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Riassunto
Un giorno
Marta Ajala viene sorpresa dal marito Rocco Pentagora mentre sta leggendo una
lettera d'amore che le aveva scritto un giovane del paese, Gregorio Alvignani;
viene scacciata ignominiosamente di casa, sconvolgendo la tranquillità non solo
della propria unione, ma anche della famiglia degli Ajala. Il padre di Marta
per il dolore si rinchiude in se stesso, abbandona gli affari, che vanno in
malore, e nel giro di qualche settimana muore di crepacuore: restano tre donne
sole, una madre (Agata) e due figlie (Marta e Maria). Il fallimento
dell'impresa paterna mette sul lastrico le tre donne, che sono costrette anche
a lasciare la casa, trovando qualche aiuto in una vecchia e sfortunata amica,
isolata dalla sua società per uno &quo 434c29e t;sbaglio che aveva commesso in
gioventù". Marta cerca lavoro; vince un concorso per insegnare nel
collegio che lei stessa aveva frequentato da ragazza, ma non può prenderne
possesso per le 'chiacchiere' della gente, che si rifiuta di avere come maestra
delle proprie figlie un'insegnante sulla quale pende l'accusa infamante del
tradimento del vincolo coniugale. Per intervento di Gregorio Alvignani, che nel
frattempo era diventato senatore del regno, Marta ottiene un posto in un
collegio di Palermo, dove si trasferisce con la madre e la sorella.
A Palermo due professori si innamorano di lei, il disincantato e poetico
Attilio Nusco e il rozzo e primitivo Matteo Falcone, che, ciascuno a proprio
modo, cerca di manifestarle il proprio amore; in modo un po' tragico finisce
l'innamoramento del Falcone, che viveva con due vecchie, la madre e la zia,
entrambe vedove e legate a un passato ormai concluso, che non potrà più
ritornare e che le mantiene in un'atmosfera fantastica di sogno e di irrealtà, una
condizione di follia che le salva dalla visione di una realtà cruda e triste,
fatta di solitudine e di isolamento.
Sempre a Palermo incontra l'ormai celebre Alvignani, dal quale Marta si fa
sedurre, credendo di amarlo e restando incinta. È una nuova situazione per
entrambi, di fronte alla quale l'Alvignani si sente impreparato e timoroso di
perdere non soltanto la reputazione ma anche la condizione sociale e politica
che si era venuto costruendo.
Una sera Marta viene chiamata al capezzale di una donna morente: è la madre di
Rocco Pentagora, che vive da sola a Palermo, anche lei scacciata in gioventù
dal marito, che aveva creduto di essere tradito dalla moglie. Marta telegrafa a
Rocco, che accorre, ed entrambi assistono all'agonia della donna, che muore felice
di sapere che il figlio era sposato con una brava ragazza e che la loro unione
era salda e 'normale'. Rocco ama ancora Marta e le chiede di ritornare a casa a
vivere con lui, ma una cosa complica la situazione: la donna gli confessa di
aspettare un bambino. Marta non più innocente ritornerà alla fine col marito
con la creatura che porta in grembo, dopo che innocente era stata scacciata.
Descrizione dei personaggi
Gregorio Alvignani È certamente una
figura di secondo piano, con una fisionomia non sempre nettamente delineata in
quanto oscilla abbastanza facilmente da una funzionalità positiva a una
funzionalità negativa. E' un personaggio
che non risulta sempre lineare e coerente nei suoi pregi e difetti, mostrando
sia una funzionalità positiva che una negativa. Come funzionalità positiva rappresenta il sentimento dell'amore al di
fuori della convenzioni sociali; spesso appare sincero e può rappresentare per
Marta un elemento che può permetterle di innalzarsi non solo sul piano
spirituale ma anche sociale. Il suo amore si contrappone da un lato a quello di
Rocco e dall'altro a quello di Matteo Falcone, che rappresentano gli altri due
gradini della scala sociale, rispettivamente quella media e quella bassa.
Come funzionalità negativa abbiamo
sia l'affermazione del maschio nella società caratterizzata dal predominio
maschilista, al quale nulla può essere negato perché maschio, favorito dal
destino, bello, intelligente, colto; sia il modello culturale della falsità
delle classi elevate, che con la licenziosità nel parlare e la cultura
affascinano e obbligano gli inferiori ad ubbidire ciecamente.
