Caricare documenti e articoli online 
INFtub.com è un sito progettato per cercare i documenti in vari tipi di file e il caricamento di articoli online.


 
Non ricordi la password?  ››  Iscriviti gratis
 

Cenni di stratigrafia

geografia



Cenni di stratigrafia

La stratigrafia è una parte della geologia che studia i materiali di cui è formata la crosta terrestre, al fine di stabilire con precisione la successione cronologica delle formazioni rocciose e, quindi, il ciclo evolutivo della Terra[1]. Una successione di strati rocciosi viene detta «serie stratigrafica». Le ricerche della stratigrafia si applicano in genere alle rocce sedi­mentarie, in particolare a quelle stratificate sia perché queste, non essendo state rielaborate, mantengono pres­soché intatta la documentazione del passato geologico, sia perché il loro contenuto in fossili facilita la classifica­zione rispetto al tempo e la ricostruzio­ne degli habitat paleogeografici.

Ogni unità litostratigrafica originatisi in un a 222d39c mbiente omogeneo, come un settore di mare con le stesse caratteristiche del fondo, o un tratto di deserto, e nello stesso lasso di tempo, costituisce una formazione geologica. Le differenze tra una formazione e l'altra, ovviamente, non sempre sono cospicue e riguardano principalmente il colore, i caratteri sedimentologici e il contenuto in fossili. Quando esse sono nette, indicano un brusco mutamento nella storia geologica della Terra; quando sono poco apprezzabili, invece, indicano trasformazioni ambientali piuttosto graduali e verificatesi in tempi lunghi.



Gli strati di una serie rocciosa sono se­parati tra loro da piani di stratificazione, o giunti, che spesso sono evidenziati dalla presenza di veli argillosi o marnosi.

Gli elementi di uno strato sono: 1) il tetto ed il letto, ossia la superficie superiore e quella inferiore; 2) la potenza, o spesso­re, in base alla quale lo strato prende il nome di lamina se è inferiore ad 1 centimetro e di banco se è superiore ad 1 centimetro; 3) la direzione, cioè la posizione dello strato in rapporto ai punti cardinali; 4) l'immersione, indicata dal punto dell'orizzonte verso il quale lo strato pende; 5) l'inclinazione, o pendenza, che è espressa dall'angolo formato da una faccia dello strato con il piano dell'orizzonte.

A seconda della giacitura, gli strati pos­sono essere orizzontali, se presentano un'inclinazione praticamente nulla, verticali, se hanno un'inclinazione di 90°; a franapoggio, se si immergono nello stesso senso del pendio e sono soggetti a smottamento; a reggipoggio, se si immergono con inclinazione opposta a quella di un versante montuoso e risultano più stabili.


Cicli sedimentari: trasgressioni e regressioni marine

Poiché la formazione delle rocce sedimentarie è avvenuta in massima parte in ambiente marino, i più significativi cambiamenti nelle serie stratigrafiche avvengono per le variazioni del livello del mare che più volte nella storia geologica, a causa dei mutamenti climatici, di forze endogene o orogenetiche, si è innalzato o abbassato con oscillazioni che in alcuni periodi hanno superato i 500 metri. In conseguenza di tali oscillazioni, dette movimenti eustatici, ampi tratti di terra sono stati invasi dal mare e larghi tratti di fondali marini sono diventati terre emerse.

Il ritiro del mare da un'area sommersa prende il nome di regressione, mentre la sua avanzata sulle terre emerse è detta trasgressione o ingressione.

Se un'area ha subito una regressione, seguita a distanza di tempo da una trasgres­sione, significa che quell'area, già sommersa, è rimasta emersa per un certo periodo ed è stata poi ricoperta di nuovo dal mare, ha subito cioè un ciclo sedimentario. Nella serie di rocce corrispondenti si osserve­rà quindi un limite, di solito in forma di linea irregola­re, che dividerà un pacco superiore di rocce, più recen­ti, da un pacco inferiore di rocce, più antiche: tra i due pacchi si noterà la mancanza di rocce sedimentarie ma­rine corrispondenti al periodo di emersione e di erosio­ne. Tale mancanza si chiama lacuna stratigrafica.

