioggia di primavera), restano fra gli esempi più interessanti di racconti storici, spesso dominati dall'elemento fantastico e soprannaturale. Dopo di lui, Takizawa Bakin (1767-1848) diede ulteriore sviluppo al genere, accentuando in modo vistoso da una parte l'elemento avventuroso e i colpi di scena, dall'altra la componente didattica ispirata alla morale confuciana e al buddhismo. La poesia haikai assurse a dignità artistica con Matsuo Basho (1643-1694), evolvendosi in un genere lirico di carattere fortemente impressionistico. Di haikai intercalati a prosa furono composti i diari di viaggio del poeta, fra i quali resta più famoso lo Oku no hosomichi (La stretta via verso il nord). Ripreso successivamente da Yosa (o Taniguchi) Buson (1716-1783) e Kobayashi Issa (1763-1827), lo haikai (denominato haiku in epoca moderna) resta uno dei generi poetici più originali della letteratura giapponese. Il teatro si sviluppò a sua volta, dando vita a due generi “popolari”: il kabuki, interpretato da attori, e il joruri (oggi bunraku), teatro dei burattini. Il maggior autore di testi fu Chikamatsu Monzaemon (1653-1724), cui si devono drammi storici di grande spettacolarità e drammi sociali ispirati ai conflitti inevitabili fra le imposizioni di una società fortemente gerarchica e conservatrice e le esigenze di libertà individuale. Tra gli altri autori di teatro ricordiamo Ki no Kaion (1663-1742) e Takeda Izumo (1691-1756). Quest'ultimo, in collaborazione con Namiki Senryu e altri, fu autore di Kanadehon Chushingura (Il manuale sillabico: il magazzino di vassalli fedeli), la famosa storia della vendetta dei quarantasette samurai, che ancor oggi resta uno dei testi fondamentali del teatro di epoca Tokugawa. Tra gli ultimi grandi autori di drammi kabuki, si ricordano Tsuruya Nanboku (1755-1829), famoso per le sue macabre storie di fantasmi, e Kawatake Mokuami (1816-1893). Un settore a sé costituì la letteratura erudita. Il movimento dei kangakusha (cultori di studi cinesi), sorto nel sec. XVII, auspicava un rilancio della cultura cinese e del pensiero neoconfuciano, ispirato al filosofo razionalista cinese Zhu Xi. Esponente di maggior rilievo fu Arai Hakuseki (1657-1725). L'esaltazione della cultura cinese portò come conseguenza la reazione dei kokugakusha (cultori di studi nazionali), che si dedicarono all'interpretazione, al rinnovamento, alla divulgazione del patrimonio della tradizione indigena. Tra i maggiori rappresentanti: Kamo no Mabuchi (1697-1769) e Motoori Norinaga (1730-1801).

LETTERATURA: IL PERIODO MODERNO E CONTEMPORANEO

Nel periodo moderno e contemporaneo, dalla Restaurazione Meiji (1868) a oggi, la letteratura si è rinnovata sotto l'influenza dell'Occidente. L'esigenza di un nuovo tipo di romanzo, ispirato alla realtà contemporanea e attento alla psicologia dei personaggi fu espressa soprattutto da Tsubouchi Shoyo (1859-1935) nel suo saggio Shosetsu shinzui (L'essenza del romanzo). Nel contempo si organizzava un vero e proprio movimento volto a rinnovare il linguaggio, rinunciando alle forme letterarie ispirate ai testi classici, a favore di quelle colloquiali. Tra i primi scrittori di rilievo della nuova letteratura di fine secolo, si ricorda Futabatei Shimei (1864-1909), autore di Ukigumo (Nuvole fluttuanti), Izumi Kyoka (1873-1939) e la scrittrice Higuchi Ichiyo (1872-1896). La corrente del “naturalismo”, sviluppatasi a inizio secolo, ebbe a sua volta un ruolo della massima importanza sia nell'evoluzione di un tipo di narrativa che osservasse la realtà con un atteggiamento obbiettivo e “scientifico”, sia nello sviluppo di una lingua letteraria il più possibile aderente a quella parlata. La svolta del Novecento vede affermarsi alcuni fra i maggiori scrittori: Mori Ogai (1862-1922), che meglio di ogni altro impersona la figura dell'intellettuale illuminato, poeta, traduttore, saggista e autore di romanzi e di drammi teatrali; Natsume Soseki (1867-1916), una delle voci più originali, attento alla realtà del nuovo G. e alle sue contraddizioni, ma la cui analisi delle esigenze di affermazione dell'individuo si conclude spesso con una pessimistica valutazione della solitudine a cui l'uomo moderno è inevitabilmente condannato. E ancora Nagai Kafu (1879-1959), la cui nostalgia, velata di estetismo, per situazioni e atmosfere del passato non esclude l'interesse per la realtà sociale che si veniva sviluppando. Nel campo della poesia, si tenta con successo di rinnovare gli schemi dei generi tradizionali. Rinnovatori del tanka furono la poetessa Yosano Akiko (1878-1942) e Ishikawa Takuboku (1885-1912); dello haikai (ora ridefinito haiku), Masaoka Skiki (1867-1902). Altri, come Kitahara Hakushu (1885-1942) o Hagiwara Sakutaro (1886-1942), tentarono forme nuove, staccate dalla tradizione e vicine ai modelli occidentali. Shimazaki Toson (1872-1943) fu a sua volta poeta prima di approdare con successo alla narrativa di ispirazione naturalistica. L'influenza del naturalismo, nell'interpretazione offerta dagli scrittori giapponesi, ebbe una parte dominante nell'elaborazione di un tipo di romanzo particolare, definito watakushi shosetsu (romanzo dell'io) e caratterizzato dalla componente autobiografica e intimistica, che avrebbe dominato a lungo la scena letteraria. Di questo genere è autore celebrato Shiga Naoya (1883-1971). L'interesse per i movimenti di avanguardia europei portò, verso gli anni Venti, a sperimentare nuove forme di romanzo. Dalla cosiddetta Scuola delle nuove sensazioni, Shinkankakuha, sarebbe emerso Kawabata Yasunari (1899-1972), premio Nobel per la letteratura nel 1968. Nello stesso periodo, Tanizaki Junichiro (1886-1965), un altro dei maestri del Novecento, perfezionava il suo discorso su un romanzo ben strutturato, ricco di immaginazione e di colore, non privo di interesse per elementi romantici o decadenti. Gli anni Venti, ricchissimi in campo letterario, vedono anche l'affermarsi – sia pure per un breve momento – di una letteratura di sinistra attenta al richiamo di un impegno politico, esemplificata dalle opere di Kobayashi Takiji (1903-1933). La parentesi della guerra del Pacifico e la sconfitta del 1945 portarono importanti rivolgimenti. Il periodo dell'immediato dopoguerra fu segnato da una fioritura straordinaria di autori e opere di ogni genere. Tra i nomi di maggior spicco, Dazai Osamu (1909-1948), esponente di una generazione sconfitta e disillusa, portato al narcisismo e alla dissipazione come i personaggi dei suoi romanzi più famosi: Shayo (Il sole si spegne) e Ningen shikkaku (Non più umano). Più tardi emerge la figura contraddittoria di Mishima Yukio (1925-1970), in qualche modo ancorata al passato e a una tradizione di valori che appariva sempre più anacronistica e confusa negli anni della ripresa e del nuovo benessere. Suo coetaneo e ugualmente critico del sistema, anche se mosso da opposti ideali, è Abe Kobo (n. 1924), mentre i romanzi di Oe Kenzaburo (n. 1935), premio Nobel 1994, spesso aspri e provocatori, analizzano senza illusioni i problemi della società contemporanea. Fra le scrittrici, emergono Enchi Fumiko (1905-1986) e Ariyoshi Sawako (1931-1984). Negli ultimi anni, il panorama della narrativa, sempre ricchissimo di nuovi nomi e opere, sembra registrare un momento di riflessione. Alcuni autori come Murakami Haruki (n. 1949), Shimada Masahiko (n. 1961) e le scrittrici Tsushima Yuko (n. 1947) e Masuda Mizuko (n. 1948), hanno raggiunto una stabile posizione come rappresentanti delle generazioni nate nel dopoguerra. Ancora, nell'enorme quantità di libri pubblicati e lanciati sul mercato senza risparmio di mezzi, emergono ogni tanto nomi nuovi, autori di best-sellers che superano senza difficoltà il milione di copie vendute e che tendono a diventare fenomeni sociali oltre che letterari: ricordiamo Murakami Ryu (n. 1952), autore del discusso Kagiri naku tomei ni chikai buru (1976; Un blu senza fine quasi trasparente) e di Coin Locker Bobies (1978), al quale la critica ha riservato un giudizio più positivo; e di Ekusutashi (Estasi, 1993); Yamada Eimi (n. 1959), che ha pubblicato nel 1985 Beddo taimu aizu (Bed Time Eyes) e successivamente Torasshu (1991) e 24.7 (1993); e fra le voci più interessanti e originali, la poetessa Tawara Machi (n. 1962) autrice di Sarada kinenbi (1987) e la scrittrice Banana Yoshimoto (n. 1965), i cui romanzi Kitchen (1987) e Tsugumi (1989) sono conosciuti anche in Italia.