Matteo Falcone Una funzione particolare
assume questo personaggio nel romanzo, fino a ritagliarsi un proprio spazio
compiuto e delimitato. La presenza di Marta scatena nell'animo di Falcone
reazioni e sentimenti impensabili, che il personaggio stesso aveva cacciato via
da sé per sempre, a causa della propria deformità fisica, subita come ingiusta
condanna della natura, anche se ormai accolta fatalisticamente, aggravata dalla
presenza folle della madre e della zia.
La deformità di Falcone e la sua condizione familiare vengono descritte
dall'autore in modo che risalti l'aspetto grottesco e disumanizzante.
Gli unici rapporti di Falcone sono da un lato
con gli alunni e il personale del Collegio e dall'altra con le due vecchie
della sua casa: la madre e la zia, entrambe vedove, entrambe prive di
quell'amore "coniugale", per il quale sono diventate pazze dopo la
morte dei rispettivi mariti, con le quali si è stabilito un rapporto di
amore/odio, di amore in quanto dello stesso sangue, di odio perchè in esse vede
se stesso e la propria impotenza di fronte alla bellezza della vita; con tutti
gli altri si è creato quasi un muro, fatto di incomprensione e di paura.
Quando esplode il dramma della follia, ci troviamo davanti a un epilogo che noi
conosciamo già: nella deformità di Falcone e nella sua conseguente disperata
solitudine ritroviamo l'impossibilità di giungere all'amore con una donna e a
maggior ragione l'irrealizzabilità di essere amato da Marta, molto bella e di
sani costumi, non incline a quelle torture spirituali che avrebbero potuto
spingerla a farsi amare da un mostro.
Per questo la sua reazione alle parole di Marta non è umoristica ma tutt'al più
veristica.
Lo scrittore ci fa vedere oggettivamente il personaggio agire, anche se per un attimo ha sperato, oppresso da un destino al quale non può sottrarsi, fulminato dalla notizia che Marta tornava da una visita a "suo marito":
Subito dopo vediamo il Falcone che inveisce "contro la gente che tentava di afferrarlo, vociando; urla, divincolandosi" mentre la strada si anima di persone che accorrono sia per curiosare che per "eliminare" quello che ritengono un pericolo per la loro sicurezza e la loro tranquillità. Il giorno dopo tutta la città e in particolare il Collegio (nel quale lavorano sia il Falcone che Marta) sono a conoscenza dell'alienazione mentale del "mostro innamorato", senza sospettarne la vera causa, che resta un segreto per tutti, meno che Marta, che vede aggiungersi un altro motivo d'angoscia alla sua già difficile condizione: quello di perdere il posto se la accusassero di essere la reale causa dell'alienazione mentale di Falcone.
A questo punto il Falcone esce di scena dal romanzo, perchè ha esaurito la sua funzione, quella da un lato di rappresentare la mostruosità della condizione sociale di Marta scacciata di casa per adulterio e dall'altro di dimostrare come la discesa spirituale e sociale di Marta avesse toccato il punto più basso. La presenza del personaggio Falcone mette in evidenza le due metà di Marta, quella buona e quella mostruosa; la metà buona che tante sofferenze aveva patito, inflitte dalla sordità della gente e del marito, attento più al rispetto esteriore di norme inaccettabili che ai moti veri dell'anima, più all'apparenza che alla sostanza, convive con la metà mostruosa, una "mostruosità che spinge Marta ad accettare l'amore adultero di Gregorio Alvignani non come affermazione liberatoria e cosciente di sè come donna e come essere umano, ma come atto dovuto.
La funzione di Falcone nel romanzo viene sostenuta anche dagli altri due professori del Collegio, il grasso Pompeo Emanuele Mormoni e il piccolo e timido Attilio Nusco, entrambi sicuri di conquistare il cuore di Marta, ma vuoti di quell'umana partecipazione che è la base di ogni sentimento: entrambi restano a livello di macchietta e ricordano il fenomeno del cicisbeismo settecentesco (il cicisbeo era un damerino alquanto ridicolo, il cavalier servente di una dama, di cui si dichiarava innamorato: un esempio illuminante sono il Conte e il Marchese nella commedia goldoniana La locandiera).