In un blocco roccioso gli strati possono essere concordanti, se si sovrappongono gli uni gli altri con successioni parallele, oppure discordanti, se la superficie di uno strato o di un gruppo di strati risulta inclinata rispetto a quella del pacco roccioso sovrastante.


La reazione delle rocce alle forze deformanti

Su gran parte della superfice terrestre gli affioramenti rocciosi non conservano la posizione originaria, ma sono stati sottoposti a lenti e forti movimenti di origine endogena, detti movimenti tettonici, che li hanno compressi, fratturati e dislocati.

Le modalità con cui le formazioni geolitologiche si deformano dipendono da vari fattori: in primo luogo dal grado di rigidità delle rocce, dalla pressione, dalla temperatura e dalla durata delle forze deformanti.

Dal punto di vista della reazione alle forze deformanti, le rocce possono essere distinte in due categorie: fragili e duttili.

In linea di massima, si può dire che le rocce ignee, come pure quelle calcaree e dolomitiche non stratificate, si comportano come masse rigide che, sottoposte a sollecitazioni tettoniche, non si lasciano modellare e si fratturano. Al contrario le rocce sedimentarie si comportano come masse plastiche che reagiscono alle diverse spinte lasciandosi variamente ripiegare, senza perdere il parallelismo degli strati, soprattutto se tra uno strato e l'altro si interpongono veli di terreni e minerali teneri che fungono da lubrifi­canti (argille, sali, grafite, ecc.).

Altro importante fattore fisico che influenza la deformabilità delle rocce è la presenza e l'abbondanza di un fluido, specialmente dell'acqua, che può indebolire moltissimo alcuni minerali di cui le rocce si compongono. Pertanto, a parità di composizione chimi­ca, le rocce che contengono acqua si deformano più facilmente di quelle secche.

L'entità e il tipo di deformazione dipendono anche dallo stress differenziale cui sono sottoposte le rocce, cioè dalla differenza tra la pressione verticale della massa sovrastante e la pressione laterale della materia circostante, detta pressione di confine. Se la pressione verticale è debole, generalmente le rocce si comportano in modo elastico, cioè si deformano senza spezzarsi e, nel caso in cui cessa la solleci­tazione, esse ritornano allo stato precedente. La deformazione quindi è reversibile. Se invece la pressione è forte, il limite di elasticità viene facilmente superato e le rocce sono soggette a deformazioni irreversibili.

Il comportamento di una roccia cambia anche in funzione della temperatura, dato che lo stato di aggregazione della materia diminuisce con l'aumento della temperatura. Ne deriva che rocce solide e rigide in superficie possono diventare deboli e plastiche in profondità.


I tipi di fratture principali: diaclasi, faglie e fosse tettoniche

Le fratture che si generano sulla litosfera, dette generalmente litoclasi, dal greco lithos = "pietra" e klasis = "spaccatura", sono molto diverse per larghezza, profondità, lunghezza e complessità. In linea di massima possono dividersi in tre categorie principali: diaclasi, faglie e fosse tettoniche.

Le diaclasi, o giunti, sono spaccature di origine meccanica che avvengono senza che si manifesti lo spostamento delle pareti fratturate.

Le faglie, o paraclasi, invece, sono fratture che comportano lo spostamento delle masse rocciose situate sui due lati.

Il piano di separazione fra i due blocchi, lungo il quale avviene il movimento si dice piano di faglia, il bordo del blocco roccioso che giace sopra il piano di faglia si chiama tetto e quello situa­to al di sotto, invece, è detto muro, o letto. L'entità dello spostamento verificatosi tra i due bordi della faglia, infine, si chiama rigetto e può variare da pochi metri a qualche chilometro. La dislocazione delle due masse rocciose, compresse l'una contro l'altra, non si verifica in maniera lenta e costante, ma a scatti improvvisi, provocando in genere scosse sismiche.