ARTE: FINO AL PERIODO ASUKA

Documento delle prime manifestazioni artistiche in G. sono i manufatti fittili realizzati dai portatori del Neolitico in un'epoca di avanzato sviluppo (III-II millennio a. C.). Nella sua fase più evoluta la ceramica Jomon fu sostituita dalla ceramica dipinta fatta al tornio Yayoi (sec. IV-III a. C.-III d. C.). Questa cultura, caratterizzata da influenze della Cina merid. e della Corea, segnò l'introduzione dell'agricoltura e l'inizio dell'età dei metalli con una produzione di oggetti a carattere cultuale. L'attività megalitica svolta in questo periodo con la costruzione di dolmen e di menhir introduce al periodo Kofun, o delle “tombe antiche”, che va dai sec. III-IV al sec. VI d. C., con persistenze che toccano la fine del sec. VII e l'inizio del sec. VIII, cioè già in epoca Nara, secondo la scoperta (1972) fatta nel villaggio di Asuka della grande sepoltura di Takamatzu-zuke. Attorno a queste antiche sepolture a tumulo (di cui alcune a forma di vasta toppa, come la tomba dell'imperatore Nintoku a Osaka) – se ne contano ca. 50.000 – figuravano gli haniwa, cilindri di argilla recanti nella parte superiore immagini umane (anche animali oppure oggetti in miniatura) eseguite con elementari stilizzazioni e ispirate a modelli della società del tempo (danzatori, falconieri, guerrieri e cavalieri). Rapporti tra la Cina Han e il G. Yayoi e Kofun sono documentati dal ritrovamento nelle tombe (di cui alcune di epoca tarda presentano decorazioni pittoriche murali a violenti colori) di specchi in bronzo di fattura cinese (con decorazione a motivi geometrici del tipo “TLV”), considerati oggetto di culto e venerati in G. nei templi shinto, la cui architettura deriva dall'originaria forma del granaio rustico della civiltà Yayoi, come appare nell'antico santuario shinto di Ise (sec. VII). A questo modello è ispirata la forma di tutti gli altri templi dello shintoismo nei quattro stili fondamentali (shimmei-zukuri, taisha-zukuri, sumiyoshi-zukuri e kasuga-zukuri) tratti da elementi ricorrenti dei primi templi di Ise, di Izumo e di Nara, più tardi tuttavia sensibili a modifiche e aggiornamenti stilistici per l'assimilazione di elementi dell'architettura buddhista.

ARTE: IL PERIODO ASUKA

La diffusione della cultura cinese in G. si attuò nel periodo Asuka (552-645), soprattutto tramite il buddhismo, e l'apporto di questa civiltà figurativa dell'Asia sostanziò subito dei suoi moduli iconografici la scultura buddhista giapponese con una serie di capolavori (gruppo in bronzo dorato della Triade di Sakyamuni, Nara, Horyu-ji, Kondo; i Quattro Re Guardiani, Shitenno, in legno policromo e dorato, Nara, Horyu-ji, Kondo; le immagini lignee di Miroku Bosatsu, Kyoto, Koryu-ji; Nara, Chugu-ji). Un posto a sé stilisticamente occupa l'imponente statua di Kudara Kwannon, il cui nome (Kudara) rivela la matrice coreana (Nara, Horyu-ji). Anche la pittura Asuka raggiunse un altissimo livello, sia pure documentato nelle uniche prove del frammento ricamato di tappezzeria Tenjukoku (Nara, Chugu-ji) e delle pitture che decorano il piccolo tempio-reliquiario Tamamushi-no-zushi (Nara, Horyu-ji, Kondo). Quasi nulla è rimasto dell'architettura Asuka, informata ai nuovi criteri architettonici introdotti dalla Cina, ma basta il complesso dell'Horyu-ji, nei pressi di Nara, che costituisce la più antica architettura in legno, per intendere il concetto informatore che presiedeva ai principi di queste costruzioni e le infinite possibilità di soluzioni strutturali e di raggiungimenti estetici consentiti dall'uso e dallo sfruttamento del legno nelle più imprevedibili applicazioni. Edificato agli inizi del sec. VII, entro la cinta del suo chiostro rettangolare (horo) con portico a copertura sporgente, sorgono, in perfetta simmetria su una linea perpendicolare all'asse nord-sud, la pagoda a cinque piani decrescenti (to) e la “Sala d'oro” (padiglione a pianta rettangolare detto Kondo); sul fondo, rispetto alla porta centrale (chumon), si trova un edificio per la lettura dei testi sacri (Kodo), affiancato ai lati da due costruzioni minori, rispettivamente “Sala delle scritture” (Kyozo) e “Sala della campana” (Shoro). Distrutto in un incendio intorno al 670, il tempio fu poi ricostruito all'inizio del sec. VIII con alcune varianti e aggiunte (il piccolo padiglione ottagonale o “Sala dei sogni”, Yumedono), nonché abbellimenti (pitture murali nel Kondo, collegabili stilisticamente alle pitture tombali cinesi) realizzati a cavallo delle due ere Hakuho (646-710) e Tempyo (710-94) del periodo Nara, in cui si definiscono nell'ambito dell'architettura cinese gli esiti della tradizione architettonica fissata nelle premesse del periodo Asuka.

ARTE: IL PERIODO NARA

Lo svolgimento dell'arte giapponese nei sec. VII e VIII coincide e si attua nel periodo Nara, soprattutto a partire dal 702, in cui maggiore e più conscia è l'aderenza alle istituzioni e al patrimonio culturale della civiltà cinese. A partire dal primo decennio del sec. VIII la presenza della cultura cinese in G., come altrove nell'Asia estremo-orient., si realizzò con un vero e proprio innesto sulle tradizioni locali già contaminate dall'origine di caratteri formativi cino-coreani. La nuova capitale fu fondata nel 710 a Heijo-Kyo (l'odierna Nara), dopo le precedenti sedi di Naniwa (Osaka) e di Fujiwara, ispirandosi per l'urbanistica e per l'architettura al modello della città cinese di Ch'ang-an, capitale delle dinastie Han e T'ang. L'uso tradizionale del solo legno nelle costruzioni se da un lato rese più difficile la traduzione in questo materiale dell'architettura T'ang da un altro riuscì quanto mai proficuo per la libertà di soluzioni e spesso con risultati di autentica originalità. Tra i grandi templi con piante a schemi diversi sorti nel periodo Nara sono da ricordare lo Yakushi-ji, il Todai-ji, dotato del caratteristico padiglione (shosoin), specie di deposito del tesoro derivato nella forma dall'antico granaio shinto; il Kofuku-ji, il Taimadera, il Toshodai-ji e lo Eizan-ji. Di questi e di altri templi rimangono, dell'epoca, isolate costruzioni, come pagode (che qui assumono valore equivalente a quello dello stupa) e Sale (padiglioni) nella varietà di funzioni a esse assegnate. Sull'impulso di questo fervore costruttivo fiorirono le arti e l'artigianato per l'apporto di artisti e maestranze degli stessi monasteri. Come l'architettura, anche la scultura e la pittura si ispirarono alle fonti cinesi dell'arte T'ang e si realizzarono soprattutto nell'ambito religioso del buddhismo. A sostanziare la scarna documentazione della pittura Nara, limitata nella sua espressione maggiore a ciò che rimane delle pitture che decoravano il Kondo dell'Horyu-ji, vengono ad aggiungersi ora le pitture murali della tomba di Takamatzu-zuke nel villaggio di Asuka, scoperta nel 1972, la cui datazione oscilla tra la fine del sec. VII e l'inizio del sec. VIII. Queste pitture rappresentano due gruppi contrapposti di “dame” e “valletti”, mentre nelle pareti laterali sono rappresentati animali fantastici legati alla simbologia cosmica cinese. Il realismo delle figure, i particolari delle acconciature e degli abbigliamenti, la ricchezza e la vivacità dei colori, la sicurezza del disegno, mostrano una conoscenza, uno stile e una tecnica senza precedenti nella pittura giapponese di quest'epoca, la cui matrice deve ricercarsi nella tradizione della pittura T'ang, arricchita di elementi centro-asiatici e interferente su uno stile composito cino-coreano. Queste pitture precedono di circa mezzo secolo le prime prove dell'arte degli emakimono: la prima pittura su rotolo non appare che nel 735 attraverso la copia giapponese del sutra cinese Ka ko-Genzai-Inga-Kyo (Causa ed effetto nel passato e nel presente), dove le scene dipinte sono un'elaborazione della pittura cinese di paesaggi e figure dell'epoca T'ang. Il realismo del brano di pittura della tomba di Takamatzu-zuke è la sola nota di contatto col vivace realismo offerto dalla scultura Nara, che segna, appunto, in questo senso, un'evoluzione stilistica rispetto alla produzione del precedente periodo Asuka. Oltre alle opere in bronzo del primo periodo Nara, che mostrano già una decisa interpretazione giapponese dello stile cinese T'ang profondamente assimilato (statue di Sho-Kannon e di Yakushi con gli accoliti Gakko e Nikko; Nara, Yakushi-ji), importanti sono quelle eseguite in lacca secca e in argilla nel secondo periodo (Tempyo). In argilla essiccata e dipinta sono le statue dei due Bodhisattva che compongono la Triade con Fukukenjaku Kannon (in lacca secca dorata) nell'antico edificio (Hokkedo) che costituiva il primo Todai-ji a Nara, poi destinato a raccogliere opere di scultura, come le gigantesche statue di Kichijoten, di Benzaiten, dei Quattro Re Guardiani. I maggiori esempi di scultura in lacca secca dipinta (tecnica che permetteva di ottenere varietà di effetti e precisa descrizione di particolari) si trovano invece nel Kofuku-ji di Nara (statue dei Guardiani Celesti e dei Discepoli di Sakyamuni). In lacca secca dipinta è pure un'importante opera di ritrattistica Nara (il Sacerdote Ganjin nel Toshodai-ji di Nara), il cui genere trova varietà di espressioni nella ricca produzione delle maschere lignee per la danza Gigaku (in gran numero sono conservate nei templi), dove il gusto per il caricaturale e il grottesco s'accompagna spesso con acute annotazioni psicologiche. La tecnica per le sculture in legno eseguite in un unico pezzo (ichiboku-bori) dà origine a un nuovo stile, che caratterizzerà in parte la successiva scultura Heian.