La madre e la sorella:
I personaggi della madre e
della sorella Maria hanno la funzione di accompagnatrici
della figura dominante di Marta e sono il simbolo della condizione femminile
nella società patriarcale dominata dalla figura del padre-padrone e del
marito-padrone alla quale non osano ribellarsi. Sono succube della situazione,
umili ancelle sottomesse che seguoni i voleri del padre/marito prima e di Marta
poi, quasi oggetti che aspettano la loro collocazione.
Troviamo per la prima volta la figura di Agata Ajala (da notare che di lei
l'autore non ci dà il cognome da nubile, a conferma che la donna fa parte
integrante della famiglia "posseduta" dal padre padrone) oppressa da
due sciagure:
Marta:
Marta è la vittima di una serie di disavventure che non è andata a cercarsi, piovutele addosso una dopo l'altra. Si sovrappongono in lei innumerevoli di stati d'animo: gioia e voglia di ricominciare, abbattimento e rabbia contro una società dalla quale è stata "esclusa". E' per questo un personaggio dinamico. Importante è la funzione del Falcone nei confronti di Marta, quella da un lato di rappresentare visivamente per la "massa" la mostruosità della condizione sociale di Marta scacciata di casa per adulterio e dall'altro di dimostrare come la discesa di Marta al fondo della perdizione emotiva avesse toccato il punto più basso. La presenza del personaggio Falcone mette in evidenza le due metà di Marta, quella buona e quella mostruosa; la metà buona che tante sofferenze aveva patito convive con la metà mostruosa, una "mostruosità" che spinge Marta ad accettare l'amore adultero di Gregorio Alvignani; appare evidente quindi il destino della donna, che è quello di una secolare sottomissione all'uomo. Ancora una volta il personaggio realista mette in evidenza che la responsabilità dei propri atti non risiede in lui, ma in una forza che tutti domina e alla quale sono sacrificati anche i sentimenti.
Rocco Pentagora:
Rocco rappresenta il modello sociale in vigore, quello che dà più valore alle apparenze che alla sostanza; è il personaggio emblematico del romanzo: oppresso dalle regole e dalle convenzioni, da un forte senso del destino contro il quale non si può nemmeno tentare di lottare (ad esempio: crede nel tradimento della moglie prima di tutto perché nella sua famiglia così si verifica da generazioni).
Alla fine del romanzo troviamo la madre di
Rocco Fana Pentàgora allontanata da casa morire a Palermo presenti il figlio e
la nuora).
Ma dall'altro lato è proprio lui che trova il riscatto contro la propria
condizione di accettazione del modello sociale comune rompendo con la
tradizione, accogliendo di nuovo in casa Marta:
Proprio davanti al cadavere della madre Rocco prende il coraggio di chiudere col passato e di aprirsi a una nuova esistenza. Finalmente assume quel ruolo di forza morale di cui ha bisogno Marta e in generale la donna del primo novecento che si trova a vivere un momento particolare della storia, caratterizzato dall'inizio dell'affermazione della donna nella società. In questo senso Rocco si pone in contrapposizione col "debole" Alvignani, incapace di tenere accanto a sé una donna forte e cosciente dei propri diritti ma contemporaneamente debole sul piano delle ordini sociali.
Ambiente ed epoca
Due sono i luoghi in cui è
ambientata la storia: il paese (nella prima parte) e Palermo (nella seconda
parte); al paese predominano norme e consuetudini, privilegi e pregiudizi
tipici della massa priva di un proprio libero arbitrio e dominata da norme
esteriori e oppressive che non tengono conto dei sentimenti della persona
individualmente presa. L'individuo agisce non in base a quelli che sono i
propri bisogni esistenziale, ma alle norme in vigore nella comunità, alle quali
ciascuno ubbidisce ciecamente per non essere emarginato. Le norme agiscono sui
fatti e sugli individui e determinano lo svolgersi stesso degli eventi, nei
quali ciascuno agisce come una marionetta, priva di volontà e di intelligenza.
Solo nel chiuso della propria abitazione (in uno spazio ristretto) si può verificare un certa liberazione da questo
senso di oppressione, che viene sempre e comunque affermato negli spazi aperti dominati dalla presenza
della massa, come la piazza e la strada. La funzione della Chiesa, e quindi
l'aspirazione a un mondo più elevato e spiritualmente più nobile, libero da
ogni elemento tipicamente organizzativo o legislativo è quasi assente: ogni
manifestazione (come l'episodio della processione e della festa patronale del
paese) è assolutamente esteriore e diventa addirittura il momento propizio per
lo scatenarsi di istinti passionali dell'individuo tendenti a distruggere
spiritualmente e materialmente chiunque viene ritenuto, a torto o a ragione, un
corpo estraneo a quella società. L'agire libero dell'uomo viene sempre messo in
secondo piano dalle esigenze della collettività che deve difendere l'ordine
prestabilito della propria esistenza, nella quale è vietato qualsiasi
cambiamento.