In base al tipo di movimento intervenuto e all'entità del rigetto si distinguono diversi tipi di faglia:


1) faglia diret­ta o normale, quando uno dei due blocchi scivola verso il basso per effetto di una forza di distensione, che comporta un «allungamento» della crosta terrestre;


2) faglia inversa, quando uno dei due bloc­chi si innalza sull'altro per effetto di una forza di compressione, che li spinge l'uno contro l'altro. In questo caso la forza compressiva provoca un «accorciamento» della crosta interessata. Se la faglia in­versa è molto inclinata e la forza di compressione è notevole, si può verificare un sovrascorrimento o accavallamento di un blocco roccioso sull'altro.


3) fa­glia trascorrente, quando lo scorrimento delle due masse rocciose avviene in senso orizzontale rispetto al piano di rottura; ne è un esempio la faglia di San Andreas, in California.


4) e faglia obliqua, se le masse rocciose sono caratterizzate da spostamenti sia orizzontali che verticali.


Spesso le pareti al lati della faglia mostrano delle striature, che sono parallele alla direzione di immersione della faglia e sono causate dall'abrasione di una parete contro l'altra. Inoltre, le rocce ai lati della faglia risultano spesso intensamente frantumate co­me conseguenza della frizione subita durante il movimen­to: si parla in tal caso di brecce di frizione, che, disposte in lun­ghe fasce, sono spesso la traccia più evidente della pre­senza di una faglia, la cui superficie, in affioramento, può essere invece difficilmente riconoscibile a causa del­l'erosione.


Normalmente le faglie non si trovano isolate. Molto spesso, invece, compaiono in serie parallele ed ognuna di esse presenta un rigetto più grande della precedente, ma nella stessa direzione, così da formare un pendio a gradini. Un'associazione di faglie può dar luogo ad una fossa tettonica.


I principali tipi di ripiegamento

Le regioni costituite da rocce plastiche quando sono sottoposte a compressioni o ad altre sollecitazioni, si lasciano piegare in relazione alla loro elasticità, formando ondulazioni più o meno accentuate, dette pieghe, che possono avere ampiezza variabile da pochi decimetri a qualche chilometro.

In una piega la parte convessa, cioè la parte dove gli strati rocciosi sono inarcati verso l'alto, si chiama anticlinale e la parte concava, nella quale gli strati rocciosi sono depressi, sinclinale. I lati di una piega vengono chiamati fianchi, la linea di saldatura dei due versanti, o fianchi, prende il nome di cerniera, il piano ideale che passa per le cerniere è detto piano assiale: la pendenza dei fianchi indica l'intensità del processo di ripiegamento.


Una piega si definisce simmetrica o diritta se i suoi fianchi hanno la medesima pendenza, asimmetrica o inclinata se un fianco presenta una pendenza più accentuata dell'altro.


Nel primo caso la forza di compressione esercitata sulla massa rocciosa è stata d'intensità uguale sui due lati; nel secondo caso, invece, su un lato essa è stata maggiore che sull'altro.

Una piega inclinata, se la spinta che l'ha determinata perdura, può assumere una posizione fortemente obliqua e si dice piega rovesciata; talvolta essa assume una posizione addirittura orizzontale ribaltandosi sulla piega successiva ed allora è chiamata piega coricata. Nelle pieghe lo strato più recente giace sempre sopra quelli più antichi, inoltre nelle pieghe coricate, gli strati antichi riposano sopra quelli nuovi.


Spesso una piega coricata, soprattutto se formata da strati rigidi alternati a strati più plastici, sotto la spinta di forze tangenziali sempre più intense, si stira e si assottiglia progressivamente fino a rompersi. Si genera, in tal modo, una nuova struttura detta piegafaglia, che di solito, va anche soggetta ad uno scivolamento sul pacco di rocce sottostanti: si ha, in altri termini, un sovrascorrimento che può raggiungere alcune decine o anche centinaia di chilometri.


Un caso particolarmente complesso è rappresentato da un ripiegamento isoclinale, cioè da una serie di pieghe inclinate e tra loro parallele i cui fianchi hanno tutti pendenza ed immersione approssimativamente uguali. Anche in questo caso il ripiegamento può essere talmente intenso da far spezzare le singole pieghe.