ARTE: IL PERIODO HEIAN

L'arte del periodo Heian (794-1185) si svolge senza gli apporti della cultura cinese, favorendo così lo sviluppo degli stili indigeni secondo il gusto raffinato della società aristocratica quale si manifestò nel periodo in cui maggiore fu il potere assunto dalla casta dei Fujiwara, che dalla metà del sec. IX dominò la vita politica e culturale del Giappone. È in questo periodo che si realizza la pittura nazionale Yamato-e, il cui stile trova la massima espressione nelle illustrazioni dei racconti su rotolo (emakimono). Altri sviluppi della pittura profana furono sollecitati dalle stesse caratteristiche dell'architettura delle case signorili (shinden-zukuri) che offriva nel sistema di suddivisione interna degli spazi superfici nuove per la decorazione, quali i divisori scorrevoli o mobili (byobu). Temi della pittura Heian, oltre a quello classico delle “quattro stagioni” dipinto su seta (kinu-e) e commentato da un componimento poetico (waka), erano le illustrazioni ispirate ai romanzi, ai fatti storici e alle biografie dipinte su carta (kami-e). Il Genji Monogatari (monogatari-e: pitture racconto), p. es., ha fornito il tema a molti rotoli eseguiti già nel sec. XI e ricchi di invenzioni formali e compositive. Una variante della tecnica tsukuri-e (disegno a inchiostro e colori) fu quella sumi-e, pittura a solo inchiostro (che tanto sviluppo ebbe nei periodi successivi), con la quale furono eseguiti i rotoli Choiugiga (Caricature degli animali), attribuiti al pittore noto col nome di Toba Sojo (1053-1140) e conservati nel tempio di Kozan (Kyoto). Agli inizi del sec. IX risale l'istituzione dell'Edokoro, organo statale pertinente l'attività pittorica nell'ambito della corte imperiale, il cui ufficio e carattere si mantennero fino al sec. XIX. Fecondi impulsi all'arte religiosa derivarono dalle fortune del buddhismo nello sviluppo di nuove tendenze e di nuovi sistemi di pensiero, implicando così il manifestarsi di nuove pratiche cultuali. In questo periodo fiorirono le sette esoteriche Tendai e Mikkyo, attraverso le quali fu operato, tra l'altro, l'allargamento del pantheon buddhistico per inserire nell'ambito delle sue manifestazioni anche quelle relative al culto delle divinità shinto, di cui un antico esempio nella rappresentazione scultorea è la statua lignea di Dea shintoista nel santuario Matsuo a Kyoto. Più tardi un nuovo arricchimento iconografico si manifestò nell'arte con il diffondersi in larghi strati popolari del culto del Buddha Amitabha (Amida) e di quello del Bodhisattva Avalokitesvara (Kannon). Nella prima metà del sec. XI apparvero i Raigo, dipinti raffiguranti Amida con la sua corte divina che venivano mostrati ai morenti. Uno dei maggiori esempi di Raigo è nelle pitture murali (Paradiso di Amida) della “Sala della Fenice” (Hoodo) del Byodoin di Uji (Kyoto), eseguite nel 1053, dove si coglie anche, nella trattazione delle immagini, la ricerca di definire una tipologia di volti giapponesi, ricerca che offre esiti interessanti nella pittura su rotolo di seta raffigurante il Parinirvana del Buddha (tempio di Kongobu sul m. Koya), eseguita nel 1086. L'architettura buddhista di questo periodo, il cui incremento sollecitò leggi urbanistiche a tutela della città, favorendo così la costruzione di grandiosi monasteri in montagna (le cui forme furono prese a modello da altri costruiti entro e subito fuori della capitale), si espresse in una varietà di stili, spesso determinati dall'adeguamento delle strutture alle caratteristiche dell'ambiente naturale, che comportarono l'introduzione di nuovi edifici. Esempi dell'architettura Heian sono i templi Mikkyo Enryaku-ji (Hieisan) e il Kongobu (Koya-san); il Konjikido del Chuson-ji, la “Sala della Fenice” del Byodoin di Uji. Sviluppi ebbe anche l'architettura civile: le abitazioni dei nobili (shinden-zukuri) si ispirarono al modello degli edifici staccati (shinsenen) delle tre sezioni del complesso del palazzo imperiale (Daidairi). Tra le varie scuole di scultura prevalsero in questo periodo due stili, uno legato alle immagini buddhistiche conservate nel Toshodai-ji e l'altro aderente alla visione esoterica Mikkyo (sculture nei templi di Toji, Kyoto; di Kanshin nella prefettura di Osaka). Carattere dominante nella scultura Heian è la ricercata bellezza delle immagini, alla quale però non corrisponde la trattazione dei corpi che rivelano sproporzioni nell'accentuazione di maestosità. Tra i capolavori si ricordano le due statue di Yakushi (Kyoto, Jingo-ji, Kondo; Nara, Shinyakushi-ji), la Kannon con undici teste (Nara, Hokke-ji), la statua del Re Guardiano Tobatsu Bishamonten (Kyoto, Kyoogokoku-ji), il ritratto del Sacerdote Roben, fondatore del Todai-ji (ove figura), le araldiche Fenici che ornano il santuario della Fenice nel Byodoin (Uji), la possente statua di Amida Nyorai (nel medesimo santuario) scolpita da Jocho (1053), la pittoresca immagine di Kichijoten (Kyoto, Joruriji), così terrena nella sua delicata bellezza. Dagli elementi ornamentali che impreziosiscono la statuaria Heian, nell'ordine di schermi, baldacchini, mandorle, diademi, aureole, gioielli, stendardi si ha una precisa testimonianza dell'alto livello raggiunto dall'artigianato in quest'epoca, così attivo ed esperto nei vari campi per soddisfare la ricca clientela dei preti e dei nobili. Sugli esiti dei grandi raggiungimenti realizzati in quest'epoca il G. codifica i caratteri essenziali della propria civiltà, destinata a evolversi e lentamente trasformarsi per gestazione intima nel proprio ambito naturale e culturale.

ARTE: IL PERIODO KAMAKURA

Ancora motivi religiosi e trasformazioni politiche sono all'origine dei fatti artistici prodottisi durante il periodo Kamakura (1185-1333), durante il quale grande importanza ebbero sulla cultura la religione Zen e il potere della casta militare. Sorsero templi Zen nello stile cinese (kara-yo): Kennin-ji (1202, Kyoto), Kencho-ji (1253, Kamakura), “Sala delle Reliquie” (Shariden) dello Engaku-ji (1279, Kamakura). Nacque l'architettura dei samurai, di cui tuttavia non ci sono giunti esempi (elementi essenziali dell'abitazione del samurai erano i fusuma e i kiki-chigaido, porte scorrevoli, una stanza per i colloqui, nicchie per il kakemono e oggetti decorativi, una veranda o shoin). La vecchia aristocrazia ridusse la propria abitazione (shinden-zukuri) all'edificio principale (shinden). Fiorì in quest'epoca l'arte degli emakimono sui temi della storia dei templi (Shigisan-Engi-Emakimono, Kasuga-Gongen-Kenki-Emakimono), sulle feste annuali di corte (Nenju-Gyoji-Emakimono), su racconti di guerra (Heiji-Monogatari-Emakimono), sulle biografie illustrate (e-den) di monaci illustri (Ippen-Shonin-Eden), su altre vicende storiche (Banno-Dainagon-Ekotoba, Moko-Shura-Ekotoba). In pittura si sviluppò anche il genere del ritratto nel quale andò famoso Fujiwara Takanobu (ritratti di Minamoto-no-Yoritomo e di Fujiwara Mitsuyoshi) per l'acutezza dell'indagine psicologica. La medesima appare ancor più sottolineata nell'aggressivo realismo della scultura, in una serie di ritratti (Seshin e Mujaku nel Kofuku-ji di Nara; il sacerdote Shunjo, Todai-ji, Nara; Uesugi Shigefusa, Meigetsuin, Nara) e di espressive immagini di divinità. Oltre a Unkei, i maggiori interpreti della scultura furono Tanchei, Kokei e il figlio adottivo Kaikei, Kosho, Jokei.

