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Càrlo Goldóni - La Locandiera

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Càrlo Goldóni


Càrlo Goldóni nacque a Venezia nel 1707. Dal 1716 iniziò gli studi, prima a Perugia, presso il collegio dei gesuiti, poi si trasferì a Rimini, da cui fuggì in barca, con una compagnia di comici, a Chioggia; fu studente di giurisprudenza al collegio Ghislieri di Pavia ma ne fu espulso nel 1725 per aver scritto una satira goliardica sulla bruttezza delle ragazze della città.

La morte del padre interruppe le sue allegre esperienze, si laureò a Padova (1731), dopo una notte trascorsa al tavolo da gioco,

Nel 1736, quando sposò Nicoletta Conio, ebbe fine la sua vita di'"avventuriero onorato", come lui stesso amava definirsi, poiché la moglie con pazienza e decisione introdusse nella sua vita irrequieta maggiore regolarità ed equilibrio.

L'incontro a Verona ne 151b14b l1734 con il capocomico G. Imer gli aveva intanto offerto l'occasione per intensificare la sua attività di scrittore teatrale, che alternò alla professione legale fino al 1747, quando un celebre attore del tempo, C. Darbes, lo convinse a farsi scritturare come autore stipendiato dalla compagnia di G. Medebac, che lavorava al Teatro Sant'Angelo di Venezia.

Creatosi un suo pubblico, Goldoni dovette sostenere la rivalità di P. Chiari, contro il quale condusse un'aspra battaglia teatrale, culminata con la promessa al pubblico di diciassette commedie nuove nella stagione teatrale 1750-51.



Passato nel 1753 al Teatro San Luca dei fratelli Vendramin, Goldoni fu costretto a piegarsi al genere esotico e patetico per controbattere su quel terreno i successi di Chiari, sul quale trionfò nel periodo 1760-62, definito dalla critica il felice triennio dei capolavori.

Intanto si avanzava sulla scena un altro e più temibile rivale, C. Gozzi, che, con il successo delle sue Fiabe e con l'accusa di sovversione sociale rivolta al teatro goldoniano, indusse l'amareggiato Goldoni ad accogliere l'invito, rivoltogli dal Théâtre-Italien, di recarsi a Parigi; qui dovette ricominciare da capo con i «canovacci» la sua battaglia per la riforma.

Accolto alla corte di Versailles come maestro d'italiano della famiglia reale, ottenne da Luigi XVI una modesta pensione, che però nel 1792 gli fu sospesa dalla Convenzione; il 7 febbraio 1793, il poeta J. M. Chénier ottenne, dalla stessa, che gli fosse restituita, ignorando che il giorno prima Goldoni era spirato.

L'opera goldoniana si muove tra due estremità: l'aderenza alla vita concreta e reale e la fedeltà, sia pure in forme nuove, alla tradizione artistica di carattere popolare rappresentata dalla Commedia dell'Arte.

Con la sua riforma, Goldoni appagava le esigenze di un nuovo pubblico, quello borghese, che aveva elaborato un'etica nuova fondata sul buon senso, sul lavoro e sul culto della famiglia, che, rifiutando l'evasione dalla realtà quotidiana, chiedeva un teatro nuovo, che rispecchiasse la sua condizione sociale, le sue difficoltà, le sue aspirazioni.


La Locandiera


Uno dei suoi maggiori capolavori è La locandiera, commedia in tre atti rappresentata per la prima volta nel 1753, che segna il trionfo dell'antiretorica: Mirandolina, infatti, con le sue adorabili finzioni, critica il linguaggio dei suoi spasimanti, facendo cadere l'ostacolo tra le parole e le cose.



La commedia era definita, dallo stesso Goldoni, la più "utile, morale e istruttiva perché mostrava l'ardire delle donne" e la loro capacità e destrezza nel "mettere i lacci agli innamorati per poi disprezzarli".

Goldoni fa capire in questo modo che l'universo femminile è stato e sarà sempre mutevole e incomprensibile poiché, spesso, ciò che appare non è, e ciò che è non appare.

La trama racconta di come, il conte d'Albafiorita e il marchese di Forlipopoli, ospiti nella locanda di Mirandolina a Firenze, si contendono il suo amore: il primo con doni che può facilmente permettersi, grazie alla sua buona posizione economica, il secondo, appartenente a quella parte di nobiltà decaduta e ormai senza mezzi, tenta di conquistarla con promesse di protezione.

Nella locanda è ospitato anche il cavaliere di Ripafratta, un convinto misogino che si vanta d'essere immune al fascino femminile ed anzi sostiene di disprezzare l'intero sesso "debole". Mirandolina, risentita del suo atteggiamento e della sua insensibilità, decide di provarsi nel farlo innamorare di sé e senza troppe difficoltà ci riesce, causando gelosie e liti tra i tre pretendenti.

Riuscita nell'intento di far capitolare il cavaliere, ella però ne rifiuta l'amore così come prima aveva rifiutato la corte dei due nobiluomini e concede la propria mano al cameriere della locanda Fabrizio.

Questa commedia, che non fu mai tra le preferite del Goldoni, dimostra l'ormai raggiunta maturità artistica del suo autore con l'assoluta padronanza del mezzo scenico, l'attenta caratterizzazione di tutti i personaggi, i dialoghi ben calibrati, il chiaro delineamento dell'ambiente sociale all'interno del quale si svolge l'azione; ma anche il raggiungimento di una "forma" teatrale originale e a lungo ricercata negli anni, la materializzazione scenica di quella riforma teatrale che doveva ispirarsi alla società contemporanea, i cui intrecci dovevano essere plausibili e che doveva avere fini educativi e di denuncia.

Il principale merito attribuito dai critici al gran commediografo veneziano è quello di aver introdotto nel teatro due punti fermi: un testo scritto fisso, non modificabile dagli attori, in sostituzione dei canovacci della Commedia dell'Arte, e l'eliminazione delle maschere.

Così Mirandolina La locandiera è un personaggio ben definito non solo caratterialmente, ma anche socialmente; non è più la "servetta" intrigante della commedia precedente, il tipo della "donnina brillante e capricciosa", ma è una locandiera con i suoi affari, i suoi interessi.

È un personaggio radicato in una precisa realtà sociale, lontano da generalizzazioni e stereotipi, il cui comportamento è dettato non da caratteristiche fisse ed immutabili, ma dalle sue esperienze e dalla sua posizione sociale è indicativo che, a conclusione della commedia, Mirandolina sposi un borghese come lei, il cameriere Fabrizio.

Una conclusione che conferma come, aldilà del piacere per una storia ben congeniata, molti siano i temi sociali di quest'opera come l'irrompere sul palcoscenico di valori borghesi, quali l'operosità, il senso della misura, l'attenzione al guadagno.





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