Fasce di scorrimento e falde di ricoprimento

Se il fenomeno del sovrascorrimento è così esteso da assumere dimensioni regionali, allora si parla di falde o coltri di ricoprimento.

I terreni so­vrascorsi, che, per l'entità del movimento, perdono ogni collegamento con la zona in cui è iniziato il movimento, vengono chiamati alloctoni, dal greco allos = "diverso" e khton = "terra"; mentre quelli su cui è avvenuto il sovrascorrimento, che non si sono spostati dal luogo di origine, si definiscono autoctoni, dal greco autos = "stesso".

In una falda di ricoprimento si distingue: una fronte, corrispondente alla parte anteriore, un dorso, corrispondente alla parte superiore, e la radice, corrispondente alla parte posteriore che collega la falda di ricoprimento con la zona di origine.

Uno squarcio operato dall'erosione nella falda di ricoprimento in ma­niera tale da fare affiorare il substrato di rocce sottostanti, come accade in molte valli profondamente incise dalle acque fluviali, viene detto finestra tettonica; se poi l'erosione ha demolito quasi tutta la falda sovrascorsa, lasciandone solo lembi residui, questi vengono chiamati scogli tettonici.

I fenomeni di sovrascorrimento sono episodi tutt'altro che rari. Un caso di amplissime coltri sovrascorse una sull'altra si osserva in molti punti delle Montagne Rocciose, degli Appalachi occidentali e della catena alpino-himalayana. In Italia l'intero settore delle Alpi, dalla Liguria al confine con l'Austria, può considerarsi come un gigantesco edificio formato da falde di ricoprimento sovrappostesi l'una all'altra sotto la spinta della placca africana contro quella europea.

Non sempre, però, le falde di ricoprimento avanzano per effetto di una compressione laterale. Talvolta se sovrascorrono su di un piano inclinato, possono scivolare per effetto della gravità; si parla allora di tettonica gravitativa. Tale tipo di movimento avviene più facilmente quando, fra il piano inclinato e la massa che scivola su di esso, vi è un "lubrificante", come uno strato di argilla imbevuto d'acqua.


Le strutture diapiriche

I diapiri, dal greco diapyros = "infiammato", possono paragonarsi a grosse «bolle» di roccia che, a causa della loro densità più bassa rispetto alle rocce circostanti, tendono a risalire verso l'alto nella litosfera, come avviene ad un pezzo di sughero che, immerso nell'acqua, viene sospinto verso la superficie. Le rocce che presentano un simile comportamento sono soprattutto quelle saline e gessose; ma in condizioni di alte temperatu­re anche i graniti rientrano nella categoria di rocce a bassa densità.

Nella loro risalita verso l'alto sotto la compressione delle rocce incas­santi, i diapiri possono spostarsi anche di 1-2 km rispetto alla posizione iniziale. In tal modo inarcano gli strati rocciosi sovrastanti, dando luogo a piccole montagne cupoliformi; talvolta riescono a perforarne anche la cima, dalla quale il sale o il gesso cola lentamente lungo i fianchi. I diapiri salini rivestono grande importanza econo­mica perché molto spesso fungono da trappola per l'accumulo di petrolio e gas.

Le strutture diapiriche, di solito, si ritrovano in sequenze allineate e raramente appaiono isolate. Montagne di sale esistono in Iran, in Al­geria ed in Marocco. In Italia sono caratterizzate da strutture dia­piriche alcune zone del Monferrato orientale e del Piemonte, dove ammassi di argilla spremuti verso l'alto da rocce rigide e pesanti assumono l'aspetto di montagne tondeggianti.




I criteri utilizzati sono sostanzialmente tre: il criterio stratigrafico, quello litologico e quello paleontologico.




Privacy




Articolo informazione


Hits: 3022
Apprezzato: scheda appunto

Commentare questo articolo:

Non sei registrato
Devi essere registrato per commentare

ISCRIVITI



Copiare il codice

nella pagina web del tuo sito.


Copyright InfTub.com 2024