ARTE: IL PERIODO MUROMACHI

La tendenza della scultura ai modi stilistici del passato si accentuò maggiormente nel successivo periodo Muromachi (1333-1573), che ne segnò un po' la decadenza, mentre si affermava l'arte delle maschere per il teatro no per qualità tecniche e originalità di creazione. Espressione artistica dello spirito Zen divenne nel sec. XV la pittura monocroma a inchiostro (suiboku-ga) praticata soprattutto nei monasteri di questa religione a opera dei preti-pittori (gaso). Con questa tecnica, nel tema del paesaggio, eccelsero Josetsu, Shubun, Sesshu (che fu il maggiore di tutti), il suo allievo Sesson, Kei Shoki. A questi s'aggiungono Noami, Geiami e Soami, che ricercarono il carattere decorativo dei paesaggi sulla traccia delle pitture cinesi Sung. Ad altra corrente appartengono in quest'epoca gli iniziatori della scuola Kano (Masanobu, Motonobu e Yukinobu) a servizio della corte Ashikaga, aperta a ogni forma d'arte. Nei caratteri della pittura Muromachi elementi della tradizione Yamato-e si fondono e rivivono nello stile della scuola Tosa. L'arrivo degli Occidentali nella prima metà del sec. XVI divenne in pittura argomento per temi namban (occidentali del sud). La diffusione della cerimonia del tè (cha-no-yu) incrementò la produzione di teiere in metallo e di tutto il vasellame in ceramica a essa connessa. L'architettura shinden-zukuri ripiegò su dimensioni sempre più anguste determinando la diffusione dello stile shoin-zukuri.

ARTE: IL PERIODO MOMOYAMA

Nuovi orientamenti ebbe l'architettura nel breve periodo Momoyama (1573-1614) con la costruzione di una serie di castelli fortificati che sollecitarono nuovi tipi di arredamento, improntati a un gusto sfarzoso. Dal 1543 al 1611 furono costruiti i castelli di Azuchi (che si avvalse per le decorazioni interne dell'opera di Eitoku Kano), di Osaka, del Jurakudai di Kyoto, di Momoyama, seguiti, tra gli altri, da quelli di Matsumoto, di Nijo, di Hime-ji e di Nagoya. Accanto all'arte dei castelli, che caratterizzò tutto questo periodo, si sviluppò quella dei giardini (con lago e rocce) e quella della cerimonia del tè, per la quale furono creati due nuovi edifici, il cha-seki (sala) e il cha-shitsu (padiglione) di estrema semplicità.

ARTE: IL PERIODO EDO

Orgogliosa del proprio passato al quale rimase fondamentalmente legata, la civiltà giapponese del periodo Edo, o dei Tokugawa (1615-1868), ne evocò con ambiziosa retorica celebrativa le forme e gli aspetti più tradizionali, dando di sé un'immagine cristallizzata, ricca di colori e di pittoresco, quale si rivelò all'incontro con l'Occidente nel sec. XIX. Le chiusure culturali di questo periodo non impedirono però la lenta trasformazione del gusto delle nuove classi sociali e lo svilupparsi dell'arte popolare delle stampe secondo lo stile della pittura Ukiyo-e, che costituisce il più importante fatto artistico dell'epoca e uno tra i più interessanti contributi alle origini dell'arte moderna europea. L'incontro con l'Occidente favorì nell'arte giapponese lo sviluppo di alcune tendenze europeizzanti già in atto alla fine del periodo Edo e la cui attività divenne più vitale nel periodo Meiji-Taisho.

ARTE: IL PERIODO MEIJI-TAISHO (1868-1926)

Con la fondazione nel 1876 della Scuola di Belle Arti con corsi di insegnamento delle tecniche della pittura a olio occidentale (vi insegnarono gli italiani E. Chiossone e A. Fontanesi; nella sezione della scultura insegnò V. Ragusa). Tale sezione fu poi creata nel 1896 nella Scuola di Belle Arti di Tokyo, dove insegnò Seiki Kuroda, che aveva soggiornato in Francia. Accanto e in opposizione alle correnti occidentalizzanti, che nel corso della prima metà del sec. XX avevano via via assimilato le influenze del postimpressionismo, del fauvismo, dell'espressionismo, del cubismo, del surrealismo e dell'arte astratta, si rafforzò la corrente fedele agli stili della tradizione, la cui attività giunge fino ai giorni nostri, raccogliendo i migliori risultati però nel campo delle arti decorative, dove i caratteri autentici dell'arte giapponese trovano maggiori disponibilità di espressione.

ARTE: DAL 1945 AD OGGI

Determinante appare l'azione svolta in questo dibattito dai movimenti d'avanguardia sviluppatisi in G. dopo il 1945. Un'importanza eccezionale assume nei caratteri della civiltà contemporanea giapponese il ruolo svolto dall'architettura (e quindi dell'urbanistica), la cui evoluzione, manifestatasi con l'incontro della civiltà occidentale che portò nell'arcipelago nuovi materiali costruttivi (acciaio e cemento armato) e le influenze di Wright, Le Corbusier, Gropius e Mies van der Rohe, giunge alle sorprendenti realizzazioni che si sono susseguite a partire dagli anni Cinquanta. Tra i maggiori artefici dell'immagine architettonica contemporanea del G., che può essere assunta quale simbolo della sua spettacolare ascesa economica, figurano, a iniziare dai più vecchi, T. Murano e A. Raymond, J. Sakakura, K. Mayekawa, K. Kikutake, K. Kurokawa e, soprattutto, K. Tange, le cui opere risentono della bruciante esigenza di rottura con ogni sorta di esitazione dialettica con la storia, ma altresì rivelano, nell'entusiasmante creatività sempre originale, limiti e pericoli che sono propri della produzione sperimentale. Sotto la sua influenza nasce il Metabolism, cui prendono parte K. Kikutake, K. Kurokaua e F. Maki. Numerose le realizzazioni del gruppo nell'ambito dell'architettura istituzionale. Dopo l'Expo di Osaka (1970), che segna l'apice del movimento suddetto, la cultura architettonica giapponese mostra due orientamenti: i “professionisti”, fautori di un linguaggio architettonico funzionalista e altamente tecnologico, e i “concettualisti” rivolti alla ricerca estetica e simbolica dell'oggetto architettonico. Tra questi ultimi ricordiamo A. Isozaki e K. Shinohara. Negli anni Ottanta l'architettura giapponese ha raccolto l'interesse internazionale intorno all'opera di T. Ando. L'arte giapponese continua a svolgere un ruolo di primo piano nel panorama internazionale grazie alla sua tensione innovativa e alle soluzioni originali che hanno spesso anticipato esperienze congeneri negli ambienti occidentali. Gli anni Ottanta hanno visto la maturazione delle caratteristiche essenziali, quali la tendenza materica, la forte accentuazione concettuale e la manifestazione artistica intesa come “evento”, già messe in luce nella decade precedente da alcuni gruppi di segno avanguardistico sorti in G. con l'intento, fra l'altro, di distinguersi dallo spirito occidentale, traendo ispirazione dal pensiero asiatico. La diversa concezione del mondo e la peculiare filosofia della natura, che hanno sempre dato luogo a un sentimento diffuso di esteticità, nella pratica dell'arte della fine degli anni Ottanta hanno condotto a opere di grande originalità che si imperniano sostanzialmente sul rapporto che coinvolge l'uomo e l'ambiente circostante. In tale prospettiva all'artista viene negato un ruolo “creativo”, limitando la sua funzione a quella di mediatore fra elementi del mondo della natura e percezione del fruitore. L'accostarsi alla natura, considerata quale soggetto compartecipe della manifestazione artistica, ha visto l'intervento dell'artista muoversi nei due sensi dell'esperienza: verso il particolare e verso l'universale. L'attenzione si focalizza cioè su singoli aspetti, nell'ambito dei quali vengono privilegiati materiali quali pietre, legno, acqua, terra, ferro, plastica, ecc., che vengono isolati dall'ambiente circostante onde farne scaturire la bellezza intrinseca. Per esaltarne gli aspetti di relazione si organizza il contesto spaziale affinché, dal muto dialogo dei reciproci rapporti, ne venga evidenziata la natura intima: in tal maniera tutto ciò che rientra nello sguardo del fruitore diventa indistintamente un invito affinché ci si inoltri nell'esperienza estetica verso una “situazione totale” in cui le cose trovano tutte una propria posizione e spiegazione, in una realtà di connessioni che costituiscono un'armonia globale. Pur nella variazione dei motivi, dei materiali e delle tendenze resta tuttavia presente la necessità di rendere vitale lo “spazio della manifestazione artistica” attraverso una tensione dell'organizzazione spaziale nell'ambito della quale vengono messi in evidenza gli aspetti temporali al fine di suscitare un senso di caducità. Considerando l'assorbimento dell'artista in un ruolo di catalizzatore e l'impulso a un compimento di visione e di stile di vita, la critica giapponese preferisce riferirsi alla propria arte non come a una “forma d'arte”, ma piuttosto a un “evento”, scorgendo nella definizione “arte che non è arte” l'unica possibilità di circoscrivere in parole la portata essenziale del proprio contributo.