Lo stile:
l tipo di linguaggio, già descritto,
è di tipo realistico, in cui mancano sia l'allusività che la possibilità di
suggestione. Niente fantasia, ma al centro il fatto così come appare e così
come viene vissuto dai personaggi; anche le figure retoriche sono totalmente
assenti. Interessante è invece l'uso di alcuni elementi simbolici, come il
buio.
Il buio, che in generale rappresenta il ritorno all'oscurità primordiale, a ciò
che non è ancora manifesto o che non potrà manifestarsi; è il ritorno al
mistero che nasconde tutto alla visione dell'intelligenza umana e alla luce del
giorno e della verità. Nel buio abbiamo:
in primo luogo la rinuncia a lottare, a vivere subendo l'umiliazione inflitta
dall'esterno;
in secondo luogo la disperazione sul piano spirituale, come conseguenza della
distruzione dei valori in cui si aveva cieca fede e di una situazione
esistenziale gratificante: questa corruzione della vita al dolore, alla
tristezza e infine al lutto e alla morte.
Nel buio comincia e finisce il romanzo,
dall'attesa in casa della famiglia Pentàgora che arrivi Rocco a un'altra
attesa, ben più drammatica, in una povera e desolata casa di Palermo, consumata
fra l'agonia di Fana Pentàgora, madre di Rocco, anche lei scacciata di casa
come Marta, e le drammatiche spiegazioni fra i due coniugi su ciò che era
successo e sulle conseguenze che ne erano derivate.
Nel buio inoltre, avvengono gli episodi più dolorosi e le azioni più
significative del romanzo. L'ultima parte del romanzo è dominata dal buio, con
un violento temporale che verso sera si abbatte su Palermo e fa scendere il
buio prima del tempo; poi l'arrivo dei Juè, il cammino verso la casa di Fana,
la morte della vecchia madre di Rocco, anche lei scacciata e abbandonata per un
presunto tradimento e infine, dopo il pensiero fisso del suicidio, la
riappacificazione, la veglia funebre insieme: ora il buio non farà più paura.
Questo carattere simbolico richiamano quindi ad una concezione teatrale da
parte dell'autore offrendo al lettore una storia che si muove su una
scenografia accattivante e legata ai sentimenti e alle azioni dei personaggi.
Commento:
Pirandello vuole mettere in
luce le contraddizioni intime dell'animo umano: una donna innocente viene
scacciata di casa, con l'accusa infamante di tradire il sacro vincolo
familiare, scatenando una serie di piccole o grandi tragedie che sconfinano con
la distruzione fisica (la morte del padre di Marta), spirituale (la pazzia di
Matteo Falcone) e sociale (la posizione di gregorio Alvignani che non vuole e
non sa prendersi le proprie responsabilità).
Da questa situazione si salvano soltanto coloro che restano ancorati non a un
comune modo di sentire, che spesso si rivela primitivo e falso, ma a valori che vanno al di là della quotidiana
realtà, come l'amore, la famiglia, la religione, che non devono essere visti e
sentiti in modo egoistico e individualistico, ma essere collocati nell'ambito
di una realtà della quale tutti possano far parte con eguale dignità .
Il desiderio finale di Rocco Pentagora di fronte all'agonia della madre, che
aveva vissuto lo stesso dramma di Marta, tende proprio a ripristinare una
realtà che è stata sconvolta dall'individualismo e dall'assenza dei valori;
mentre prima Rocco si è comportato in quel modo perché così fan tutti o così
tutti avrebbero fatto, alla fine si comporta nel modo che egli sente più
veritiero, perché fondato finalmente sull'amore, superando convenzioni
esteriori.
Dal mio punto di vista ogni singolo individuo per potersi salvare dal
disfacimento e dal dramma deve isolarsi da un contesto sociale fondato sull'interesse
e su falsi ideali e riconquistare individualmente i veri valori, nel rispetto
non solo delle convezioni sociale (solo se non repressive, ma capaci di garantire un ordine) ma anche
nei sentimenti degli altri.
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