MUSICA

La musica giapponese presenta forti affinità con quelle di Cina, Mongolia, Corea e Vietnam, con le quali forma un'unica famiglia; da Cina e Corea subì influssi particolarmente significativi. Come negli altri Paesi del gruppo citato la scala base è quella pentatonica del ciclo delle quinte e lo strumento tipo è una cetra dalle corde di seta, che in G. reca il nome di koto. Non si hanno molte notizie sui secoli più remoti. Nel sec. VIII d. C. risulta testimoniata la musica che accompagnava i riti buddhisti; si formò allora, per influsso cinese, il genere tipico della musica di corte giapponese, il Gagaku (musica elegante). L'orchestra del Gagaku era formata dallo sho (sorta di organo a bocca), dal ryuteki (flauto orizzontale), dallo hichiriki (piffero-oboe), dal biwa (liuto piriforme) e da diversi tipi di tamburi: strumenti in gran parte importati dalla Cina. La musica giapponese conobbe altre evoluzioni in rapporto al formarsi di nuove sette religiose e al mutarsi dei riti; in campo profano si svilupparono diversi tipi di pantomime. Nel periodo Kamakura sorse un canto accompagnato dal biwa e consistente nella declamazione di saghe eroiche. Verso la fine della stessa epoca nacque dalla fusione di spettacoli teatrali precedenti il no, lo spettacolo nazionale del G., in cui la musica occupa una posizione di primo piano, accanto alla mimica e alla recitazione. Oltre al canto vi intervengono per la parte musicale un flauto e tre tamburi (talvolta anche altri strumenti). La musica ebbe una funzione di rilievo anche nella contemporanea farsa kyogen e nel più tardo genere teatrale del kabuki. Intorno alla metà del sec. XVI fu importato dalla Cina un antico strumento che divenne lo shamisen (sorta di liuto a 3 corde) ed ebbe una vasta diffusione. Tra gli strumenti più caratteristici della musica giapponese va menzionato anche il flauto diritto di canna di bambù chiamato shakuhachi. I generi musicali principali già nominati si cristallizzarono e non subirono trasformazioni sin verso la fine del sec. XIX, cioè fino al momento in cui il G. si aprì all'influenza della musica occidentale, che assimilò profondamente, più di ogni altro Paese asiatico, istituendo parallelamente (unico nell'Estremo Oriente) scuole e orchestre di alto livello. Le più significative e originali tradizioni tuttavia non furono lasciate decadere e soprattutto in tempi recenti sono state consapevolmente valorizzate. Il primo compositore di musica sinfonica e fondatore di un'orchestra filarmonica di tipo occidentale fu Kosaku Yamada (1886-1965), che aveva studiato in Germania. Molti dei primi autori di musica sinfonica furono condizionati da modelli tedeschi (Wagner e Strauss in particolare); altri, come Yoritsune Matsudaira, si sono interessati alla dodecafonia tentando anche una fusione con le tradizioni nazionali, mentre compositori più giovani hanno aderito alle correnti europee più avanzate. Vanno menzionati, fra quanti si sono posti in luce nel sec. XX, Komei Abe (n. 1911), Kiyose Yasuje (1900-1981), Minao Shibata (n. 1916), Yoshiro Irino, Shin-ichi Matsushita, Yoriaki Matsudaira, Makoto Moroi (n. 1930), Toru Takemitsu (n. 1931), Kazuo Fukushima (n. 1930), Toshi Ichiyanagi (n. 1933). La vita musicale trova la sua massima espressione nell'attività di numerose orchestre sinfoniche (cinque a Tokyo e tre nella regione di Osaka), di oltre cinque compagnie d'opera e di vari festival annuali (Festival dell'Arte, per conto del Ministero dell'Educazione; Festival internazionale di Osaka; Festival di musica contemporanea, in varie sedi; Festival di musica moderna, a Tokyo

DANZA

Accanto alle forme tradizionali del no e del kabuki, nelle quali musica, canto, recitazione e danza formano un tutt'uno, nel secondo decennio del sec. XX fu introdotto in G. lo studio del balletto. Gradualmente questa disciplina – e, nel decennio successivo la modern dance – guadagnarono numerosi adepti fra appassionati e praticanti. Negli anni Trenta una corrente di modernismo giapponese di matrice occidentale fu capeggiata da Bihu Ishii e Masao Takada. Solo nel secondo dopoguerra, ispirati dalla tragedia di Hiroshima, i danzatori Hijikata Tatsumi e Kazuo Ohno diedero vita a una nuova corrente di modernismo, culturalmente originale per tecnica e stile, che negli anni Ottanta ha avuto larghissima eco in Europa – in particolar modo in Francia, dove ha esercitato una certa influenza su alcuni autori della nouvelle danse – e si è diffusa attraverso il lavoro dello stesso Ohno, del gruppo dei Sankai Juku, di Carlotta Ikeda. Anche lo studio del balletto ha avuto grande impulso nel secondo dopoguerra, alimentando l'attività di numerose compagnie, la più importante delle quali – per continuità e professionalità dell'impegno – è il Tokyo Ballet. Sono sempre più numerosi i ballerini giapponesi vincitori di concorsi internazionali di prestigio a conferma dell'interesse e della passione con cui essi studiano discipline anche lontanissime dalla loro tradizione come il flamenco.

TEATRO

Anche in G. le prime forme di spettacolo appaiono strettamente legate ad antiche manifestazioni liturgiche in occasione di periodici riti agresti connessi allo shintoismo, nei cui svolgimenti erano inseriti canti, danze e pantomime propiziatorie. Alcune di queste cerimonie, note col nome di kagura o wazaoki (divertimenti degli dei) e suddivise in mi-kagura (sacre danze shintoiste eseguite presso la corte imperiale o dinanzi ai templi) e in sato-kagura (danze popolari eseguite in alcune festività da attori mascherati al suono del flauto e del tamburo), erano già mitologicamente giustificate da alcuni passi del Kojiki e sono rimaste a far parte del culto indigeno fino a oggi. Ma elementi cinesi e buddhisti si combinarono in seguito con le rappresentazioni indigene, che avevano frattanto perduto il loro carattere rituale e si erano venute configurando più come spettacoli profani di contenuto giocoso e burlesco (tali le utagaki, trattenimenti con danze e canti, specie di feste campestri; le tamai, le azumamai, ecc.). Risalgono ai sec. VII e VIII le prime forme di spettacolo storicamente riconoscibili, note coi nomi di gigaku (cortei mascherati con danze e brevi farse) e bugaku (spettacoli di danze simboliche). Esse, con il sangaku, poi sarugaku (musica delle scimmie), che nella sua forma d'arte (sarugaku-no-no) fu di preludio al no, con il mimo bucolico buddhista del dengaku (musica delle risaie), furono appunto il risultato di questa contaminazione e, con il loro splendido e a volte grottesco corredo di maschere, godettero di largo favore e popolarità. Tutte queste forme vennero organizzate ufficialmente dall'Ufficio per gli Spettacoli e la Musica di Corte (Gagaku-ryo), fondato nel 701, secondo le istruzioni del codice dell'era Taiho. Ma trattandosi di spettacoli spesso privi di testi e di sceneggiature, prevalentemente composti di danze, canti, esibizioni acrobatiche e brevi testi recitativi di vario genere, è difficile oggi ricostruirne il contenuto. Assai poco si può desumere da quanto sopravvisse nei generi più tardi e in particolare in quella complessa e completa forma di spettacolo che doveva essere il no, che costituisce la massima realizzazione teatrale giapponese. Forma di dramma lirico, ispirato ai miti nazionali, alle antiche leggende e alle saghe eroiche e basato su testi che si distinguono in drammi di divinità, di battaglie, di vendette e di magia (scritti sia in prosa sia in versi e quasi tutti di elevatissimo valore letterario), il no si compone di canto, danza, musica e recitativo affidato prevalentemente a due soli attori. Gli attori (anche le parti femminili sono interpretate da uomini) vestono costumi molto belli e complessi e indossano maschere di preziosissima fattura; la scena è assai nuda e sempre fissa. La rappresentazione, che inizialmente impegnava un numero elevatissimo di ore, è intermezzata, per distrarre e divertire il pubblico, da farse molto simili alle nostre commedie di carattere, chiamate kyogen, il cui contenuto, vivace e scanzonato, che ritrae situazioni della vita comune, e il cui linguaggio, dialettale e spesso sguaiato, contrastano vivamente e volutamente con la raffinatezza e l'aulicità del no. Il merito di aver tramandato l'elaborazione e la codificazione definitiva del no, rimasto sostanzialmente inalterato fino ai nostri giorni, spetta a Kan'ami Kiyotsugu (1334-1384) e soprattutto a suo figlio Zeami Motokiyo (1363-1444), autore di centinaia di drammi e di diversi trattati, fra cui il Kadensho (Il libro della trasmissione del fiore). In esso egli espose compiutamente le sue teorie estetiche, soprattutto a proposito delle tecniche di recitazione, nelle quali prescrisse che l'attore del no dovesse avere due principali requisiti: lo hana, il fiore, una specie di qualità naturale e congenita dell'artista sviluppata anche dall'abilità tecnica, e lo yugen, il mistero, la profondità, sorta di stato di compenetrazione nell'essenza dell'arte. Forme teatrali decisamente popolari sorsero in epoca Tokugawa (1603-1868) accanto al crescente sviluppo del no. Il bunraku, in origine introdotto dalla Cina, si venne legando al repertorio dei cantastorie girovaghi giapponesi che avevano reso celebre soprattutto un racconto, il Joruri-hime Monogatari (La storia della dama Joruri), nato nel sec. XVI. Di qui il nome di joruri, passato a indicare il genere, per il quale verso la fine del sec. XVI e gli inizi del XVII alcuni declamatori iniziarono ad avvalersi di burattini manovrati a mano. Osaka divenne uno dei centri più rinomati di joruri e accolse uno dei primi teatri stabili, il Takemoto-za. Il kabuki invece (ancor oggi rappresentato anche nella sua forma più moderna, lo shin-kabuki o neo-kabuki) all'origine consisteva in spettacoli di danze e pantomime, alternate a intermezzi comici, alle quali si affiancarono in seguito il dialogo e l'azione. I drammi, sia per il kabuki sia per il joruri, furono distinti in due tipi: jidai-mono, di ispirazione storico-epica, e sewa-mono, di argomento sociale e ispirati a storie di amori infelici, di conflitti di classe, di rigidi doveri sociali, che avevano una loro corrispondenza con gran parte della contemporanea letteratura degli ukiyo-zoshi. Sul piano artistico l'affermazione del teatro kabuki fu operata principalmente dagli attori Sakata Tojuro (1647-1709) e Ichikawa Danjuro (1660-1704), che diedero agli spettacoli la forma e la struttura conservate fino a oggi e definirono le tecniche di recitazione e l'intero sviluppo dei drammi, per quanto concerne sia le sceneggiature sia le coreografie. I maggiori drammaturghi dell'uno come dell'altro genere furono Chikamatsu Monzaemon (1653-1724) e Ki no Kaion (1663-1742), i cui testi più famosi sono ancora oggi frequentemente messi in scena. L'influenza occidentale, in seguito alla riapertura del Paese (1868), fu recepita anche dal teatro che si modernizzò come genere e nelle tecniche recitative. Ciò avvenne soprattutto per il kabuki, nel cui repertorio furono inseriti testi d'ispirazione realistica e molto realisticamente rappresentati. Diede il via al nuovo orientamento il grande attore Ichikawa Danjuro IX (1838-1903), avvalendosi di testi di drammaturghi quali Kawatake Mukuami (1816-1893). In seguito si formò a Osaka il cosiddetto teatro della nuova scuola (shinpa), forma di transizione dal kabuki allo Shingeki (Nuovo teatro), il quale ha assunto completamente le caratteristiche del teatro occidentale, riportando tra l'altro sulla scena, da cui era stata tenuta severamente lontana nel no e nelle altre forme teatrali dal sec. XVIII, la donna. Si deve a Tsubouchi Shoyo (1859-1935), oltre a un certo numero di tragedie, un importante saggio dal titolo Wagakuni no shingeki (Il nostro teatro storico). Altri notissimi scrittori si dedicarono spesso ai testi teatrali: Mushakoji Saneatsu (1885-1976), Kikuchi Kan (1888-1948), Kurata Hyakuzo (1891-1943), Okamoto Kido (1872-1939), Mori Ogai (1862-1922) e Osanai Kaoru (1881-1928), che fu noto anche come critico, regista, innovatore e sperimentatore assiduo e instancabile e fondatore dello Tsukiji-shogekijo (Piccolo teatro di Tsukiji), una formazione che servì da guida alle più importanti compagnie dell'epoca. Anche il teatro, sebbene spesso disordinatamente, subì gli influssi delle varie tendenze dell'Occidente, da cui furono introdotte innumerevoli opere. Rilevante fu pure la funzione del teatro proletario, per cui scrissero buoni testi, fra gli altri, Murayama Tomoyashi, Juro Miyoshi (1902-1958), Magatsuka Takashi (1879-1915) e Shimazaki Toson (1872-1943). Alcuni validi autori, membri del Bungaku-za (teatro letterario), fra cui sono da ricordare Kubota Mantaro e Kishida Kunio (1890-1951), svolsero un'importante opera di opposizione a ogni forma di schematicità contenutistica e formale. L'ultimo conflitto dissestò le varie compagnie, tranne il Bungaku-za, ma ben presto il teatro risorse con nuove e interessanti realizzazioni e con autori degni di nota quali Tanaka Chikao, Mafune Yutaka e Kinoshita Junji, che operò un'interessante contaminazione tra il kabuki e il teatro occidentale. Continuano comunque a coesistere tutt'oggi sulle scene giapponesi rappresentazioni d'avanguardia, non di rado di notevole valore artistico, e generi tradizionali, ancora apprezzatissimi.

CINEMA: FINO AGLI ANNI TRENTA

Già noto e praticato alla fine del secolo scorso, il cinema ebbe in G. una storia intricata e foltissima e fu a lungo, quantitativamente, il più copioso del mondo (nel 1924, un anno dopo il terremoto che aveva distrutto tutti gli studi tranne uno, si produssero 875 film). Questa vicenda, in cui la speculazione produttiva (che nessun cataclisma naturale o politico riuscì mai a frenare) raggiunse livelli e scandali mai toccati neppure in Occidente, si caratterizzò fin dagli anni Dieci, sul piano culturale, come lotta interna fra vecchio e nuovo, fra tradizione e progresso, fra Kyoto, che si specializzò nei film in costume di fonte teatrale (jidai-geki), e Tokyo, che predilesse il contemporaneo (gendai-geki). Sebbene a tale rigida consuetudine non corrispondesse una scala di valori e i maggiori registi praticassero sovente l'uno e l'altro filone, la ripartizione in categorie, sottocategorie e altre varianti pesò per lunghissimo tempo condizionando la produzione, schematizzando i generi e costringendoli in limiti assai più ferrei che a Hollywood. Si aggiunga, fino alla soglia degli anni Venti, l'uso del benshi o commentatore, talora più interessante del film, e quello dell'oyama, attore travestito da donna, per comprendere le resistenze che, nonostante la sua popolarità, lo spettacolo cinematografico trovò sulla propria via. Quello che la Nikkatsu, la prima grande società (sorta nel 1912), non aveva potuto fare, sebbene avesse rifiutato il formalismo feudale del teatro kabuki per una nuova scuola (shinpa), riuscì dal 1919 all'Associazione per il film d'arte, che compì il primo passo per l'emancipazione del cinema giapponese. Negli anni Venti i modelli hollywoodiani servirono allo svecchiamento: registi in possesso di tecnica e di linguaggio più svelti, interpreti anche non professionisti e dunque più spontanei. Per la casa di produzione Shochiku, un esponente dello Shingeki (Nuovo teatro), Osanai Kaoru, creò con il film Anime sulla strada (1921, protagonista M. Murata) il cinema sociale. Il decennio fu caratterizzato dall'avvento delle attrici, dallo sviluppo del film in costume (talvolta ridotto a cliché e di cui fu massimo divo Matsunosuke Onoe), dalle commedie e dai drammi domestico-sentimentali, ma anche, sotto l'influsso del cinema rivoluzionario sovietico, dai primi tentativi di offrire un quadro realistico del G. moderno: tendenza in cui, oltre a Murata, si impegnarono registi quali Eizo Tanaka, Kensa ku Suzuki, Yasujiro Shimazu e il giovane Kenji Mizoguchi, mentre Teinosuke Kinugasa, ex attore oyama che aveva studiato in Germania, realizzava con Una pagina matta (1927) e Incroci (1928; in Occidente Ombre dello Yoshiwara) due classici dello sperimentalismo. Nel sonoro si distinsero subito il caposcuola Shimazu, il suo allievo Heinosuke Gosho, Daisuke Ito che introdusse nel jidai-geki la critica sociale, Tomu Uchida che vi innestò la satira, lo stesso Kinugasa che diede la prima memorabile versione dei 47 ronin (1932), Mikio Naruse che si specializzò (come più tardi il Mizoguchi) nella tematica femminile, e Yasujiro Ozu, uno dei maggiori descrittori e portavoce della piccola borghesia che il cinema abbia mai avuto, il quale adottò toni comici e amari nell'ancor muto Sono nato, ma... (1932). Gli anni Trenta portarono alla massima espressione artistica le tendenze più valide di una scuola nipponica ormai pienamente originale. I due capolavori di Mizoguchi Le sorelle del Gion (1935) ed Elegia di Osaka (1936), l'ammirevole quartetto di Uchida formato da Il teatro della vita (1936), La città nuda (1937), Il cammino senza fine (1937) e La terra (1939, giunto anche alla Mostra di Venezia), la rivelazione di Sadao Yamanaka (Umanità e palloni di carta, 1937), le affermazioni di Shiro Toyoda, Minoru Shibuya e Tomotaka Tazaka (di cui il film Cinque esploratori, 1939, fu presentato pure a Venezia col titolo La pattuglia), le conferme del vecchio Shimazu e del suo stretto e geniale seguace Ozu costituirono le punte di un cinema maturo, che soltanto la guerra poteva stroncare.

CINEMA: DAL PERIODO BELLICO AGLI ANNI CINQUANTA

Nel periodo bellico il miglior cinema giapponese si rifiutò di appoggiare o propagandare il militarismo imperiale e si rifugiò nei tempi passati (creando il genere geido-mono, biografie di artisti dell'era Meiji), nei film sui bambini (shonen-mono), nelle storie d'amore, nell'intimismo familiare e negli appelli all'umanità. Anzi, nella trilogia Shanghai, Nanchino, Pechino, lo straordinario documentarista Fumio Kamei, invece di cantare trionfalmente le vittorie in Cina, evidenziò coraggiosamente le miserie del conflitto e dipinse le vittime dell'aggressione, mentre il nuovo regista Keisuke Kinoshita, nel film L'esercito (1944) commissionatogli dal Ministero della Guerra, puntò senza eufemismi sulle madri cui, per tre generazioni, venivano implacabilmente strappati i figli. Accanto a quella di Kinoshita, anche la personalità di Akira Kurosawa si rivelò nel tempo di guerra. Il ritratto della società postbellica, in un senso affine al nostro neorealismo ma con più accentuata sfumatura neoromantica, occupò anche in G. i migliori talenti. Mentre Mizoguchi ambientava tra le macerie una vicenda di prostituzione (Le donne della notte, 1948), Kurosawa, l'alfiere del nuovo cinema, si affermava con L'angelo ubriaco (1948): più tardi egli avrebbe realizzato, dopo il trionfo ottenuto a Venezia nel 1951 con Rashomon, che per la prima volta spalancò le porte dell'Occidente al cinema nipponico, il suo capolavoro con Vivere (1952). Ma la fioritura negli anni Cinquanta fu generale. Mizoguchi attinse il culmine della propria arte nella trilogia in costume Vita di O-Haru, donna galante (1952), Ugetsu monogatari ovvero I racconti della luna pallida d'agosto (1953) e L'intendente Sansho (1954), tutti e tre premiati a Venezia; il decano Kinugasa strappò al Festival di Cannes la Palma d'oro col suo film a colori La porta dell'inferno (1953); Kinoshita toccò anch'egli il vertice con Il puro amore di Carmen (1952), Una tragedia giapponese (1953) e Ventiquattro occhi (1954); sempre più coerentemente e magistralmente Ozu proseguì il suo cammino analizzando le trasformazioni nella famiglia media; Gosho, Naruse e Toyoda produssero, ciascuno, almeno tre film di superiore livello. Si impose con loro il talento eclettico di Kimisaburo Yoshimura, mentre tra i più dotati della tendenza di sinistra (una rilevante importanza avevano assunto le cooperative indipendenti che si erano opposte al dominio delle 5 grandi case) emersero con film vigorosi Tadashi Imai, Kaneto Shindo, Satsuo Yamamoto e altri. Tra le opere meglio conosciute in Occidente si ricordano almeno I sette samurai (1954) di Kurosawa, L'arpa birmana (1956) di Kon Ichikawa (realizzatore, nel 1983, di Neve sottile), La strada della vergogna (1956), l'ultima di Mizoguchi, e L'isola nuda (1961) di Shindo

CINEMA: DAGLI ANNI SESSANTA AD OGGI

Sulla soglia degli anni Sessanta si affacciò il nome di Masaki Kobayashi, autore della trilogia La condizione umana (1959-61), di Harakiri (1963) e, assai più tardi, de Il processo di Tokyo, presentato al Festival di Berlino del 1985. Va citato anche Hiroshi Teshigahara (La donna di sabbia, 1964) per la sua modernità. Nel decennio successivo anche in G. si sviluppò un'ondata rinnovatrice, che coincise con la crisi delle maggiori compagnie, le quali per controbattere la concorrenza televisiva e conservare la media annuale sui 500 film, rinunciarono alla produzione cosiddetta di prestigio, pescando a piene mani nel mare torbido della violenza e del sesso. Né da tale formula si astennero, proprio per ottenere un impatto sul pubblico, gli innovatori, come dimostra il titolo di un loro film-manifesto, Eros+ massacro (1969) di Yoshishige Yoshida. Soltanto, costoro ne rovesciarono gli effetti, trasformandoli in anarchismo e rivolta, in motivi di turbamento e di trasgressione, in critica totale alle istituzioni. Capofila di tale corrente, che attaccò e distrusse i vecchi idoli, fu un cineasta complesso e affascinante, Nagisa Oshima (da Notte e nebbia del Giappone, 1960, a La cerimonia, 1971). Negli anni Settanta si è consumata in G. una crisi del cinema di estrema gravità; i maggiori registi si son visti costretti a scegliere tra la disoccupazione e la televisione. Pochi titoli emergono, come Legge marziale (1973) di Yoshida, Takiji Kobayashi di Imai, premiato a Sanremo nel 1976, Il solitario cammino di Chikuzan (1977) di Shindo, e il film femminista La strada lontana di Sachiko Hidari, ex attrice della Donna-insetto, presentato a Berlino nel 1978. Prevalgono tre settori: l'underground, coi poemetti grottesco-surreali di Katsu Kanai, l'animazione satirica, sull'esempio del fulmineo Yoji Kuri, e il cinema militante del collettivo Ogawa. Non desta sorpresa, quindi, se Kurosawa e Oshima, per proseguire l'attività, hanno fatto ricorso all'aiuto straniero: il trasgressivo Oshima a capitali francesi per l'erotico Impero dei sensi (1976) e a quelli inglesi per Furyo, presentato a Cannes nel 1983; Kurosawa si è rivolto all'U.R.S.S. per Dersu Uzala (1975), agli U.S.A. per Kagemusha (1980), due opere premiatissime, cui hanno fatto seguito nel 1985 Ran, ispirato al Re Lear di Shakespeare e nel 1991 Rapsodia d'agosto e nel 1993 Madadayo. Tra gli ultimi registi, si ricorda Shoei Imamura, autore di Perché no? (1981) e soprattutto di La ballata di Narayama, Palma d'oro al Festival di Cannes nel 1983. Da notare invece, nella seconda metà degli anni Ottanta, la progressiva invasione di Hollywood da parte di capitali giapponesi, fatto resosi clamorosamente evidente con l'acquisto della Columbia compiuto dalla Sony. Al contrario, è stato deludente il contributo artistico dato dal G. al cinema negli stessi anni: tra film di genere e destinati al mercato interno (peraltro fortemente dominato dalle cinematografie estere), internazionalmente sono emersi pochi registi; in particolare citiamo Juzo Itami (L'esattrice, 1987; Tampopo, 1988) e Kei Kumai (Morte di un maestro del tè, 1988). Negli anni Novanta, se non altro dal punto di vista dell’interesse artistico, la situazione è sembrata mutare non tanto nel cosiddetto cinema d’autore, in crisi come in gran parte della scena internazionale, quanto nella riappropriazione in maniera comunque personale di generi e filoni commerciali. Nel campo dell’animazione si sono affermati due cineasti originali con prodotti fantascientifici e decisamente destinati a un pubblico adulto, Katsuhiro Otomo con Akira (1989), poi autore di una commedia dell’orrore con attori in carne e ossa, World Apartment Horror (1991), e Mamoru Oshii con Ghost in the Shell (1995). Tsukamoto Shin’ya ha rivitalizzato il genere horror con gli stupefacenti incubi biometallici di Tetsuo (1989) e Tetsuo II (1991), prima di approdare all’action thriller più duro con Tokio Fist (1995). Dove però la scena nipponica è sembrata vivacizzarsi al meglio è nel thriller e nel poliziesco, forse per la competizione con la vicina e “invadente” Hong Kong. Takeshi Kitano è subito apparso come caposcuola con un Poliziotto violento (1989) e Sonatine (1993), anche se non si devono dimenticare sue disgressioni in altri settori come nel caso di Silenzio sul mare (1991), Kids Returns (1996) e Hana-Bi (1997), che ha vinto il Leone d’oro alla Mostra di Venezia del 1997. Sulla sua scia si possono citare Ishii Takashi (Fino alla morte, 1992; Gonin, 1995) e Aoyama Shinji (Helpless, 1996), mentre più affezionati al ritratto psicologico-sentimentale appaiono Kenchi Iwamoto (Kikuchi, 1990) e Shinozaki Makoto (Okaeri, 1995). Ancor più legati a poetiche drammatico-elegiache del lontano passato sembrano infine autori promettenti come Shunji Iwai (Lettera d’amore, 1995; Coda di rondine-Yen Town, 1996) e Keto Tetsu (Canto di bambù, 1993).

FOLCLORE

Il G. conserva ancora oggi, nonostante la sua fortissima occidentalizzazione, non poche pratiche tradizionali. Si potrebbe anzi dire che la vita giapponese conosce accanto all'acuta occidentalizzazione un altrettanto acuto stato di sopravvivenza delle più antiche pratiche culturali e liturgiche. Feudali o popolari, tali pratiche sono molto numerose e grandemente diffuse. Ci si limiterà dunque a segnalare le più importanti, tra cui la divinazione, che sopravvive in tutti gli strati della popolazione. Quasi tutte le decisioni importanti, soprattutto per quanto concerne la vita sociale, sono prese dopo avere consultato gli eki-sha (indovini) o dopo avere interrogato il teso (sorta di chiromanzia), il ninso (sorta di fisiognomica) e soprattutto l'astrologia vera e propria, mediante una specie di bussola calamitata o una carta dei cieli, in cui sono rappresentati i dodici animali indicatori dei mesi: il topo, il bue, la tigre, la lepre, il dragone, il serpente, il cavallo, l'ariete, la scimmia, il gallo, il cane, il porco (entrambe queste pratiche sono di origine cinese). Va segnalato che, oltre agli animali del calendario, tra gli animali mitici la volpe ha un ruolo molto importante, ancora oggi, nelle credenze popolari quale messaggero del dio shinto Toyouke-hime (dio del nutrimento). Un'altra pratica divinatoria molto diffusa è quella dell'oracolo, o-mikuji. La risposta è ottenuta scegliendo un bastoncino di legno recante un numero che corrisponde a determinate immagini simboliche. Questo oracolo veniva soprattutto usato per la scelta del terreno, la collocazione e l'orientamento dell'abitazione da costruire. Molte feste private giapponesi, quali si conservano tuttora, provengono, di fatto, dalle antiche pratiche religiose e superstiziose concernenti l'edificazione orientata delle abitazioni: il Mune-age, festa che veniva praticata al momento della posa del colmo del tetto e che consisteva in una riunione intorno al fuoco per la durata della notte, sopravvive quale festa di inaugurazione di una nuova residenza. La superficie della casa era calcolata, tradizionalmente, a partire dal tatami (stuoia di ca. 185 cm per 95 cm) e non superava globalmente la misura di sei, otto o dieci tatami. Questa pratica, unita ad alcune altre, serve tuttora da supporto simbolico al cha-no-yu, la cerimonia del tè, che ha luogo nella stanza principale dell'abitazione. La cerimonia del tè, ricca di simbolismi, la cui usanza risale al sec. XV e le cui regole furono stabilite un secolo più tardi da Rikyu, maestro del tè del generale Toyotomi Hideyoshi, è praticata regolarmente dai Giapponesi e riveste una grande importanza rituale e sociale: dopo le abluzioni, si penetra nella stanza del tè attraverso una porta stretta, in ginocchio o curvi. La stanza è nuda a eccezione di una nicchia in cui è esposto un kakemono (pittura o calligrafia); sul suolo si trovano gli oggetti tradizionali che servono per la cerimonia. Il tè viene deposto in fondo alla tazza, viene versata l'acqua bollente e il tutto viene agitato con una specie di frusta o di spatola di bambù; quando appare la schiuma la tazza viene offerta all'invitato d'onore che, dopo aver bevuto, la passa agli altri successivamente (l'ultimo deve vuotare la tazza). Dopo di che l'ospite fa passare, di mano in mano, gli utensili perché vengano ammirati. Si può dire che le principali pratiche simboliche dei Giapponesi sono legate all'abitazione, quale luogo a partire dal quale la vita viene “orientata”. L'altra pratica molto nota anche da noi, l'ikebana (arte del mazzo), cioè l'arte di disporre fiori e rami, è strettamente connessa ai simbolismi dell'abitazione e del suo giardino. Insegnata da varie scuole, soprattutto dalla scuola Ikenobo del tempio Rokkakudo di Kyoto, l'ikebana consiste principalmente nel disporre in un triangolo ideale un insieme di fiori, rami, ecc. che deve risultare composto da tre fasci slanciati di altezza diseguale: il più alto simboleggia il cielo, il mediano l'uomo, il più basso la terra. Un'altra scuola, la scuola Moribana, insegna l'arte dei mazzi a tre dimensioni (all'alto e al basso della scuola Ikenobo essa aggiunge il volume, cioè l'orientamento secondo le direzioni dello spazio circostante). Se queste due pratiche, la cerimonia del tè e l'ikebana, rivestono un carattere insieme estetico e religioso, altrettanto si potrebbe dire della cucina, cioè del simbolismo dei pasti (quando hanno un carattere ufficiale). In effetti il G. è il Paese per eccellenza delle “buone maniere”. Tutto è rigorosamente codificato e questo insieme folclorico-liturgico della vita di ogni giorno sopravvive o meglio vive imponendo un'etichetta a degli uomini che, pur essendo completamente occidentalizzati, non rinunciano ai loro antichi codici simbolici. Le donne p. es., che continuano ad avere uno statuto inferiore rispetto agli uomini, trovano nell'Onna Daïgaku (Il grande sapere delle donne) le regole del loro stato; scritto da Kaïbara Ekken nel sec. XVII, questo testo può venire riassunto in 8 punti: le 3 grandi obbedienze (ai genitori nella gioventù, al marito nel matrimonio, ai figli nella vecchiaia) e le 5 malattie morali (la disubbidienza, l'odio, la maldicenza, l'invidia, la stupidità). Gli uomini invece, trovano le loro regole di vita nel Bushido (La via del guerriero), redatto un secolo più tardi del codice femminile. Le pratiche del folclore sopravvivono soprattutto durante le ricorrenze del matrimonio e della nascita. In entrambi i casi tutto il cerimoniale è rigorosamente orchestrato; nel matrimonio riveste una particolare importanza il trasferimento degli oggetti della sposa nel futuro domicilio della coppia. Nel caso della nascita di un bambino, una cerimonia importante ha luogo il quinto mese di gravidanza, quando il marito offre alla moglie il yuwata-obi (cintura di maternità); è questa una sopravvivenza dell'antica pratica dell'imposizione del nome al nascituro. La festa vera e propria per la nascita avviene invece centoventi giorni dopo il parto e ha nome Tabezome (festa del nutrimento). Si tratta in questo caso di una sopravvivenza legata al rientro della madre nella comunità familiare, che avveniva con una cerimonia durante la quale la madre nutriva in pubblico il figlio. Oggi, come ieri, hanno grande importanza nell'educazione i giochi (e soprattutto la pratica del disegno all'aperto); va inoltre notato che ai bambini sono dedicate due importanti feste, il Jizobon che coincide con la festa dei morti (Jizo è il dio protettore dei bambini vivi e morti) e lo Hina-matsuri che ha luogo il 3 marzo ed è una festa delle bambine. Ma più dei giochi rivestono un carattere propriamente nazionale gli sport, considerati come discipline tradizionali e in parte derivati dall'insegnamento Zen. Va indicato soprattutto il sumo (lotta ordinaria), praticata da lottatori quasi obesi: su un ring quadrato sormontato da un baldacchino, viene tracciato un cerchio; il gioco consiste nell'espellere l'avversario dal cerchio (il sumo è retto da 48 regole, 12 movimenti e 3 tecniche). Vi sono quindi le arti marziali (sia per gli uomini sia per le donne): il kendo (la via della sciabola), il kyujutsu (tiro all'arco), il judo e le sue varianti: l'aikido e il karate, oggi ben noti ovunque.





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